DOPO NASSIRYA. CHE COSA E' CAMBIATO
 
 
 
1. I fatti di Nassiryia hanno provocato in Italia molta emozione e poca
riflessione. Questa è stata anche la precisa volontà del circolo
mediatico-politico: provocare molta emozione e poca riflessione. Si è
cominciato, ovviamente, da una mistificazione linguistica alla Orwell:
una legittima operazione di resistenza di un popolo aggredito ed
occupato contro truppe straniere di occupazione è stata battezzata 
vile attentato terroristico”.
La repubblica italiana non si basa più sulla resistenza, che a suo 
Tempo fu una legittima operazione di un popolo occupato contro truppe
straniere di occupazione, ma su Orwell, o meglio sulla cosiddetta
“neolingua” orwelliana, in cui la Guerra è chiamata Pace.
La prima operazione sta dunque nel ristabilimento del significato
razionale ed autentico delle parole.
 
2. In primo luogo, è bene sapere che ogni impero impone la sua Lingua,
non solo nel senso di lingua parlata (greco, latino, francese, russo,
inglese, eccetera) ma nel senso di Sistema di Significati. Uno storico
romano notò che dove gli antichi romani avevano fatto un Deserto, lo
chiamavano Pace. Da allora non è cambiato nulla, se non la forza del
capillare apparato mediatico.
Oggi la Neolingua imperiale passa attraverso due termini chiave:
 
(I) Il far la guerra (Warmaking) chiamato mantenere la pace
(Peacekeeping). Questo permette di battezzare le truppe di aggressione 
e di occupazione, e cioè i Warmakers, in termini di mantenitori e garanti
della pace (Peacekeepers).
 
(II) Il distruggere gli stati indipendenti (Statedestroying) è chiamato
ora costruire le nazioni (Nationbuilding). Questo permette di
ribattezzare le migliaia di funzionari e pagliacci delle organizzazioni
internazionali coinvolte, e cioè gli Statedestroyers, in termini di
ricostruttori di nazioni nuove, e cioè Nationbuilders.
 
E’ bene che tutti si impadroniscano di queste due abbiette
trasformazioni semantiche. Si fa la guerra, e si dichiara che si sta
garantendo la pace. Si distruggono gli stati indipendenti preesistenti,
e si dichiara che si stanno costruendo nuove nazioni.
Questa situazione pienamente kafkiana e orwelliana è relativamente 
Nuova nella storia mondiale per la sua incredibile e surreale ipocrisia.
Faccio l’ipotesi che questo avvenga per una ragione che quasi cinquanta
anni fa Gunther Anders comprese già molto bene. Oggi con la televisione
non è più necessario ”ammassare” fisicamente la gente per 
“massificarla”, come dovevano ancora fare Mussolini, Hitler, eccetera. 
Oggi la massificazione è possibile con la decentralizzazione spaziale
televisiva, in cui si è massificati ormai in piena solitudine spaziale.
Per suffragare la mia ipotesi, faccio l’esempio dei sette canali
televisivi spazzatura italiani (i tre statali, i tre mediaset ed infine
La Sette). Nel giorno di Nassiryia e nei giorni successivi si sono 
Tutti unificati di fatto nello slogan “vile atto terroristico” e nella
cancellazione del termine e del concetto di “resistenza”.
Miracoli del pluralismo.
 
3. In secondo luogo, occorre ricordare che la guerra degli USA (non
nomino qui i suoi fantocci, da Blair alla spazzatura ex comunista di
Polonia ed Ungheria, eccetera) contro l’Irak è cominciata il 20 marzo
2003, ma da allora non è mai finita. L’aggressore Bush può infatti
annunziarne l’inizio, ma non è in suo potere annunziarne la fine.
Capire questo è decisivo. Non siamo infatti in una situazione di
dopoguerra da “ricostruire”. Siamo dentro una guerra che non è ancora
finita, e che presumibilmente non finirà se non quando gli occupanti
stranieri non se ne saranno andati. E’ possibile ovviamente sperare
questo in nome di Dio, in nome di Allah, in nome del materialismo
storico, in nome del diritto naturale dei popoli, in nome della pace e
della non violenza, eccetera. E’ però secondario.
Questa guerra, che è una guerra ancora in corso, è una guerra che
qualcuno vincerà e qualcuno perderà.
Da che parte stiamo, allora?
 
