Repubblica, 12 ottobre

 

In vetta alle montagne sacre un gradino sotto il paradiso

 

Massicci imponenti e colline altrimenti insignificanti. Un convegno che si apre a Torino indaga sul perché l' uomo ha eletto a casa degli dei le cime più disparate Ogni popolo ha la sua altura oggetto di culto. In Italia i Sacri Monti delle valli piemontesi e lombarde sono stati inseriti dall' Unesco tra i patrimoni dell' umanità Negli antichi Veda sanscriti, il Pik Meru himalayano è 'una trave di legno che funge da puntello perché il cielo non cada sulla terra' Ma c' è anche chi, come lo scrittore Mauro Corona, contesta tanta devozione: 'Troppe croci e lapidi lassù, la natura chiede più rispetto'


LEONARDO BIZZARO

TORINO - In inglese le due dimensioni sono suggerite fin dal termine «ascent», che in italiano è la scalata alpinistica, ma anche più spiritualmente l' ascesa. Perché le vette sono da sempre la casa degli dei, dall' Olimpo greco al Kailash tibetano, oppure il Sinai da cui scende Mosè con le tavole dei comandamenti, l' Ararat dove s' incaglia l' Arca, il McKinley che per gli indiani Athabaska accoglieva il grande spirito. Negli antichi Veda sanscriti, il Pik Meru himalayano è «una trave di legno che funge da puntello perché il cielo non cada sulla terra». Dal K' un-lun, per i taoisti cinesi, il Signore del Cielo era salito al cielo in groppa a un drago colorato, dopo aver bevuto l' elisir dell' immortalità. E Fritz Wiessner, nel 1949, fallisce il K2 perché il suo compagno nepalese, Pasang Dawa Lama, lo convince a scendere a pochi metri dalla vetta: è sera e lui teme gli spiriti che secondo la religione buddista si svegliano sulla vetta al tramontar del sole. Le montagne sacre punteggiano le catene del mondo intero, Alpi comprese, dove capita frequentemente di trovare in cima croci, campane, statue di santi e madonne. Una presenza che non piace allo scrittore-alpinista Mauro Corona. Se ne lamenta nel suo ultimo libro, mandato oggi in libreria da Mondadori, Aspro e dolce: «Le montagne dovrebbero rimanere allo stato naturale, cioè pulite. Per le lapidi ci sono i cimiteri, per le croci le chiese, per le campane i campanili...». Spesso l' aura di santità non aleggia attorno a massicci imponenti, ma si tratta di colline altrimenti insignificanti, come i Sacri Monti delle valli piemontesi e lombarde, alture che comprendono scene dalla vita di Gesù a grandezza naturale, di solito una via crucis e la cappella sommitale, costruiti dalla fine del Quattrocento al Seicento per offrire la visione dei «luoghi santi» ai pellegrini che non si potevano permettere il viaggio in Palestina. Sono nove, tra la pianura padana, i laghi e le pendici del Monte Rosa, iscritti dall' estate dell' anno scorso nella Lista del Patrimonio Mondiale dell' Unesco. Per valorizzarli, la Regione Piemonte ha avviato un gran ventaglio di iniziative che culminano, da oggi a sabato prossimo, con un convegno internazionale su «Religioni e Sacri Monti» - si apre stamattina al Piccolo Regio di Torino, per trasferirsi poi nei teatri municipali di Moncalvo e di Casale Monferrato - coordinato da Stefano Piano, direttore del dipartimento di Orientalistica dell' Università di Torino. Se ne occupano amministratori, studiosi ed esponenti religiosi, al centro della discussione c' è non solo la realtà dei complessi devozionali delle prealpi italiane, ma anche le cime sacre nel resto del mondo, perché, scrive monsignor Gianfranco Ravasi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, «tutte le culture hanno ritrovato nel profilo verticale della montagna un' immagine della tensione verso l' oltre e l' altro rispetto al limite terrestre». Sul tema, Ravasi ha scritto per le Edizioni San Paolo un libro, I Monti di Dio: «La vetta di un monte - annota - costringe ad alzare lo sguardo verso l' alto; è come se fosse un indice puntato verso il cielo». è quello il motore primo d' ogni idea di sacro, l' essere tramite fra la terra e lassù, non necessariamente una scala per salire, anche solo un simbolo, per la posizione geografica o la forma. Il Kailash, attorno al quale si trascinano i pellegrini buddisti, è ad esempio un tempio perfetto che svetta sull' altopiano tibetano da cui nascono quattro fiumi, il Gange, l' Indo, il Suthej e il Brahmaputra. Lo Shivling, nell' Himalaya del Garhwal, suggerisce nel nome e nell' aspetto il simulacro del «lingam» di Shiva, il fallo venerato di una delle divinità supreme dell' induismo. Più semplicemente, per John Ruskin, il critico inglese di fine Ottocento, nell' arte «vi fu sempre un' idea della santità connessa alle solitudini rocciose perché era sempre sulle vette che la divinità si manifestava più intimamente agli uomini ed era sui monti che i santi si ritiravano per la meditazione». A smitizzare l' argomento ci pensa un suo connazionale, il grande Mummery, che sulla cima del Grepon, nel gruppo del Bianco, estrae dal sacco una bottiglia di champagne, perché i brindisi sulla vetta, spiega alla sua guida Burgener, sono l' equivalente occidentale dei mantra levati al cielo dai devoti indù.