La rivolta della materia grigia
L'appello lanciato da alcuni intellettuali francesi contro
l'«antintellettualismo di stato» ha raccolto oltre 40mila adesioni. A firmarlo
non ci sono solo i nomi celebri dell'industria culturale, ma sopratutto
ricercatori, psicoanalisti, architetti, avvocati, lavoratori dello spettacolo.
Tutti concordi nel denunciare la riduzione della spesa pubblica e nel
ritenenere che la produzione culturale non si misura secondo le regole
dell'economia
ANNA MARIA MERLO
PARIGI
Gli intellettuali, nel senso più ampio del termine -
professionisti della cultura, del sapere e del legame sociale - si stanno
risvegliando in Francia. Dopo mesi di proteste «settoriali», dai precari dello
spettacolo agli avvocati passando per medici, insegnanti, psicoanalisti e
ricercatori, più di 40mila persone hanno firmato l'«Appello contro la guerra
all'intelligenza» scatenata dal governo di Jean-Pierre Raffarin, lanciato dal
magazine Les Inrockuptibles,
che intende denunciare «il nuovo anti-intellettualismo di stato» e federare con
un denominatore comune i vari movimenti che attraversano le «professioni»
intellettuali. Ieri sera, allo Zenith di Parigi, dopo una manifestazione nella
stessa capitale francese, si è svolta una serata organizzata dal gruppo
musicale Têtes Raides, per lanciare un «Avviso di KO sociale» (in francese KO
suona anche «caos»), e denunciare l'attacco che i settori «improduttivi»
subiscono da parte della politica della destra al potere. Sul palco sono
intervenuti anche i ricercatori, firmatari di una petizione «Salviamo la ricerca»
che ha già raccolto l'adesione di 54mila scienziati, cioè la metà dei
ricercatori scientifici francesi. Alla base di questo movimento d'opinione c'è
una domanda rivolta al mondo politico, di destra come di sinistra: «quale
spazio una società è pronta a dare alla produzione e alla circolazione del
sapere». L'«Appello contro la guerra all'intelligenza» porta firme note
(Jacques Derrida, Etienne Balibar, Alain Touraine, François Ozon, Claude
Lanzmann, Bernard Tavernier, Patrice Chéreau o Michel Rocard e Daniel
Cohn-Bendit), ma la sua forza deriva prima di tutto dalla diffusione che ha
avuto nel mondo più allargato degli «intello».
Universitari, ricercatori,
lavoratori dello spettacolo, medici ospedalieri, psicoanalisti, archeologi,
architetti, avvocati, insegnanti vedono negli interventi governativi di
riduzione della spesa pubblica «un nuovo anti-intellettualismo di stato», come
si può leggere nell'appello (su Internet è consultabile al sito:
www.lesinrock.com). «Assistiamo alla realizzazione di una politica estremamente
coerente - spiega la petizione - una politica di semplificazione dei dibattiti
pubblici», con l'obiettivo di distruggere il «legame sociale». La petizione
«Salviamo la ricerca» e la minaccia dei direttori dei laboratori scientifici di
dare in massa le dimissioni alla fine di questa settimana se il governo non
interverrà a favore del rilancio della ricerca pubblica (a cominciare
dall'assunzione non precaria di 550 giovani ricercatori, oggi a contratti a
tempo determinato) sta imbarazzando seriamente il governo.
