LA POLEMICA SUI CURRICOLI DI DE MAURO

 

Riemerge dalle valutazioni del professor Vincenzo Guanci (1) sulle Indicazioni riguardanti la storia la polemica degli e fra gli storici in merito alle proposte contenute nel documento sui curriculum (2) che accompagnava la legge 30/2000.

 

“…….eppure – rileva con una certa amarezza Guanci, di fronte al silenzio che ha accompagnato la pubblicazione e l’entrata in vigore delle Indicazioni - ai tempi delle Indicazioni sul curriculum di Berlinguer-De Mauro scesero in campo in parecchi, facendosi sentire su tutti i giornali con un celebre 'manifesto dei trentatré'

 

Sembra un’altra epoca, invece accadeva solo meno di quattro anni fa.

 

Rivisitarla, quella polemica, assume oggi un significato che va oltre il merito specifico. E’ una sorta di nostalgia che ci spinge a ricostruire (imitando il lavoro dello storico?) una stagione, una temperie verrebbe da dire: quella in cui le scelte e le decisioni che riguardavano la scuola erano oggetto di dibattito, di scontro tra i migliori intellettuali e studiosi del paese. Preoccupati, ciascuno secondo il proprio punto di vista, di tutti gli aspetti della formazione.

 

Lo chiamiamo “accademia”, quel mondo, magari con una accezione negativa, ma quanto ci è mancata, fin dall’inizio dell’era Moratti. Certo, diverse voci di storici si sono levate e sono state raccolte dagli insegnanti. La parte viva della scuola. Ma quanto più forti saremmo stati, se al dibattito avessero partecipato anche quelli che, per accettare o per criticare (forse soprattutto questi ultimi) si fecero sentire allora.

 

Iniziò, come spesso accade, con un articolo di Mario Pirani del quale riportiamo la parte finale:

Le elementari e le medie saranno un tutto unico per sette anni (uno in meno degli attuali), cui seguiranno i cinque anni delle superiori. Mi astengo in questa sede dall'esporre le non poche obiezioni che già ricorrono, del resto, su tutta la stampa limitandomi al punto che, non solo a me, sembra il più grave, quello dell'insegnamento della Storia. In forma generale, cronologica, dalle origini dell'uomo ai giorni nostri, esso dovrebbe svolgersi una volta sola, dalla quinta della scuola di base, fra i 10 e gli 11 anni, fino alla seconda superiore, fra i 14 e i 15 anni. Nei tre anni successivi si svilupperanno temi specifici sulla base di percorsi tematici a scelta (la Shoah, la mondializzazione, l'emancipazione femminile, il colonialismo, ecc.).
C'è da chiedersi come una simile aberrazione - tutt'al più spiegabile in una scuola primaria del Nevada - abbia potuto germogliare a due passi dal Foro Romano. Mi basta riportare le parole di una lettera aperta al ministro (in realtà mai aperta) di un insegnante liceale, il prof. Fabrizio Polacco, di Roma (esponente di Prisma - Progetto per la rivalutazione dell'insegnamento e dello studio del mondo antico), il quale propone l'alternativa di due cicli consecutivi di cinque anni ciascuno e si chiede "come sia possibile parlare una volta sola, per di più a soli undici anni, della civiltà greco-romana e medievale, un arco storico che ci ha dato l'alfabeto, la religione, la filosofia, l'arte e la politica". E quando nell'ultimo triennio si passerà allo studio per temi? "Non riesco a capire come si possa immaginare uno studio monografico slegato dalla visione generale del processo storico", ha osservato in proposito uno studioso emerito come Rosario Villari. Ma a queste osservazioni di semplice buonsenso la setta dei nuovi pedagogisti ribatte: "La storia non si studia ma si fa!", alludendo ai cosiddetti "laboratori" dove sedicenni , che vagamente ricordano le guerre puniche e pensano che Carlo Magno ed Alessandro Magno siano fratelli, dovrebbero cimentarsi in ricerche autonome, quasi si trattasse di applicazioni tecniche, tipo il "piccolo falegname". Spero di non beccarmi nuovamente l'epiteto di fascista per tutte queste critiche, assai blande se paragonate a quelle di un illustre grecista, Luciano Canfora, (politicamente di osservanza cossuttiana) il quale ha scritto: "E' un segno di demagogia suicida trattare l'Italia come un paese emergente, bisognoso di dotarsi, quasi fosse una tabula rasa, dei primi elementari strumenti di acculturazione di massa". Non ci resta che sperare nel rinsavimento. Anche in Cina, passata la "rivoluzione culturale", i ragazzi son tornati a scuola e i professori ad insegnare
.” (3)

 

Non a caso Pirani cita Rosario Villari e Luciano Canfora. Pochi giorni dopo la pubblicazione dell’articolo, viene infatti reso noto il documento conosciuto come il “Manifesto dei 33”

