E D I T 0 R I A L E del n° 19
dicembre
2001
Scriviamo questo editoriale ai
primi di novembre del
1. Lo scenario, interno e internazionale, materiale e culturale
(ma sarebbe meglio dire «spirituale», data la profondità soggettiva del
disorientamento diffuso) che la sinistra italiana è chiamata ad interpretare ed
entro cui è chiamata ad agire, è caratterizzato da tre eventi. In ordine
cronologico: la vittoria elettorale di «questa» destra (in Italia); la crescita
del movimento anti‑global (in
Occidente) con l'epilogo genovese che l'ha consacrato come fenomeno politico di
prima grandezza nel panorama internazionale; l'»attacco all'America» (evento di
portata globale per eccellenza). Tra questi tre avvenimenti c'è un crescendo di
rilevanza e di scala. C'è anche un nesso? Apparentemente no. Ma a ben guardare,
essi possono essere letti nel loro insieme in relazione al problema della
democrazia e delle sue trasformazioni.
L'ipotesi interpretativa che proponiamo si riassume pertanto
nella domanda seguente: come questa sequenza
di eventi ha Influenzato, ed è destinata vieppiù ad influenzare, lo stato della
democrazia in Italia e in Occidente?
2. Un processo d'involuzione
democratica è in corso da una generazione, nell'alternanza di trasformazioni
molecolari e di strappi. E’ iniziato silenziosamente con la «rivoluzione
conservatrice» degli anni '70‑'80, con caratteristiche sia di spontaneità
(ristrutturazioní produttive ecc.) che di consapevolezza (per es. il rapporto
sulla democrazia della Commissione
Trilaterale). Negli Usa, nel Regno Unito e in Europa tale processo ha prodotto
coalizioni vincenti e ha permeato dei suoi temi, indirizzi e valori – eversivi
del precedente modello di civilizzazione democratica ‑ le politiche
pubbliche (incentrate sul welfare) sia
dei governi conservatorí sia delle socialdemocrazie. Tale processo di
trasformazione si è intensificato con la caduta dell'Urss e il tracollo del
socialismo reale. L'Urss, al di là d'ogni discorso sulla sua natura autoritaria,
per la sua stessa esistenza ha determinato una situazione che ha favorito, in
Occidente, l'instaurarsi di un compromesso avanzato tra democrazia e
capitalismo. La dialettica tra l'Urss e l'Occidente implicava sì una netta
demarcazione delle aree d'influenza, ma anche la necessità di soddisfare, in
Occidente, domande di benessere e di partecipazione e ha consentito il
diffondersi ad Ovest di «elementi di socialismo». Il carattere della democrazia
occidentale non è stato, beninteso, meramente octroyé: sarebbe errato sottovalutare i conflitti (la lotta di
classe) che hanno avuto corso al suo interno. In ogni caso, la dissoluzione del
sistema del socialismo reale ha ridefinito drasticamente il quadro storico dei
vincoli e delle opportunità ed ha accentuato le difficoltà per la sinistra sociale
in Europa e nel mondo. Lo stesso capitalismo tende a smarrire le differenze
interne che l'avevano caratterizzato (il modello anglosassone a fronte di
quello renano, socialmente più avanzato) e a convergere verso il primo (con la
piena adesione dei leader della
sinistra europea). E in questo sviluppo che si incastonano gli eventi di cui
sopra.
