La Riforma Moratti
2.1.
Continuare
a dire che quella della signora Moratti sia una riforma è ridicolo. C’è il
fondato sospetto che si sia ispirata a qualcosa di ottocentesco e c’è anche una
persona reale a cui fare riferimento: il conte Camillo Benso di Cavour. Sulla
rivista che aveva fondato e dirigeva,
“Il Risorgimento”, il grande
piemontese in un suo articolo parlò anche di scuola. Egli diceva che la scuola
aveva un ruolo fondamentale nella costruzione dell’Italia ma che bisognava far
sì che accanto agli studi umanistici, propri della nostra tradizione, si
ponesse attenzione, egli ammoniva, anche agli studi tecnici e professionali.
Fin qui siamo all’essenza della “filosofia berlingueriana”. Ma attenzione, è
solo un tranello: nel corso dell’articolo viene fuori che la sua posizione è
quella che è: infatti dice che c’è bisogno di due scuole, una di tipo
letterario per i futuri dirigenti, e l’altra professionale e tecnica per le
classi umili e incolte. Quindi: la Moratti attinge direttamente a questa
tradizione. Ora ci chiediamo: è mai possibile? È successo qualcosa in questi
ultimi centocinquant’anni che qualcuno ignora?
O fa finta. C’è stata la rivoluzione dei media, è nata l’era del
computer, poi di internet. Ma la scuola non se ne accorge. C’è chi mette da
parte tutto questo e parla alla quasi metà semianalfabeta degli italiani
secondo la storiella in voga negli anni sessanta, la quale diceva: i più intelligenti vanno al liceo classico,
quelli un po’ meno allo scientifico, i sufficienti al magistrale, i mediocri
all’istituto tecnico, e tutto lo scarto alle scuole professionali. Si è mai
visto il figlio di un medico al professionale? Ma che, nascono tutti
intelligenti i figli dei dottori?
Più
semplicemente è tutta una questione più subdola e che non si ha il coraggio di
annunciare: questa scuola è fatta per pochi, per chi può permettersela, anche
culturalmente. Del resto ce ne freghiamo, allegramente.
2.2
C’è
poi tutto un discorso mai fatto, o fatto poco o fatto male, su quello che la
scuola potrebbe o dovrebbe essere in una società. C’è stato un certo John Dewey
(1859-1952) che ha detto, tra le altre cose, che la scuola è un’istituzione
sociale, insomma, una delle forme principali per l’attuazione della democrazia.
Se ci
si pensa viene un dubbio: ma si sta parlando della stessa cosa. Scuola?
Democrazia? Certo che ognuno può vederla dalla sua angolazione. E infatti, Moratti
e staff, non si fanno pregare su questo. Per prima cosa la Moratti ha bloccato
la riforma di Berlinguer, era un suo diritto e doveva farlo pure in fretta
perché altrimenti sarebbe partita. Poi ha fatto altre cosette: per le scuole
paritarie (private) in virtù della legge 60/00 istituita dal centro-sinistra
(ben gli sta!) ha portato i finanziamenti da 179 milioni di Euro nel 2000 a 420 e poi a 500 nel 2002. Come dire un
piccolo aumento del 134%. Poi non contenta ha fatto uno sconto fiscale per 90
milioni di Euro per tre anni sotto forma di credito di imposta per le famiglie
che si serviranno delle scuole private. E anche questo è un suo diritto? Beh,
no, non ci siamo. Questi sono soldi dei
cittadini e il ministro non può dirottarli dove vuole e nello steso tempo nelle
scuole statali tagliare i fondi a più non posso: tanto per fare un esempio, per
l’handicap gli insegnanti sono diminuiti dal 2001 al 2003 di mille unità.
Questo
non è corretto, non è questo il modo in cui si attua la democrazia. Nessun Ministro
può aiutare a sfasciare la scuola statale e aiutare a fasciare, erigere,
edificare la scuola privata. E se tutte e due sono pubbliche, il dovere del
Ministro è quello di aiutare la scuola
dove frequentano più studenti, tanto più che,
anche se è stato detto e stradetto, la Costituzione della Repubblica
Italiana, nell’articolo 33 recita così: La repubblica detta le norme
generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e
gradi. Enti o privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di
educazione, senza oneri per lo Stato. Perché la signora Moratti spende i soldi di tutti cittadini per fare qualcosa che la Costituzione
proibisce?
2.3
L’istruzione
e l’educazione sono o non sono un diritto? L’istruzione non è affatto, come
subdolamente ci vogliono far credere, un bene che sta sul mercato e che ognuno
“liberamente” si prende a seconda della
sua provenienza sociale, della sua cultura, della sua tasca.
In
mano all’attuale ministro e ai suoi consiglieri la scuola è un’azienda che produce merci: un poco di
titubanza e saremo spacciati.
Il
primo decreto attuativo per le scuole
dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione obbligatoria, approvato alla
fine del gennaio scorso, a scorrerlo in lungo e in largo, non dice nulla, ma
proprio nulla a proposito di integrazione degli alunni immigrati. Forse che in
Italia il problema non esiste? O si sta facendo un favore a qualcuno non
parlandone affatto. Ora diciamo la verità,
se uno ci mette dentro che la scuola dell’infanzia concorre, tra le altre cose, anche allo sviluppo morale e religioso del bambino, perché non
dovresti trovarci pure il rispetto
delle diversità? È un caso? Non è un caso?