Insegnamento della storia e identità europea

Prendiamo atto con compiacimento che il Ministro De Mauro ha preso in considerazione il grave disagio espresso dai docenti di storia, sia della scuola media sia dell’università, di fronte al curriculum per l’ambito storico-geografico-sociale  elaborato dalla Commissione di studio per il programma di riordino dei cicli di istruzione. Riteniamo, tuttavia, di dover sottolineare ancora una volta la necessità di introdurre due percorsi di studio della storia, ognuno di cinque anni: il primo coincidente con gli ultimi anni della scuola di base (dal terzo al settimo anno), il secondo con l’intero quinquennio del secondo ciclo. I percorsi di insegnamento così organizzati non sarebbero puramente ripetitivi, dato che ogni volta lo studio della storia sarebbe fatto in rapporto alle potenzialità cognitive delle diverse età e quindi ad un livello diverso di approfondimento. Nel primo ciclo, infatti,  si dovrà puntare all’acquisizione degli strumenti concettuali e delle coordinate cronologiche, mentre nel secondo si approfondirà il carattere problematico della storia, ripercorrendo le vicende e i temi dall’antico al contemporaneo e riservando l’ultimo anno allo studio del Novecento.

Per le esigenze degli studenti che dopo i primi due anni del secondo ciclo passano al canale della formazione professionale, e che sono comunque una minoranza (circa il 25%) destinata a scomparire con l'innalzamento dell'obbligo a 18 anni, sarà necessario trovare soluzioni particolari, che non sconvolgano l’organizzazione complessiva dell’insegnamento della storia. Una possibilità potrebbe essere quella di affiancare allo studio del mondo antico e medievale, che verrebbe fatto nei primi due anni del secondo ciclo, corsi integrativi di Educazione civica, finalizzati all’approfondimento anche in prospettiva storica di temi legati ai nostri tempi, quali le istituzioni parlamentari italiane ed europee, la Comunità europea, le istituzioni internazionali  (l’ONU, la FAO, l’UNESCO, ecc.), nonché all’acquisizione del lessico politologico e sociale.

Contestualmente all’individuazione di due percorsi di studio organici e collegati ai due cicli scolastici poniamo con forza il problema della ridefinizione complessiva del curriculum del primo ciclo, in modo da evitare il rischio che la pur necessaria visione mondiale dello sviluppo storico pregiudichi la piena valorizzazione dell’identità culturale italiana ed europea, e appiattisca le diversità di valori e di conquiste civili.

Gaetano Arfé, Girolamo Arnaldi, Francesco Barbagallo, Giuseppe Barone, Giovanni Belardelli, Luciano Canfora, Giorgio Chittolini, Giorgio Cracco, Franco Della Peruta, Mario Del Treppo, Angelo D'Orsi, Massimo Firpo, Giuseppe Galasso, Ernesto Galli Della Loggia, Carlo Ghisalberti, Aurelio Lepre, Paolo Macry, Francesco Malgeri, Luigi Masella, Francesco Perfetti, Giuliano Procacci, Paolo Prodi, Gabriella Rossetti, Alfonso Scirocco, Giuseppe Sergi, Marco Tangheroni, Nicola Tranfaglia, Francesco Traniello, Gian Maria Varanini, Pasquale Villani, Rosario Villari, Cinzio Violante, Giovanni Vitolo. (4)

 

 

A proposito di Nicola Tranfaglia, una parentesi divertente. Il suo nome compare, come si noterà, tra i firmatari del manifesto, Eppure ecco cosa veniva scritto sulla Padania pochi giorni prima della sua uscita:


"Dai nuovi programmi scolastici consegnati a De Mauro dalla Commissione ministeriale preposta alla loro elaborazione, possiamo trarre alcune considerazioni sulle cause che, secondo noi, hanno determinato le scelte contenutistiche governative che la commissione di esperti all''uopo costituita', aveva solo il compito di sottoscrivere e sintetizzare.

Dal 'nunzio' del nuovismo culturale, ovvero dal portavoce del Comitato ministeriale, il professor Nicola Tranfaglia, un intellettuale allattato all'ideologia comunista, apprendiamo che la riduzione dell'iter cronologico della storia a una sola volta nell'arco di sei anni sarà più che sufficiente per la conoscenza e l'interpretazione dei fatti greci, romani, medievali, ecc. (…). La via ideata da Tranfaglia e dagli altri compagni di studio e di partito non è un itinerario casuale, neutro o immune da mercificazioni comuniste, ma ne è la concretizzazione e l'alzabandiera". (Riforma della scuola: storia, la grande assente, "La Padania", 15.2.2001, pp.1-2) (5)

 

 

Ignorava, evidentemente, la giornalista, che Tranfaglia aveva non solo firmato il manifesto, ma anche ampiamente motivato le se critiche – profetiche anche per l’oggi - in un articolo comparso, su Repubblica ancor prima di quello di Mario Pirani.

