Intervista
“Non nego che vi sia stata,
in passato, una sottovalutazione del ruolo strategico degli insegnanti.
Stiamo pensando ad un progetto nuovo dell’Ulivo per il futuro. Un
progetto politico che veda protagonisti gli insegnanti, che ne faccia il
perno delle trasformazioni, ridando valore alla professione docente, fiducia
al Collegio dei docenti e, soprattutto, ritornando ai fondamenti della
Costituzione per ciò che riguarda l’insegnamento: la libertà e la
responsabilità.” |
1. Senatrice
Soliani, in diverse occasioni pubbliche, Lei ha trattato il tema degli
insegnanti con una particolare attenzione. Vuole ripetere qui le Sue idee?
Io penso che il ruolo dei
docenti coincida con il ruolo della Scuola. Non vedo nessun futuro per il riconoscimento
della funzione fondamentale dei docenti, se non nel rilancio della Scuola
pubblica e della sua missione nella vita del Paese.
Non è tempo di interventi settoriali. Occorre andare alla radice del nodo
dell’insegnamento che è sempre stato decisivo in tutte le società.
Occorre analizzare e
definire i fondamentali dell’insegnamento e dell’attività professionale
dei docenti e cioè:
a) il rapporto
docenti-studenti, a seconda dell’età a cui si insegna;
b) l’elaborazione culturale e la formazione continua degli insegnanti;
c) la capacità di comprendere i processi sociali attraverso la competenza del
contesto in cui si opera (territorio, società).
2. L’aspetto dell’insegnamento che è stato coinvolto di più dai
cambiamenti, anche per effetto delle leggi della passata legislatura, è quello
che riguarda il cosa insegnare.
Io ritengo che i contenuti e le discipline siano il fondamento della
conoscenza, insieme con le motivazioni e i metodi. Oggi c’è una forte esigenza
di conoscenza, di pensiero robusto. E solo i docenti sono specialisti
dell’apprendimento - dei contenuti e delle tecniche -. Essi sono anche
competenti delle dinamiche della conoscenza e perciò in grado di non separare
la dimensione psicologica e relazionale da quella culturale.
3. In quale tipo di Scuola, a Suo parere, si può attuare questo progetto?
Penso ad una Scuola che si riappropri della sua funzione civile, una
Scuola in cui si elabori cultura, una Scuola in grado di saper scegliere tra i
valori della cultura. Per esempio, io credo che occorra ritornare –
recuperandole - alle radici della classicità. Ripeto: penso che sia più
necessario un pensiero robusto che non i temi alla moda. Di tutto questo non si
devono occupare solo i legislatori, ma anche i docenti.
4. Senatrice, eppure il centro sinistra è stato abbastanza attivo nel
considerare secondario il ruolo dei docenti nella Scuola.
Non nego che vi sia stata, in passato, una sottovalutazione del ruolo
strategico degli insegnanti. Stiamo pensando ad un progetto nuovo dell’Ulivo
per il futuro. Un progetto politico che veda protagonisti gli insegnanti,
che ne faccia il perno delle trasformazioni, ridando valore alla professione
docente, fiducia al Collegio dei docenti e, soprattutto, ritornando ai
fondamenti della Costituzione per ciò che riguarda l’insegnamento: la libertà e
la responsabilità.
5. Allora, come vede Lei i progetti di questo Governo di modifica dello
Stato giuridico dei docenti?
Si tratta di progetti minimalisti rispetto alle prospettive di investimento
sulla Scuola. Contemplano una gestione individualistica e privatistica degli
insegnanti, li separano gli uni dagli altri introducendo gerarchie. Spariscono
collegialità e team.
6. Ritiene che un intervento sullo stato giuridico dei docenti debba
seguire la via legislativa o quella della contrattazione?
Penso ad un intervento
“misto”. La via legislativa deve occuparsi dei fondamenti della Scuola e della
centralità, in essa, della funzione docente indicando gli obiettivi nazionali e
il percorso di formazione, ma tutto il resto deve essere affidato alla libera
contrattazione con i docenti e le loro organizzazioni sindacali.
