La scuola: studenti  e docenti

 

1.1

Il professore è scoppiato. È un po’ un dato di fatto che il professore sia scoppiato. Negli anni scorsi, quando si chiedeva  una visita psicologica o di neuropsichiatria per un alunno, sia perché sembrava depresso o per  situazioni conflittuali, c’è sempre stato chi, tra i colleghi  e tra il personale sanitario, invocava una visita psicologica prima per l’insegnante che faceva la richiesta. “Ci vorrebbe una visita, ma per l’insegnante”.  Era quello che si sentiva. Bene,  ora ci siamo! È talmente scoppiato l’insegnante che ormai non sa più bene che cosa fare  per il presente e per il futuro, per sé e per gli altri.

Ha perso la bussola?

Forse sì, forse no.

Che gli insegnanti siano stressati  lo dice un semplice fatto. Tra gli impiegati sono la categoria in cui la percentuale, il 49,2%, è la più alta tra coloro che chiedono l’inidoneità alla professione per motivi psichiatrici. Beh, allora i conti tornano. O, non tornano affatto.

Le condizioni di lavoro degli insegnanti sono peggiorate. Lo IARD,  che è accreditato come ente formatore presso la Regione Lombardia e quindi non può essere tacciato di partigianeria, in una indagine svolta tra gli insegnanti di scuola elementare/media/superiore, dice che essi si sentono frustrati, non considerati, malpagati, depressi,  che hanno  attacchi di panico e fanno largo uso di psicofarmaci. Dopo questa sequenza  a voi che viene in mente? Una domandina semplice  semplice: mandereste i vostri figli a scuola da individui del genere,  o cerchereste  di iscriverli su un altro pianeta?

In pratica poi succede questo. Si parla male degli insegnanti, gli insegnati parlano male dei loro colleghi non accorgendosi che stanno parlando male di se stessi, e il malessere totale della categoria aumenta. Il circolo vizioso diventa una spirale negativa che attira nel suo vortice  buoni e  cattivi,  belli e  brutti, così la confusione diventa totale, non si capisce più nulla e proprio  per questo diventa ministro dell’Istruzione la signora Moratti.

Ma attenzione, non c’è problema. Infatti, c’è  già chi organizza corsi di formazione che applicano strategie e tecniche di prevenzione della sindrome del “burnout”  degli insegnanti. Sapendo che il burnout è, definizione:  una condizione individuale di affaticamento fisico ed emotivo che si esplica con apatia nei rapporti interpersonali, sentimento di frustrazione professionale e perdita di controllo degli impulsi, viene il dubbio che c’è ancora qualcosa che non va. Praticamente, a pensarci,  tutti gli insegnanti sono in condizione di burnout, e per essere efficace la cosa,  i corsi li dovrebbero fare preventivamente i diciottenni a cui passa per la testa che una volta nella vita potranno diventare insegnanti. È l’unica scelta, o lo fai allora o mai più. Dopo non serve, è troppo tardi.

 

 

1.2    

C’è chi dice che tutto sia iniziato con Berlinguer, non Enrico beninteso, ma con Luigi, il ministro della P.I. che voleva riformare per primo  la scuola italiana.

Cerchiamo di capire qualcosa. Berlinguer è stato ministro della pubblica istruzione a cominciare dal governo Prodi, quindi nel 1996. Ha cominciato subito con il dire che poiché fino ad allora la scuola italiana aveva avuto una serie di riforme,  anche serie ma sempre per scomparti e settori, la sua idea era quella di fare una riforma completa, per tutta la scuola italiana, una volta per tutte, una riforma organica, una riforma che mancava da quella di Gentile del 1923. ( Ora sentire Berlusconi che dice,  presentando la signora Moratti, che lei ha  fatto una riforma come quella di Gentile, non è offensivo, è stupido e insieme tragico. Intanto,  fa l’effetto di quei compagni di scuola che mentre stanno andando alla cattedra orecchiano per strada qualcosa e la ripetono appena aprono bocca. Solo che a scuola verrebbe spedito a posto, invece qui gli battono le mani, ma perché neanche sanno di che cosa sta parlando. E poi è tragico perché in parte è vero, infatti è stato lasciato tutto come prima, solo che nel frattempo sono passati ottant’anni). La riforma Gentile,  dunque. Nel 1923 la riforma aveva avuto una sua caratterizzazione idealistica tanto forte che la scuola italiana  se l’è portata  addosso per decenni (e forse ancora adesso…). Il discorso che Berlinguer  proponeva,  sembrava che fosse un poco spostato in avanti. La domanda centrale era: è mai possibile che ancora oggi la scuola italiana si  basi e si fondi solo su una cultura essenzialmente classica e umanistica?  O non sarebbe meglio, più adeguato ai tempi,  una scuola che si prefigga qualcosa di più completo? Conoscenze, saperi,  sì classici e umanistici, nella scia della tradizione, ma anche  conoscenze e competenze tecniche, tecnologiche e scientifiche? Non è più attuale tutto ciò? Naturalmente il dibattito era acceso, chi era d’accordo e chi meno, ma almeno c’era un’idea che sosteneva qualcosa e su cui c’era da discutere.

