Corriere : «Più soldi ai prof migliori.  Carriera in base al merito»
13 settembre 2003


Il ministro Moratti: una commissione definirà i criteri di avanzamento «Sarà una scuola costruita sulla partecipazione di studenti e famiglie»


Signor ministro, parte la riforma, inizia l’anno ma gli insegnanti continuano a sentirsi trattati come impiegati, anzi peggio. Nessuna prospettiva, niente valutazione del lavoro, un appiattimento generale che non va oltre gli scatti d’anzianità, depressione. Un professore diceva al Corriere : «E’ come la notte in cui tutte la vacche sono nere, cosa ho guadagnato a consacrare la vita allo studio?». «Finora c’è stato un appiattimento che ha cancellato ogni possibilità di carriera: il merito non conta, vale solo l’anzianità. Ma con il nuovo contratto cambierà, è già previsto, sarà il segno di discontinuità più forte rispetto al passato».
E quando succederà?
«Sta già succedendo, c’è una commissione al lavoro che comprende il ministero e i sindacati, entro il 31 dicembre dovrà studiare nuovi percorsi di carriera. Non posso anticipare l’esito dei lavori, ma certamente il mio obiettivo è dare più soldi a chi è più bravo e costruire una carriera dove non contino solo gli anni di servizio ma anche il merito. Si tratta pure di immaginare passaggi intermedi che avvicinino per gradi al massimo dello stipendio, ora il tempo d’attesa è troppo lungo...».
Letizia Moratti è appena uscita dal Consiglio dei ministri con un piano d’investimenti da 8 miliardi e 320 milioni di euro «dal 2004 al 2008». Ma il presente urge con le tante questioni irrisolte e documentate dal viaggio del Corriere nel mondo della scuola. Il ministro dell’Istruzione fa una pausa e dice: «Conosco il disagio dei docenti, peggiorato da una serie di incombenze burocratiche che la riforma vuole alleggerire. Si mette al centro il ruolo educativo degli insegnanti, stiamo studiando una revisione degli organi collegiali di istituto e territoriali. La partecipazione dei docenti è importante, ma ha finito con l’appesantirne il ruolo. Devono avere più tempo per la vita della scuola e sentirsi più appagati».
Perché gli stipendi dei professori italiani sono fra i più bassi d’Europa?
«Non è vero. C’è stata una prima tranche di adeguamenti nel 2001 e l’ultimo contratto, da agosto, porta un aumento medio di 150 euro al mese: ci siamo avvicinati fortemente alle medie europee».
Anche così restano fra i più bassi...
«Quando si parla di media europea bisogna vedere anche l’impegno. Nella scuola elementare un docente italiano insegna 748 ore contro una media nell’Unione europea di 792; nella secondaria 612 ore invece di 684; alle superiori 748 anziché 808».
Sarà, ma non è che l’impegno degli insegnanti si riduca alle ore «ufficiali», gran parte del lavoro è sommerso, no?
«Queste sono le quote di ore in classe, dati trasparenti e omogenei. Dopodiché tutti i professori in Europa hanno il lavoro da fare a casa. Resta il fatto che i nostri docenti insegnano molte meno ore».
L’aggiornamento non è pagato né considerato per la carriera, le pare giusto?
«Sono d’accordo sul fatto che l’aggiornamento sia calcolato per la carriera. Infatti abbiamo già cominciato a farlo: va premiato il merito, come dicevo, in commissione parleremo anche di questo. E poi vorrei ricordare che c’è un bonus annuale da 35 euro per l’acquisto di materiale didattico...».
Non è che si possa comprare molto, con 35 euro, i libri costano...
«Lo so, ma non finisce qui. Abbiamo formato 192 mila docenti con i corsi di informatica per la patente europea, un investimento di 75 milioni di euro nel 2003. Abbiamo fatto nascere una comunità online, una casella di posta elettronica su Istruzione.it che ha più di 175 mila iscritti, e anche questo è un servizio ai docenti. E’ tutto aggiornamento pagato con i soldi dello Stato».
