Il fanatismo e la
ragione
IL fanatismo non è
un´inguaribile malattia tipica della nostra epoca (come l´Aids). Il virus ha origini antiche e una costituzione
robusta poiché a volte si ha l´impressione che abbia
conservato il vigore di un millennio fa. Come se l´XI
secolo fosse succeduto al XXI. È
stata vinta la peste; si può fermare la lebbra; tante Spirochete a forma
allungata o a spirale sono state domate; il colera si è ritirato nelle aree più
denutrite; ma il fanatismo sopravvive, nonostante la scoperta del vaccino
razionalista, ha mantenuto una straordinaria forza di
contagio.
Attecchisce più di qualsiasi altro virus. Lo si può contrarre persino mentre si cerca di debellarlo o
lo si sta combattendo. La gente può diventare fanaticamente antifanatica
leggendo il giornale o guardando la televisione; può essere antifondamentalista con spirito fondamentalista, può intraprendere
una crociata antijihad.
Del resto non deve
trattarsi di un virus, ma di un gene annidato nei nostri cromosomi. Non possiamo
quindi annientarlo, possiamo soltanto contenerlo, al
fine di limitarne gli effetti. Uno scrittore ci propone una terapia. Lo fa
anzitutto in quanto romanziere. Per scrivere un romanzo bisogna infatti essere capaci di assumersi una mezza dozzina di
conflitti e sentimenti contraddittori e opinioni, con lo stesso grado di
convinzione, veemenza ed empatia.
Amos Oz parte da
questo assunto di un suo celebre predecessore (l´inglese D. H. Lawrence), per cercare di applicare nella realtà quel che
si impone alla scrivania, quando sviluppa la trama di
un racconto e deve spartire non soltanto la sua fedeltà, ma persino i suoi
sentimenti fra i diversi personaggi che ha creato. L´esercizio letterario di mettersi nella pelle degli altri
lo aiuta nella sua vita di ebreo israeliano, lo
favorisce nell´immaginare come ci si sente a essere un
palestinese sradicato, gli consente di immedesimarsi in un arabo palestinese cui
degli «alieni di un altro pianeta» hanno portato via la terra natale. E come ci
si sente, prosegue Amos Oz, a
essere coloni israeliani in Cisgiordania. Vedere il
punto di vista degli altri, chiunque essi siano, analizzarlo,
studiarlo, non significa giustificarlo. E ancor
meno abbracciarlo. Serve a contenere il fanatismo. Anche
quando si ha ragione al cento per cento; e l´altro ha
torto al cento per cento; anche in quel momento è utile immaginare l´altro. In dimensioni e tempi diversi, e nell´incertezza della cronaca quotidiana, legata alle
fragili verità del momento, anche chi tratta l´attualità, e la commenta, dovrebbe applicare la cura suggerita da Amos Oz. Serve a diluire il fanatismo congenito.
Oz ha illustrato la sua cura in una serie di interventi all´Università di
Tubinga, in Germania, adesso reperibili grazie a un
volumetto (edito da Feltrinelli, con la traduzione di Elena Lowenthal), che dovremmo tenere a portata di mano, non come
un breviario, piuttosto come un calmante, un betabloccante, in questa stagione in cui il fanatismo
imperversa. E accende, moltiplica le angosce
individuali e collettive. Del resto l´autore non
nasconde la tentazione di fare delle pillole, sì proprio
pasticche, fabbricate con ingredienti letterari. Alcune opere di grandi
scrittori possono in una certa misura aiutare, se non proprio guarire. A suo
avviso Shakespeare può fare molto. Ogni forma di
fanatismo, per lui, si conclude in una tragedia o in
una farsa. Il fanatico non è mai più felice o più premiato, alla fine muore o
diventa una burla.
Anche Gogol può dissuadere i fanatici. Ci
insegna che il naso, il nostro naso, può diventare un´ossessione, e spingere a dargli la caccia come a un
nemico acerrimo. Lo stesso Kafka, pur non avendo in sé
un potenziale contro il fanatismo, dimostra che c´è
buio e c´è mistero e c´è
scherno anche quando siamo convinti di non aver fatto nulla di male. E di essere nel giusto.
Alle situazioni shakespeariane bisogna preferire quelle cechoviane: nelle prime tutto si conclude con la scena zeppa di cadaveri: nelle seconde con
personaggi scontenti, perplessi, ma vivi. Così nella vita i compromessi, non i
cedimenti ma il reciproco sofferto rispetto dei diritti, non garantisce la piena soddisfazione, né indiscutibili vittorie,
ma consente la convivenza.
Ossia la vita. La quale è un fine, e non un mezzo come pensano i
fanatici.
L´essenza del fanatismo sta nel desiderio
di costringere gli altri a cambiare. Per bin Laden l´Islam è stato infiacchito
dai «valori americani», è stato frustrato e sfruttato dall´Occidente, e nel suo fanatismo vuole adesso punirlo e a
suo modo convertirlo. Ed egli va combattuto, anche con
le armi, ma non con lo stesso spirito, con lo stesso fanatismo. Il quale è spesso legato alla disperazione e all´umiliazione, come all´arroganza generata dalla potenza. All´emergenza delle armi, rivolte contro i bin Laden, vanno affiancate iniziative tese a ridurre le cause della
disperazione e dell´umiliazione. Non nei confronti
degli estremisti, ma in favore dei moderati. I primi imperversano sulle piazze e
spargono sangue; i secondi stanno in silenzio dietro le imposte chiuse a
mordersi le unghie, incalzati, tentati dall´odio
attizzato dagli assassini. Perché quello rischia di
essere per loro il solo segnale
I moderati sono la stragrande maggioranza nel
mondo arabo. Le masse non si sono mosse nel Maghreb,
in Egitto, in Giordania, per appoggiare i fondamentalisti. Ma Cnn e le altre
televisioni mostrano soltanto coloro che uccidono. I
moderati non fanno notizia. Eppure soltanto loro
possono vincere e spegnere il fanatismo. Trascurandoli si corre il pericolo di
rimanere prigionieri dell´orrore, della paura che
suscitano gli altri, e di reagire alle sciagurate azioni di cui si rendono
colpevoli, con uno spirito che assomiglia al loro fanatismo. Sia pure con
accenti occidentali. La cura suggerita del romanziere israeliano, rimasto immune
dai fanatismi tra i quali è cresciuto, è semplicemente la ragione. Non va
confusa con la predica del buon pastore in tempo di guerra