MARCO LODOLI
Repubblica, 18 ottobre 2004
INSEGNARE a
scuola mette in contatto con le verità del giorno: è come raccogliere uova
appena fatte, ancora calde, magari con il guscio un po' sporco. Gli storici
interrogano i secoli, ma in una classe di una qualsiasi periferia italiana si
ascolta il battere dei secondi. Ebbene, oggi una
ragazza di quindici anni, un'allieva che non aveva mai rivelato una particolare
brillantezza, ha fatto una riflessione che mi ha lasciato a bocca aperta.
Eravamo negli ultimi dieci minuti di lezione, quelli che spesso si spendono in chiacchiere con gli alunni. La ragazza
raccontava di volersi comprare un paio di mutande di Dolce e Gabbana, con quei
nomi stampati sull'elastico che deve occhieggiare bene
in vista fuori dai pantaloni a vita bassa. Io le obiettavo che lungo
Non è un po' triste ripetere le scelte di tutti, rinunciare ad avere una
personalità, arrendersi a una moda pensata da altri? E
da bravo professore un po' pedante le citavo una frase di Jung:
"Una vita che non si
individua è una vita sprecata". Insomma, facevo la mia solita
parte di insegnante che depreca la cultura di massa e
invita ogni studente a cercare la propria strada, perché tutti abbiamo una
strada da compiere.
A questo punto lei mi ha esposto il suo ragionamento, chiaro e scioccante:
"Professore, ma non ha capito che
oggi solo pochissimi possono permettersi di avere una personalità? I cantanti,
i calciatori, le attrici, la gente che sta in televisione, loro esistono
veramente e fanno quello che vogliono, ma tutti gli altri non sono niente e non
saranno mai niente. Io l'ho capito fin da quando ero piccola così. La nostra sarà una vita inutile.
Mi fanno ridere le mie amiche che discutono se nella loro comitiva è meglio
quel ragazzo moro o quell'altro
biondo. Non cambia niente, sono due nullità identiche.
Noi possiamo solo comprarci delle mutande uguali a quelle di
tutti gli altri, non abbiamo nessuna speranza di distinguerci. Noi siamo
la massa informe".
Tanta disperata lucidità mi ha messo i brividi addosso. Ho protestato, ho
ribattuto che non è assolutamente così, che ogni persona, anche se non diventa
famosa, può realizzarsi, fare bene il suo lavoro e ottenere soddisfazioni,
amare, avere figli, migliorare il mondo in cui vive. Ho protestato, mettendo in gioco tutta la mia vivacità dialettica, le parole più
convincenti, gli esempi più calzanti, ma capivo che non riuscivo a convincerla.
Peggio: capivo che non riuscivo a convincere nemmeno me
stesso. Capivo che quella ragazzina aveva espresso un pensiero brutale,
orrendo, insopportabile, ma che fotografava in pieno ciò che sta accadendo
nella mente dei giovani, nel nostro mondo.
A quindici anni ci si può già sentire falliti, parte di un continente sommerso
che mai vedrà la luce, puri consumatori di merci perché non c'è alcuna
possibilità di essere protagonisti almeno della
propria vita. Un tempo l'ammirazione per le persone
famose, per chi era stato capace di esprimere - nella musica o nella
letteratura, nello sport o nella politica - un valore più alto, più generale,
spingeva i giovani all'emulazione, li invitava a uscire dall'inerzia e dalla
prudenza mediocre dei padri. Grazie ai grandi si cercava di
essere meno piccoli. Oggi domina un'altra logica: chi è dentro è dentro
e chi è fuori è fuori per sempre. Chi fortunatamente ce l'ha
fatta avrà una vita vera, tutti gli altri sono condannati a essere spettatori e
a razzolare nel nulla.
Si invidiano i vip solo perché si sono sollevati dal
fango, poco importa quello che hanno realizzato, le opere che lasceranno. In
periferia ho conosciuto ragazzi che tenevano nel portafoglio la pagina del
giornale con le foto di alcuni loro amici,
responsabili di una rapina a mano armata a una banca. Quei tipi comunque erano diventati celebri, e magari la televisione li
avrebbe pure intervistati in carcere, un giorno.
Questa è la sottocultura che è stata diffusa nelle infinite zone depresse del
nostro paese, un crimine contro l'umanità più debole ideato e attuato negli
ultimi vent'anni. Pochi individui hanno una storia,
un destino, un volto, e sono gli ospiti televisivi: tutti gli altri già a
quindici anni avranno solo mutande firmate da mostrare su e giù per