Proposte
e perplessità degli Enti Locali
intervento
svolto da Massimo Nutini
a
Milano in occasione di un incontro sul primo decreto attuativo della legge di
riforma n. 53
Presenti
il Prof. Giuseppe Bertagna, Direttore CISEM
e il Dott. Massimo Nutini, Commissione scuola Anci nazionale
Dedicato a chi mi ha
esortato, dopo l’uscita del libro La riforma Moratti e le autonomie scolastiche
e locali,
a misurarmi con un lavoro di maggiore consistenza critica.
I Comuni e le riforme del
sistema d’istruzione
Non vorrei che qualcuno
ritenesse che i Comuni debbano essere coinvolti nella discussione sui modelli
organizzativi del servizio scolastico solo in relazione alle questioni sociali
o alle competenze loro assegnate dalla normativa obsoleta, per quanto in gran
parte vigente, che definisce le funzioni relative alla somministrazione delle
strutture e dei servizi di supporto e di assistenza scolastica.
Ancora di meno vorrei che si pensasse ai Comuni come a enti che potrebbero
docilmente subentrare in spazi e servizi che qualcun altro ha pensato, e
attribuito loro, in modo implicito, senza un aperto confronto sulle prospettive
generali, sugli obiettivi e sulle risorse.
Si tratta di questioni delle quali certo dovremo discutere, sicuramente anche
in relazione ai modelli organizzativi, ma sono qui per affermare che gli enti
locali hanno da dire la loro su tutto ciò che sta capitando alla scuola nel
nostro paese e hanno da esprimere preoccupazioni e proposte confrontandosi con
l’impianto complessivo, e non solo con parti di esso, dell’intera riforma del
sistema educativo d’istruzione e formazione.
Sarebbe un grave errore ritenere questa una presunzione: pensare che ci siamo
montati la testa a seguito del nuovo ruolo assegnato dalle norme sul
decentramento amministrativo, prima, e dal nuovo Titolo V della Costituzione,
poi.
La storia della scuola in Italia testimonia che gli enti locali sono, da
sempre, partecipi alle trasformazioni del sistema educativo e, non di rado, animatori
di innovazioni e riforme di questo sistema.
Mi pare utile ricordare, in questa sede, due esperienze che introducono, in
realtà, il contributo che intendo portare con questo intervento.
I vecchi doposcuola
comunali
Nella seconda metà degli anni
sessanta mi sono ritrovato a discutere con il Sindaco di un piccolo comune
sulla necessità di organizzare un servizio di doposcuola comunale, per la
scuola elementare.
Si voleva andare incontro alle richieste di tanti cittadini, che avevano
bisogno di lasciare i figli a scuola anche di pomeriggio.
Espletate le procedure necessarie per l’attivazione del servizio, si presentò
il problema di definire quali attività dovevano essere svolte durante le ore
pomeridiane. Si decise, semplicemente, di chiedere alla scuola cosa era meglio
per quei ragazzi e si organizzò, sull’argomento, un incontro con il direttore
didattico e con le insegnanti del plesso.
Che cosa ci fu suggerito ? Vi lascio un attimo per pensarci…
Ci venne detto che questi ragazzi, nel pomeriggio, dovevano fare i compiti.
Dovevano fare i compiti.
Nel primo incontro con le giovani insegnanti comunali, assunte a tempo
determinato per il doposcuola, dicemmo che il loro compito era …far fare i
compiti.
Non era ancora trascorso un mese dall’inizio delle attività che, un sabato
mattina, tutte le insegnanti del doposcuola piombarono in Comune chiedendo un
incontro immediato con il Sindaco e con l’Assessore alla pubblica istruzione.
Che cosa era accaduto per avere bisogno un intervento così urgente ?
Le giovani insegnanti non volevano far fare i compiti!
Ed erano venute a dire che:
"Non tutti ne hanno necessità, molti di loro hanno bisogno di altre cose,
di altre attività… sono di dieci classi diverse, hanno compiti diversi; ne
risulta una situazione frustrante e ingestibile, per noi e per i ragazzi…
Gianni e Manuela sono bravissimi a dipingere, con loro si potrebbe fare… il
nonno di Paolo potrebbe venire a raccontare la sua storia avventurosa… Gennaro,
che è una vera tragedia dal punto di vista strettamente scolastico, è sempre
allegro e simpatico, potrebbe recitare e, inoltre, sa smontare la bicicletta
…le "Maestre" del mattino certo non si sono accorte di queste
potenzialità e attitudini, continuano a riempirlo di compiti, qualcuno dati in
più, per punizione …perché non provare a valorizzarlo e a motivarlo a partire
dai suoi interessi …vogliamo parlare con il Direttore!".
