UNA SCINTILLA, UN PRETESTO
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La guerra e'
in fase di preparazione, basta la scintilla, capitali enormi entrano gia' nelle tasche dei grandi industriali, le loro fabbriche
costriscono armi a spron
battuto. Occorre solo un pretesto per iniziare una guerra, consumare armi e
munizioni, costruirne di nuove, distruggerle, costruirle nuovamente. Occorre
una guerra per spartirsi meglio le colonie, conquistare nuovi mercati. Il
pretesto del conflitto prende corpo il 28 giugno 1914 quando l'arciduca
ereditario d'Austria viene assassinato a Sarajevo. Ma
se la prima guerra mondiale inizia nel 1914, l'ingresso dell'Italia viene deciso un anno dopo. Interventisti e pacifisti si
fronteggiano finche' una decisione segreta vincola
l'Italia ad uno schieramento. La decisione dell'intervento italiano avviene
scavalcando il parlamento di allora e con l'appoggio del re.
L'ITALIA IN GUERRA? TOP SECRET
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Il 26 aprile 1915, infatti,
il governo italiano firma segretamente a Londra, all'insaputa del Parlamento,
un patto in cui viene garantito l'ingresso in guerra.
E chi lo dira' che i ragazzi
italiani dovranno andare a morire sul Carso? Viene lanciata una martellante campagna propagandistica,
giornali e intellettuali di regime reclamano la guerra, persino stimate personalita' di sinistra (come Salvemini)
vi aderiscono. Strane similitudini con la Guerra del Golfo. Anche
ottant'anni fa, infatti, la maggioranza della
popolazione italiana e' contro la guerra, sinistra e cattolici vi si oppongono
insieme ma la macchina della guerra riesce a funzionare meglio della macchina
della pace. Ben oliata, ben organizzata e ben pagata, la propaganda pone al centro dell'attenzione pubblica la questione delle
"terre irredente". Cesare Battisti diviene un esempio e, sebbene
socialista, viene trasformato in un "martire
irredentista" dai nazionalisti. Di fronte al montare di una campagna di
pressione formidabile il parlamento di allora, in maggioranza favorevole alla
pace, e' messo di fronte al fatto compiuto (il patto gia' firmato), viene
blandito con la promessa di una guerra lampo (e di un finanziamento estero per
pagarla), mentre i parlamentari riottosi vengono piegati da un'aggressiva
campagna di linciaggio: D'Annunzio invita i dimostranti a picchiare Giolitti, espressosi contro la guerra. Non mancano le
dimostrazioni pacifiste: il 17 maggio 1915 gli operai torinesi scendono in
piazza e indicono uno sciopero generale.
Il successivo 26 maggio il
governo italiano di Salandra, fino a pochi mesi prima
alleato dell'Austria e della Germania, entra in guerra
contro tali nazioni. Inizia cosi' una guerra che costera' all'Italia 680 mila morti e 1 milione di mutilati
e feriti, una quantita' di vittime
superiore agli abitanti delle citta' "da
liberare", Trento e Trieste.
ITALIA IN GUERRA, SOCIALISTI IN TRAPPOLA
Ma la condotta diplomatica italiana e
l'ingresso in guerra - al di la' della propaganda -
non appaiono in realta' finalizzati alla
"liberazione" di Trento e Trieste. Viene
chiesto un ingrandimento dell'Italia nel Mediterraneo (Dalmazia, Albania), in
una prospettiva "imperiale" piu' che
"patriottica". Ma soprattutto appare evidente che la dichiarazione di
guerra ha finalita' politiche: si impone
la censura, vengono vietate le attivita' politiche di
opposizione, un giro di vite autoritario appare il miglior modo di bloccare il
dilagare dell'ideale socialista.
COSTRUIRE ARMI, UN AFFARE PER POCHI
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Ma un secondo motivo reale muove le classi dominanti ad appoggiare la
guerra: le commesse di guerra appaiono una golosa occasione di arricchimento
rapido nonche' duraturo, dato che il conflitto, dopo
l'iniziale ottimismo di comodo, appare lungo e aspro. Si rafforzano i monopoli
e gli intrecci fra politici, affaristi e comandanti militari. Gli industriali
italiani legati alle commesse militari costituiscono una lobby potentissima:
per loro e' indifferente che l'Italia si allei con l'Austria e rivendichi la restituzione
della Gioconda al governo di Parigi piu' Nizza e la Savoia ("oppresse" sotto il tallone
francese) o che si allei con la Francia e rivendichi Trento e Trieste
("oppresse" sotto il tallone austriaco).
