MOBBING: Decreto Legislativo 9
luglio 2003. Pur
non essendo mai citato esplicitamente, il riferimento alle violenze morali
nei luoghi di lavoro (mobbing), è oggettivamente evidenziato sia dal
richiamo alla direttiva europea sulla parità di trattamento nei luoghi
di lavoro inserita nell’incipit della norma, sia dall’art. 3, c. 2 il
quale – nella definizione giuridica del concetto di discriminazione –,
chiarisce che sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del
comma 1 (testuale), (…)”anche le molestie ovvero quei comportamenti
indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all'articolo 1,
aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di
creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo (…)”. Particolare
rilevanza giuridica assume, anche, la possibilità di avvalersi (per il
personale del pubblico impiego) sia delle procedure di conciliazione previste
dal decreto legislativo n. 165/01 (art. 66) sia dell’assistenza delle
rappresentanze sindacali locali maggiormente rappresentative … il che
sembrerebbe escludere dalla tutela giuridica dei lavoratori discriminati quelle
OOSS che non possiedono questo requisito giuridico. Ovvero quelle OOSS la cui
media ponderata - tra deleghe riscosse e voti RSU ricevuti - non sia pari
o superiore al 5% del personale dell’intero comparto. Una concezione
giuridica che – qualora applicata alla lettera dalla magistratura del Lavoro
– potrebbe configurarsi (a parer mio) come una aperta violazione del dettato
Costituzionale … oltre alla violazione dello spirito e della lettera della L.
300/70 (Statuto del Lavoratori). Ad
ogni buon conto, a prescindere da questa ambiguità di formulazione (che
andrebbe, comunque, chiarita e approfondita in fretta), questo è solo il
primo passo formale. E’ ancora troppo presto per esprimere un giudizio di merito
sulla “bontà” della norma (giudizio che verrà formulato nelle aule
giudiziarie) ma è indubbiamente un passo avanti verso la definizione
giuridica di quella particolare forma di “violenza morale” sui luoghi
di lavoro nota come mobbing. Ora siamo in attesa di atti concreti come – ad
esempio – il recepimento di tale norma (primaria) nella contrattazione
collettiva (pubblica e privata). GILDA è stata l’unica Organizzazione
sindacale del comparto scuola ad inserire la “violenza morale” (dalla quale
la scuola non è esente) nella propria Piattaforma contrattuale. Nel contratto
scuola sottoscritto – in via definitiva – il 24 luglio scorso (ovvero dopo
la formulazione della norma in oggetto), però, a parte il riferimento
alla necessità di formulare un codice di comportamento per contrastare il
fenomeno (piuttosto accademico in verità … perlomeno nelle scuole) delle
violenze sessuali delle ben più gravi discriminazioni sul luogo di lavoro
ovvero, del mobbing non v’è traccia. Svista
o “dimenticanza”? Grazia
Perrone DECRETO
LEGISLATIVO 9 luglio 2003, n. 216 Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la
parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Art. 1. – Oggetto 1. Il
presente decreto reca le disposizioni relative all'attuazione della parità di
trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, dalle
convinzioni personali, dagli handicap, dall'età e dall'orientamento sessuale,
per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro, disponendo le
misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione,
in un'ottica che tenga conto anche del diverso impatto che le stesse forme di
discriminazione possono avere su donne e uomini. Art. 2. - Nozione di
discriminazione 1. Ai
fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3
a 6, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi
discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle
convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale.
Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta
o indiretta, così come di seguito definite: 2. E'
fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2 del testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286. 3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del
comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in
essere per uno dei motivi di cui all'articolo 1, aventi lo scopo o l'effetto
di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio,
ostile, degradante, umiliante od offensivo. 4.
L'ordine di discriminare persone a causa della religione, delle convinzioni
personali, dell'handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale è considerata
una discriminazione ai sensi del comma 1. Art. 3. - Ambito di applicazione 1.
Il principio di
parità di trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni
personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale si applica a tutte
le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela
giurisdizionale secondo le forme previste dall'articolo 4, con specifico
riferimento alle seguenti aree: 2.
a) accesso
all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri
di selezione e le condizioni di assunzione; b)
occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la
retribuzione e le condizioni del licenziamento; c)
accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale,
perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini
professionali; c)
sicurezza pubblica, tutela dell'ordine pubblico, prevenzione dei reati e
tutela della salute; e)
forze armate, limitatamente ai fattori di età e di handicap. 3. Nel
rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del
rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non
costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle
differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione,
alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale
di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il
contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che
costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello
svolgimento dell'attività medesima. Parimenti, non costituisce atto di
discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse
assumano rilevanza ai fini dell'idoneità allo svolgimento delle funzioni che
le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono
essere chiamati ad esercitare. 4.
Sono, comunque, fatte salve le disposizioni che prevedono accertamenti di
idoneità al lavoro per quanto riguarda la necessità di una idoneità ad uno
specifico lavoro e le disposizioni che prevedono la possibilità di
trattamenti differenziati in merito agli adolescenti, ai giovani, ai
lavoratori anziani e ai lavoratori con persone a carico, dettati dalla
particolare natura del rapporto e dalle legittime finalità di politica del
lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale. 6. Non
costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2
quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente
discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime
perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta
ferma la legittimità di atti diretti all'esclusione dallo svolgimento di
attività lavorativa che riguardi la cura, l'assistenza, l'istruzione e
l'educazione di soggetti minorenni nei confronti di coloro che siano stati
condannati in via definitiva per reati che concernono la libertà sessuale dei
minori e la pornografia minorile. Art. 4. - Tutela giurisdizionale dei diritti Art. 5. - Legittimazione ad agire Art. 6. - Relazione Art. 7. - Copertura finanziaria Il presente decreto, munito
del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti
normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarlo e di farlo osservare. *** [1] Articolo
66 - Collegio di conciliazione. 1. Ferma restando la
facoltà del lavoratore di avvalersi delle procedure di conciliazione previste
dai contratti collettivi, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui
all'articolo 65 si svolge, con le procedure di cui ai commi seguenti, dinanzi
ad un collegio di conciliazione istituito presso la Direzione provinciale del
lavoro nella cui circoscrizione si trova l'ufficio cui il lavoratore è
addetto, ovvero era addetto al momento della cessazione del rapporto. Le
medesime procedure si applicano, in quanto compatibili, se il tentativo di
conciliazione è promosso dalla pubblica amministrazione. Il collegio di
conciliazione è composto dal direttore della Direzione o da un suo delegato,
che lo presiede, da un rappresentante del lavoratore e da un rappresentante
dell'amministrazione. |
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