Quante esperienze simili a
questa sono state vissute in Italia in quegli anni? E quante volte, a partire
dalla questione dei compiti, ci siamo trovati a discutere della scuola tutta
intera …quasi che sotto a quella questione "di dettaglio" ci fosse un
iceberg, enorme, sommerso?
In Toscana ce ne sono state sicuramente tante. Forse non è un caso se quel
signore con i capelli ricci, di una famosa filastrocca di Gianni Rodari, era
proprio di Scandicci, e nemmeno se Clotilde Pontecorvo ha presentato, tanti
anni or sono, uno studio sul primo tempo pieno del Comune di Bagno a Ripoli.
In quel Comune, proprio per superare i limiti del doposcuola, fu sperimentata
una pionieristica scuola a tempo integrato che poi confluì tra le prime
esperienze di tempo pieno, per le quali la legge 820/1971 aveva previsto le
prime possibilità di realizzazione.
Nelle stanze del Comune, il personale della scuola e quello dell’ente locale,
…e quante assemblee con i genitori!, progettavano e riprogettavano, anno per
anno, il modello organizzativo del servizio scolastico.
L’esperienza delle sezioni
"ponte" tra nido e materna
Qualcosa di simile è accaduto
una decina d’anni più tardi quando, per rispondere alle pressioni delle
famiglie che chiedevano una maggiore risposta alla domanda di asilo nido,
abbiamo pensato di inserire bambini di due anni e mezzo nelle sezioni dei tre
anni della materna.
Eh sì! Proprio l’anticipo, quello che stiamo tanto criticando in questi giorni,
per come è previsto dalla legge 53. Proprio l’anticipo, l’abbiamo sperimentato
prima, e da tanto tempo, nelle scuole comunali. Ma come lo abbiamo fatto?
Le sezioni "ponte" come le chiamano al Comune di Roma, o
"primavera" come le chiamano in Emilia Romagna, o "Ni-Ma",
come le chiamiamo nel Comune di Prato, mettono insieme una quindicina di utenti
in età di materna con una decina di utenti in età di nido.
Il personale assegnato è pari a due educatrici di nido e due insegnanti di
materna, dove gli utenti in età di nido effettuano un orario anche pomeridiano,
e ad una educatrice di nido e due insegnanti di materna, nei casi in cui gli
utenti in età di nido effettuano solo un orario mattutino.
Il rapporto utenti/educatori è rispettoso, per gli utenti di età inferiore ai
tre anni, agli standard definiti dalle normative regionali in materia. Gli
spazi e gli arredi sono riprogettati, anche per tenere conto delle necessità
degli utenti più piccoli. Il piano dell’offerta formativa è rielaborato in
relazione alle caratteristiche di questa nuova fascia d’utenza. Non si attivano
sezioni di questo tipo, che sottraggono di fatto posti alla scuola
dell’infanzia, in presenza di liste d’attesa per tale servizio.
Si tratta di poche, limitate, esperienze in quanto, com’è facile intuire, la
garanzia di adeguati standard qualitativi comporta costi di difficile
sostenibilità per gli enti locali.
Vedremo, più avanti, che lo Stato non ha previsto alcuna risorsa aggiuntiva per
l’attuazione dell’anticipo nella scuola dell’infanzia, ma, prima di cambiare
argomento, non voglio tralasciare un cenno ad uno dei principali motivi per il
quale i Comuni, che hanno avviato questa esperienza, resistono alle difficoltà
economiche che ne derivano, e continuano a portarla avanti.
Nelle sezioni "ponte" tra nido e materna avviene un confronto tra due
diverse professionalità educative, quella dell’educatrice e quella
dell’insegnante, che rappresenta un’opportunità unica di formazione in
servizio: l’attenzione ai rapporti con le famiglie ed al cosiddetto curricolo
implicito dell’educatrice si confronta, e a volte si scontra, con le competenze
organizzative e di programmazione dell’insegnante.
È un confronto dal quale, ambedue le figure, ne escono arricchite e
trasformate. Queste sezioni rappresentano, quindi, veri e propri laboratori
della continuità nei servizi da zero a sei anni. A tutte le educatrici e le
insegnanti viene offerta la possibilità di svolgere tale esperienza.
