di Pietro Citati
Non è vero che è impossibile restituire la libertà
a chi è piccolo
con la scusa che i genitori lavorano fuori casa
se io avessi dovuto sopportare otto o persino dieci ore di
orribile tempo pieno, come oggi si dice - lezioni, mensa doposcuola finti
giochi -sono certissimo che sarei morto: di una malattia di cuore, o di
disperazione, o di follia precoce, o di esaurimento, come gli uccelli di passo
venuti dal Nord, che in autunno non riescono a raggiungere l'Africa, e cadono
esausti sui colli dell'Isola di Montecristo o del Giglio, dove l'estate
successiva si ritrovano le loro ossicine stecchite. E come me, quasi
quarant'anni dopo, sarebbe morto mio figlio. Tornava a casa alle tredici: poi
andava a giovare a Villa Borghese - pallone, corsa, skateboard; e infine, dopo
i velocissimi compiti (sempre più lievi) contemplava per mezz'ora il
mappamondo, la carta del cielo, le Orse e Betèlguese, giocava con aerei di
plastica che costruiva con le sue mani, con automobiline moderne colto più
belle delle mie, e infine ascoltava il racconto quotidiano. Qualcuno gli
leggeva la vita dei pesci, o la storia delle ere geologiche, o l'estinzione dei
Dinosauri, o la scoperta dell'America o le Favole italiane di Calvino, o
l'isola del tesolo di Stevenson, o la vita di Alessandro Magno.
So che quanto dico sembrerà disgustosamente retrivo e a molti
lettori, io ero un borghese, mia madre non lavorava fuori casa, e poteva
occuparsi di me e dei miei fratelli. Mentre oggi, così almeno si dice, tutti i
padri e tutte le madri lavorano e non hanno più tempo per i figli, i quali,
senza il meraviglioso "tempo pieno", passerebbero le giornate davanti
alla televisione o nutrendosi di merendine Kinder Brios o azzuffandosi per le
strade o rubando motorini o riempiendosi di droghe o uccidendo la madre a Novi
Ligure o stuprando le coetanee dodicenni come accade, pare dappertutto. Non
sono affatto certo che otto o dieci ore di "socializzazione" forzata
siano meglio di vedere cassette come quelle del Gatto Silvestro o di Tartan o
di Paperino, che i bambini, molto più intelligenti degli adulti, preferiscono
di gran lunga agli spettacoli pomeridiani della televisione.
Secondo quanto affermano le statistiche, i genitori lavorano
entrambi fuori casa soltanto nel trentasei per cento delle famiglie italiane:
ammettiamo pure nel cinquanta per cento, vista l'estensione dell'economia
sommersa. Dunque, per metà delle famiglie italiane il "tempo pieno"
non è necessario: ci sono madri e talvolta padri liberi per mezza giornata, che
possono accompagnare i figli a Villa Borghese o a Villa Ada, o dovunque in
Italia ci sia verde e aria, giocando con loro, assistendo ai loro giochi,
chiacchierando, raccontando storie. E non voglio nemmeno prendere in
considerazione i nonni. Stanno fiorendo e moltiplicandosi: dovunque ci sono
nonni giovanili, attivi e pieni di forze, i quali vorrebbero occuparsi dei loro
nipoti, che considerano molto più spiritosi dei figli, come Walter Matthau in
un film di qualche anno fa.
Lo Stato italiano non impone, per nostra fortuna, il "tempo
pieno" nelle scuole elementari e medie, ma, in realtà, le famiglie
italiane vi ricorrono sempre più spesso, anche quando non sono costrette dal
lavoro dei genitori. In primo luogo, perché considerano i bambini noiosissimi,
invece che una delle ultime cose divertenti rimaste sulla terra: poi perché
sono succubi di una strana venerazione per alcuni pedagogisti, i quali vogliono
che tutti i bambini stiano a scuola sempre, in ogni istante, che vivano insieme
sempre, ogni minuto, e che nessuno di loro sia lasciato solo, mai , a nessun
costo. Nulla è più pericoloso - essi credono - perché la solitudine potrebbe
persino indurli a pensare. Come Ivan Illich, che scrisse nel 1970
Descolarizzare la società, credo che un bambino debba imparare a fare i compiti
da sé, a leggere libri per conto proprio; e persino a giocare da solo. Niente è
più bello dei lunghi, solitari e fantastici giochi infantili, quando sembrano
perdersi in un mondo invisibile, che forse costeggia il nostro. Lo Stato
italiano potrebbe ridurre il "tempo pieno" al minimo indispensabile.
Risparmierebbe molto denaro (ma questo non interessa a nessuno), liberando i
bambini dall'orrore della socializzazione forzata.
la Repubblica 12 febbraio 2004