Roma
- Non piace ad An e nemmeno all'Udc la proposta di legge sul divorzio veloce
presentata in Parlamento dai Ds. E i due partiti di governo bacchettano anche
il ministro delle Pari opportunità Stefania Prestigiacomo che ieri ha
pubblicamente convenuto sulla necessità di riammodernare norme nate nel 1970
e ormai inadeguate. Al centro della polemica c'è il progetto di legge - prima
firmataria la deputata diessina Elena Montecchi - che la Camera
dovrebbe affrontare a settembre, alla ripresa dei lavori.
Una riforma snella che consta di due soli articoli ma largamente attesa da
migliaia di nuclei familiari in difficoltà. Il primo articolo del
provvedimento abbassa da tre a un anno il periodo che deve intercorre fra la
separazione della coppia e l'effettivo scioglimento del matrimonio. Ma di
pari importanza è l'articolo 2, quello che in sostanza prevede che «nel caso
di separazione personale, la comunione dei beni fra coniugi si scioglie nel
momento in cui, in sede di udienza, il presidente autorizza i coniugi a
vivere separati».
Il ministro Prestigiacomo si è detta favorevole a una revisione dei termini e
disponibile a un dialogo con l'opposizione per rendere quantomeno i certi i
tempi del divorzio, visto che l'interpretazione della normativa in vigore
consente che siano abbondantemente superate le tre annualità previste. Come
afferma la giurisprudenza, perchè sia proponibile il ricorso al divorzio la
sentenza di separazione deve essere infatti passata in giudicato. Il ministro
si è detta invece indisponibile a raccogliere «le provocazioni» dello
psichiatra Vittorino Andreoli che aveva messo sul tappeto una
proposta: vietare il divorzio fino a quando i figli nati dall'unione non
abbiano compiuto almeno tre anni.
La riforma della materia si impone anche a giudizio degli avvocati che,
insieme ai magistrati, erano già stati al centro di una dura reprimenda
papale. «Tre anni per divorziare sono troppi. Siamo il paese coi tempi
d'attesa più lunghi d'Europa», commentano i matrimonialisti Cesare Rimini
e Anna Maria Bernardini De Pace, ricordando che le conciliazioni sono
irrisorie e che il prolungarsi del contenzioso determina una sequela di
ingiustizie economiche e sociali.
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