Vorrei sottolineare, a proposito di modelli organizzativi, che le modalità di
utilizzazione del personale educativo sono lasciate all’autonoma decisione di
ogni singola scuola. Abbiamo conosciuto esperienze nelle quali tutte le
insegnanti ruotavano nei turni indipendentemente dalla presenza degli alunni di
riferimento e altre dove le educatrici e le insegnanti costruivano i loro turni
per rimanere nelle fasce di presenza degli alunni di riferimento.
Ciò di cui di cui vi sto parlando ha nomi: autonomia e collegialità. Solo che
il concetto, in questo caso, è applicato addirittura al singolo plesso, alla
singola scuola, che è poi tenuta a verificare e a relazionare sul modello
adottato.
Vi invito a pensare alla differenza tra questo modello di autonomia,
sperimentato dai comuni nei servizi alla prima e seconda infanzia, e un modello
che preveda scelte operate, nell’ambito di un intero istituto, sulla base di
modelli organizzativi suggeriti centralmente.
Vi invito a pensare a quanta diversità può esserci tra un’autonomia, come
quella a cui ho fatto cenno, esercitata in un quadro di risorse, umane,
strumentali e finanziarie certe e un’autonomia proclamata senza alcuna certezza
sulle risorse disponibili.
Vi invito a riflettere, infine, prendendo spunto da questa breve narrazione,
sui motivi per i quali è universalmente riconosciuto il contributo che i Comuni
hanno dato per la crescita dell’attenzione ai temi dell’educazione infantile e
sui motivi per i quali l’esperienza nei servizi per l’infanzia dei Comuni
italiani costituisce un punto di riferimento per le riflessioni che si svolgono
nella comunità scientifica internazionale.
Le risorse per
l’anticipo nella primaria
La relazione tecnica che
accompagna, nel suo iter presso la Conferenza Unificata e presso le Commissioni
parlamentari competenti, la bozza del primo decreto attuativo della legge 53,
relativo alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, si dilunga
per dimostrare che il decreto in questione non determina nuovi o maggiori oneri
per la finanza pubblica e che, di conseguenza, non è necessario il preliminare
e propedeutico provvedimento legislativo che stanzi le occorrenti risorse
finanziarie, per come obbligatoriamente previsto, in presenza di maggiori
oneri, dal comma 8 dell’art. 7 della stessa legge 53.
Intendo dimostrare, in questa sede, invece, che la mancanza di ulteriori
risorse finanziarie renderà impraticabile l’attuazione del decreto sia nella
sua versione ufficiale attuale (cioè l’articolato, per come approvato in via
preliminare dal Consiglio dei Ministri del 12 settembre scorso) sia, e ancor di
più, nella sua versione ufficiosa (quello che si impara, cioè, dalle parti
illustrative che, in modo poco ortodosso, sono state inserite nel testo
disponibile sul sito istituzionale del Miur).
Parliamo, per adesso, solo dell’anticipo. Le risorse stanziate per tale
intervento sono stabilite dall’art.7, comma 5, della 53 in 12.731 migliaia di
euro per l'anno 2003, 45.829 migliaia di euro per l'anno 2004 e 66.198 migliaia
di euro a decorrere dall'anno 2005. Spalmando sugli anni scolastici tali somme
(il gioco degli otto dodicesimi e dei quattro dodicesimi) si ricava che le
risorse per gli anni scolastici 2003/2004 e 2004/2005 sono, rispettivamente,
43.284 migliaia di euro e 59.408 migliaia di euro.
Tali somme, in realtà, sarebbero destinate dalla legge non solo al
finanziamento dell’anticipo nella scuola primaria, ma anche a quello della
scuola dell’infanzia. Su questo torneremo più avanti. Proseguiamo, per adesso,
con i conti, prendendo per buona la scelta, in realtà molto discutibile, che è
stata operata nel non riservare alcuna risorsa per l’anticipo nella scuola
dell’infanzia.
La circolare con la quale sono state riaperte le iscrizioni per attuare
l’anticipo nell’elementare nell’anno scolastico 2002/2003, la n.37 del 11 aprile
2003, porta in allegato una tabella dalla quale si evince che, con la somma
destinata a tale anno si è resa disponibile una dotazione aggiuntiva di 1472
posti.
Applicando gli stessi parametri si può calcolare che con la somma destinata per
l’anno scolastico 2003/2004 si potrà attivare una dotazione aggiuntiva di 2020
posti.