4. Noi abbiamo fatto la nostra scelta. Noi stiamo dalla parte del 
popolo iracheno che resiste. E lo diciamo ancora una volta: non tocca a noi
scegliere l’iracheno buono e l’iracheno cattivo, quello laico e quello
religioso, quello di sinistra e quello di destra, eccetera. Questo
sarebbe paternalismo e colonialismo culturale, sia pure con tutte le
migliori intenzioni del mondo. La nazione irachena è stata aggredita ed
occupata in modo illegale (perché in ogni caso l’ONU non lo ha
consentito, e nessuna risoluzione 1511 può legittimare un atto
illegittimo), in base a pretesti palesemente falsi e non dimostrati
(appoggio all’11 settembre 2001, armi di distruzione di massa,
eccetera). Questo è il punto centrale da capire. Di fronte alla caduta
del pretesto scatenante (le armi di distruzione di massa che
minacciavano i vicini, in un’area geografica in cui le sole armi di
distruzione di massa le ha lo stato sionista di Israele) si è passati
alla teoria della “esportazione della democrazia” sulla base della
“guerra preventiva”.
La carta ONU non prevede, ovviamente, né la guerra preventiva né
l’esportazione della “democrazia”. Siamo in pieno incubo orwelliano, in
presenza di un tradimento epocale della stragrande maggioranza dei ceti
politici ed intellettuali dell’Occidente, che non è neppure più
occidentale, ma pienamente post-occidentale, nel significato dato da
Desmond Fennel, in cui cioè la vergogna di Auschwitz fu giustamente
condannata, ma la sua gemella vergogna di Hiroshima (questa “Auschwitz
istantanea”, secondo l’azzeccata definizione di un fisico americano) fu
assolta.
 
5. Chiediamoci ora: i fatti di Nassiryia, e la guerra ideologica che
hanno scatenato in Italia, cambiano le cose per noi che continuiamo a
volere una manifestazione in sostegno della resistenza irachena, oppure
lasciano le cose come prima?
A mio avviso cambiano le cose. E dirò perché. In una prima fase, 
abbiamo dovuto perdere tempo (ed altro sicuramente ne perderemo) con chi ci
accusava di lasciare “infiltrare” i fascisti eterni, di voler fare un
fronte rosso-bruno, eccetera. Non è vero, naturalmente, ed abbiamo
risposto, senza poter evitare, purtroppo, di cadere in superflue
logomachie personalistiche. Ora però la fase è cambiata. Oggi bisogna
rispondere ad una nuova domanda, che sintetizzerò più o meno così: cari
amici e compagni, non è sbagliato fare una cosa così “estremistica” e
psicologicamente “provocatoria” come una manifestazione in sostegno
della resistenza armata irachena, specie dopo i fatti di Nassiryia, e
non è più opportuno limitarsi ad una manifestazione genericamente per 
la pace, per il multilateralismo, per il ritorno dell’ONU o al massimo per
il ritiro immediato dei soldati italiani dall’Irak?
Questa è la nuova domanda cui bisogna saper rispondere. Siamo dunque
ormai oltre Grimaldi, Huambo e le ridicole logomachie in cui costoro ci
hanno tenuti fermi per un mese. Ci stiamo invece avvicinando al vero
cuore del problema, e questo è un bene e non un male. E dunque
affrontiamolo esplicitamente ed in modo esauriente e razionale.
 
6. La risposta è si, e cioè è giusto manifestare in favore della
resistenza irachena, perché il capire che il popolo e la nazione
irachena hanno il diritto di resistere è preliminare, e non posteriore,
al capire che è giusto chiedere la pace ed il ritiro delle truppe
d’occupazione dall’Irak occupato. Se, infatti, gli iracheni stessero
solo facendo del “terrorismo”, sarebbe difficile rispondere a chi
afferma che per impedire che il terrorismo arrivi anche da noi bisogna
schiacciarlo là dove si origina e da dove può diffondersi.
Questa è la debolezza non solo del dilettante irresponsabile Bertinotti
(su questo mille volte meglio il più colto Diliberto) ma di gran parte
del movimento pacifista, che vive dentro una contraddizione logica
infantile, e cioè da un lato accetta la terminologia imperiale
orwelliana (chi resiste è un terrorista, chi distrugge gli stati
indipendenti costruisce nuove nazioni, eccetera), e poi in modo del
tutto irrazionale vuole rovesciare in pratica ciò che accetta in 
teoria.
Era già successo nel 1999: da un lato si accettava che Milosevic fosse
un dittatore genocida, un Hitlerovic, e dunque si consentiva che in
Kosovo ci fosse un genocidio o perlomeno una pulizia etnica, e poi, in
modo del tutto incongruo si sosteneva che non bisognava comunque fare 
la guerra, eccetera.
Chi semina confusione raccoglie tempesta.
 
7. Scendiamo ora nei particolari. Parlerò ora di Ciampi, e del perché 
il suo comportamento sia stato a mio avviso vergognoso. Passerò poi a
Berlusconi, e mi chiederò fino a che punto sia strategico, e non solo
tattico, il suo ripugnante allineamento a Bush ed alla sua banda
criminale. Passerò infine a D’Alema ed all’Ulivo, e dirò perché a mio
avviso non sono degli alleati neppure tattici (come pensano molti
no-global, i bertinottiani, i cossuttiani, gli ernestiani, eccetera) 
dal momento che è stato D’Alema nel 1999 a scoperchiare la pentola del
diavolo della legittimazione della guerra, per la prima volta dal 1945.
Infine, anche se questo può scontentare o impazientire molti amici e
compagni, concluderò sulla questione della bandiera nazionale. Anche in
questo caso, infatti, ritengo che Nassiryia abbia cambiato molte cose.
 
