Necessaria
premessa …
Chi è
Stefano Tommaso Donati? Per me è (era) una conoscenza di rete di alcuni anni
fa, pochi anni come numero, moltissimo tempo fa per la rete. Devono infatti
risalire al 1998/99 le ultime mail scambiate con lui, che mi ricordava ancora
in Provveditorato ad occuparmi di dispersione scolastica e didattica supportata
dalle TIC.
Per chi
legge, se lo conosce, è l’autore di una rubrica settimanale su
Educazione&Scuola, il sito dedicato all’istruzione che vanta il maggior
numero di visite in Europa. La sua rubrica TutorForTIC ha avuto una certa eco tanto che
sia il Direttore generale Alessandro Musumeci prima, sia il collega Raimondo
Bolletta sono intervenuti a dire la loro. Anch’io, occupandomi di ForTic per
l’Ufficio scolastico regionale del Piemonte, ho trovato un giorno i suoi
articoli, con tanto di sondaggi su temi decisamente nodali del Piano nazionale.
Ed allora m’è tornato in mente un certo Stefano, che in rete aveva come nick stdonati,
con cui avevo stabilito ai tempi una simpatica corrispondenza e scambio di
materiali e idee, ma di cui avevo perso le tracce, come spesso capita.
Ed
allora gli ho scritto, e dopo alcuni tentativi sono anche riuscito a farmi rispondere
e a verificare che sì, era proprio lui quell’stdonati con cui
disquisivamo in rete di didattica della storia e multimedialità, di giochi di
simulazione da usare in laboratorio per fare storia e così via. Ed allora,
visto che veniva alla Fiera del Libro che in questi giorni si svolge a Torino,
gli ho proposto d’incontrarci finalmente di persona, per parlare, ovviamente,
di ForTic. E così è stato.
Oggi,
nel primo pomeriggio, ad uno dei bar all’interno della Fiera ci siamo
incontrati e di fronte a pizza & birra ci siamo confrontati. Ricostruisco
ora, a memoria fresca, come è andata.
È
partito subito all’attacco chiedendomi: “Ma tu che ci sei dentro, mi fai
vedere dove sta la didattica?” Mi faceva un po’ ridere vederlo così
aggressivo. Ed allora l’ho preso sul serio, ed invece di rispondergli con una
battuta, che veniva spontanea, ho cominciato a conteggiargli il numero di
moduli che trattano temi prettamente didattici: 17 unità, sette nel percorso A
e dieci in quello B, contro i soli 7 moduli ECDL.
“E i
17 moduli del percorso C dove li metti?” “Ma quelli sono per tecnologi, non per tutti gli
insegnanti” gli ho replicato. “tanto che il corso C1 in massima parte è
frequentato da personale non docente” “Sì, ma a Genova Musumeci ha ben detto
che gli insegnanti si sono tutti buttati a iscriversi su C, che il Ministero
aveva sottovalutato questa voglia di imparare del corpo docente, e che quindi
avrebbe fatto di tutto per ripetere il Piano anche per tre annualità, in modo
che tutti possano prendere la patente e fare i corsi C!” “Ma no, hai capito
male. Certo è più facile programmare un corso di stampo tecnologico che uno
sulla didattica. Ma ti rendi conto di quanto è complesso sviluppare i moduli
sull’uso didattico delle TIC? Sicuramente il Direttore generale aveva presente
le percentuali, e sul C appaiono più alte perché è il corso con meno posti
disponibili, e l’unico per il personale ATA.” “Sarà, ma io so bene che tutto
è partito dall’ECDL, e lì è rimasto, sino ad ora. E anche questo suona di beffa
ai colleghi. Io li vedo arrabattarsi per prendere la patente, ed intanto spunta
la nuova superpatente! Quando se ne accorgeranno sarà un putiferio!”
“Ma tu
con la rubrica li stai ben mettendo sul chi va là! Non ti sembra di esagerare?
