Dicembre 2001: “Vogliamo parlare, vogliamo dire la nostra”questo urlano alcuni studenti nel corso degli Stati generali, chiedono la parola, viene loro negata…il commento del Ministro Letizia Moratti “Anche questa è democrazia”
Aprile 2002: in un
opuscoletto stampato e inviato a tutte le famiglie il Ministro Letizia Moratti
scrive: “Mi sembra utile istaurare con voi – studenti, genitori e docenti
- un filo diretto di comunicazione e di dialogo”
Non era più
semplice (e più economico) coinvolgere sin da subito tutti noi nella
realizzazione di quella legge? Non bastava dare la parola a chi la
chiedeva?
Il
provvedimento del governo Berlusconi per cambiare la scuola italiana sta tutto
in una decina di fogli, la Legge delega approvata dal Consiglio dei ministri il
14 marzo 2002. Recentemente il ministro Letizia Moratti ha inviato un
opuscoletto a studenti, genitori, insegnanti un opuscoletto allo scopo di (come
si legge nella seconda di copertina) rendere una doverosa informazione a
tutti i soggetti coinvolti. Un probabile rimorso di coscienza visto che nello
scrivere questo testo di legge non hanno consultato nessuno né hanno pensato di
approntare un confronto con gli studenti, gli insegnanti o le
famiglie.
Anostro
giudizio, infatti, la prova più
evidente dell’assoluta mancanza di volontà a confrontarsi sta nella scelta del
governo di cambiare la scuola tramite una legge delega.
Ma che cos’è una
legge delega?
Nel
nostro paese l’organo deputato a emanare leggi è il Parlamento: perciò occorre
che sia la Camera chee il Senato approvino lo stesso testo, perché questo
acquisti la forza e il valore di legge. L’art. 76 della Costituzione proclama
“L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se
non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo
limitato e per oggetti definiti”. Questo
significa che il Governo predispone un testo di legge (detto appunto
delega) dove espone sommariamente i principi attraverso i quali
successivamente emanerà tutta una
serie di
provvedimenti per regolare una determinata materia: Il Parlamento, dunque,
analizza e vota solo quella legge.
Nel nostro caso
la Moratti, e tutto il Governo, hanno predisposto un testo di legge sulle
questioni principali di riforma della scuola e chiedono al Parlamento di essere
delegati a emanare decreti legislativi per la definizione di tutto il
resto(art.1 comma 1
della legge delega). In tal modo non c’è confronto parlamentare: la riforma
della scuola, che avrebbe bisogno del coinvolgimento di studenti e insegnanti, e
in generale di tutto il paese, la scrivono solo Berlusconi e la Moratti. Lo si
legge chiaramente al comma 1 dell’art.2: i decreti del governo definiscono il
sistema educativo e d’istruzione, secondo i criteri direttivi contenuti nella
legge.
Altro che doverosa
informazione!
Che scuola
sarà?
All’art.2 comma 1 lettera “e” della legge delega si legge:
il
sistema educativo di istruzione e di formazione si articola nella scuola
dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola
secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei
licei ed il sistema dell’istruzione e della formazione
professionale.
Tutto come prima
dunque? In effetti qualcosina cambia, come la scomparsa dell’obbligo scolastico
sino a quindici anni introdotto qualche anno fa: una scelta importantissima per
un ragazzo (tra scuola e formazione professionale) avviene infatti a 14 anni.
Anche se vale sempre lo stesso ragionamento: trattasi di legge delega, per cui i
contenuti della nuova scuola (cosa s’insegna, come s’insegna,…)verranno
stabilite successivamente ed esclusivamente dal ministro.
Analizziamo comunque i vari articoli.
Senz’ombra di dubbio uno degli
aspetti più inquietanti di questo D.d.L è che, con un’impostazione vecchia di
decenni, vorrebbe rispondere alle innovazioni intervenute nel mondo del lavoro e
nella società con un modello estremamente rigido. Questo rigido schematismo
ricalca piuttosto chiaramente gli obiettivi della riforma
Gentile.