Si insediò la commissione dei “saggi”, ci furono infinite discussioni su come riformare i cicli, si pensò al sapere per il prossimo millennio ( eravamo a prima del  2000).

 

[C’è da dire che non si partiva da zero: basti ricordare l’istituzione della scuola media unica, i programmi della Scuola Media del 79, poi quelli della scuola elementare dell’85, poi gli ordinamenti della stessa scuola nel 90, i nuovi orientamenti della scuola dell’infanzia nel 91. Intanto c’erano  stati - in ordine sparso e non completo -   l’ introduzione della scuola materna statale, l’inserimento degli alunni handicappati, il tempo pieno, le classi aperte, gli organi collegiali, la sperimentazione per il biennio delle superiori.  Tutti questi pezzi di riforme e innovazioni, parziali quanto si vuole, avevano portato novità di  grande rilievo nella scuola italiana. La mettevano al passo con i tempi,  facevano si che la scuola dell’infanzia italiana venisse considerata la migliore scuola del mondo e la scuola elementare arrivasse tra i primi cinque posti del mondo per efficacia ed efficienza. E non è poco.]

 

Quando si legge la  riforma Moratti e si sente parlare il Ministro, viene spontanea  una domanda. Ma conosce tutto ciò? Che c’entra la Moratti con la scuola, c’è mai andata? Con il primo governo Berlusconi era presidente della Rai, doveva gestire qualcosa ed era più consona, ma la scuola? Forse veramente non è mai andata a scuola, erano i professori che andavano da lei, e questo un poco spiega la visione che ha. Perché dovrebbe riformare la scuola una persona che ha una percezione così ‘ricca’ delle cose? Chi già poteva scegliere la scuola che voleva? Quando poi interviene sull’argomento Berlusconi, lui che comprende di televisioni e di apparizioni, la miscela che i due combinano è completa. È una miscela esplosiva e dilaniante, per noi poveri esseri umani.

 

 

1.3

A che cosa serve la scuola?  Dati di ricerche, una denominata  PISA ( Programme for International Student Assessment), ma anche la semplice constatazione personale (se uno si ferma a pensare) ci dicono che non c’è stata nessuna democratizzazione del sapere.  Mai destino è stato così segnato fin dall’inizio: i figli degli operai e dei ceti popolari non riusciranno mai ad arrivare alla laurea.  E la scuola che ha fatto? Si è ritirata in buon’ordine,  ha attuato il suo suicidio.

[Caro don Milani,  nessuno è stato capace di onorarti, neanche un minimo. Tu dicevi che la scuola doveva essere la scuola dei poveri altrimenti non era nulla. Pensa un po’, noi abbiamo prodotto,  a poco più di trent’anni dalla tua morte, come Ministro una persona che con le tue idee non ha nulla da spartire: inaudito. Proprio lei che dice di voler aiutare gli altri non sa neanche chi sei, nel senso che non ha recepito il tuo messaggio.]

Un po’ di dati. Il 38% degli studenti di quindici anni non ha alcuna voglia di andare a scuola, e dichiara apertamente che non desidera altro che smetterla di frequentarla. I giovani,  che sono in pratica disgustati dalla scuola, avrebbero bisogno di un percorso formativo che li accompagni al lavoro, ma hanno alle spalle esperienze scolastiche disastrate, inserimento nell’ambiente scolastico difficile, convivenza con il sistema scolastico impossibile. ( È  sempre la ricerca che parla).

Qui sorge un problema ancora più grave. La maggioranza degli studenti hanno ammesso che si ribellano e che si mettono contro i progetti dei loro insegnanti perché non si sentono presi sul serio. Non vogliono, non capiscono, non accettano una relazione fatta solo di utilità e ‘funzione’ con i docenti: sono invece disponibili,  vorrebbero, pretendono una relazione  vera e profonda. E qui entra in gioco la dimensione affettiva: senza un tessuto di relazioni non c’è contatto e non c’è sapere vero nella scuola. (Del resto è anche vero il contrario, senza la finalizzazione del sapere, le relazioni si riducono a melassa inutile e dannosa).