I potenziali utenti dell’anticipo erano, nell’anno scolastico in corso, circa
87.000. Hanno utilizzato tale opportunità in circa 23.000; poco più del 25%.
Ipotizzando l’estensione massima dell’anticipo (i nati fino ad aprile) abbiamo
che potenziali utenti dell’anticipo saranno, per l’anno scolastico 2003/2004,
circa 175.000.
Quale percentuale di adesione dobbiamo ipotizzare, per il prossimo anno
scolastico? Non possiamo certo basarci sul numero degli utenti che si sono
espressi in tal senso nella prima attuazione della legge. Sappiamo tutti che le
iscrizioni sono state riaperte in fretta dal 18 al 30 aprile, periodo nel quale
le scuole sono state aperte, tra vacanze di Pasqua, 25 aprile e primo maggio,
solo due giorni!
Forse non possiamo neppure basarci sui sondaggi di gradimento resi noti prima
dell’approvazione della legge, che rilevavano un notevole gradimento di tale
opportunità.
Utilizziamo un dato medio: ipotizziamo solo il 50% degli aventi diritto. Una
percentuale inferiore, considerata la dovuta sottrazione della parte di utenti
che già anticipava con il sistema della primine, significherebbe un’oggettiva e
pesante smentita dell’interesse delle famiglie per tale modificazione ordinamentale.
Ebbene, considerando che per accogliere i 23.000 utenti anticipatori dell’anno
in corso sono stati necessari circa 1230 posti d’organico (risulta, infatti,
che circa 240 posti, dei 1472 disponibili, sono residuati ed utilizzati per la
generalizzazione dell’inglese), si può facilmente calcolare che per i circa
57.000 utenti aggiuntivi ipotizzabili per il prossimo anno scolastico (circa
80.000 meno i circa 23.000 che già hanno liberato posti anticipando nell’anno
precedente) sarebbero necessari ben 3.000 posti mentre, come abbiamo appena
visto, le risorse stanziante ne possono finanziarne solo 2020.
Voglio ancora sottolineare che il ragionamento, puramente matematico, che ho
appena svolto comporta una stima al ribasso, in quanto non tiene conto di alcuni
fattori che quasi certamente provocheranno una lievitazione nella necessità di
organico in incremento.
Il primo di questi fattori è la buona probabilità che l’adesione all’anticipo
sia ben più alta della percentuale qui ipotizzata.
Il secondo fattore è l’esponenzialità delle esigenze di organico in relazione
all’incremento dell’utenza. Credo risulti a tutti evidente che le prime
migliaia di utenti in aggiunta hanno maggiore possibilità di trovare posti nel
completamento del numero massimo degli alunni per classe. Con l’aumentare del
numero, invece, la probabilità che risulti necessario lo sdoppiamento di alcune
classi diviene sempre più alta.
Il terzo fattore è la certezza del diritto. Vi invito a chiedervi cosa potrebbe
accadere se tutti gli utenti cui viene offerta la possibilità di anticipare di
un anno decidessero di avvalersi di tale opzione? Come si potrebbe dir loro, a
un certo punto, che i posti sono finiti? Come proporre un anno d’attesa per
l’esercizio di un "diritto dovere legislativamente sanzionato"?
Visti questi semplici
ragionamenti risulta molto facile azzardare una previsione.
Non ci sarà, per il prossimo anno scolastico, la possibilità di concedere la
facoltà di anticipo dell’iscrizione per tutti i nati nel periodo gennaio-aprile
1999. Ovvero, se ci sarà una disposizione in tal senso, si dovrà procedere a
finanziare, con un provvedimento successivo, ulteriore ed urgente, un
aggiuntivo incremento degli organici.
Da più parti è stato suggerito al Ministro di programmare una gradualità nell’attuazione
del provvedimento di cui stiamo trattando.
Sarebbe possibile in questo modo realizzare quel coinvolgimento dei
protagonisti principali del sistema, che risulta tanto enfatizzato quanto poco
praticato.
Purtroppo, gli attuali responsabili del Ministero (si vedano le dichiarazioni
del sottosegretario Aprea qui a Milano, proprio pochi giorni fa, che va in giro
a dire che al decreto non sarà aggiunta una virgola e che già è stata prenotata
una Gazzetta Ufficiale di metà gennaio per la pubblicazione) preferiscono fare
il gioco degli annunci trionfalistici, salvo poi adottare provvedimenti
affrettati e "tampone", come è avvenuto per i due decreti estivi dei
progetti nazionali di sperimentazione, pur di non prendere atto che le
difficoltà che le loro proposte incontrano sono segno dell’oggettiva necessità
di un maggiore approfondimento e non frutto di un oscuro complotto ordito da
chissà chi.