Le
analogie sono evidenti ma ciò che più preoccupa è che queste similitudini
maturino a distanza di quasi 70 anni dal varo di quella riforma e quindi in una
situazione sociale radicalmente diversa, infatti, mentre prima la cultura era
volutamente un elemento di discriminazione, oggi al contrario dovrebbe aver un
valore integrativo, valenza che questa riforma nega riportando l’istruzione ad
essere mero ingranaggio per l’arricchimento e lo sviluppo del sistema
produttivo, ed è proprio alla luce di queste ultime considerazioni che il
progetto delle Destre appare nella sua interezza ancor più devastante di quello
gentiliano perché, di fatto, imbriglia i saperi in una logica di funzionalità al
sistema neoliberista. Quindi rispetto ad un tema fondamentale come quello della
fruibilità dei saperi cosa è possibile fare? Senza dubbio, oltre a bloccare sul
nascere questa volontà “restauratrice”, è opinione largamente diffusa che sia
necessario mettere mano ai programmi dei nostri istituti e rinunciare
progressivamente al tradizionale modello nozionistico-informativo per passare
progressivamente a quello formativo. Questo certo non vuol dire depotenziare il
sistema d’istruzione ma arricchirlo con nuovi sistemi che tengano realmente al
centro della propria elaborazione l’individuo nella sua interezza. Vogliamo in
linea con i tempi e le esigenze della nostra società, governare il nostro
processo formativo, progettarlo, gestirlo e aver la possibilità di concorrere
alla formazione con un insieme eterogeneo di esperienze : l’alternanza scuola
lavoro da questo punto di vista appare uno dei modelli più efficaci. Tutto
questo si pone in antitesi rispetto alla volontà di controriformare la scuola
che il centro destra ha da poco tramutato in delega. Ciò che donna Letizia farà
approvare nei prossimi mesi è un modello che divide forzosamente due ambiti : da
una parte l’astrattismo nozionistico dei licei, dall’altra il becero pragmatismo
dei professionali tutto questo assieme alla canalizzazione precoce nega tutte le
teorie psicopedagogiche degli ultimi 50 anni… un salto di qualità!!
Scuola dell’infanzia dura 3 anni |
Tutti i bambini e le bambine possono iscriversi già a
partire dai due anni e mezzo |
NON E’ OBBLIGATORIA, la maggior parte sono scuole private (cattoliche)
quindi non viene garantito un effettivo pluralismo culturale come invece
recita la lettera e dell’art.2 della legge
delega | ||
Primo ciclo
Scuola primaria
dura 5 anni |
L’iscrizione è obbligatoria al compimento del
6
anno ma è data facoltà di iscriversi già
a partire dai 5 anni e
mezzo |
La programmazione didattica avviene tramite la
divisione del percorso di studi in due bienni e in un primo anno teso al
raggiungimento delle strumentalità di base (lettera f
art.2) | ||
Primo ciclo
Scuola secondaria
Di primo grado
Dura 3 anni |
Iscritti a 11
anni |
NB:
l’ultimo anno è definito di orientamento. Non si capisce cosa vuol
dire ma il testo della commissione Bertagna prevedeva una cosa assai
simile: assicurare alle famiglie la possibilità di scegliere come
utilizzare parte del monte ore (circa un terzo) annuale per il proprio
figlio. Si tratterebbe di cominciare a studiare le materie più affini al
proprio percorso di studio futuro…una vera e propria canalizzazione
precoce, saremo obbligati a scegliere all’età di 13
anni | ||
ESAME DI STATO A CHIUSURA DEL NUOVO
CICLO | ||||
14 anni
Secondo ciclo
Scelta
fra
| ||||
ESAME DI
STATO |
E’
evidente come il sistema progettato fin qui sia fortemente autoritario: impone
la scelta a 14 anni, come invece da più parti si avverte l’esigenza di fare in
modo che TUTTI passino qualche anno in più a scuola. Inoltre l’idea di lasciare
tutto come prima (cioè con elementari, medie,…) è un segnale chiaro: lasciare
tutto così com’è adesso, fare in modo che nulla cambi.