Rimangono le polemiche sull’uso delle risorse. Si entra in ruolo sempre più tardi, c’è un conflitto fra precari «storici» e quelli usciti dalle «Ssis», le scuole di specializzazione...
«Purtroppo abbiamo trovato una situazione assai difficile: il governo precedente, sottostimando i numeri, aveva attivato tre canali di abilitazione, concorsi ordinari, corsi riservati e le "Ssis". Ha creato aspettative senza sapervi far fronte: c’era un piano di assunzione per 90 mila docenti e non ne hanno assunto neanche uno. Noi invece abbiamo assunto 62 mila precari. Quanto all’organico, abbiamo scoperto che c’erano 18 mila professori pagati che non insegnavano. Non solo, ci siamo trovati un buco in bilancio di diecimila miliardi di lire. Nel secondo anno, per l’effetto di trascinamento, il buco era di tremila. Ora siamo in pareggio. Ma non è stato facile...».
Si annuncia un decreto per calibrare precari storici e nuovi. Ne assumerete, e quanti?
«Il decreto sarà approvato. Ho fatto una richiesta per 21 mila posti, stiamo verificando con il ministero dell’Economia».
C’è chi vi accusa di aver spostato risorse a beneficio delle private, ad esempio con il «bonus» da 30 milioni di euro per le famiglie che scelgono la scuola paritaria. Come risponde?
«Che quello non è un aiuto alle scuole private ma, appunto, alle famiglie. La nostra situazione è assai squilibrata rispetto al resto del continente: noi destiniamo il 3,7 per cento della spesa sociale alle famiglie e ai giovani, la media europea è dell’8,5».
Ma se il governo ritiene che le private abbiano un ruolo pubblico, perché non cambia l’articolo 33 della Costituzione e le finanzia direttamente, anziché aggirare l’ostacolo?
«Ripeto: è un sostegno alle famiglie, non alle private. Stiamo parlando di persone che spendono una quota di reddito enorme per i figli, il 59 per cento, in altri Paesi è il 25. E non c’è bisogno di cambiare la Costituzione, basta leggerla per intero, compresi gli articoli 30 e 31, guardare la dichiarazione dell’Onu o il protocollo europeo dei diritti dell’uomo: tutti, dico tutti, danno alle famiglie la responsabilità educativa dei figli e allo Stato l’obbligo di far fronte alle spese, quale che sia la loro scelta. Anche le Costituzioni dei Paesi postcomunisti dicono che lo Stato deve farsi carico degli studi, sia pubblici sia privati, dei giovani».
Quale ritiene sia il punto essenziale della riforma?
«E’ una scuola che cambia e mette al centro lo studente, impostata sulla partecipazione di ragazzi e famiglie. Si passa da programmi uguali per tutti a percorsi personalizzati, il numero di ore è lo stesso, ma c’è una quota di tempo che permette ai ragazzi di scegliere. Ecco, oltre all’inglese o l’informatica, vorrei mostrare proprio il passaggio da un sapere nozionistico al "saper essere" e al "saper fare": si rafforzeranno i laboratori per esperienze anche pratiche come cucina e giardinaggio, ma pure le competenze di grammatica e geometria. Potenzieremo le scienze, la storia, la geografia, l’arte, la musica, anche dalla prima elementare. E poi l’educazione alla convivenza civile che significa educazione alla salute, la sicurezza, la cittadinanza, l’ambiente...».
Una docente, al Corriere , parlava di «aria fritta»: «Abbiamo scuole dell’Ottocento e ci chiedono programmazioni d’avanguardia». Che le direbbe?
«C’è un computer ogni 15 studenti, la media è quella europea. Non si può dire che il sistema sia perfetto, lo so. Tenga conto che la responsabilità dell’edilizia scolastica è delle province e dei comuni, noi non possiamo intervenire in questo settore. Consideriamo le condizioni da cui siamo partiti. Tuttavia in questi anni ho girato l’Italia e so che la scuola reale è molto più vivace di quella che appare, ho visto una ricchezza straordinaria di impegno, professionalità e passione di cui dobbiamo fare e faremo tesoro».

 

 

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