Cosa sanno i politici?
Dialogo
con don
Giancarlo Perego, portavoce della
all’interno
dell’Osservatorio nazionale per il volontariato.
''I politici di noi sanno poco o nulla''.
''I centri di servizio non diventino luoghi di potere''
Possiamo fare un bilancio complessivo delle tre
giorni di Arezzo?
Direi che è
stato un bel momento di incontro per il volontariato, e mi riferisco proprio ai
volontari, alle diverse associazioni. Il volontariato è arrivato ad Arezzo con
domande e proposte, maturate in questi ultimi anni rispetto a più ambiti:
cambiamento legislativo, rapporto con il terzo settore, mutamenti sociali. In
questo quadro così complesso, il volontariato ha bisogno di una collocazione
diversa.
Oltre ai volontari, c’erano sei ministri presenti.
Sui gruppi di lavoro, la loro presenza non ha
interferito: la gente è riuscita a confrontarsi, a dibattere. Una cosa, però,
va detta: sul volontariato i politici hanno bisogno di crescere, perché ne
sanno nulla, o ben poco. Anche ad Arezzo, emergenze quali l’immigrazione, la
difesa civile, la guerra – che sono comunque problemi enormi – sembrano essere
prevalsi sui ‘nodi’ della riorganizzazione del volontariato.
Quale sono le priorità, a questo proposito?
La politica deve tener conto di alcune
problematiche, prima fra tutte l’educazione al volontariato, cui si collegano
l’incontro tra le diverse generazioni, l’esperienza e il valore del servizio
civile. E questo deve avvenire in tutti i luoghi dove c’è partecipazione.
Qual è la vostra posizione in merito alla modifica della legge
quadro sul volontariato?
Come Caritas, abbiamo partecipato con un documento:
siamo preoccupati, temiamo che vengano favorite solo le grandi associazioni
senza valorizzare le piccole espressioni, i piccoli gruppi che si costituiscono
e danno un contributo comunque fondamentale.
Nel corso degli anni, si è delineato un quadro via via più complesso: c’è
il volontariato, il terzo settore. C’è il non profit, ci sono le imprese
sociali. La senatrice Sestini, nel corso dei suoi interventi, ha più volte
ribadito che il mercato, l’economia non devono essere considerati nemici del
volontariato.
A noi sembra che
il volontariato non debba essere schierato all’interno del terzo settore. Non
perché non ci debbano essere dei collegamenti, per esempio, con le cooperative
sociali, molte delle quali nascono anche da esperienze di volontariato, ma
perché il volontariato stesso possa essere veramente libero, e salvaguardare in
pieno l’elemento che lo contraddistingue, cioè la gratuità.
A proposito
di rappresentanti del mondo di volontariato, il ministro Maroni ha parlato di
“qualcuno” con una doppia morale.
Non so a chi si riferisse. Forse a grosse realtà. Francamente, mi è sembrato
comunque poco corretto, soprattutto perché spesso il volontariato cresce legato
a piccole esperienze, piccoli gruppi. Non credo siano loro ad avere una doppia
morale.
Nell’ intervista
dal titolo “Basta col volontariato di sinistra” rilasciata a “La Stampa”, il
ministro Maroni afferma che il popolo del terzo settore non merita di essere
catalogato, e che “molte delle persone arrivate qui votano per il Polo”.
Recenti statistiche dicono che un 50% delle associazioni
è laico, l’altra metà di ispirazione cristiana. E sempre più nascono gruppi
senza una identificazione ben precisa. Per questo credo sia giusto non legare
il ‘fenomeno’ del volontariato a un potere, o qualificarlo come di sinistra, o
unicamente di ispirazione cristiana. Occorre, piuttosto, essere molto attenti
che i centri di servizi non diventino luoghi di potere, né dell’una né
dell’altra parte. Non devono diventare luoghi di rappresentanza politica.