8. In Italia ci si vanta di godere di libertà d’opinione e
d’espressione, ma poi non se ne fa uso. La cosiddetta “opinione
pubblica” è composta da duecento persone arroganti e strapagate, che 
nei momenti emergenziali ( i soli significativi nella storia) dicono tutte
la stessa cosa. Se ci fosse una vera opinione pubblica, il 
comportamento di Ciampi avrebbe dovuto essere duramente sanzionato. Nella finzione istituzionale, Ciampi dovrebbe rappresentare l’unità spirituale (non
l’unità politica, che in una democrazia è una contraddizione in 
termini)della nazione. Certo, tutti sappiamo che questa unità spirituale non
esiste, è una finzione, ma accade come quando nei funerali i preti ci
dicono che in quel momento i nostri cari defunti ci stanno guardando
dall’al di là. Tutti sappiamo che non è vero, ma ci fa piacere fingere
di crederlo. Ebbene, la stessa cosa, anche se mille volte meno
importante, avviene per la cosiddetta unità spirituale della nazione.
A mio avviso, Ciampi l’ha violata (consapevolmente o meno) in modo
addirittura intollerabile. Se avesse detto che gli italiani erano uniti
nel cordoglio e nel dolore per le vittime, sarebbe stato bene. Ma no, 
il nostro banchiere ha voluto andare oltre, e parlare di “vile attentato
terroristico”.
Ebbene, caro presidente, non è così. Metà degli italiani pensano che si
sia trattato di terrorismo, e metà di resistenza. Certo, lo fanno in
piena confusione terminologica e filosofica, ma è così, e persino i
sondaggi lo dicono. E allora lei ha solo espresso il suo (per me,
italiano come lei, inaccettabile) punto di vista, non l’unità 
spirituale degli italiani.
 
9. Il comportamento di Ciampi ha rispecchiato lo stato di 
sonnambulismo, o meglio lo stato confusionale, in cui da mesi gli italiani 
sono stati tenuti. Basti in proposito sfogliare i giornali-spazzatura, e la
schizofrenia che essi hanno comunicato.
Da un lato, nelle pagine dedicate ai commenti politici e militari
“seri”, la maggioranza dei commentatori ha detto qualcosa di simile 
alla verità. I fatti di Nassiryia, sono fatti di guerra, basta con la
finzione ipocrita delle truppe di pace, in Irak c’è una guerra in 
corso, lo scopo politico dell’attentato è stato quello logicissimo di
indebolire la coesione della coalizione dei servi di Bush, eccetera.
Interrogato sulla natura di Nassiryia l’esperto militare americano
Farrar (cfr. Repubblica, 14.11.03) ha detto: “ E’ un atto di guerra
portato a termine con modalità che normalmente qualificano atti
terroristici e che noi definiamo di guerra asimmetrica. La guerra
asimmetrica è quella in cui si supplisce alla sproporzione delle forze
convenzionali in campo con il ricorso alle tecniche della guerriglia”.
Un breve commento. Non si poteva dire meglio. La stessa resistenza
italiana è stata appunto una guerra asimmetrica, e qualcuno dovrebbe
dirlo a Ciampi ed alla sua signora, fra una scolaresca festante ed
un’altra.
Dall’altro, in piena schizofrenia, le pagine dei giornali-spazzatura
accanto ai commenti politici più o meno realistici portano montagne di
servizi strappalacrime ispirati al motto: “Eravamo in missione di pace,
eravamo buoni ed amati da tutti, ed i pazzi terroristi ci hanno colpito
lo stesso”.
Come spiegare questa schizofrenia?
 
10. Si spiega, si spiega. Per dirla con il poeta, c’è una logica in
questa follia. E la logica è appunto l’unione sacra bipartisan di cui
Ciampi è appunto il gran sacerdote.
Questa logica bipartisan poloulivo e ulivopolo si compone di solo due
elementi. Indichiamoli.
 
(I) Dopo la rapida vittoria della democrazia contro la dittatura gli
italiani si divisero democraticamente fra chi pensava che bisognava
mandare le truppe e chi pensava che bisognava fare come Francia e
Germania che invece non le mandarono. Un vero esempio di democrazia.
 
(II) Ora però si tratta di “non darla vinta” a Saddam e Bin Laden, e
dunque non bisogna comunque ritirarci, ma spingere sul multilateralismo
come mezzo migliore per sconfiggere Saddam.
 
Come si vede, l’unità nazionale viene fatta sulla base dei fatti
compiuti, e la conclusione pratica è la stessa. Chi è ancora capace di
ragionare deve riflettere sul fatto che solo la piena legittimità della
resistenza irachena, con le necessarie tecniche di guerra asimmetrica
che questo comporta, fra cui i patrioti suicidi (patrioti, non
terroristi, e si lavino la bocca quelli che usano questa parola!), può
rompere questa logica totalitaria bipartisan.
 