Relazioni dunque e gestione delle stesse. La questione a questo punto non è seria ma diventa semplicemente drammatica.  Chi dovrebbero essere quelli  preparati alla gestione sana e corretta delle relazioni pedagogiche? Gli stessi insegnanti che, abbiamo visto,  sono ormai in burnout? Quelli stessi che odiano gli studenti?   Su questo punto c’è una casistica e una letteratura a dir poco spaventosa. L’insegnante cova un odio profondo per l’alunno, anche dei più piccoli, poiché vede in essi la misura del suo stare male e probabilmente scarica su di loro il suo fallimento sociale. (Si sentono gli appellativi più inutili e ingiuriosi verso gli alunni).

 

La Moratti che fa? Niente, lei dispone che i piccoli entrino  a due anni e mezzo nella scuola materna e a cinque anni e mezzo nelle scuole elementari: come dire, gli anticipa l’inferno.

N.B.  In tutte le indagini,  gli studenti attribuiscono ai docenti il ruolo centrale per quanto riguarda il loro piacere di studiare, la volontà e la capacità di imparare, la voglia di stare a scuola.

Pretendono un rapporto di fiducia con la scuola, con i docenti e invece  sentono che nessuno si occupa realmente di loro…loro che posseggono linguaggi diversissimi e creativi, si scontrano con i docenti, coi dirigenti e con il loro linguaggio stereotipato, codificato,  che serve (anche quando sembra innovativo) a sancire l’ordine del discorso, la pratica autorizzata dai vari sistemi di potere.

Pensate alla grande massa di pubblicazioni che sfornano il MIUR, gli Irre, gli uffici scolastici; pubblicazione di discorsi inutili, incredibili, una lunga fila di parole  senza senso, che nessuno legge, neanche chi li produce. Pensiamo a quale spreco di carta, di inchiostro, di tempo, di denaro pubblico,  perché tutte queste pubblicazioni nessuno le compra privatamente, le comprano le stesse istituzioni che le producono, un circolo vizioso e inconcepibile. Come le persone che le producono: assurdi.

 

 

1.4

Ma gli italiani perché sopportano tutto ciò, sono stupidi? È mai possibile che siamo diventati in poco tempo così insensati? Che cosa abbiamo fatto di male per meritarci tutto ciò? Una nazione può mai  fremere per le vicende del Grande Fratello?  Se poi nell’ultima versione,  nella casa in questione,  ci stanno un padre e una figlia insieme, e questi due, in pratica una famiglia, vanno in televisione a parlare di cose che dovrebbero essere tremendamente serie, a far finta di parlare; e se il padre  fa il cretino con le ragazze coetanee della figlia, cosa potremmo aspettarci di più?  È questa la famiglia tipo alla quale la Moratti vuole demandare l’educazione dei figli? La grande e sacra famiglia italiana, quella che secondo il ministro è alla base dell’educazione, della scelta della scuola, della cooperazione con l’istituzione. L’articolo 1 delle riforma Moratti, quello che parla delle finalità della Scuola dell’Infanzia, recita:

La scuola dell'infanzia, non obbligatoria e di durata triennale, concorre all'educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini….; nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori.

I genitori. Vogliamo dare un’occhiata a come stanno messi? Alcuni dati tanto per gradire: il 39,2% degli italiani, sono appena appena 22 milioni e mezzo, è privo di titolo di studio o possiede solamente la licenza elementare; mentre il 29 %  e sono altri 16 milioni e mezzo, ha conseguito appena la licenza media inferiore. Un paese di semianalfabeti che secondo la Moratti sceglie il proprio futuro è il massimo. Probabilmente il paese che siamo spiega solo un fatto: la scelta dei nostri ministri, tra i quali lei.

Cara signora Moratti, ma lo sa che il 40% dei meridionali è analfabeta, cioè non ha nessun titolo di studio, o è semianalfabeta, cioè ha solo la licenza  elementare? Che nelle seguenti regioni, la Basilicata, la Calabria, la Puglia, la Sicilia, la Campania e Sardegna si concentra tutta la popolazione scolasticamente più svantaggiata?  È un modo onesto il suo di far parti uguali tra disuguali? Ricorda Don Milani? Beh, non è il caso.

