Scuola e individualità
Non so quante e quali
delle idee che hanno nutrito la storia dell’educazione siano tramontate per
oblio o ancora giacciano silenti nelle coscienze individuali semmai in attesa
di essere ridestate o rivisitate, ma certo è che la teoria dell’educazione ancora
oggi vive dell’assunto che ogni individuo è altro dai principi e dai fini che
l’educazione si propone di perseguire pena la sua decadenza tanto da assegnarsi
il compito di con-formare ad essi ogni singolo individuo scolarizzato, nella
pratica poi al servizio di questo postulato sempre più spesso è stato piegato
l’uso delle così dette scienze dell’educazione. Comunque si voglia, sia che il
compito dell’educazione si prospetti quale medium della partecipazione degli
individui alla coscienza della specie sia che verifichi l’improduttività di
ogni adjustment per poi puntare tutte le proprie carte sulla competenza e sull’
eccellenza, c’è sempre un sociale una ragione altra che sopravanzano
sull’individuale, su quell’individuo che l’educazione in palese contraddizione
con se stessa in ogni epoca ha faticato a celebrare quale valore di per sé e per sé.
Del resto il
succedersi di scomposizioni e ricomposizioni della natura umana è una costante
di tutta la storia dell’educazione; i dualismi anima-corpo, intelligenza-carattere,
istinto-ragione ed altri ancora sembrano agitarsi come una sorta di Leviatano
contro il quale sarebbe parsa missione dell’educazione combattere affinché
l’individuo ad essa affidato non ne venisse divorato. Così, spesso, la
relazione educativa nei sistemi scolastici ha finito per assomigliare alla
rappresentazione di una tragedia greca i cui coriferi, discenti e docenti, si
annientano nella ricerca di una comune catarsi programmata. Chi tra noi può
dire di essersi sentito soggetto, protagonista, insomma di essersi mai sentito
se stesso una volta inserito nel sistema educativo, nei suoi ingranaggi, nei
suoi linguaggi e nei suoi riti? Quel qualcosa dell’esperienza scolastica che
avrebbe dovuto essere rivolto al nostro mondo interiore in realtà ci è sempre
stato esterno e come a noi esteriore l’abbiamo sempre vissuto sia nelle
gratificazioni come nelle frustrazioni subite.
John Dewey pareva giunto a vendicare tutti gli allievi del mondo
restituendo loro centralità nel processo educativo, non per questo possiamo
dire che la rivoluzione copernicana dell’americano abbia ricollocato all’apice
del discorso educativo l’uomo, tanto più che essere relegati di volta in volta
al ruolo di fanciulli, alunni o studenti come avviene nelle nostre scuole non è
mai essere uomini, ma evidentemente sempre e solo una parte di noi, essere cioè
inesorabilmente considerati sempre e solo delle parzialità.
E’ inutile dire che se
l’educazione ha tratto vantaggi dalla storia del pensiero ha anche pagato ad
essa prezzi altissimi, così come ai machiavellismi economici e politici. La
morale è che l’uomo nella storia della nostra cultura non è mai stato accettato per se stesso, poiché le
sue radici muovono dalla sfiducia nell’uomo non già per una sorta di condanna
biblica, ma piuttosto semmai per una prevalente e duratura dannazione
culturale. Qui sta la ragione, forse prima, della scarsa rilevanza dei processi
educativi sui risultati finali dei singoli individui. La scuola, in quanto
tale, non ha mai prodotto dei grandi uomini che al contrario, più spesso, si
sono realizzati a partire dal suo rifiuto, contro di essa o quali figli
esiliati, vittime dell’ostracismo delle sue liturgie.
