Corriere della sera, 5 0ttobre
Pacifismo, Fini rilegge San Francesco
«Non
vietò l’uso delle armi, capiva la legittima difesa». L’Ulivo: così ne fa il
patrono dell’occupazione Usa
DAL
NOSTRO INVIATO
ASSISI - Gianfranco Fini parla dalla loggia esterna
della basilica e propone la sua lettura di san Francesco: uomo di pace ma non
pacifista non-violento a oltranza, difensore dei diritti sociali ma non
sobillatore di rivoluzioni.
E’ il 4 ottobre, festa del santo, tradizione vuole che un’autorità civile porti
il suo saluto. Stavolta il «messaggio agli italiani» tocca a Fini che sa bene
di rivolgersi a una terra abituata alle marce
pacifiste nel nome del santo di Assisi, alle bandiere multicolori, ai cortei
pieni di volti di esponenti dell’Ulivo: «Francesco fu davvero
operatore di pace, la riportò tra i ceti sociali, tra città e città, tra
clero e popolo, tra Chiesa e Stato. Lo riprova il fatto che
non condannò mai la legittima difesa sia del singolo che della comunità... non
dissuase mai dal portare le armi per difendere deboli e umili». Poi ricorda il
divieto ai frati del 1228 di portare armi: «"I fratelli non portino con sé armi offensive se non per difesa della Chiesa
romana, della fede cristiana o della loro terra, con il permesso dei loro
ministri". La regola francescana intende proibire non tanto l’uso delle
armi quanto l’aggressione armata, la violenza, la guerra».
Fini ha accanto a sé, oltre al generale dei frati
minori conventuali Joachim Jermek,
anche padre Vincenzo Coli, Custode del Sacro convento, e l’imam
di Perugia, Mohammed Abdel Qader. Coli e Qader recitano insieme il Padre nostro («Ilahana», ha invocato l’imam). La
gente in piazza applaude. Un segno di concordia, in fondo sono
appena usciti dalla basilica Superiore in cui Giotto racconta l’incontro tra
san Francesco e il sultano d’Egitto Malek-el-Kamel. E proprio in segno di pace Coli, Qader
e Fini si scambiano un abbraccio.
Poi tocca a Fini, al suo discorso che parte con una premessa polemica: «Le interpretazioni
sulla figura di Francesco sono state varie e discordanti, fino a travisarne e a
deformarne gli insegnamenti». Oltre alla vicenda del pacifismo, il
vicepresidente del Consiglio rilegge altri aspetti francescani: «Non istigò mai
alla rivolta sociale, non aizzò la cupidigia e l’invidia dei deboli contro i
ricchi e i potenti, non predicò sommosse civili né lotte di classe ma si
preoccupò sempre di garantire concordia e armonia, ebbe scrupoloso rispetto per
le autorità laiche e ecclesiastiche». Cita l’Islam e
lo «spirito di equilibrio» con cui Francesco dialogò
col sultano: «Così noi contemporanei dobbiamo affrontare il confronto con le
altre culture e altre religioni per un fecondo
incontro e un autentico contributo alla pace, alla libertà, alla verità senza
che questo significhi mai e in alcun modo la rinuncia alla nostra identità».
Infine annuncia il suo appoggio al ripristino del 4 ottobre come giornata
nazionale del dialogo tra le religioni, un disegno di legge votato il 23
settembre dalla Camera da una maggioranza trasversale. Sul loggiato, ascoltando
il discorso, annuiscono insieme Andrea Ronchi di An e Giuseppe Giulietti dei Ds, primo firmatario della proposta che piace molto a
Casini.
A cerimonia conclusa, padre Coli commenta: «Lettura
corretta di Francesco? Ho appena ascoltato il discorso, credo di sì, però
meglio rileggerlo con calma...» Ma
c’è un punto sul quale sembra sicuramente d’accordo con Fini, quello
sull’Islam. Spiega il Custode: «Per un vero dialogo occorre avere un’identità
matura, fondata su solide ragioni e su forti valori. Solo un’identità con
simili caratteristiche dialoga davvero». Fini, che sta accanto a lui, aggiunge:
«Altrimenti sarebbe un monologo».
La mattinata si conclude con un un
gran banchetto per 380 persone in refettorio. Siedono uno accanto all’altro:
Fini, i frati, l’imam con la sua sorridente moglie
(per loro niente prosciutto umbro ma solo formaggi), i deputati, i sindaci
dell’Abruzzo, Regione che quest’anno ha regalato
l’olio che alimenterà la lampada perpetua sulla tomba del santo
patrono d’Italia.
La «rilettura» del vicepresidente del Consiglio scatena polemiche nel
centrosinistra. Rosy Bindi della Margherita contesta:
«E’ triste per la coscienza nazionale che ci si eserciti in banali prove di
revisionismo storico applicato alla vita dei santi. Il tentativo di omologare
la figura e la predicazione di Francesco alle categorie della realpolitik è un'offesa allo spirito francescano e alla
scelta incondizionata e non violenta per la pace di Francesco».
Alfonso Pecoraro Scanio,
presidente dei Verdi, accusa: «Nello stesso giorno della drammatica notizia
dell'assassinio di Ajar Anwad Wali e di fronte al
precipitare sempre più drammatico della situazione in Iraq, invece di lavorare
per giungere ad un cessate il fuoco, cerca di strumentalizzare il santo
d'Assisi e di trasformarlo nel patrono dell'occupazione in Iraq. Fini si vergogni delle sue parole».
Paolo Conti