Jean-Pierre Raffarin, che si
vuole il paladino della «Francia dal basso», ha messo al lavoro il suo club
politico «Dialogo e iniziativa» per rispondere all'«Appello contro
l'intelligenza». Per il momento, la destra al potere risponde dichiarando
«guerra all'immobilismo» e riversando disprezzo su tutti gli «intello», dai
«ricercatori che non trovano niente» fino ai precari dello spettacolo che
vivono di sovvenzioni. Per l'editorialista degli Inrockuptibles, la controffensiva governativa «è
stata soprattutto l'occasione per il primo ministro di rivelare di nuovo la
chiave di due anni di politica governativa: invocando 'buon senso economico',
tenta di alleare il 'buon senso vicino a voi' della Francia dal basso con il
dogma dell'economia di mercato. Cosi' facendo, rivela fino a che punto stiamo
assistendo oggi a un trasferimento di competenze. Ormai è la logica economica
che fa le veci della politica. Ed è precisamente contro questo trasferimento di
competenze a solo profitto della logica economica, contro questa squalifica del
lavoro invisibile dell'intelligenza, giudicato improduttivo e non redditizio,
che si erge questa protesta». Gli Inrockuptibles, che ormai dopo le prime 17 pagine di firme pubblicano
ogni settimana degli interventi sull'«Appello», spiegano che la protesta non è
solo contro il governo in carica. Piuttosto, ci troviamo di fronte a
«un'interrogazione più generale, più profonda, del mondo politico, dei
rappresentanti di destra come di sinistra. Non è neppure un attacco contro il
sistema dei partiti», quanto una richiesta di chiarimento: dove vogliamo andare
se viene disprezzato il lavoro non immediatamente produttivo a favore di un
populismo dalla vista corta? Il ricercatore in fisica Georges Debrégeas rileva
il fondo della questione: «è l'impossibile adattamento del nostro mestiere ai
nuovi dogmi dell'economia di mercato che ci condanna». Secondo Philippe
Mangeot, ex presidente di Act up!, l'»Appello» è una «convocazione» che si rivolge
soprattutto alla sinistra: si è realizzata una «rottura tra lo spazio politico
istituzionale e il lavoro intellettuale, inteso nel senso più ampio del
termine. E' questa rottura, tuttavia, che condanna la sinistra ad incarnare
solo un'opposizione debole, sovente incapace di contestare i termini dei
dibattiti formulati dalla maggioranza, mentre ci si aspetterebbe da essa che li
prenda contropelo ed imponga altre problematiche». Per Mangeot, biognerebbe
reinventare oggi un nuovo «intellettuale collettivo» (senza per questo tornare
all'intellettuale «organico» di Gramsci o a quello «specifico» di Foucault).
Il filosofo Ruwen Ogien,
sul'ultimo numero degli Inrockuptibles denuncia «l'insulto all'intelligenza di ogni democratico
e progressista» rappresentato dalla slogan governativo sulla «necessità di
tornare ai valori dell'autorità, del lavoro e della famiglia».
Negli interventi pubblicati sul
sito Internet del club di Raffarin «Dialogo e iniziativa», viene fuori una
Francia populista che cova rancore verso il mondo intellettuale. Ecco alcuni esempi:
«Non ne possiamo più di farci insultare in permanenza da benpensanti che vivono
di sovvenzioni, protetti dai loro statuti. Questi intoccabili non hanno neppure
la decenza di approfittare nel loro buco dei vantaggi di cui godono, non
riescono ad evitare di irridere chi lavora e anche chi cerca lavoro. E' tempo
di rompere il silenzio su questa ingiustizia». Per un altro, «bisognerebbe una
volta per tutta spazzare via tutti questi vantaggi acquisiti e ridare al
merito, all'iniziativa e al coraggio tutti i mezzi che oggi sono sprecati da
profittatori pieni di certezze». Molti puntano il dito contro gli intellettuali
che «non dovrebbero dimenticare troppo in fretta che le sovvenzioni di cui
godono derivano dal bilancio della nazione, dalle tasse pagate dai loro
compatrioti», che «molto sovente hanno solo l'intelligenza di sapere come
ricevere le sovvenzioni da parte dei meno `intelligenti' che lavorano. Che
abbiamo l'intelligenza di cercare un vero lavoro invece di vivere da parassiti,
disprezzando per di più coloro che li mantengono».
Il 21 e 28 marzo, in Francia si
vota per le regionali e le cantonali. L'«Appello» si incrocia così con il
dibattito politico e l'establishment ha paura. Si tratta infatti delle prime
elezioni dopo il terremoto del 2002 (Le Pen al secondo turno delle
presidenziali, poi vittoria della destra alle legislative) e lo spettro di una
crescita dell'esterma destra incombe, mentre una parte del mondo politico
sembra cedere alla deriva populista e un'altra parte non riesce a proporre una risposta
efficace a tale deriva.
Il Manifesto, 2 marzo 2004