In fondo se pensi in termini statistici tutto sta andando bene. In
un’operazione così ampia anche solo una piccola percentuale di problemi
coinvolge un numero notevole di colleghi. Ma non sono tutti, come sembra tu
dica. Sono alcune situazioni sfortunate e inevitabili.” “Mi sembri Bolletta!
Hai letto la sua risposta? M’ha detto che «La situazione è migliore di quella
che lei immagina e spero che i mesi futuri la facciano ricredere nelle sue
analisi», come dici tu. Ma io non mi interesso di dati statistici, ma di
qualità. E il fatto che pochi si facciano avanti a evidenziare insoddisfazione
non vuol dire che tutto va bene, ma che molti non stanno capendo cosa stanno
facendo, non hanno un senso critico sul tema della formazione all’uso didattico
delle TIC. Né sarebbe giusto l’avessero.
Chi
si forma spende un bel po’ del suo tempo proprio per acquisire quella
conoscenza che poi lo guiderà criticamente ad orientarsi in quel settore del
sapere. Se non conoscessi Dante non potrei leggere altri testi poetici con
senso critico. O meglio, potrei leggerli ma senza quel bagaglio culturale che
affina il mio gusto per la poesia. E certamente la qualità della mia cultura
sarebbe inferiore a chi Dante lo ha letto e studiato. I processi di formazione
innovativi vanno guidati dai pochi che ne hanno piena coscienza, non possono
essere condotti a caso.” “Ma qui tocchi un punto debolissimo, che pure io ho sempre
sottolineato. Sul tema TIC e didattica mi attendo da anni che qualche
accademico riesca a compiere l’impresa di ricongiungimento tra la tradizione
didattica italiana e le nuove tecnologie. Ne ho anche parlato di persona con
alcuni di questi, ma poi da un convegno all’altro, da una pubblicazione
all’altra vedo sempre e solo azioni di corto respiro, che non fanno che
allargare sempre più il divario tra scettici e fanatici - su entrambi i fronti,
pro e contro le TIC - invece che operare quella ricongiunzione che è alla base
di un rilancio del prestigio della pedagogia italiana nel mondo intero.
Insomma, dov’è la Montessori delle TIC? Può nascere solo in Italia, ma
probabilmente non la nominerebbero Tutor di un corso B!” “Allora vedi che la
pensi come me? E anche Bolletta ha con me più punti in comune che contrasti.
Infatti dice pure «Il processo è stato controllato non solo dall'alto (il Miur
ha potuto fare molti interventi documentati dai dati) ma soprattutto dal basso,
dai corsisti, dai tutor, dai dirigenti scolastici», e io coi sondaggi che
faccio? Tanto che raccolgo le indicazioni che arrivano per comporre un quadro che
ho definito ‘ForTic dal basso’, ovvero come lo si sarebbe voluto. Bolletta fa
controllare dal basso, io faccio proporre. Le due cose si integrano
perfettamente: prima valuto, poi propongo.” “Allora la prossima volta che
lo vedo glielo dico: ti propongo per il prossimo gruppo di lavoro, che dici?” “Per
carità, non fa per me! E poi i punti su cui non sono d’accordo restano tutti.
Segui la rubrica e vedrai che cosa ho ancora da dire, e da mostrare, su questa
mastodontica operazione di formazione. Sul tema delle procedure di iscrizione
tramite MonForTic ho anche ricevuto materiali dai lettori. Li userò per
mostrare come il marchingegno ha complicato cose semplici, alla faccia
dell’efficacia e dell’efficienza. E lo dicono i lettori, non io. Io ora non
debbo quasi più pensare, sono i lettori coi sondaggi e con le loro mail a
sollecitarmi i temi da trattare.” “Allora cambierai nome: ‘Lettere a
Donati’ invece che ‘Tutor ForTic’. Mi spieghi da dove t’è venuta questa idea
della rubrica? Proprio tu che in rete non è che hai mai fatto granché, almeno
in prima persona.”
