REVISIONISMI
C'è molto da cambiare nei programmi e
nei libri di testo?
Sì, molto. I giovani non devono studiare
la storia universale, ma innanzitutto quella del loro
paese. Inseguendo un astratto cosmopolitismo, si annoiano. Devono capire la cultura
in cui sono nati.
Ad esempio?
Il cristianesimo. Roma Ë piena di chiese.
Un ragazzo che sta a Roma deve decifrare le pietre di Santa Sabina, e da lì
risalire ai precedenti latini, e greci. Penso a una
figura come quella del vescovo defensor civitatis,
che è stata ricacciata nell'oblio. I programmi del governo di sinistra avevano
un approccio mondialista, puntato tutto sulla storia
sociale, che non fa capire quel che è accaduto prima.
Sta dicendo che programmi e libri di testo sono
appesantiti da incrostazioni marxiste che vanno eliminate?
Certo. Distinguiamo: il marxismo Ë una
cosa seria, poco nota in Italia. Di veri marxisti ne abbiamo
avuto forse uno solo, Galvano Della Volpe. Altra cosa Ë la vulgata italiana,
infarcita di giudizi incardinati in una concezione scientifica che Ë caduta, e
che quindi sono oggi appesi al nulla; per usare un termine gramsciano,
sono folklore.
Sta pensando anche al Gramsci il cui studio è stato tanto raccomandato da Berlinguer?
Sì. Gramsci
appartiene alla cultura italiana, ma bisogna distinguere quel che è vivo da
quel che è morto, eliminare gli elementi caduchi rimasti nell'
aria. Vede, la storia va rivisitata. I giovani
vanno aiutati a fare un bilancio critico.
Anche sul fascismo?
Sì. Bisogna spiegare ai giovani perchè i
loro nonni sono stati fascisti, aiutarli a capire come il fascismo e il nazismo
siano sorti nell'ottica della lotta al comunismo.
Analogamente andrà rivisitata
Occorrerà spiegare che alcuni resistenti
hanno inteso combattere una guerra di liberazione - e che tra loro c'era
l'esercito del Sud -, mentre altri intendevano combattere una guerra di classe,
condotta con finalità e metodologie diverse. E
spiegare perchè la maggioranza degli italiani abbia atteso la liberazione senza
schierarsi. (1)
Rocco Buttiglione – era lui a rispondere alle domande del
giornalista nelle settimane immediatamente successive alla vittoria elettorale
della destra - ministro dell’Istruzione
non lo è diventato, ma i suoi propositi sono stati attuati da altri.
In maniera aperta e dichiarata, come accadde l’11
dicembre del 2002, data di una risoluzione votata alla Camera dalla
maggioranza, che impegnava
il governo “ad attivarsi, collaborando con le istituzioni scolastiche e nel
rispetto della loro autonomia, per far sì che nelle scuole di ogni ordine e
grado l'insegnamento della storia, in particolare di quella contemporanea, si
svolga secondo criteri oggettivi rispettosi della verità storica e della
personalità dei discenti attraverso l'utilizzo di testi di assoluto rigore
scientifico che tengano conto - in modo obiettivo - di tutte le correnti
culturali e di pensiero, per un confronto democratico e liberale che assicuri
un corretto approfondimento del passato, in special modo di quello più recente”
(2).
Ma, soprattutto, in maniera più sottile, ma non per questo
meno pericolosa, attraverso le Indicazioni nazionali, nella parte che riguarda
Molti
hanno già denunciato con preoccupazione l’ eliminazione della distinzione tra nazismo,
fascismo e comunismo che ne annega le determinazioni nel mare indistinto
della categoria dei totalitarismi.
Eliminazione
che avviene in corrispondenza di tante scelte piccole e grandi di questo
governo, non ultima quella di tagliare i
finanziamenti alla celebrazione del sessantesimo anniversario della Resistenza.
E che sembra
anticipare l’analisi contenuta in La
crisi dell’antifascismo, di Sergio Luzzatto , che ci ricorda che, in un Paese che ha
fornito il modello fascista all'Europa l'antifascismo non è semplicemente uno
schema ideologico ma una positiva pratica democratica realizzatasi
storicamente. La costruzione della Repubblica è infatti
avvenuta come rottura di una pratica totalitaria che ha assunto, in Italia, il
volto del fascismo.