IL NEMICO
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Chi si oppone alla guerra viene bollato come "amico degli austriaci". I
nemici divengono coloro che accecano i bambini, li
mutilano, crocefiggono i prigionieri, uccidono brutalmente suore e infermiere,
veri antenati degli irakeni da sterminare settant'anni
dopo. Lo dicono i giornali, lo dicono gli intellettuali, la guerra dunque e'
"giusta". Si diffonde la stampa di massa e apparati
di propaganda di dimensioni mai viste prima costruiscono l'immagine
mostruosa, barbara e repellente del nemico da uccidere. Il tutto condito da fotografie,
spesso fotomontaggi. Una parte dell'opinione pubblica finisce per credere nei
"misfatti" dei "nemici". Giosue' Borsi, giovane scrittore conosciuto per la mitezza del
carattere e la devozione religiosa, cosi' si esprime
sui suoi "nemici" in una lettera alla madre: "Credi, mamma, che combattiamo contro la razzaccia piu'
iniqua e barbara del mondo, e nessuna guerra potrebbe essere piu' santa di quella che abbiamo intrapreso per abbatterla
per sempre e senza pieta'." Ad un amico scrive:
"Ti spediro' alcune teste di austriaci
come campione senza valore. Quanti austriaci si vedono volare
per aria come fuscelli!"
FILO SPINATO: "TAGLIATELO CON I DENTI!"
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Fin dall'inizio i soldati
italiani vengono mandati all'attacco, in salita e allo
scoperto per un'impossibile conquista delle vette su cui sono asserragliati gli
austriaci. Ad attenderli ci sono le mitragliatrici e il filo spinato. Spesso
non hanno la tronchese per reciderlo. "Tagliatelo con i denti!", viene detto loro. Muoiono a migliaia, aggrappati con le mani
insanguinate al filo spinato del "nemico" che non riescono a
spezzare. I loro comandanti preferiscono le stragi all'immobilita'
e ritengono un disonore non attaccare. I soldati che si rifiutano di assaltare
la trincea nemica vengono fucilati per ammutinamento.
Fra una morta "quasi sicura" correndo disperatamentre
all'attacco e una sicura di fronte al plotone di esecuzione,
i piu' scelgono l'assalto alla baionetta. Chi si
ribella sa inoltre che verrebbero confiscati i beni
dei loro familiari e murate le porte delle loro case, racconta Hemingway nel romanzo "Addio alle armi", che ha
come sfondo la prima guerra mondiale e l'Italia.
DONNE: BARRICATE ANTIMILITARISTE
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"Chiunque non produca
al massimo tradisce il fidanzato, il marito o il fratello che combattono." Manifesti per la strada. Milioni di
uomini combattono al fronte, le donne li sostituiscono nelle fabbriche,
negli uffici, nei campi. Nonostante la propaganda martellante
nasce nelle donne la coscienza del proprio ruolo politico in chiave
antimilitarista. Sono le donne di Torino, nella seconda meta' dell'agosto 1917, a dare vita a spontanee
manifestazioni contro la guerra, al grido di "pane pane!".
Una fulminea insurrezione coinvolge i quartieri popolari, operai e donne
combattono per cinque giorni sulle barricate contro le forze dell'ordine e i
militari. Una frazione socialista spinge per fare come in Russia: dichiarare
subito l'uscita dell'Italia dalla guerra. L'insurrezione non riesce a superare
i confini di Torino, la censura sui giornali e' ferrea non meno della
repressione che fa piu' di cinquanta morti e alcune
centinaia di feriti. Il 24 ottobre 1917 arriva la disfatta di
Caporetto, l'esercito italiano batte in
ritirata, da alcuni storici interpretata come un tentativo insurrezionale
indotto dalla diffusione della notizia della rivoluzione sovietica.