- Se ripenso all’educazione ricevuta ciò che mi sorprende è il
constatare che essa non è riuscita ad impedirmi di fare quello che ho fatto –
ritornano le parole di Einstein e, con identico spirito, Iosif Brodskij : - Ciò
che rendeva la mia fabbrica diversa dalla mia scuola non era quello che mi era
capitato di fare dentro l’una o l’altra, e neppure quello che mi era capitato
di pensare nei rispettivi periodi, bensì l’aspetto delle loro facciate…- E
Brodskij prosegue scrivendo: - Liberté, Egalité, Fraternité…Perché nessuno
aggiunge Cultura? -
L’avventura del sapere
è, dunque, esterna alle preoccupazioni dei nostri sistemi scolastici o
falsamente interna perché e-ducare, i-struire, tra-smettere non sono mai
territori di libertà, di quella libertà di conoscenza tutta interiore invece
alla natura umana, ad ognuno di noi stessi.
Una verità elementare, questa, antica almeno quanto Socrate, la
cui coscienza ha mosso Religioni, Ideologie, Stati. Una volta rivelata, sarebbe
stato compito dell’educazione imbrigliarla, assumerne il monopolio, predisporre
il vischio e le trappole, le gabbie e le riserve, i territori protetti del
sapere dalla famiglia alla scuola, dalle università alle accademie. Dare
regole, esercitare controlli sulla più grande forma di emancipazione, di
rendersi libero di cui ogni singolo individuo, donna o uomo che fosse, ragazza
o ragazzo avrebbe potuto personalmente disporre.
E in questa volontà di controllo si è aperto lo scontro per
l’affermazione del primato tra le Religioni e gli Stati, l’individuo, ciò che
per sua natura non è divisibile, è stato separato, scisso tra Storia e Metastoria,
tra Fedi e Laicità. A pensarci bene , quando le Sacre Scritture ancora erano
l’unus del sapere, la grande Riforma protestante ha fallito in pieno il suo
scopo; l’affermazione del primato di ogni singolo essere umano nella ricerca
della conoscenza ancora una volta è stata sacrificata alle ragioni di altre
Chiese e senz’altro anche per questo tutta la storia concreta, quotidiana degli
individui ha pagato e continua a pagare il prezzo della morte di ogni
rinascita.
Non appaia banale
parafrasare Schelling per dire che la nostra esistenza è inadeguata alla nostra
essenza materiale, perché questa espressione è tanto banale quanto lo può
essere ogni verità, una verità, in questo caso, che dovrebbe vedere gli uomini
di cultura e di scuola radicalmente impegnati più a rinnovare che a conservare.
Ormai sul farsi del terzo millennio, se una qualche ragione
ancora esiste, non ci si può che sentire profondamente ribelli all’idea che
tutto ciò sia inesorabilmente connaturato alla complessità del vivere politico
o ancora peggio ad un ineluttabile destino umano.
Riscoprire ognuno di
noi come discorso, un discorso interrotto da un tempo troppo lontano ma che
ancora può tornare a fluire, rigenerando le essenze della ragione, rigettando
ostinatamente e pervicacemente ogni loro negazione, ogni atto che non sia
indirizzato a liberarne quelle potenzialità che definiscono la natura stessa
dell’uomo.
Non deve essere forse questo il grande compito del sistema
formativo di uno Stato autenticamente moderno, democratico e liberale: portare
ogni individuo a tornare ad essere pienamente cittadino della polis, perché
innanzitutto torna ad essere cittadino di sé e dentro di sé?
Neppure le psicologie
cognitiviste hanno colmato il divario tra individuo e educazione, tra individuo
e il proprio sé. Non tanto perché la loro diffusione nella prassi scolastica
possa essere insufficiente, ma piuttosto perché esse ancora si prospettano come
strategie di pianificazione verso sistemi a rendimento garantito; muovono
dall’individuo ma poi ne smarriscono l’essenza nell’efficienza e nell’efficacia
dei curricoli. Stiamo attenti agli equivoci! Siamo davvero sicuri che il
soggetto di una strategia di mastery learning sia l’alunno in situazione di
apprendimento e non piuttosto l’obiettivo che si è programmato di fargli
acquisire? Che ogni volta non si assista ad una sostituzione volendo in realtà
verificare l’efficacia dello strumento per cui l’obiettivo si fa soggetto e
l’alunno oggetto del processo di apprendimento? In ultima analisi, a me pare, che
si finisca in realtà per comprovare quanto è brava quella determinata scuola
nel realizzare i suoi compiti, anziché verificare quanto quell’alunno, per
effetto del processo formativo, è più cittadino di se stesso anziché di quel
sociale che si esprime nell’inevitabile parzialità degli obiettivi assegnati
dai programmi.