“Per caso, stavo facendo vedere
ad alcuni vecchi colleghi quello che avevo scritto nell’estate, dopo aver letto
il libro di Stoll (Clifford Stoll - Confessioni di un
eretico high-tech. Perché i computer nelle scuole non servono e altre
considerazioni
sulle nuove tecnologie - Garzanti, 2000). Dato che mi trovavo
assolutamente d’accordo con lui, ho pensato a cosa avrebbe detto se invece che
negli States lui fosse stato in Italia. Lì almeno le macchine nelle scuole le
hanno messe, il governo, le aziende, associazioni varie hanno riempito le
scuole pubbliche di computer di tutti i tipi, anche portatili ai tempi in cui
costavano un occhio della testa. E Stoll giustamente se la prende con la classe
docente americana che con questo ben di Dio fa solo danni all’educazione, non
avendo un minimo di idee chiare su come usare didatticamente i computer.
Da
noi invece anche le tanto strombazzate campagne di introduzione del computer a
scuola - ricordi «un
computer su ogni banco» ? - non sono riuscite a raggiungere uno straccio di
obiettivo, salvo che in situazioni eccezionali. Ma l’obiettivo era di sistema,
non di sperimentazione, di eccezionalità. Insomma, negli States i ragazzi non
conoscono e non amano la matematica, ma almeno le mani su un computer le hanno
messe. In Italia non conoscono e non amano la matematica, e se non ha aperto il
portafoglio papà e mamma le mani su un computer non le hanno ancora posate! E così
ho cominciato a mettere nero su bianco la storia delle TIC in Italia, una
storia che parte dagli anni ’70 - ricordi il PNI? - e arriva sino a ForTIC. O
meglio, sai che io sono sempre stato per la cronologia inversa, per cui anche
qui partivo da ForTic e indietro alla ricerca delle radici del disastro.
E
così ho mandato la bozza a vecchi colleghi, forse qualcuno lo ricordi, quando
nel ’96 cominciavamo a cercare di capire le potenzialità didattiche del web, e
litigavamo nei newsgroup.
Insomma,
a quelli che poi scherzando abbiamo definito OTM - Old Tic Man, i “vecchi” che
vedono ora la massa di neofiti esaltarsi per la didattica multimediale …
insomma, a farla breve da uno scambio di mail alla pubblicazione di un paio di
pezzi - quelli di avvio del libro - su Educazione & Scuola, e la proposta
di Dario Cillo di attivare un forum … che dovrei “animare”, ma a me sai che non
piace troppo stare nel virtuale, piace solo scrivere, ed allora Dario mi ha
proposto la rubrica col sondaggio.
E
devo dire che questa nuova esperienza comincia a piacermi. È il sondaggio che
mi piace. Quando scrivo articoli poi li dimentico, li lancio e neanche la mia
mail metto, in pratica li dimentico. Invece il sondaggio mi fa mantenere viva
l’idea, mi propone un filo del discorso che si sta costruendo assieme ai
colleghi che leggono e votano. Ed allora ho iniziato a legare il tutto nei
“Commenti”, da cui potrebbe uscire l’idea di ForTic come l’avremmo voluta noi, dal basso.”
“In pratica stai scrivendo in rete un nuovo capitolo del libro? Quello sulla
storia della c.m. 55 l’ho visto, e ora pensi al nuovo capitolo ‘La 55 com’è’ ?”
“Non avevo quest’idea, ma hai ragione. Anche se il libro è ancora lì a metà,
sai, una volta iniziato l’anno scolastico è stato difficile avere il tempo per
concentrarsi a scrivere. E poi man mano che vado indietro - ora sono al
Multilab - devo andare a ripescare vecchie carte, appunti, dato che in rete non
c’e’ quasi più nulla. Un po’ m’è passata la voglia. Tendo sempre alla pigrizia
come nei newsgroup quando molti , anche tu, mi rinfacciavano la pigrizia che
avevo nel replicare e nel portare avanti discorsi che avevo sollecitato proprio
io.”