 

Simili premesse riconoscono all’insegnamento della storia il posto centrale che ad esso compete nella formazione culturale degli italiani e parte, a ragione, dalla dimensione mondiale che deve caratterizzare oggi qualsiasi discorso sulle grandi coordinate del quadro concettuale e cronologico. 
Ma, quando si passa dall’impostazione generale alle scelte compiute dalla commissione, si resta inevitabilmente delusi e sorpresi giacché si immaginano programmi che fanno iniziare lo studio sistematico e cronologico della storia dell’umanità nel quinto anno della scuola di base (in pratica a dieci anni) e lo fanno concludere alla fine del secondo anno della secondaria (a quindici anni), riservando all’ultimo triennio della secondaria (fino ai diciotto anni) uno studio tematico delle vicende storiche attraverso la scelta di problemi e momenti del cammino umano. 
Ora io capisco l’opportunità di non ripetere tre volte, come avviene ancora oggi, il programma di storia dall’antico al contemporaneo ma non posso essere d’accordo con l’idea di riservare lo studio delle coordinate cronologiche fondamentali soltanto a un’età preadolescenziale, lasciando alla successiva, che è quella più adatta e in grado di interessare più in profondità i giovani, uno studio per temi e problemi che dovrebbe essere legato, e non disgiunto dalla conoscenza dei nessi cronologici. 
In altri termini la ricerca degli storici ha insistito molto negli ultimi decenni su una concezione della storia che privilegia la lunga durata, i temi specifici riservati agli aspetti economici, sociali, culturali del cammino umano ed è giusto che i risultati di queste ricerche entrino nella scuola ma non possiamo farlo se non siamo sicuri che il quadro concettuale e cronologico sia chiaro ai nostri allievi: ed è praticamente impossibile, nella situazione attuale, che questo avvenga dopo lo studio che ha luogo dai dieci ai quindici anni. 
A me pare necessario che a uno studio insieme cronologico e problematico della storia si attenda negli ultimi cinque anni della secondaria ripercorrendo le vicende e i temi dall’antico al contemporaneo e riservando all’ultimo anno un’indagine soddisfacente dei nostri tempi, cioè del Novecento
”. (6)

Tornando al manifesto, è difficile ricostruire a quale presa di posizione del ministro De Mauro si riferisca all’inizio. Dei suoi effetti, c’è però traccia trovato in una intervista che risale a qualche settimana dopo, dalla quale estraiamo una risposta, se pure indiretta, alle critiche.

Di De Mauro riportiamo la risposta in merito al problema dell’identità europea, che gli storici vedevano messa in pericolo dai nuovi curricoli.

D) Sempre restando sul problema della storia, è possibile costituire una identità nazionale, o sovranazionale, comunque un'identità civile, cercandola al di là di una narrazione/ricostruzione degli eventi che ci hanno portati a essere ciò che siamo, e puntando invece soprattutto sulla cosiddetta educazione civica, cioè su principi e norme astratte? Queste ultime sono certamente condivisibili, ma, se isolate dalle vicende storiche che hanno contribuito alla loro affermazione, rischiano di essere considerate alla stregua di un catechismo laico, di un credo da professare; e rispetto al quale alcuni giovani, così spesso disposti alla trasgressione, potrebbero avere un moto di rigetto.

R) Nei nuovi curricoli è esplicitamente detto che «la storia svolge un ruolo fondamentale nella strutturazione della memoria e della coscienza storica umana, nazionale e di gruppo». L'insegnamento della storia è integrato con quello della geografia e delle scienze sociali in quanto esse hanno tutte in comune lo studio della convivenza umana nelle sue varie dimensioni: lungo l'asse cronologico, nello spazio geografico, nel contesto sociale. Esse hanno l'obiettivo di far acquisire agli studenti competenze civiche e culturali che permettano loro di svolgere, consapevolmente e con riferimento ai valori personali e sociali sanciti dalla Costituzione italiana e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, un ruolo attivo nella società, e di continuare a imparare per tutto l'arco della vita. In questa logica è evidentemente superata l'idea che l'educazione civica si realizzi attraverso l'acquisizione di norme e principi astratti i quali, anzi, devono essere, nella proposta didattica, storicizzati. «Le categorie storiche - si legge nei nuovi curricoli - sono una delle chiavi fondamentali di lettura di tutta la realtà».(7)

 

NOTE

(1)     Vincenzo Guanci: “Che storia è, quella della scuola Moratti?

In http://www.meridianoscuola.it/modules.php?name=News&file=article&sid=3482

 

(2) In http://www.istruzione.it/news/comunicati/reg_cicli_01.shtml

 

(3) Mario Pirani: Se studiare è un optional  da La Repubblica 20 febbraio 2001
In http://www.totustuus.biz/users/rassegnastampa/scu_07.htm

 

(4) In http://storiairreer.it/Materiali/Manifesto33.htm

 

(5) Nicola Tranfaglia : “Non tagliate le ali allo studio della Storia, da “La Repubblica” del 17 febbraio 2001
 In  
http://www.ossimoro.it/storia.htm

 

 (6) In http://www.funzioniobiettivo.it/index_file/Storia/Documenti%201.htm

(7) La lingua inglese è essenziale, ma l'italiano e la storia di più. Intervista con Tullio De Mauro di Andrea Spazzola
 In http://www.fub.it/telema/TELEMA24/DeMaur24.html

 

Chi volesse ripercorrere tutta la polemica, troverà un’ampia documentazione  (dalla parte dell’allora MPI) in: http://www.pavonerisorse.to.it/storia900/dibattito/default.htm