Nella
legge precedente, quella che non è mai andata in porto, c’era un accenno seppure
fugace al rispetto delle diversità quando si parlava di scuola dell’infanzia;
ma poi, nel programma di attuazione della legge stessa, c’era tutto un
riprendere gli Orientamenti del 1991 che sono stati da tutti ritenuti quanto di
più avanzato e pedagogicamente corretto esistesse a livello teorico. Qualcuno
dirà, solo teorie. Beh, vero. Però, se non c’è neanche la teoria, può venire il
sospetto che queste quisquiglie siano una manciata di caramelle a Bossi e a
tutti quelli che la pensano come lui.
Stiamo
attenti, in questo modo la scuola non è più il luogo dove si valorizza la
cultura della solidarietà sociale e della coesione, dove avviene il confronto
di bisogni, interessi e visioni del mondo diversi e dove attraverso modalità
coopertaive si produce qualcosa di nuovo, una società capace di convivere
democraticamente. Ma sto delirando!
2.4
Che il
concetto di eguaglianza sia troppo di sinistra e non più di moda, è un fatto rilevato da più parti. Neanche la
sinistra moderata ne parla più, darebbe troppo fastidio evidentemente, non
sarebbe in linea con la linea generale. L’Eurispes ha calcolato che la scuola
italiana perde (perché abbandonano la scuola)
ogni anno 240 mila ragazzi. Se lo meritano, in fondo! Perché non sono nati in una famiglia bella, ricca e
istruita? (Mi dite perché? Per favore,
qualcuno mi dica perché!) Se lo avessero fatto
avrebbero potuto continuare a frequentare la scuola!
A
parte e finita l’isteria, apprendiamo che l’abbandono scolastico è più alto
nelle scuole professionali, l’8,9%. Ci avremmo scommesso. Neanche a dirlo e a
pensarlo. Abbandonano i più poveri, una novità assoluta, quelli che sono stati
già abbandonati, anche dalla signora Moratti. (Ma anche da quelli che sono
venuti prima di lei, in verità). Ma è mai possibile che si delegano sempre le
questioni più spinose? I tecnici e i professionali li diamo alle Regioni,
facendo passare la cosa come un’apertura. Pensate, la regione Campania, anche se governata dal centro-sinistra, è stata
quasi due anni bloccata perché non si presentavano in aula gli alleati della
Margherita per loro questioni interne di potere e di spartizione. Questo in
Campania, immaginiamo un po’ in altre parti del Sud.
Perché
la signora Moratti non delega alle Regioni il funzionamento del suo amato
“sistema dei licei”? E perché non si
interessa centralmente di salvare gli istituti tecnici e professionali dal
sicuro fallimento, quegli stessi istituti che perdono studenti in così gran
numero e quindi avrebbero bisogno di più aiuto? Già sento le risate, questo qui
non capisce proprio niente…
2.5
Se
nella riforma Moratti non si parla mai di libertà di insegnamento, è indicativo
di qualche cosa? Si dirà che è una svista, ma non lo è. Libertà è una parola
molto difficile: implica qualcosa che non si vede tanto facilmente in giro, nel
giro di quelli che stanno al governo. Praticamente e senza giri di parole, per
loro la libertà è fare un po’ quello che gli pare. Gli altri si arrangino, anzi
gli altri sono LIBERI di arrangiarsi. Nei testi della riforma si parla spesso
di “consapevolezza etica e morale”, ma non si capisce bene né a quale etica, né
a quale morale essi si riferiscono. È moralmente giusto ed eticamente positivo
fregarsene di chi è meno avvantaggiato? Del più povero? Di chi non ce la fa?
Un
esempio di come le parole assumano un significato a secondo di come le si usa?
La sperimentazione nella scuola: c’è un evidente conflitto di interessi con la
parola stessa. La legge sull’autonomia prevede spazi di ricerca e di
sperimentazione autonoma sia nella gestione didattica, sia nell’organizzazione
delle istituzioni scolastiche. Bene, non c’è un solo riferimento a questa
parola e a quello che ne consegue. Cosa significa? Prima di tutto una naturale
avversione verso tutto ciò che è sperimentale ed innovativo, praticamente verso l’essenza e la struttura
dell’essere vera scuola. Poi a pensarci tutto ritorna: loro non vogliono
affatto far progredire tutti, loro vogliono progredire in pochi.
Per
sottolineare, ribadire, ricordare la difficoltà sempre maggiore che incontrerà
chi vorrà ancora fare sperimentazione nella scuola, si può citare un punto alla fine del 1° decreto attuativo che
recita testualmente: “È abrogata ogni altra disposizione incompatibile con le
norme del presente decreto”. ( Intanto è una questione di norme). La domanda: è incompatibile
sperimentare e innovare?
Ma
poi, quand’anche si riuscisse a forzare le norme, sperimentare e innovare
implica un clima, un’atmosfera di fiducia perché i risultati sono sempre un
rischio: si sperimenta per provare, può andare anche male, ci vuole un
atteggiamento, una cooperazione, una “volontà” di rischiare. Ma è meglio
fermarsi…