Voglio dire, e non per paradosso, che delle finalità sociali
della scuola, che fanno l’uomo e il cittadino, i nostri Stati e la nostra
Cultura ne hanno abusato fin troppo a sproposito, più spesso oserei dire a
danno del singolo individuo, delle singole individualità che a loro vantaggio.
Stato e Scuola
Io non mi sento di
liquidare con alcuna professione di fede la lezione niciana Sull’avvenire delle
nostre scuole in particolare là dove si
additano gli Stati come antagonisti e nemici della cultura.
Ognuno di noi è cultura, poiché ognuno di noi tende
costantemente alla propria ideale formazione, alla realizzazione di sé nel
rispetto della propria autentica forma e natura. Mi accade spesso di ripensare
le pagine di La lingua salvata di Elias Canetti, in particolare quelle nelle
quali racconta come durante la sua infanzia fosse avviato alla passione per la
lettura e i libri dal padre e dalla madre.
- In realtà la cosa incomparabilmente più importante, più
eccitante e più caratteristica di questo periodo erano le serate che io e la
mamma dedicavamo alla lettura e ai discorsi che facevamo intorno a ciascuno di
quei testi. (…) Se esiste una sostanza intellettuale che si riceve nei primi anni, alla quale ci si riporta poi sempre e della
quale non ci si libera mai più, per me quella sostanza è lì.
(…) Tutti gli influssi che ho subito successivamente sono in
grado di rintracciarli uno per uno. Questi, invece, formano un’entità unica che
ha una sua densità e un suo spessore indivisibili. -
Se questo è un esempio
di autentica esperienza culturale che non mortifica né il singolo né il
processo della conoscenza, perché tollerare ancora che si persegua, non già un
modello di scuola di massa, bensì un’improduttiva massificazione scolastica che
anche nei migliori dei casi finisce per snaturare persone e saperi?
Un modello concepito quando l’idea del rapporto Stato-Educazione
si esauriva nell’obiettivo di tenere ogni giorno occupata in modo organizzato
una parte dei soggetti sociali: i più giovani. Noi siamo giunti per fino a
concepire l’educazione permanente e come massimo della contraddizione abbiamo
istituito le università per la terza età! Io penso che sulla difficile strada
della lotta per l’affermazione del diritto all’istruzione ci siamo davvero
smarriti e abbiamo soprattutto smarrito il valore dell’essere individuale e
quello ad esso connaturato della cultura. O meglio, lo smarrimento oggi è
evidente perché un’epoca con le sue stagioni anche per la scuola e per il
discorso educativo si è chiusa. Di qui occorre partire. Se è crollato il
comunismo certo non gode di migliore salute il suo antagonista storico. E lo
stato di salute è più grave proprio sul
versante della cultura e della formazione: i sistemi scolastici sono al
collasso e processi di de-culturazione e di disapprendimento avanzano come mai
nel passato. Mentre pare allontanarsi il pericolo della catastrofe nucleare c’è
già chi paventa quella dell’ignoranza che incombe sul nostro futuro.
Mai come oggi mi pare
giunto il momento di tornare ad avere il coraggio e l’audacia delle idee, dell’immaginazione,
dell’idealismo politico.
In tanto non sono gli individui che devono continuare a
rivendicare il diritto alla scolarizzazione di massa o il diritto
all’educazione permanente. Lo Stato ottocentesco che nell’amministrazione e nella burocrazia rende tutti sudditi è
naufragato nelle coscienze individuali, sia esso liberale sia esso socialista,
o lo Stato serve o è una nemica astrazione.