11. Passiamo a riflettere un poco su Berlusconi. E’ sotto gli occhi di
tutti che questo sciagurato paperone ha rotto con la linea ragionevole
di politica estera di Andreotti, ed ha allineato l’Italia non solo con
l’impero americano ed il sionismo, ma con le loro varianti
fondamentaliste di destra (Bush e Sharon). Berlusconi merita allora
l’invettiva apocalittica del profeta Toni Negri (cfr. La Stampa,
14.11.03) :”Maledetti, maledetti, maledetti”. Bravo Negri, questa
invettiva vale tutto il tuo libro sull’Impero e quelli che verranno, 
che non potranno certo essere migliori.
Se si parla di Berlusconi, bisogna disporre di un concetto storico
razionale di Berlusconi, e rompere dunque con le follie dei girotondini
partorite dallo snobismo romanesco dei salotti di sinistra, la cui
attendibilità è molto minore di quella delle opere filosofiche complete
del deputato di AN battezzato Er Pecora. In breve, Berlusconi, è un
prodotto fisiologico, ma anche largamente casuale, cioè aleatorio, 
della  reazione al colpo di stato giudiziario denominato Mani Pulite, che con
la scusa della corruzione (nota da decenni nei più piccoli particolari)
ha fatto fuori la classe politica proporzionalista e statalista della
prima repubblica. Le levatrici storiche di Berlusconi sono state dunque
Di Pietro e Violante, e fra qualche decennio ciò che appare oggi ancora
come un bizzarro e scandaloso sproposito sarà un dato assodato dagli
storici.
Se questo è vero, allora possiamo fare due osservazioni su Berlusconi
che riguardano il nostro impegno per l’appoggio alla resistenza
irachena.
 
12. In primo luogo, dato il carattere fortemente aleatorio del fenomeno
berlusconiano, bisogna capire che il Berlusca, in quanto dilettante
politico (ed in questo secondo solo a Bertinotti), naviga a vista, non
ha un vero interesse per la politica estera, e non ha senso ”dedurre”
qualcosa di più grosso, come ad esempio la spaccatura epocale delle
oligarchie capitalistiche italiane in due tronconi, filoamericano
(Berlusconi e Fini) e filoeuropeo (D’Alema e Amato). So che alcuni
compagni ed amici pensano questo, ma a me sembra puro riduzionismo
economicistico. Tutta l’oligarchia italiana, in questo pienamente
bipartisan, è unita nel servilismo strategico verso l’impero americano,
e questo in base ad una sobria valutazione dei rapporti di forza
militari e geopolitici.
Il Berlusca ha un’irresistibile affinità con gli USA nello stesso modo
in cui i cossuttiani hanno una irresistibile affinità con la Russia 
(non con il comunismo, ovviamente, ma proprio con la Russia). Si tratta di 
un  fattore largamente extraeconomico e fortemente viscerale. Nel mondo
paperonesco del Berlusca, mondo ridotto ad azienda ed impresa, gli USA
sono per il Berlusca la stessa cosa che per la base del vecchio PCI era
l’ URSS, luogo onirico di ciminiere, di trattori e di festose sfilate
proletarie.
 
13. In secondo luogo, e di conseguenza, la domanda diventa questa:
riusciranno il Berlusca ed il neoconvertito sionista Fini a modificare
radicalmente il senso comune maggioritario italiano di massa, 
largamente “cattocomunista” anche dopo la fine della prima repubblica? Non è 
facile infatti trasformare un senso comune di massa dalle invocazioni 
generiche alla pace alla mentalità sionista della guerra preventiva e
dell’esportazione armata della democrazia nella crociata contro il
terrorismo.
Farò qui un’ipotesi. In Italia mi sembra che la sensibilità
genericamente pacifista sia buona, mentre la coscienza antimperialista
sia molto minoritaria, e non riesca ad espandersi. Questo fatto 
permette ovviamente il facile riassorbimento dei movimenti pacifisti, ed anche 
la loro manipolazione diretta ( e pensiamo a tutti i “pacifisti” arruolati
in ambigue organizzazioni non governative i cui vertici sono 
apertamente  collaborativi con le truppe di occupazione, dal Kosovo all’Irak).
Se questo è vero, e questo mi pare assodato, allora risulterà ancora 
più chiaro che non ha senso portare frigoriferi in Alaska e stufe in
Senegal, ma è necessario intervenire proprio dove sono i punti deboli e
dove bisogna coprire le maggiori mancanze. Ed il punto più debole è
proprio la coscienza antimperialista. Qui bisogna lavorare, e se ci si
lavora si vede subito che il polverone sollevato dai Grimaldi e dagli
Huambo è solo un fattore di ritardo e di confusione.
 