Preferiscono, come vedremo poco
più avanti, delegare a provvedimenti amministrativi (DM e circolari) alcune scelte
fondamentali che invece dovrebbero essere operate con decreti legislativi. Pare
che in questo modo si riesca a confondere le idee sia ai partiti di opposizione
sia a quelli di maggioranza, Ministro Tremonti compreso.
Le risorse per gli altri interventi
imprescindibili per l’attuazione della riforma
Oltre all’insufficienza delle
risorse per gli organici, dobbiamo registrare la totale assenza di previsioni
finanziarie, in alcuni casi, e l’inconsistenza del piano programmatico
finanziario presentato ai sensi dell’art.1, comma 3, della legge 53, in altri
casi.
Abbiamo già visto come non si intenda, e come risulti impossibile, destinare
alla scuola dell’infanzia alcuna parte delle somme finalizzate all’anticipo. In
relazione a questa scelta, non regge la motivazione secondo la quale nella
scuola dell’infanzia dovrebbe avvenire un semplice scorrimento di utenti: tanti
ne entrano e tanti ne escono, in quanto anticipatori per la primaria.
Questo ragionamento, peraltro discutibile, non tiene conto del fatto che si è
sempre ritenuto necessario, in relazione all’anticipo per l’infanzia, sia una
riduzione del numero di alunni nelle sezioni che accoglieranno i più piccoli
sia l’introduzione di specifiche professionalità.
Come sarà possibile realizzare ciò, senza un centesimo di euro ?
Oltre a ciò non è previsto alcun trasferimento aggiuntivo a favore dei comuni,
per gli arredi, i servizi di supporto, i libri di testo, etc. E i finanziamenti
per l’edilizia si mantengono su cifre al di sotto della spesa storica sostenuta
dallo Stato con i piani triennali della legge 23/96, unica norma in Italia
specificamente destinata alla qualificazione del patrimonio di edilizia
scolastica.
Si legge, nel piano finanziario, che tali interventi sarebbero di competenza
esclusiva dei comuni e delle province; si afferma che gli interventi dello
Stato devono essere intesi unicamente ad adiuvandum.
Un’affermazione del genere rappresenta una vera provocazione nei confronti
degli enti locali. Non stiamo parlando, infatti, del mantenimento del sistema
come attualmente organizzato. Siamo di fronte a modifiche ordinamentali che
impongono la disponibilità di un numero maggiore di aule, di arredi, di beni,
di servizi…, che implicano spese ingenti. Queste spese aggiuntive e
straordinarie devono essere finanziate dallo Stato.
Mancano poi le risorse per concretizzare la disposizione, dettata dall’art.2
della legge 53, secondo la quale deve essere assicurata la generalizzazione
dell’offerta formativa e la possibilità di frequenza alla scuola dell’infanzia.
Anche in questo caso, nella bozza di decreto attuativo, altro non è
rintracciabile se non un rinvio ai finanziamenti iscritti annualmente nelle
legge finanziaria e alla compatibilità con la finanza pubblica. Senza alcun
termine, senza alcuna scadenza. Non c’è un impegno dello Stato a raggiungere
tale obiettivo in un periodo di tempo certo e dichiarato.
Stesso destino è riservato praticamente a tutte le previsioni della legge. Una
strana catena di provvedimenti …che non provvedono: la legge delega che altro
non finanzia (e, come abbiamo visto in modo insufficiente) se non l’anticipo;
un piano finanziario indefinito nel tempo e indeterminato nelle cifre; i
decreti legislativi delegati che, se il buon dì si vede dal mattino, altro non
faranno che rinviare a successivi provvedimenti amministrativi. Il tutto
subordinato prioritariamente alle compatibilità finanziarie.
Il rompicapo del tempo
scuola e del tempo mensa
Si discute molto, in questi
giorni, sulla questione del tempo scuola possibile con quanto disposto dalla
bozza di decreto e della questione di chi svolgerà l’assistenza agli alunni
durante la consumazione del pasto.
Non sono pochi i commentatori che leggono nel decreto la cancellazione di ogni
possibilità di un tempo superiore alle ore nello stesso indicate e la
cancellazione della presenza obbligatoria degli insegnanti nel tempo dedicato
alla mensa.