L’autore conia il termine di post-antifascismo che, secondo
lui, "ha contraddistinto la lunga
transizione italiana. Che è seguita al fallimento di un
sistema politico, crollato sotto il peso della corruzione, del debito pubblico,
dell'incapacità di riformare se stesso. Della frana è stato imputato il
padre, l'antifascismo, quasi ad affermare una rinuncia alla ricusazione del
fascismo come “essenza del male contemporaneo, in quanto attentato biologico
alla sacralità della vita” (pp. 14-5). Sulla crisi italiana degli anni Novanta sono
germogliati l'antipolitica e il qualunquismo. Non sono tabe congenita del
popolo italiano, ma stremata risorsa, sedimentatasi
nel corso di lunghi secoli, alla quale esso attinge quando si disseccano le
energie della politica e dell'impegno. Nel disastro della transizione italiana,
è l'utile lezione che possiamo apprendere." (L'Unità, 20 settembre 2004)
Ed è la lezione contenuta, a nostro avviso, nelle
evanescenti – ma prescrittive - Indicazioni sulla
storia.
Una lezione che sa, chiaramente, di revisionismo. Rivolto al passato, come è
natura propria di ciascun revisionismo, ma, paradossalmente, rivolto anche al
futuro.
Tra
l’intervista rilasciata dall’onorevole Buttiglione e
la pubblicazione delle Indicazioni, c’è stato l’attentato alle
Twin Towers. E ci sono
state – sarebbe meglio dire ci sono, sono in corso - anche due guerre che
stanno dando corpo a quello scontro di civiltà di cui parlava Huddington. Ed è in questa
prospettiva che il taglio dato allo studio della storia ci deve, letteralmente,
spaventare.
Limitare
l’orizzonte spaziale alla sola Europa, la cui identità viene
fondata sulle radici religiose cristiane e l’omissione di grandi tematiche
irrinunciabili come colonialismo, imperialismo, soppiantate dal riferimento
alla “competizione tra Stati e le sue conseguenze” (ma per cosa competevano gli
stati, se non per le colonie e il loro depredamento?),
la mancanza di ogni riferimento alla decolonizzazione, al neocolonialismo, alla
globalizzazione, denunciano chiaramente l’intenzione
della chiusra sul NOI che ormai, sempre di più, si sta contrapponendo ad un LORO visto esclusivamente come una
minaccia alla NOSTRA civiltà.
Che di tanto della LORO
è composta, che forse, senza
Nel
momento in cui la storiografia revisionista sta tentando di cancellare il
nostro passato per evitare che il nostro Paese faccia
i conti con una memoria divisa, l’insegnamento della storia, secondo gli
estensori delle Indicazioni, deve tendere a fomentare un’altra divisione.
Pericolosa come
la prima, pericolosa come tutte le divisioni.
Ci
si potrebbe obiettare che esiste, pur sempre, la libertà di insegnamento
e che – come è sempre accaduto – la mediazione dell’insegnante riuscirà a
colmare tutti i vuoti e le assenze.
E’
in questo, in effetti, che, come è stato già detto,
confidiamo. Ma la certezza o la speranza nulla tolgono
alla critica.
In
tempi ed in paesi normali, è la scuola a dare l’indirizzo al pensiero. Quando
accade il contrario, quando cioè è il potere, comunque
esso si manifesti, a dettare alla scuola, in maniera prescrittivi, i contenuti,
siamo autorizzati a pensare che, forse, i tempi, tanto normali non sono. (3)
NOTE
(1) Buttiglione:
così rivisiterò la storia in http://www.sissco.it/dossiers/scuola/riforme/buttiglione.html
(2) Risoluzione
7-00163 (Approvata dalla 7a Commissione della Camera l'11 dicembre 2002)
In http://www.edscuola.it/archivio/norme/varie/ris7_00163.html
(3) A questo proposito, si può controllare la presentazione di un libro
di storia per la scuola media. Si noterà il riferimento ossessivo alle
Indicazioni.
In http://www.minervaitalica.it/inf/storia.html