14. Bisogna dunque tornare al punto essenziale, non darne mai per
scontata la consapevolezza, e non smettere mai di segnalarlo: in Italia
si sta cambiando la costituzione materiale del paese, proponendo il
passaggio della sua identità dal binomio lavoro e resistenza al binomio
impresa e lotta contro il terrorismo internazionale. Si tratta del
fenomeno storico più importante dopo il 1945. Chi se la prende con il
cosiddetto “revisionismo storico”, con Pansa ed il suo libro sui 
crimini del dopoguerra, eccetera, mostra di non capire assolutamente niente.
Pansa ha fatto benissimo a colmare una lacuna che la tribù opportunista
ed ipocrita degli storici accademici aveva lasciata aperta per mezzo
secolo, e questo non toglie assolutamente nulla alle ragioni storiche,
politiche e spirituali della superiorità della resistenza italiana sul
collaborazionismo con i tedeschi dopo il 1943. Ma, appunto, il problema
non è Pansa.
Per capire dove sta il problema, bisogna innanzitutto capire che il
binomio Berlusconi – Fini insieme con i loro intellettuali cortigiani,
in massima parte ex comunisti (Adornato, eccetera), non è in grado di
riconvertire gli italiani dal binomio lavoro-resistenza al binomio
impresa-lotta globale al terrorismo. Nel linguaggio di Antonio Gramsci,
non sarebbero mai capaci di una simile operazione di egemonia. Questa
operazione di riconversione può solo essere fatta da un gruppo
intellettuale ben più consistente e radicato nella società, e cioè il
gruppo Ulivo- DS- Margherita.
 
15. In questa valutazione sta la radice del nostro dissenso con i
cossuttiani, i bertinottiani, gli ernestiani ed in generale con la
maggioranza dei gruppi intellettuali e politici italiani. Tutto il
polverone polemico e le logomachie nascondono questo centro del
problema. E tuttavia, se pensiamo questo, non è perché siamo
“estremisti”. Tutto al contrario. Fra noi vi sono persone
caratterialmente estremiste, e persone che non lo sono. Ma questo è 
solo  folklore politico. Ad esempio Casarini è un estremista verbale ed un
moderato politico, perché assume la teoria negriana della
globalizzazione come bussola di orientamento. Bertinotti è un esempio
addirittura caricaturale di estremismo verbale e di moderatismo
politico. Cossutta almeno, come tutti coloro che hanno veramente perso
la fede precedente, è un moderato sia verbale che politico.
Ripetiamo. Solo i DS ed il loro circo culturale possono veramente
egemonizzare questo passaggio, anche se per fortuna penso che non ce la
faranno. Farò qui solo l’esempio di Piero Fassino e di Massimo D’Alema.
 
16. Il 15.11.03 Fassino era invitato al programma di Lerner 
“L’Infedele” della rete ideologica sionista Sette. 
Con le mie orecchie l’ho sentito dire che bisogna lottare sia contro 
l’antisemitismo che contro l’antisionismo. 
Chi non ci crede senta una registrazione della trasmissione. 
Questo merita un commento.
Inutile dirci tra noi ciò che tutti noi pensiamo, e che cioè gli
attentati contro le sinagoghe ed in generale contro i luoghi di culto
sono odiosi e del tutto inaccettabili. Nessuna strategia
giustificazionista deve essere accettata e scusata. Chi attacca le
sinagoghe, le chiese e le moschee è un criminale politico. Ma giocare
con l’equazione ebraismo-sionismo ed antisemitismo-antisionismo è
giocare con il fuoco, e dirò perché.
Il vecchio antisemitismo, pressoché scomparso dopo il 1945-1948, si
basava su questa (falsa) equazione: ebraismo = diaspora dissolvitrice
delle culture e delle identità nazionali. Il nuovo antisemitismo del
periodo posteriore al 1948 conserva ovviamente tracce di quello
precedente, ma si basa su di una nuova equazione: ebraismo = sionismo.
In questo senso i sionisti sono il principale fattore ideologico del
nuovo antisemitismo.
Fassino gioca dunque con il fuoco. Che se ne renda conto oppure che lo
faccia solo per opportunismo è importante, ma non decisivo. Noi 
dobbiamo invece tener fermo su due punti. No all’antisemitismo, vecchio e nuovo.
Sì all’antisionismo. La formula è semplice, anche se il contesto
ideologico e polemico è complesso e pieno di trappole.
 
17. Veniamo ora al caso D’Alema, un signore che non delude mai chi ha
maturato l’opinione che si tratti di una delle figure più spregevoli
della storia dell’Italia contemporanea. Sempre nel giorno 15.11.03 l’ho
visto berciare ed agitarsi sul palco DS-Ulivo per far passare la linea
della permanenza delle truppe italiane in Irak senza neppure farla
mettere ai voti. Ma questi sono solo dettagli lombrosiani.
D’Alema è stato colui che si è storicamente assunto la responsabilità 
di rilegittimare la GUERRA in Italia per la prima volta dopo il 1945. Si
tratta, come è chiaro, della guerra illegale contro la Jugoslavia del
1999. A questo proposito, bisogna ricordare almeno tre cose.
 