VALUTAZIONE O AZIENDALIZZAZIONE
L’art.3
della legge delega disciplina la valutazione degli apprendimenti e della qualità del sistema educativo
di istruzione e di formazione: si tratta di
una questione assai delicata perché disciplina una pratica nuova per le scuole,
quelle della valutazione; pratica divenuta sempre più un esigenza all’indomani
dell’autonomia scolastica. Anche noi abbiamo infatti sempre sostenuto l’esigenza
di individuare delle forme di valutazione e di controllo del sistema scolastico,
questo per evitare, proprio con l’avvento dell’autonomia scolastica, una
differenziazione tra scuole dell’offerta formativa, con picchi di eccellenza in
alcuni (rari) casi e inaccettabili carenze negli altri. Per noi valutazione
vuole dire proprio questo, uno strumento di sostegno alle scuole, di raccordo
fra varie esperienze. Purtroppo il testo di legge parla di tutt’altro. Si
afferma un principio (art.3 comma 1
lettere a, b) secondo il quale ai docenti delle
singole classi spetta la titolarità della valutazione degli alunni, mentre
l’Istituto
nazionale di valutazione avrebbe il compito di effettuare verifiche periodiche
tanto sulle conoscenze e le abilità degli studenti tanto sull’offerta formativa
delle istituzioni scolastiche. Anche il
Ministro nel suo opuscoletto tiene a precisare: la valutazione degli studenti è
compito dei docenti, l’Istituto nazionale di valutazione svolge un’altra
funzione…anche per questo all’art.3 comma 1 lettera b si enuncia in funzione
dei predetti compiti vengono rideterminate le funzioni e la struttura del
predetto istituto (inutile dire che noi non sappiamo come queste verranno
modificate, visto che sarà cura esclusiva del ministero). Ma a questo
punto è lecito chiedersi: a che serve questa valutazione alternativa? E’ presto
detto: a pagina 19 dell’opuscoletto si legge che l’istituto renderà noti i
risultati delle attività delle scuole. Quindi ogni
scuola avrà una sorta di pagella, un voto che la contraddistinguerà dalle altre.
In tal modo le famiglie potranno scegliere la scuola migliore per i propri figli
e queste ultime potranno dare una ritoccattina alle loro tasse, perché si sa: se
vuoi il meglio devi pagare. Altro che sostegno
alle scuole, altro che omogeneità dell’offerta formativa! Altra bella novità
dell’art.3 è il contenuto della lettera c al comma 1: gli esami di stato. Non la
novità non sono loro, piuttosto possiamo fare qualche previsione anche sulla
scorta di quanto si afferma nell’opuscoletto. La riforma dovrebbe consistere
nell’affidare le prime due prove alle commissioni, perciò ai prof interni con la
modifica introdotta quest’anno, e la terza prova al sistema nazionale di
valutazione. Che considerazioni trarne? Beh, la prima cosa che ci viene in mente
è il favore fatto alle private: già quest’anno è stato statisticamente
dimostrato che un ragazzo, andato via dalla scuola pubblica perché collezionava
solo grava insufficienze, si vede promosso all’esame di Stato in una scuola
privata con il massimo dei voti! Non è chiaramente contro il nostro amico che ce
la prendiamo: chissà quanto sarà costato e il Ministro non vuole fare altro che
alimentare simili mercati di diplomi.Putroppo il progetto del Ministro è però
più vasto: abolire il valore legale del titolo di studio…MA QUESTA E’ UN'ALTRA
STORIA.
Mobilitiamoci
contro il disegno morattiano,
L I B E R I A M
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