Lo Stato diviene nemico e antagonista di ognuno di noi quando
tradisce le basi della civil society venendo meno ai principi fondati sul
valore del singolo che hanno ispirato l’origine delle democrazie moderne.
Stati-autorità che esercitano il loro potere ponendosi al di sopra dei bisogni
del cittadino anziché al suo fianco, perché non sono Stati al servizio e di
servizio come richiederebbe il principio secondo il quale non si può avere
autentica cittadinanza sociale se prima ognuno non è posto nelle condizioni di
divenire pienamente cittadino di se stesso.
Dal Novecento i nostri
Stati sono usciti non solo con la bancarotta economica ma anche e soprattutto
con quella umana. La loro colpa più grave di fronte alla Storia è quella del
più grande spreco d’intelligenze, vale a dire di risorse umane con le guerre,
gli olocausti, con il disprezzo per l’uomo, nessuna civiltà che pretenda di
definirsi tale può sottrarsi a questa riflessione, a questa responsabilità, è
fin tropo facile, qui, ricordare la lezione di Marx :
- Una società piena di cose utili con uomini inutili.-
E come negare che
l’inimicizia e l’antagonismo dello Stato nei confronti della cultura sono
proprio testimoniati dalle nostre scuole, dai nostri sistemi scolastici,
un’inimicizia ed un antagonismo che con la scuola di massa hanno finito per
massificarsi nelle loro manifestazioni.
Pare che l’istruzione, anziché essere dovuta ad ogni singolo
individuo che esiste su questa Terra come diritto permanente e bene
incommensurabile, sia dovuta allo Stato nei modi, nei tempi e nelle quantità
che lo Stato stabilisce e a ciò ogni singolo individuo si deve adattare e
con-formare. E come per ogni rito collettivo, decretato dall’alto, alla stessa
ora tutti gli individui devono riunirsi nel luogo deputato dove ad attenderli
ci sono gli strumenti della liturgia, ogni giorno riordinati per il giorno dopo
come i paramenti sacri e le divise. E nell’idea della partecipazione ognuno si
annulla , ognuno si snatura: insegnanti, alunni, strumenti. Per chi non
partecipa al rito collettivo la nostra idea di democrazia ci ha fatto giungere
al nobile obiettivo di sostenerlo, di recuperarlo, di non perderlo comunque al
rito, fortunatamente, più spesso non riuscendoci.
Non c’è nulla di più innaturale di un’aula di studenti con il
loro insegnante, dove le relazioni interpersonali si chiamano disciplina,
compiti o consegne (come in una caserma), interrogazioni, verifiche,
valutazioni.
Questo nostro sistema
scolastico, che lo vogliamo o no, nonostante anni di generose e isolate
sperimentazioni, di appassionati dibattiti, di illusioni di tanti docenti,
resta pienamente espressione della concezione che gli Stati hanno avuto e
dimostrano di avere della cultura, vale a dire della sua più assoluta
negazione.
Le sedi che dovrebbero essere i luoghi abituali e quotidiani
dove svolgere sistematicamente l’istruzione dei giovani, la loro formazione, i
percorsi culturali autentici, i luoghi degli impieghi epistemici dalle
biblioteche agli archivi, dalle fondazioni ai musei, ai laboratori, ai teatri,
alle cineteche, le mostre, il patrimonio artistico in genere sono i luoghi
della crisi permanente dove si manifesta e si nutre la trascuratezza dello
Stato, il vuoto spinto di ogni idea innovativa e, dunque, la sua inimicizia.
- Sulla terra più fortunata è la rosa che ci concede i suoi
profumi, di quella che appassendo muore nella pace solitaria.- scriveva Shakespeare. Francamente non so
quante generazioni ancora accetteranno di appassire anziché pervadere del loro
profumo la Terra.