18. In primo luogo, questa guerra, orwellianamente ribattezzata
operazione di polizia internazionale” (come se ribattezzare
“interruzione del respiro” un omicidio ne cambiasse la natura), fu 
fatta a suo tempo esattamente come è stata fatta la guerra di Bush nel 2003, 
e cioè in modo pienamente illegale dal punto di vista del diritto
internazionale. Fu fatta contro la costituzione italiana, che
apertamente non la consentiva, e che avrebbe consentito solo la difesa
del territorio nazionale aggredito (e quindi Palermo e Trieste non
Pristina e Nassiryia). Fu fatta contro la carta dell’ONU, che
apertamente non la consentiva, ed in cui almeno la Russia e la Cina
avrebbero posto il veto, ed in ogni caso l’assemblea generale avrebbe
votato contro a stragrande maggioranza. Fu persino fatta contro la 
carta della NATO, alleanza difensiva e non offensiva.
In secondo luogo, questa guerra fu fatta sulla base di una motivazione
orwelliana, e cioè su di una menzogna documentabile. Così come in Irak
2003 non c’erano ovviamente le famose armi di distruzione di massa, 
così  in Jugoslavia 1999 non c’era né un genocidio in corso né un genocidio
progettato della popolazione albanese. Non c’erano neppure progetti di
espulsione etnica (o pulizia etnica) tipo Turchi da Salonicco 1913 o
Greci da Smirne 1922, perché la “profuganza albanese” di quei giorni
(termine coniato dallo scrittore Sgorlon) non era cacciata, ma se ne
andava da sola per il doppio effetto dei bombardamenti NATO e della
strategia propagandistica UCK. Gli italiani furono indotti a credere ad
una menzogna, e fecero la guerra del 1999 esattamente come stanno ora
facendo quella del 2003, e cioè sulla base di una bugia “umanitaria”.
Non c’è nessuna differenza fra il D’Alema 1999 e il Berlusconi 2003.
In terzo luogo, per finire, occorre rileggere le ricostruzioni storiche
della guerra aerea del Kosovo 1999, persino quelle degli storici che la
volevano, come l’inglese John Keegan. Che cosa dice Keegan? Che ci sono
state due guerre del Kosovo. Nella prima, la strategia di bombardamento
era limitata agli obiettivi militari jugoslavi, ma questa
autolimitazione si rilevò inefficace, perché gli jugoslavi non si
arrendevano come previsto. Si passò allora ad una seconda guerra, 
basata su bombardamenti indiscriminati su obiettivi civili (fabbriche,
televisione, treni, eccetera), e la cosa si rivelò efficace, perché gli
jugoslavi si arresero, e non fu necessario passare alla terza fase 
della invasione di terra in cui comunque D’Alema aveva promesso le truppe,
come è ormai assodato).
Questa fu la guerra del Kosovo. Una guerra illegittima, basata su
motivazioni false e condotta con tattiche di bombardamento criminali.
Ora, fino a quando D’Alema non sarà processato per alto tradimento 
Verso la costituzione da un tribunale italiano (e non dalla farsa 
Pagliaccesca della Del Ponte all’Aja) noi non usciremo dalla crisi spirituale ed
etica in cui ci troviamo.
E siccome sappiamo che non esistono le condizioni storiche e politiche
per processare in Italia il cinico baffetto, con tutte le garanzie di
difesa tipiche di un paese civile, ne possiamo tirare la conseguenza 
che  non usciremo presto da questa crisi.
 
19. Qual è il senso di tutte queste mie riflessioni? E’ semplice.
Bisogna che la manifestazione del 13.12.03 riesca, ma bisogna evitare
impostazioni di tipo “ultimatistico”, per cui o si riesce oppure tutti 
a  casa per sempre. Questa manifestazione è solo un passaggio. In caso
contrario, adotteremo proprio il punto di vista che chiamerò
“scadenziario”, per cui l’intera attività politica è di fatto ridotta
a”scadenze”. Chi non ha ancora capito che il pur necessario
scadenziarismo è il cavallo di Troia dell’omologazione nel modo
mediatico e giornalistico del far politica non ha capito che il nostro
compito è di lunga durata. In proposito, concluderò con alcune
riflessioni, cui vorrei si prestasse un po’ di attenzione.
 