Cosa
sarà di ForTic? Il fine della formazione secondo S.T.Donati
“Già,
ricordo bene. È stato così che ad un certo punto sei sparito. Anch’io, devo
ammetterlo, ad un certo punto ho smesso di stare nei discorsi dei gruppi in
rete: troppe cose da fare e poco tempo da passare a leggere la marea di mail
che mi arrivavano. Ma tu, ora, che prospettive vedi? Sei davvero così negativo
come appare dalle cose che scrivi o lo fai per provocare?” “No, non penso di
essere negativo. Solo non sopporto che si dica che va tutto bene quando invece
si può migliorare. Se hai visto l’ho anche scritto, sia a Musumeci che a
Bolletta. Penso che entrambi abbiano fatto cose che un anno fa, quando scrivevo
i primi capitoli del libro, non avrei immaginato possibili. Ma non basta. Non
saranno le singole persone, anche se collocate molto in alto, a cambiare in
tempi brevi l’andazzo che la scuola ha preso sulle TIC.
A
scuola non vedo nessuna capacità critica, nessuna attenzione alla didattica, ai
ragazzi. I ragazzi d’oggi già in famiglia dettano legge su televisione e
internet, fanno tutto loro … e se questo succede anche a scuola, se almeno lì
non trovano un corpo docente culturalmente preparato - e dico culturalmente e
non solo tecnologicamente
preparato - allora stiamo crescendo non so che generazione. Insomma, le TIC
permettono tutto e noi che facciamo: stiamo a guardare?.
Chi interviene sui ragazzi a
fargli capire cosa e come è bene fare? In parole povere ad “educare” i ragazzi?
Se non lo fa la scuola, formata da personale che dovrebbe avere cultura e
capacità specifica, chi lo fa? Mica la famiglia, che spende volentieri per un
computer, ma non capisce che attraverso quello strumento offre ai figli una
potenzialità enorme, che va condotta, guidata, per l’appunto educata al bene,
alla crescita, alla conoscenza, all’amicizia.
Ed
allora mi viene da ridere quando sento che i bambini non vengono più lasciati
scendere in cortile o ai giardinetti per paura dei maniaci, ma poi gli si
regala il computer, oggi anche connesso a banda larga per pochi euro al mese,
senza porsi alcun problema di “educazione” all’uso, che non vuol dire come si
accende, ma cosa ci faccio. «Com’e’ bravo il mio bambino; lo sa che chatta con amici di
tutto il mondo tutte le sere?» mi dicono molte mamme orgogliose del pargolo.
E non capiscono quello che mi dicono, ma dato che tutti parlano di Internet per
loro quello che fa il figlio è positivo in assoluto. Nessuna capacità critica.
E
quando vedo questo atteggiamento acritico negli insegnanti, scusa ma veramente non posso
non deprimermi. Sembra che le TIC abbiano offuscato il cervello anche a chi è
sempre stato cauto e posato - penso a certi professori davvero bravi, colti,
preparati - ma l’oggetto tecnologico per loro non è indagabile, valutabile,
criticabile. O lo rifiutano come fosse Belzebù in persona, o se ne innamorano e
non capiscono più nulla! Non dirmi che non capita anche a te!” “Sì, hai
ragione. Su questo convengo appieno con te. Se vuoi ti aggiungo anche il ramo
dirigenziale … tu vedi solo i docenti, ma anche i Dirigenti vivono la stessa
dinamica. E il loro ruolo senza una visione critica e attenta
dell’informatizzazione può facilitare lo sviluppo di danni notevoli sul fronte
educativo.”
“Già,
tu ormai bazzichi i vertici”
"Ma
sono sempre un insegnante. Anzi, peggio … un insegnante senza classe cosa è? E
un funzionario senza scrivania cosa è? Debbo dirti che quando hai scritto a Musumeci
citandogli Napoleone, e i suoi luogotenenti sul campo di battaglia, mi hai
davvero colpito. Ho infatti pensato che io e gli altri colleghi referenti
regionali di ForTic stiamo facendo è un po’ quello. Ogni tanto ci ritroviamo in
seminari nazionali per fare il punto della situazione, meditiamo strategie e
tattiche per andare avanti, ma poi nelle diciotto regioni ognuno deve sempre
interpretare localmente cose che - viste in teoria andavano bene - ma poi sul
campo no. Ed allora non puoi correre a Roma a chiedere come fare, devi
interpretare in tempo reale, e da solo. E qui mi hai colpito quando hai chiesto
all’ing. Musumeci se lui aveva abbastanza “fidi luogotenenti, capaci sul campo
di battaglia di interpretare con elasticità e fedeltà i comandi ricevuti”.