Il Ministero smentisce in pubblici comunicati e ha anche inserito, scelta
originale e non ordinaria per una bozza di decreto, degli specchietti
illustrativi e interpretativi lungo l’articolato pubblicato sul sito ufficiale.
La Conferenza Unificata e le Commissione parlamentari competenti hanno
ricevuto, invece, una bozza senza i commenti con allegate due relazioni, una
illustrativa e una tecnica, i cui contenuti si discostano dai commenti
contenuti negli specchietti diffusi tramite internet.
Non voglio qui dilungarmi sulle questioni di metodo (troppe ce ne sarebbero da
dire!); voglio pronunciare, senza timore di smentita, tre affermazioni:
Non voglio dire con questo che
non è possibile, magari per i primi anni, che venga assegnato, pur sempre nei
limiti delle disponibilità finanziarie, un organico per garantire le attività
appena elencate. Voglio dire che non si intende garantire per legge il diritto
delle famiglie di avere un servizio corrispondente alle loro richieste. Si vuole
demandare a provvedimenti amministrativi successivi l’eventuale
"concessione" di tali servizi. Si vuole, in sostanza, far dipendere
interamente dagli equilibri politici, all’interno della maggioranza e tra
maggioranza e opposizione, ai rapporti di forza con i sindacati, alla
misurazione della pressione delle famiglie, quello che invece dovrebbe essere
assicurato da una norma di carattere generale.
In questo modo si crea
un’oggettiva situazione d’incertezza che penalizza le famiglie che dovranno, di
anno in anno, studiare la legge finanziaria e le circolari ministeriali per
capire quale e quanta scuola potranno avere i loro figli.
In questo modo si uccide
l’autonomia degli istituti scolastici: Quale autonomia senza alcuna certezza di
risorse? E quale progettualità nell’elaborazione dei modelli organizzativi e
didattici potrà mai essere esercitata?
In questo modo si mina alla
base ogni proficua relazione tra scuole ed enti locali, sia per la costruzione
di un sistema integrato nel quale le risorse e gli interventi, ma anche la
progettualità e le idee, di ogni soggetto interagiscono nell’interesse comune,
sia per la stessa razionalizzazione nell’uso delle risorse che unicamente da
una programmazione locale dei servizi può essere realizzata.
Prima di illustrare, conclusivamente,
le proposte dell’Anci, vorrei soffermarmi un attimo sui contenuti di alcuni
specchietti esplicativi che il Miur ha inserito nel decreto.
In tali illustrazioni si usano due argomenti per rassicurare le famiglie, in
relazione al tempo scuola.
Il primo argomento è la vigenza di due norme: l’art. 131, comma 7, del Testo
Unico dell’istruzione, il quale stabilisce che nell’orario di lavoro dei
docenti è compresa l’assistenza educativa svolta nel tempo dedicato alla mensa;
l’art. 26, comma 10, del CCNL ultimo, secondo il quale il servizio di mensa
rientra a tutti gli effetti nell'orario di attività didattica.
Queste due norme in realtà non garantiscono nulla in relazione all’orario del
servizio scolastico: esse definiscono unicamente l’obbligatorietà e
l’esigibilità di una mansione nei confronti del personale. L’orario del
servizio scolastico e l’orario di lavoro dei docenti sono cose diverse e non
immediatamente sovrapponibili.
L’altro argomento è
l’affermazione che il terzo comma dell’art. 7 della bozza di decreto, secondo
il quale il tempo dedicato alla mensa non è compreso nel tempo della attività
didattiche, risulta identico al comma che regolava, nella legge 148/90,
l’orario del modello modulare.
Questa affermazione è esatta, ma si tace che, nella legge 148, c’era un
articolo che blindava l’organico della scuola elementare in tre insegnanti ogni
due classi (art.121, comma 2, del T.U.) e un altro articolo che prevedeva altre
due tipologie d’orario: una di 37 ore settimanali e una di 40 ore settimanali
(art.130, commi 1 e 2 del T.U.).
Credo che tutti siano in grado di capire cosa veniva fuori dal combinato
disposto di questi tre articoli e di confrontarlo con cosa viene fuori dal
combinato disposto del nuovo decreto che, dopo aver escluso dalle attività
didattiche, quelle dei commi 1 e 2, il tempo mensa, stabilisce, al comma 4, che
l’organico d’istituto è costituito per garantire unicamente le attività di cui
ai commi 1 e 2.