3. Una reazione alla chiusura degli orizzonti democratici,
nonché un'occasione per rimescolare le carte, può ritenersi il movimento
antiglobalizzazione. Da Seattle a Genova il crescendo è stato impressionante e
ha riprodotto lo schema classico dei movimenti sociali statu nascenti: nascita di piccoli gruppi, fusione attraverso la
lotta, allargamento del target della contestazione, radicalizzazione degli
stili di lotta, repressione, sperimentazione di nuove forme d'azione
collettiva, contraddizioni interne, dilemmi tattici, ecc. Si tratta di una
galassia di gruppi in continua trasformazione, capaci di coalizzarsi benché
portatori d'istanze diverse e mutevoli: ora una reazione apparentemente
conservatrice alla modernità della globalizzazíone, ora un allarme per il
rapido declino dell'equilibrio naturale, della diversità culturale, della
certezza del lavoro; ora infine una risposta all'arrogante vacuità di vertici
come il G8, alle pretese della tecnocrazia del Wto, alle iniziative di
organismi sovranazionali che da un lato tendono ad accentuare i processi di deregulation, mentre dall'altro
s'ingegnano a introdurre nuove ferree gerarchie regolatíve e accentratrici a
livello mondiale. Si è sviluppata una dinamica incrementale tendente ad
assumere lo statuto virtuoso di profezia che si autoadempie tipico d'altre fasi
storiche progressive. La successione di eventi sviluppatísi intorno al
movimento è stata tale da ridefinire di fatto e in prospettiva l'agenda
politica dei governi e delle organizzazioni internazionali e da rimettere in
moto una situazione stagnante: col movimento no global si è forse aperto un confronto planetario, si autorizza
una speranza, si squarcia la cappa di conformismo e di disperazione politica,
si inducono nervosismo nella destra e ripensamenti nella sinistra. I governi e
le oligarchie di partito sono costretti a prendere posizione su problemi finora
oggetto solo di decisioni acritiche o di non decisioni. Nella società riprende
lena quella accumulazione di risorse organizzative e culturali (politiche in
senso lato) dalla cui mobilitazione dipende la possibilità stessa della lotta
democratica, in assenza delle quali i deboli sono masse disperse destinate alla
passività e al conformismo e non soggetto collettivo. Con il movimento di
Seattle risorge insomma, se non una certezza, una possibilità, che diventa essa
stessa una risorsa e che facilita, entro certi limiti, una nuova scelta di
campo.
5. E’ in corso sul Piano
mondiale un processo di «militarizzazione della
democrazia»? La terza guerra combattuta dagli Usa negli ultimi dieci anni ‑
è ormai un luogo comune ‑ ha già prodotto e produrrà
modifiche enormi negli assetti geopolitici mondiali,
molto probabilmente nel segno di una maggiore instabilità; ma potrebbe anche
avere altre conseguenze, come la fine, per molti anni a venire, della
possibilità di proporre in modo credibile la democrazia occidentale come
modello ad alcune centinaia di milioni, se non a miliardi, di persone. La
guerra attuale non è nata come una scontro di civiltà,
ma la possibilità che lo diventi cresce di giorno in giorno. Ma
soprattutto, nel corso dei suoi sviluppi ci sarà molto spazio per chi tenterà
di ridurre ulteriormente la democrazia nel cuore stesso dell'Occidente
svuotandola dei suoi contenuti e valori. In un mondo globalizzato
‑ in cui i «veri» grossi problemi saranno il mantenimento dell'ordine
pubblico mondiale, lo sviluppo e il controllo delle tecnologie, la compatibiIità ambientale della dinamica
produttiva e demografica, il controllo paternalistico delle masse (ma forse,
purtroppo, sarebbe meglio dire dalle moltitudini) ‑ il rischio è che si
vada sempre più verso un governo dei guardiani: militari, preti, scienziati,
giornalisti proni al potere, economisti e giuristi e quant'altro.
La guerra potrebbe fungere da catalizzatore ideale dí
questa trasformazione regressiva spingendo la democrazia verso una qualche
variante del «modello Singapore».