20. Primo, a proposito della bandiera nazionale italiana, ho letto le
considerazioni dei compagni ed amici Mazzei e Pasquinelli, insieme a
quelle di molti altri, ma dico sinceramente di non esserne stato
persuaso, e dunque ripropongo qui il mio punto di vista, che non è
congiunturale ma è strategico, e come tale vorrei fosse giudicato e
discusso.
Le cerimonie per i caduti di Nassiryia sono servite per una artificiale
galvanizzazione nazionalistica (ed imperialistica), che ricorda in
piccolo quella avvenuta nel 1921 per il Milite Ignoto, che fu uno dei
fattori ideologici del clima dell’avvento del fascismo. Su questo non 
ci  piove. Ma bisogna vedere le cose anche in modo più approfondito, in 
modo direi più “gramsciano”. Nella galvanizzazione patriottica e 
nazionalista non c’era soltanto l’aspetto principale, che è l’operazione 
studiata a tavolino per un nuovo spirito militaristico ed imperialistico 
travestito da eccezionalità umanitaria italiana, ma c’è anche un aspetto
secondario, e cioè la ricerca popolare di una identità collettiva dopo
la caduta del monoclassismo ideologico picista e l’avvento della
desertificazione aziendalistica berlusconiana (e prima craxiana). Per
questa ragione le solite volgarità uscite su internet di insulto ai
soldati morti devono essere considerate spazzatura, che non ci aiuta a
far diventare egemonico il nostro punto di vista, ma ci inchioda al
solito minoritarismo plebeo, plebeo e non popolare.
In breve sintesi, le ragioni che mi portano a sostenere l’uso (non
esclusivo, ovviamente) della bandiera nazionale sono due, e le ripeto
qui, perché sono frutto di una riflessione di lungo periodo.
In primo luogo, esiste una questione nazionale italiana, e non solo
nepalese o colombiana. Molti non capiscono questo, e dicono che Chavez
fa bene in Venezuela ad usare la bandiera nazionale, mentre qui sarebbe
sbagliato, perché la nostra bandiera è usata da occupatori imperialisti
fantocci dell’impero americano. Errore. Appunto perché la nostra
bandiera è usta da fantocci dell’impero americano, appunto per questo 
si  pone un problema di indipendenza nazionale. Vogliamo lasciare la
bandiera nazionale ai fantocci? Bene. E allora noi che bandiera 
useremo? Quella nera anarchica? Quella dei pirati? La sola bandiera arcobaleno?
La sola bandiera rossa? Ebbene qui non c’è lo spazio per discutere su
queste quattro alternative (ma lo faremo in altra sede), ma se ci si
riflette bene si vedrà che sono tutte e quattro in questo momento poco
egemoniche. Bandiere italiana più bandiera irachena della resistenza
contro gli americani ed i loro fantocci. Questa resta per me la formula
più opportuna.
In secondo luogo, se è vero che l’asse Berlusconi-D’Alema sta cambiando
la costituzione materiale italiana disgregando il vecchio binomio
lavoro-resistenza per il nuovo binomio capitale-guerra, allora ci
troviamo di fatto in una situazione analoga a quella del triennio
1943-1945. Occorre non lasciare il monopolio della bandiera a chi 
allora fece la scelta di Mussolini del 1935 (Etiopia) e del 1940 (guerra di
aggressione verso i vicini), a chi fece la scelta di D’Alema del 1999 
ed  infine la scelta di Berlusconi del 2003. Proprio perché essi la agitano
per dire che la patria si difende ad Addis Abeba (1935), ad Atene
(1940), a Pristina (1999) ed infine a Nassiryia (2003), proprio per
questo noi la agiteremo per dire che la patria si difende a Torino e a
Milano, a Roma ed a Napoli.
Certo, so benissimo che per ora non riuscirò a convincervi. Poco male.
La lotta ideale durerà decenni, ed il tempo è galantuomo.
 
21. Secondo, tornando sul tema del sionismo e dell’antisemitismo, prego
di mettere in rete nel nostro sito uno stupendo articolo dell’ebreo
israeliano Uri Avnery pubblicato sul Manifesto del 16.11.03. che compendia
tutto ciò che deve essere compendiato, e mostra con solare chiarezza 
che oggi il principale fattore di antisemitismo nel mondo è la linea
politica di aggressione portata avanti dalle lobbies ebraiche 
americane, da Sharon e da noi nel nostro disgraziato e subalterno paese dai
pappagalli del sionismo più aggressivo, Fiamma Nirenstein e Gad Lerner.
Un decimo di quanto dice l’ebreo coraggioso Avnery basterebbe per 
Essere bollati di antisemitismo dallo spregevole circo mediatico-politico
italiano. Per questo la linea è chiarissima. Condanna senza riserve di tutti gli
atti tipo sinagoga di Istanbul. No ad ogni forma di antisemitismo.
Nessuna paura del ricatto del circo mediatico sionista.
 