Non so dire quanto le famiglie possano sentirsi rassicurate da una normativa
del genere o quanto le scuole si siano tranquillizzate prendendo per legge,
come un po’ sono abituate a fare, le interpretazioni ministeriali; certo è che
qualunque osservatore attento, e i comuni devono essere annoverati in questa
categoria, si rende facilmente conto che gli specchietti esplicativi altro non
sono, passatemi un espressione molto usata in Toscana, che specchietti per le
allodole. Questo, a meno che l’articolato non venga modificato accogliendo le
proposte emendative avanzate dall’Anci in sede di Conferenza Unificata.
Le preoccupazioni e le
proposte dell’Anci
Il titolo di questo contributo
pone, in apertura, un quesito: …ma la scuola -ci si chiede- si ritira?
Tale interrogativo vuole evocare due significati.
Il primo di questi è la preoccupazione per il restringimento, quantitativo e
qualitativo, del servizio scolastico.
È noto a tutti che le politiche per la qualificazione e la razionalizzazione
della spesa, nel sistema d’istruzione, sono state avviate da governi precedenti
a quello attuale (basti ricordare, in particolare, il DL 8 agosto 1992 e la
legge 449/97, cosiddetta finanziaria di Maastricht).
Il problema di fondo, senza addentrarsi in alcun modo (in questo ragionamento)
nel giudizio di valore sui due progetti di riforma, sta nel fatto che la legge
30/2000 prevedeva la riduzione di un anno, nel percorso scolastico complessivo.
Tale riduzione mitigava di molto gli effetti dei tagli d’organico che nelle
leggi finanziarie erano già previsti.
La legge 53/2003, invece, oltre che ripristinare il tredicesimo anno del
percorso complessivo dell’istruzione, ha preso in carico (forse sarebbe il caso
di dire, letteralmente, "in collo") un mezzo anno in più di utenti
che vengono spostati dall’asilo nido alla scuola materna.
Queste due scelte, insieme alle maggiori riduzioni di spesa che sono già state
disposte, realizzano una miscela esplosiva: la riduzione del servizio, in tutti
gli ordini di scuola, appare di fatto una scelta obbligata.
Il secondo significato del "si ritira?" è , invece, legato alla
preoccupazione che il sistema educativo abbandoni il modello inclusivo che oggi
lo caratterizza. La nota presa d’atto dell'impotenza e della rassegnazione
della scuola (Davide) nei confronti dei fallimenti scolastici derivanti
principalmente dall'ambiente sociale e familiare di provenienza (Golia).
Quasi che la scuola non dovesse più annoverare tra i suoi compiti quello di
rendere concrete pari opportunità per tutti e quello di creare condizioni per
il successo scolastico di ognuno. Esattamente l’opposto, e lo dimostrava il
racconto che ho fatto in apertura sul passaggio dai dopo scuola al tempo pieno,
di un’idea che vede, invece, inscindibili gli obiettivi dell’istruzione e della
formazione da quelli dell’inclusione e della partecipazione.
Se abbiamo bisogno di un sapere critico, e non credo vi sia alcun dubbio su
questo; se non vogliamo individui incapaci di partecipare attivamente ai
processi lavorativi, sociali, alle stesse relazioni interpersonali; se non
vogliamo ambienti di vita pieni di quel mix micidiale che è dato dalla
superficialità, dall’indifferenza e dalle chiacchiere, allora forse dobbiamo
ripensare a questa idea di rigida divisione dei compiti tra i vari soggetti del
sistema dell’istruzione, dell’educazione e della formazione.
Se però questa dovesse essere la strada prescelta, allora come comuni non
potremo che chiedere che si facciano i conti. Se la scuola non fa più alcuni
servizi, che precedentemente svolgeva, o anche se non li garantisce più nella
stessa quantità e qualità, allora si deve quantificare finanziariamente la
somma economizzata dallo Stato e tale somma deve essere trasferita ai soggetti
che subentrano nello svolgimento di tali competenze.
Mi raccontava l’Assessore di Ravenna che alcuni comitati di genitori hanno
consegnato al Comune, pochi giorni or sono, settecento firme di genitori che
chiedevano garanzie per il tempo pieno. Sapete a chi era, unicamente,
indirizzata la lettera? Al Sindaco e all’Assessore! Manco ci avevano pensato di
scrivere al Ministero!
E allora, al Ministero, abbiamo scritto noi. Anche a nome e per conto dei
nostri cittadini.