6. E nostra opinione che nel caso della democrazia italiana
alcuni processi degenerativi, già attivi in precedenza, abbiano accelerato il
loro corso negli ultimi mesi. E presto per dire se ancora una volta, come
ottant'anni fa, il nostro paese stia indicando un percorso che altri potrebbero
trovare vantaggioso seguire. Ma alcuni segnali sono presenti e inquietanti. Nel
corso degli anni '90 la normalizzazione dell'»anomalia» italiana si è espressa
attraverso la travagliata formazione di due schieramenti contrapposti. Da un
lato, si è faticosamente assemblata una coalizione modernizzante di centro‑sinistra
al cui interno convivono (non senza tensioni) tecnocrati, eurocrati,
cattolicesimo progressista, la nomenklatura
dei vecchi partiti, settori della magistratura, una parte della cultura e
delle nuove professioni e una parte dell'imprenditoria apparentemente
interessata a emanciparsi dai vecchi vizi corporativi e protezionistici (in
realtà ben presto rientrata nei ranghi). Dall'altro, ha preso forma un cartello
liberal‑populista che, all'insegna della spartizione della Repubblica, è
riuscito a combinare dichiarazioni edificanti dell'integralismo religioso e
comportamenti sulfurei del cattolicesimo affaristico, pulsioni del neonazionalismo
autoritario e vaneggiamenti del localismo xenofobo, interessi imprenditoriali e
professionali insofferenti d'ogni vincolo regolativo (ma al tempo stessa avidi
di sostegni governativi) e le istanze dei poteri illegali desiderosi d'aver
mano libera nel saccheggio dello stato. Senza troppi veli, il berlusconismo
trionfante, che pure paradossalmente ha ottenuto un decisivo sostegno
elettorale da parte di alcuni dei segmenti più deboli della società italiana
(pensionati, casalinghe, disoccupati), si presenta come una coalizione
dístributiva vincente d'interessi a breve saldamente radicata nella particolare
composizione demografica, sociale e culturale della società italiana.
7. Al di là delle differenze (che permangono, sia pure sempre
più al margine) e delle idiosincrasie culturali e antropologiche che lo
dividono, il ceto politico espresso dai due schieramenti è accomunato dalla
presunzione di rappresentare, nel suo insieme, l'intero universo politico
«reale». Conseguentemente, tende non solo a privare di un'autonoma
rappresentanza politica, e di spazi d'iniziativa autonoma, i non politicamente
allineati e i vinti della modernizzazione, ma soprattutto, tende a identificare
sé stesso, direttamente, come il portatore di ogni cultura politica «utile». Mai
s'era visto un ceto politico qualificare se stesso, con tanta arroganza, come
metro e sigillo d'ogni sapere e potere socialmente rilevante e legittimo.
Antipolitica tecnocratica e antipolitica populistica sono le due alternative
speculari che cercano (e in non piccola parte trovano) una ratifica sul piano
istituzionale e costituzionale. Dobbiamo insistere, malauguratamente, sul
carattere intrinsecamente restauratore non solo del blocco dominante, ma anche
della sua alternativa di «centro‑sinistra»: legittimazione del lobbismo,
leaderismo mediatico, insofferenza del pensiero critico, tendenza a chiudere le
alternative in forma istituzionale ' adesione non problematizzata al pensiero
unico, denuncia della Costituzione, propensioni referendarie, controllo ferreo
dell'informazione enfasi sui diritti di proprietà a scapito dei diritti
sociali, oppressione morbida del dissenso e, soprattutto, allineamento della
politica estera sulle posizioni più oltranziste dell'Atlantismo (con un po' di
retorica umanitaria come contorno) sono i tratti e gli stili di governo verso
cui converge con sempre meno remore la cultura politica dell'establishment, di
destra e di sinistra.
8. Questa sindrome
degenerativa della democrazia coinvolge diversi piani che andrebbero puntualmente
indagati. In attesa bastino poche considerazioni
schematiche.