Una modesta proposta di lavoro
Allora è necessario riproporsi radicalmente il quesito di quale
sia il sistema educativo da porre oggi al servizio dell’uomo reale affinché
possa sempre dire di essere autenticamente il risultato del proprio lavoro.
Allo stato attuale
della riflessione, io ritengo sia possibile indicare almeno tre requisiti
indispensabili.
1. Innanzitutto il discorso sui fini e i modi di essere della
scuola che non può prescindere da una più generale ricollocazione dello Stato e
del sociale come servizio ai singoli nella collettività in quanto valori e
somma di valori, poiché non sono né lo Stato, né il sociale a dare valore
all’individuo ma viceversa è la somma dei valori dei singoli individui a dare
valore alle istituzioni sociali.
Le filosofie dell’Ottocento sono state filosofie di
Organizzazione e di Sistema, al contrario quelle del Novecento, che ancora poca
cittadinanza hanno avuto nella nostra vita civile, sono state più spesso di
liberazione dell’individuo dall’Organizzazione e dal Sistema. Da esse abbiamo
appreso come anche la scienza abbia necessità di procedere per utopie concrete,
per luoghi che ancora non esistono ma che sono nell’ordine del possibile . E’
pensabile che ci aiutino a immaginare la nostra cittadinanza nel nuovo
millenio? Una cittadinanza che sia in grado di assicurare al maggior numero possibile
di soggetti l’autonomia personale ponendo gli individui nelle condizioni di
sviluppare liberamente le loro capacità. Persino le teorie della Total Quality
ormai sono avventurate su questo terreno, non più individui amministrati o che
si devono adattare a regole razionalizzate, ma individui in grado di
amministrarsi e di giocare un ruolo sempre più significativo per sé e per gli
altri, perché sempre più nel futuro Intelligenza, Informazione, Idee
costituiranno il valore aggiunto delle skill intellettuali dei singoli e di
tutti.
2. In secondo luogo occorre affermare il primato dell’incontro
con il proprio sé. Non v’è nulla di più personale dell’esperienza culturale,
del cammino che porta al raggiungimento della propria identità e alla
partecipazione di quella collettiva sempre meno locale e sempre più
cosmopolita. Di questa esperienza lo Stato non si può impadronire, ma solo
servirla mettendo a disposizione tutti i mezzi necessari. Occorre tornare a
considerare i problemi della cultura come esperienze intime, personali di cui
coloro che in qualche modo hanno familiarità con la cultura devono aver sentito
almeno per un momento le vibrazioni.
Uno Stato, dunque, che si ritira dall’invadenza sugli individui
attraverso i sistemi scolastici, non più lo Stato mistagogo che è venuto meno
alla massima kantiana di non trattare il prossimo come mezzo.
3. In fine alla cittadinanza educativa va assegnato il compito
di creare le condizioni per ripristinare il rapporto tra coscienza e essere, di
ricondurre i singoli individui all’esigenza classica di pensare il pensiero.
Qualche tentativo in questo senso venne avanzato dall’ecologia dello sviluppo
umano che meglio però dovrebbe indirizzarsi verso l’ecologia del discorso umano
sviluppando le strade aperte da Gregory Bateson e dall’ultimo Jerome Bruner
Comunque sia, la cittadinanza educativa deve costruirsi a
partire dalla consapevolezza piena e sempre presente che il punto archimedico
del mondo è l’uomo nella sua libera e creativa progettualità, a lui compete la
responsabilità del futuro, poiché egli è il solo depositario del potere di
trasformare il mondo, non l’uomo solo e in quanto in generale, ma ogni singolo
individuo poiché quel generale è la somma degli individuali.
In definitiva la cittadinanza educativa deve riconciliare l’uomo
con il suo genere, ricomporre quella frattura che già Goethe ed Hegel avevano
intuito nella nostra cultura e che i nostri sistemi educativi, complici gli
Stati, hanno invano ricomposto nel conformismo e nell’annullamento delle
individualità come risorse preziose per il destino di tutti noi su questa
Terra.