Nel documento che abbiamo consegnato al primo incontro della Conferenza Unifica
per l’espressione del parere, previsto dalla legge delega prima dell’approvazione
in via definitiva del decreto, abbiamo sollevato tutte le questioni cui ho
fatto cenno, ed abbiamo avanzato anche numerose proposte emendative.
Non è stato per niente un incontro semplice e si prospetta una battaglia molto
aspra dalla quale, però, confidiamo di ottenere dei risultati che, se non
altro, dovrebbero attenuare la compressione della scuola italiana che deriva
dalla versione attuale del decreto.
Riporto in estrema sintesi gli
emendamenti che abbiamo proposto in Conferenza Unificata:
Art. 4, comma 1; aggiungere:
"Le scuole primarie e le scuole secondarie di primo grado possono essere
aggregate in istituti comprensivi, comprendenti anche le scuole dell’infanzia
che gravitano sullo stesso territorio"
Art. 5, comma 1, sostituire la
prima riga come segue: "La scuola primaria, accogliendo e valorizzando le
diversità individuali, ivi comprese quelle derivanti dalle disabilità, dalle
provenienze culturali e geografiche e dalle situazioni di disagio sociale,
promuove lo sviluppo" ecc…
Art.7, comma 1, sostituire le
parole: "è di 891 ore" con: "è di almeno 891 ore"
art.7, comma 2, sostituire le
parole: "ulteriori 99 ore" con: "ulteriori 198 ore"
Art.7, comma 2, al secondo
capoverso, dopo: "le predette richieste sono formulate all'atto
dell'iscrizione." inserire il seguente periodo: "Le ore aggiuntive
per le quali la famiglia avrà optato fanno parte, a tutti gli effetti,
dell'esercizio del diritto-dovere di cui all'art.4, comma 1".
Art.7, comma 3, al termine del
comma 3 aggiungere: "che, ove previsto, sarà comunque gestito dalla scuola
come momento educativo"
Art.7, comma 4 e Art.10, comma
4, inserire in entrambi i commi dei due articoli, dopo le parole: "Allo
scopo di garantire le attività educative e didattiche di cui ai commi 1 e
2" le seguenti parole: ",nonché l'assistenza educativa da parte del
personale docente nel tempo eventualmente dedicato alla mensa, fino ad un
totale di 231 ore annue,".
Art.12 comma 1, al termine del
primo comma aggiungere:" d’intesa con l’Anci."
In sostanza abbiamo lanciato al
Ministero una duplice sfida. Da un lato abbiamo chiesto di scoprire le reali
intenzioni in relazione alle risorse e all’investimento politico che si intende
fare sulle autonomie scolastiche e locali; dall’altro abbiamo proposto
modifiche all’articolato che non potranno non essere accolte integralmente se
le tante enunciazioni che in questi giorni vengono fatte rappresentano impegni
seri ed in buona fede e non mere dichiarazioni propagandistiche.
Ferme restando le gravi preoccupazioni sull’impianto complessivo della riforma,
staremo a vedere, se non altro su questo ultimo punto se saremo capaci di
salvare un minimo di certezza per le famiglie, ma anche per le scuole e per gli
enti locali.
Scuola, lampioni e campi sportivi...
Permettetemi, gli ultimi due minuti,
di rivolgermi in particolare agli amministratori locali. Vorrei citare, e poi
tentare di rendere più attuale, una frase di Don Lorenzo Milani.
Esortava, il Priore di Barbiana, a mettere maggiore impegno nella scuola con
queste parole: Sindaci, pensate alla scuola. I lampioni e i campi sportivi
sanno metterli anche i monarchici.
Io vorrei dire, oggi: Sindaci, se ancora non lo avete fatto, date in gestione i
campi alle società sportive e trovatevi una buona ditta per esternalizzare la
manutenzione della rete della pubblica illuminazione, ma non abbandonate la
scuola pubblica.
Inserite il vostro impegno per la scuola tra gli obiettivi prioritari, così
come si deve quando si è nell’ambito della missione fondamentale dell’ente, che
altro non è che la crescita culturale, sociale ed economica della popolazione e
del territorio.
Quale migliore strategia, per perseguire tale missione, se non quella di
pensare la città tutta come una città educativa, capace di vivere e infondere
rispetto per l’ambiente, per i suoi abitanti, per i suoi ospiti.
Capace di dare senso alla parola comunità di cui il nome dell’ente che
rappresentate altro non è che un sinonimo.