Colpisce anzitutto la deriva del dibattito politico ai suoi
massimi livelli. Il parlamento è sempre più espropriato della sua funzione di
luogo in cui culmina il processo deliberativo democratico, di perno del governo
attraverso la discussione. L'unico dissenso che vi si esprime è quello interno
alla «piccola politica», di corridoio e d'intrigo, e non quello sulle grandi
questioni quali la guerra. Nell'ultimo decennio ben tre guerre hanno scandito
il processo di omologazione tra destra e sinistra. La guerra è stata assunta da
entrambi gli schieramenti come mezzo legittimo di prolungamento della politica
estera (e interna), in spregio del principio costituzionale secondo cui
«L'Italia ripudia la guerra ( ... ) come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali». Ma già in precedenza, le leggi elettorali e
9. Quest'abdicazione della politica ai massimi livelli trova
puntuale riscontro nella deriva della sfera del pubblico, in particolare nel
sistema dei media e negli intellettuali. Sul terreno della battaglia delle
idee, la «libera stampa» ha trivialmente assecondato, con poche eccezioni,
tutte le chiusure regressive, facendo quotidianamente eco alla omologazione
politica e coscienziale di cui sopra, volgarizzando enfaticamente il pensiero
unico e i temi di una modernizzazione sproblematizzata, che confonde mezzi e
valori, attizzando psicosi d'allarme sociale e attrezzando le retoriche
convenzionali di tutte le guerre e di tutte le chiamate a raccolta contro il
nemico e contro i disfattisti. Oggi prevale nel suo messaggio la coazione a
schierarsi: chi non è con noi è contro di noi perché è con gli «altri». Tra
Zeloti (che predicano la forza delle armi) o Esseni (che confidano nel messia
della globalizzazione dispensatrice di benessere) non vi è posto. Chi non ci
sta, of course, è libero di dissentire ma anche avvertito: la reazione dell'establishment sarà morbida, ma non
senza conseguenze nei rapporti personali, professionali, politici ecc. E gli
intellettuali perlopiù si allineano, pur tra cavillosi distinguo: Right or wrong, my country. Tradimento e
nicodemismo degli intellettuali sono le due componenti essenziali del nuovo
scenario. E anche questo non è una novità.
10. Inutile illudersi che la situazione si risolva da sé. t
arduo sperare che altri paesi vedano in Berlusconi un esempio negativo da cui
prender le distanze, a causa della sua personale anomalia. Fortissime sono le
sollecitazioni ad accoglierlo (magari con qualche sorriso di sufficienza per le
sue incontenibili gaffes) nel
consesso europeo e mondiale. Così com'è inutile sperare che il basso profilo
intellettuale e morale di un governo nato per gli affari e chiamato
inopinatamente a misurarsi con sfide epocali che non aveva messo in conto
risolva da sé, catastroficamente, i problemi della sinistra. E' vero che le età
critiche richiedono leadership all'altezza,
ma una classe politica di quisling e
di ascari non ha al suo interno i centri di comando e non ha bisogno di una
grande visione politica. Anzi, la situazione è eccellente: la guerra fornisce
un'occasione irripetibile per legittimare e accentuare il carattere coperto e
discrezionale della politica interna. t quanto è accaduto di recente per
provvedimenti suscettibili di modificare strutturalmente il quadro dei vincoli
dell'azione pubblica e privata (rogatorie, falso in bilancio, eliminazione
della tassa di successione e sulle donazioni, condono per i capitali
illegalmente esportati, Scuola, libro bianco Maroni). Resta sullo sfondo
l'incognita della situazione economica e delle sue prospettive, che potrebbero
incrinare in futuro il consenso al blocco di destra. Ma è bene non illudersi
sulla possibilità che questo governo cada «per inadeguatezza», tanto più in
presenza di questa opposizione, che,
dopo aver propiziato con le sue beghe A successo elettorale di Berlusconi,
oscilla tra esibizioni di dissenso incuranti di coinvolgere la cittadinanza e
acquiescenze bipartisan che anch'esse
bellamente ignorano gli umori della pubblica opinione (per metà avversa, come
in molti altri paesi europei, alla guerra afghana).