22. Terzo, bisogna assolutamente aumentare la nostra attenzione verso 
il movimento No Global. Mi spiego perché. Io ho cambiato idea, ed anzi 
l’ho rafforzata, sulle due debolezze strategiche e non solo congiunturali 
del movimento No Global. La prima sta nel fatto che l’immagine di questo
movimento é di fatto quasi esclusivamente mediatico e virtuale, ed in
questo modo questo movimento è di fatto non tanto dipendente dai
pulcinella politici che lo parassitano come le mosche con i buoi (tipo
Bertinotti), quanto dalle direzioni culturali strategiche del circo
mediatico, che possono sempre decidere di gonfiarlo o di sgonfiarlo 
come una fisarmonica. La seconda sta nel fatto che non esistono movimenti
senza filosofia politica, implicita o esplicita, e la filosofia 
politica di questo movimento è quella di Negri (con la variante moderata di 
Susan George e quella ultramoderata di Naomi Klein). Ora, il negrismo non è 
Un superamento in positivo del leninismo, ma un suo peggioramento di 180
gradi. Riassumendo, la dipendenza mediatica e la cattiva filosofia
politica sono due fattori di debolezza non solo tattico-politica, ma
strategico-storica.
E tuttavia non possiamo limitarci a ripetere solo questo, anche se non
bisogna smettere di farlo.
C’è qualche novità da cogliere. Non si tratta solo del fatto che Parigi
2003 ha segnato un evidente regresso di partecipazione rispetto a
Firenze 2002, e se fossi un no global mi chiederei veramente il perché.
Il punto chiave sta invece nel fatto che il movimento no global si è
comportato politicamente bene, perché non ha fatto concessioni sul
ritiro delle truppe dall’Irak. Ed è questo, e credo proprio per questo,
che il circo mediatico ne ha preso le distanze “silenziando” di fatto
Parigi 2003. Il circo mediatico si sta infatti ricompattando sulla 
Linea del restare in Irak con maggiori dosi di multilateralismo, ed allora il
movimento No Global è diventato improvvisamente troppo “estremistico”.
Se questa analisi è vera, allora il movimento no global diventa più
interessante di prima. Faccio anzi l’ipotesi che esso sarà obbligato a
riscoprire la categoria di imperialismo sia pure controvoglia,
nonostante le falangi di intellettuali-pagliacci che nell’ultimo
decennio hanno detto che essa non esiste più. In questi casi non 
bisogna restare ipnotizzati dalla congiuntura o dall’accesso alla visibilità
mediatica, che resterà ferocemente preclusa a tutti i teorici seri, ma
considerare le dinamiche di evoluzione ideologica di medio periodo.
Ritengo infatti che la radicalizzazione sia nelle cose.
 
23. Rispetto alla guerra del 1999 la guerra del 2003 presenta
interessanti novità dal punto di vista della spaccatura nelle 
oligarchie dominanti del capitalismo italiano. La guerra del 1999 vide una 
Unione Sacra di Polo e di Ulivo e degli USA e dell’Europa. Tutti uniti contro
Hitlerovic. La guerra del 2003 vede una spaccatura nelle oligarchie
dominanti italiane, al punto che Scalfari (cfr. Repubblica, 16.11.03)
scrive che l’Italia ha fatto questo intervento con le stesse 
motivazioni di Mussolini 1940, e cioè di avere un pugno di morti da buttare 
sul tavolo della pace, in questo caso del bottino petrolifero e del 
business della ricostruzione irachena.
Naturalmente, è veramente così. Ma è interessante che a dire questa
ovvietà non siano Mazzei, Pasquinelli e Preve, talmente “silenziati” 
che neppure il Manifesto e Liberazione li hanno mai citati in sei mesi, ma
sia Scalfari, e cioè uno dei tre guru (insieme a Bobbio e Montanelli)
cui fu fatta simbolicamente vendere nel 1999 la guerra d’aggressione
alla Jugoslavia come operazione Arcobaleno.
Non si tratta solo, a mio avviso, della fisiologica spaccatura fra i
sostenitori degli USA moderati e multilaterali di Clinton e gli USA
estremisti ed unilaterali di Bush. Certo, c’è ovviamente anche questa.
Ma il punto principale mi sembra risieda nel fatto che un settore
crescente di quella che un tempo era chiamata “opinione pubblica
borghese” comincia ad avvertire confusamente che la linea strategica
presa dal capitalismo mondiale a dominanza imperiale americana può
essere suicida. Ovviamente, è la resistenza dei popoli, ed in
particolare del popolo martire iracheno, che comincia a suscitare 
questa inquietudine. Se gli iracheni fossero rimasti buoni a prendere le
caramelle dei soldati delle truppe d’occupazione e si fossero lasciati
derubare dai sionisti di tutte le loro ricchezze in questo momento 
tutti gli Scalfari del mondo si affretterebbero a dire che forse, sì, magari
la scelta di Bush non era poi stata così avventuristica come sembrava e
che in effetti una buona forza chirurgica non era poi male, come già il
Kosovo aveva dimostrato. Il fatto è che ai serbi sono riusciti 
Purtroppo a spezzare la schiena, ma agli iracheni non sono riusciti a fare
altrettanto.
 
24. Ora possiamo veramente concludere. L’appoggio alla resistenza
irachena non ha solo un carattere di zona geopolitica medio-orientale,
ma è una causa veramente mondiale. E’ qualcosa di simile all’appoggio 
al Vietnam 1965 o al Cile 1973, ma se è possibile è ancora più importante.
Dico questo ovviamente non certo per proporre assurde e stupide
classifiche, ma per sottolineare un elemento storico decisivo. Il
Vietnam 1965 e il Cile 1973 si collocavano storicamente in un
bipolarismo USA-URSS che non cancellava certamente la legittimità delle
cause di liberazione nazionale o di lotta contro il fascismo, ma le
piegava di fatto alla sua logica dicotomica. Oggi siamo di fronte alle
pretese deliranti di dominio mondiale di un impero ideocratico che fa
riferimento esplicitamente alla guerra preventiva e all’imposizione
ideologica armata di regimi che autodefinisce “democratici” (senza
peraltro elezioni, se non a “normalizzazione” avvenuta). Se questo non 
è il “fascismo” del XXI° secolo, allora qual è il fascismo, cari
antifascisti?
 
C. Preve, Torino 18 nov. 2003