Quando penso ai docenti, penso non solo ai sindacati che li rappresentano, ma
anche alle associazioni professionali. Penso a qualcosa che non c’è ancora e
che dovrebbe essere costituto partendo dal sistema delle scuole autonome. Un
forte associazionismo plurale, una forte struttura dell’autonomia delle
istituzioni, un forte riconoscimento sociale e territoriale: queste le
condizioni per un nuovo protagonismo dei docenti.
7. E l’ idea di un Consiglio superiore della Docenza, proposta già
deliberata dalla Gilda?
Sì, penso a un organismo che rappresenti i docenti. Un Organismo superiore, in
grado di rappresentare i collegi dei docenti, le associazioni professionali.
In sostanza, un organismo come quello che riunisce i rettori, la Conferenza dei
rettori delle Università italiane (CRUI). Una struttura di autogoverno
professionale, che si ponga di fronte alle forze politiche e che parli ai
governi, nazionale e locali, in maniera autonoma.
8. Si parla molto in questi ultimi tempi di carriera dei docenti. Come
pensare ad una carriera per un ruolo che difficilmente sopporta una gerarchia
didattica, proprio in virtù di quei principi costituzionali (penso alla libertà
d’insegnamento) a cui faceva riferimento prima?
In una visione nuova della Scuola, io scorgo nella mobilità un elemento
positivo. Intendo, con questo termine, la possibilità di esercizio della
professione docente in tutti quegli aspetti che all’inizio ho definito i
“fondamentali”.
Mobilità quindi verso
l’Università e la ricerca, per approfondire l’aspetto della ricerca
disciplinare e non solo. Mobilità verso l’insegnamento applicato a tutto il
ciclo della vita (penso agli adulti, agli anziani, agli immigrati). Mobilità
per occuparsi di pubblicazioni, di informazione, di comunicazione, di
documentazione.
Non credo che una visione statica della carriera docente, sempre nella
stessa funzione, sia proficua né per i docenti, né per la Scuola.
Provo a spiegare: una
carriera che prevede delle postazioni fisse non serve né al docente né al
sistema. Infatti, raggiunta una posizione superiore, un docente non si sente
stimolato al miglioramento, avendolo già raggiunto. Gli altri, che ambirebbero
a conquistare quella posizione, non hanno più possibilità di farlo, se i ruoli
superiori sono a percentuale rigida. Il risultato sarà una stasi della ricerca
e dell’autoformazione, che non è vantaggiosa per la Scuola.
La possibilità, invece, di
una mobilità professionale, che io penso anche temporanea, rende attivo e
vitale - culturalmente parlando - tutto il sistema della Scuola.
Docenti che possono lasciare
per un periodo l’insegnamento e dedicarsi alla ricerca, oppure docenti che
applicano all’insegnamento i risultati delle proprie ricerche creano una
istituzione vivace e produttiva di scambi professionali e culturali.
9. Infine …
Infine, vorrei notare come questo governo stia inasprendo i tanti serissimi
problemi della Scuola.
Penso alla questione dei
precari, alla vicenda delle SSIS. L’attesa legittima dei docenti per
l’immissione in ruolo è bloccata da una politica che non investe e non dà, per
questo, prospettive, mentre occorrerebbe un piano di sviluppo, ma in una
visione non riduttiva.
Una visione non riduttiva
che preveda anche un aumento degli organici, se ve ne fosse la necessità.
Le esigenze politiche, culturali e sociali del Paese richiedono un ampliamento
della platea dell’apprendimento e perciò più insegnanti e più insegnanti
qualificati.
Credo che sia essenziale
pensare ad una strategia nazionale ed europea che riguardi la Scuola, una
strategia nuova, ma coniugata con valori antichi.
A questo stiamo pensando, ma
con un principio fermo: le riforme sulla Scuola non si fanno distruggendo
pregiudizialmente ciò che è stato già realizzato. E’ necessario valutare la
realtà e decidere, nel merito, di correggere e di emendare. La Scuola è troppo
importante per la crescita civile del Paese e non deve diventare occasione di
conflitto permanente. Così come non può essere divisa con la devoluzione alle
Regioni prevista dalla riforma costituzionale del Governo. Trasferirla del
tutto alle Regioni significa annullare il suo ruolo di costruzione sociale e
civile della nazione, di fattore di inclusione e di coesione sociale.
(A cura di Renza Bertuzzi)