CENTOMILA DISERTORI, MEZZO MILIONE DI RENITENTI
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Dalla Russia giunge infatti la notizia che i soldati, stanchi della guerra, fraternizzano
con i nemici, puntano i fucili contro i loro comandanti e pongono fine alla
guerra. Lenin "toglie ai ricchi per dare ai poveri" e per di piu' firma la pace. E' una "bomba pacifista" che
produce diserzioni di massa, insubordinazioni e ammutinamenti. Gli ufficiali
ordinano le decimazioni dei plotoni ribelli. Fucili italiani falciano i
disertori italiani, nelle trincee si compie un massacro simile ad una guerra
civile, episodi che trovano descrizione nel romanzo autobiografico "Un
anno sull'altipiano" di Emilio Lussu. I Tribunali di guerra si ingolfano
di lavoro, i magistrati esaminano 870 mila denunce per reati militari, oltre la
meta' per renitenza alla leva. I casi di diserzione
superano quota 100 mila, vengono comminate 25 mila
condanne per indisciplina, 10 mila per autolesionismo, dato che vari soldati
preferiscono ferirsi, anche gravemente, pur di non combattere. Interi reparti
italiani, rimasti isolati, senza viveri, assiderati nella neve non sanno che
fare. Per loro gli austriaci non sono nemici ma esseri umani a cui chieder
aiuto. I comandi militari tricolori ordinano che e' un "dovere
patriottico" far fuoco con l'artiglieria e le mitragliatrici contro i
plotoni e le compagnie di soldati italiani che si arrendono o tentano di passare
al nemico. "Se teniamo presente che durante la guerra furono mobilitati
poco piu' di 5 milioni e mezzo di italiani,
quasi un quinto subirono denunce per reati militari". In Italia il codice
militare di guerra ha previsto fino a non molto tempo fa che "il militare
che, durante il combattimento, abbandona il posto, e' punito con la morte
mediante fucilazione nel petto" (recentemente la pena di morte e' stata
abolita anche nella legislazione di guerra). Ma la
repressione nelle trincee e le decimazioni nei plotoni italiani rischiano di
accentuare la disfatta di Caporetto (500 mila uomini
in meno fra morti, feriti, dispersi, prigionieri). Ecco allora che il governo
italiano toglie il comando militare all'odiato Cadorna
e promette ai combattenti, per lo piu' braccianti e
contadini poveri, una riforma agraria e terre ai bisognosi. Gli "uffici
P" (propaganda) lavorano in maniera capillare facendo presa fra i soldati
e le famiglie. La "terra ai contadini" appare l'arma decisiva del
conflitto. I soldati italiani resistono "eroicamente" sul Piave,
vincono le successive battaglie, diventano "cavalieri di Vittorio
Veneto", unico beneficio di guerra poiche' la
promessa delle terre ai contadini non verra'
mantenuta dal governo. Mica le poteva togliere ai
latifondisti.
DA REDUCI A PICCHIATORI
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La guerra provoca una
distorsione dell'economia la quale, alla fine del conflitto, stenta nel
riconvertirsi verso produzioni civili e a trasformare i reduci in forza lavoro
utile alla nazione. Diversi reduci sbandati si trasformano in picchiatori
fascisti o in squadristi dei "frei korps" tedeschi. "Eroi di guerra" come Ernst Junger (scrittore
tedesco sette volte ferito e pluridecorato) teorizzano la guerra come
selezionatrice di una "razza nuova": l'"homo bellicus".
I militaristi diventano fascisti e non esistano ad
unirsi ai fanatici tedeschi: nemici nella prima guerra mondiale diventano poi
alleati in nome degli stessi nefasti ideali abbracciati nelle opposte trincee.
L'enorme deficit creato dalla guerra, le distruzioni e i disagi porteranno ad
una crisi tale da favorire la nascita dello squadrismo. I manifesti di
celebrazione del 24 maggio diventeranno una chiamata a raccolta dell'Italia
peggiore: "Cittadini! Il 24 maggio 1915 l'Italia scrisse la piu' fulgida pagina della sua storia. Noi che la guerra
allora volemmo e ci onoriamo di averla voluta e
combattuta tutta, ancor oggi salutiamo riverenti il maggio radioso del 1915
che, disperdendo la putredine calcolatrice, seppe salvare un mondo! Il 24
maggio e' giorno sacro per tutti coloro che fecero
dedizione di loro stessi ad un'unica causa: quella dell'Italia e dell'umanita'." Firmato: il Fascio di combattimento di
Torino.