Quell’aggettivo “fidi” è casuale o intendevi qualcosa di specifico?
“Intendevo,
intendevo. Ma non fare l’ingenuo, e non farmi dire di più. È questo il motivo
che nel primo numero della rubrica ForTic ho messo a fuoco: il problema di un
Piano nazionale che nazionale non è, che se lo guardi bene è regionale, o
provinciale, o addirittura di scuola! Poi il sondaggio ha dimostrato - non me
l’aspettavo proprio così netto - che metà degli interessati non ha alcuna
sensibilità verso il senso di un unico piano nazionale. Faccio bene o no a non
essere entusiasta di questo quadretto? E faccio male a pensare che un Piano
nazionale è scomodo a molti “guru” locali delle TIC? che non ci stanno a
misurarsi con Università e veri esperti, che preferiscono continuare a spacciare
per valide pratiche d’uso delle TIC per nulla educative o formative? Nel
commento ne ho fatto - ironizzando - una questione di soldi, ma temo che la
cosa sia più grave: è una questione di cultura e di scientificità dei saperi.
Ma è un tema complesso da trattare al bar … ”
Conclusione
E qui
s’è sciolto, ridendo finalmente un po’ e passando a chiacchiere più consone ad
un incontro di persona tra amici di rete, di vecchi amici di rete. Sulle
chiacchiere ovviamente non mi soffermo, debbo solo dire che la vecchia simpatia
di rete s’è trasformata in simpatia personale.
Molte
le divergenze tra me e lui, ma in fondo abbiamo scoperto - parlando faccia a
faccia e non via web - una comune convinzione di volere entrambi che la scuola
italiana cresca, nella professionalità come nella qualità, nelle infrastrutture
come nella cultura del tradizionale ‘fare scuola’. Entrambi vogliamo che in
classe entri una nuova didattica, che si richiami alla più consolidata
tradizione, quella che tutto il mondo ci invidia, interpretandola - ma senza
stravolgerla - anche nell’impiego delle TIC.
E così
questa “intervista”, questa chiacchierata ai margini della Fiera del Libro,
nata come confronto tra chi polemizza con ForTic e chi agisce per la sua
attuazione, s’è conclusa con un patto d’alleanza: uniti perché la scuola
cresca, ognuno con i suoi strumenti, ognuno secondo le scelte personali a sé
consone. Ma sempre con senso critico, massimamente critico, ogni volta che in
ballo c’è l’educazione e la formazione dei nostri futuri cittadini.
P.S. -
Stefano Tommaso Donati era a Torino per incontrare qualche editore a cui
proporre le bozze del suo libro. Lui m’ha solo chiesto di aiutarlo a trovare
colleghi insegnanti che abbiano partecipato in modo attivo a Multilab,
Telecomunicando, PNI, in modo da completare la bozza in modo molto documentato
anche su questi capitoli della storia più remota delle TIC nella scuola
italiana. Ma io ho intuito che la sua idea, quella di una storia delle TIC
nella scuola, non ha molte speranze di accendere l’entusiasmo del business
editoriale. E gli ho proposto la pubblicazione in rete. Mi ha guardato male: “Carta,
sulla carta si fissa il sapere, non sui monitor!” m’ha risposto. Ed allora
lo voglio aiutare, io che invece non uso più neanche la stampante, e chiedo
quindi a chi legge di valutare se una “Storia delle TIC nella scuola italiana”
non possa essere un pezzo della preparazione di un insegnante. E se conoscete
qualche direttore editoriale … segnalategli l’idea.
Torino,
15 maggio 2003