Quindi la popolazione italiana è semianalfabeta, secondo una definizione che connota la nostra condizione culturale, tenendo conto che  la licenza elementare è solo formalmente un titolo, perché non vale assolutamente nulla sul piano delle capacità minime richieste per essere ‘presenti’ nella società. E i nostri laureati? Quali laureati? In Italia i laureati sono appena il 6,5 % della popolazione, in pratica 3 milioni e 700 mila persone (per dovere di cronaca,  nella cifra è compreso anche chi ha conseguito la laurea breve o un dottorato di ricerca).  Il risultato finale è che l’Italia si trova al quart’ultimo posto tra i 30 paesi Ocse nella sfera della ricerca;  all’ultimo posto per numero di ricercatori, 2,78 su 1000 unità lavorative. Invece per quanto riguarda la percentuale della popolazione con il titolo universitario, l’Italia  si colloca al terz’ultimo posto dei paesi Ocse,  seguita dalla Repubblica Ceca e dalla Turchia; per quanto concerne il raggiungimento del titolo finale, stiamo parlando di mortalità scolastica/universitaria, il nostro amato paese è al penultimo posto sempre dei paese Ocse, ci segue solamente la Polonia. Vi basta?     

 

 

1.5

Per sdrammatizzare, immaginiamo una persona che ha tutte  le buone intenzioni di questo mondo. Vuole capirne di più, e allora si appresta ad ascoltare la voce del ministro dell’Istruzione in un’intervista radiofonica. Vi anticipo la conclusione: gli viene da piangere. Non ha più nemmeno voglia di arrabbiarsi. Sente parole  vuote. Sente che finalmente i bambini potranno avere un trattamento individualizzato, che avranno una cartella con tutto il loro percorso scolastico. Bene! Io non ho capito perché ancora non glielo dicono: sta nelle carte, nelle leggi e nelle norme, tutto ciò c’era già. I casi sono due: o è circondata da inutili, insulsi, furbi incapaci, o è lei proprio che non vuol capire. Fate voi. Sempre nella stessa intervista, il ministro dice che i libri sono gratis per la scuola dell’obbligo. Continua il silenzio, l’intervistatore, che palesemente non sa di scuola,  non dice nulla, e a chi ha pagato i libri di suo figlio per la scuola media,  ( obbligo) chi restituisce i soldi? 

 

A quale  idea  di insulsaggine  il sistema scolastico è arrivato?  E come esso stesso perpetui senza accorgersi, anche quando non lo vuole e dice il contrario, il suo NON- ESSERE? Basta scorrere la grande produzione di libri interni al sistema stesso ( quelli a cui si è fatto riferimento nel paragrafo 3). Si tratta di testi che vorrebbero essere di pedagogia e di didattica ma che ad una prova dei fatti non sono né l’uno, né l’altro. Sono solamente il viatico per la grande, grandissima pletora di ‘unti’ del potere scolastico,  sia esso ministeriale o ex-provveditoriale ora regionale, per giungere o aggiungere una pubblicazione che nessuno leggerà, e se pure leggerà non imparerà nulla. Inevitabilmente in questi testi spesso fatti come pubblicazione di atti di convegni, ricorrono sempre i soliti buoni e buonissimi principi che restano inapplicati. Fatta la pubblicazione chi se ne frega?  Insomma in questi testi,  di qualsiasi cosa parlino,  di qualità o di educazione permanente o anche di educazione speciale, ritornano senza ritegno ritornelli e solfe del tipo ‘sistema aperto al nuovo’, ‘confronto con il territorio’,  e poi parole e locuzioni  del tipo: standard nazionali, pluralità, gruppi, e ancora una messe di parole straniere del tipo: mission, task-force, customer satisfaction, performance, target, e poi leadership, management, skills,  benchmarking, knowledge. Lo scandalo non è l’uso di queste parole, ma il fatto che sono usate a vanvera, a capocchia, come si diceva una volta.

Il fatto grave è che questa grande pletora di inchiostro inutile invade il sistema scolastico facendo finta di tenerlo in vita e invece  lo affossa. È  una finzione senza senso a cui tutti indistintamente  partecipano non sapendo neanche ormai più bene il perché, ma di fatto piantando gli artigli nella carne viva della scuola. Praticamente non c’è un’ idea, che sia una, in questi testi,  in grado di spiegare qualcosa. E se qualche idea nuova arriva, arriva da fuori Italia e viene sistematicamente copiata o ignorata a seconda delle convenienze e delle cordate di potere. Il resto è nulla: i cannibali della scuola stanno finendo di spolpare quel poco che c’è, fregandosene di anni di ricerche e di quel poco di buono che si era faticosamente costruito. Questo però, ad onor del vero, con il ministro attuale c’entra poco e niente. La pratica era già in essere da molto, molto tempo.