Conoscere
per capire
Decreto,
sentenze, ricorsi….
Il
decreto legislativo di attuazione della legge 28-3-2003, n. 53 contiene alcune
previsioni normative che modificano in profondità aspetti fondamentali
dell’organizzazione della scuola primaria, in materia di orari di funzionamento
e di organizzazione del lavoro degli insegnanti, oltre che “allegare” una nuova
proposta programmatica transitoria, sotto forma di “Indicazioni nazionali per i
piani di studio personalizzati”. Tralasciamo al momento eventuali osservazioni
in merito alla legittimità del
provvedimento, sotto il profilo della costituzionalità
(in quanto contenente norme di “dettaglio” che sembrano oggi – alla luce
del titolo V della Costituzione) consegnate alla competenza del legislatore
regionale, ai sensi della la Sentenza n. 13 del 13-1-2004 della Corte
Costituzionale) o dell’eccesso di delega
(in quanto alcuni contenuti del provvedimento –riduzione del tempo scuola
obbligatorio, istituzione della figura del tutor- paiono esorbitanti rispetto
ai criteri contenuti nella legge 28-3-2003, n. 53) o della mancata copertura finanziaria di alcune disposizioni (che
rappresenta la condizione-limite per l’emanazione di ogni decreto attuativo
della riforma, come segnalato nello specifico dalla Commissione Bilancio della
Camera dei Deputati e, in termini generali, nella relazione annuale della Corte
dei Conti).
Il valore dell’autonomia delle scuole
Qui
importa segnalare gli spazi di autonomia
attribuiti alle istituzioni scolastiche dalla legge 15-3-1997, n. 59 (art. 21)
e dal Regolamento attuativo (Dpr 8-3-1999, n. 275) in materia di organizzazione
didattica. Va anche ricordato che la recente riforma costituzionale (Legge
Cost. 18-10-2001, n. 3) riconosce speciali prerogative alla scuola, quando
viene “fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”. Rileggendo gli
articoli del Regolamento del 1999, non ancora pienamente attuato per quanto
attiene l’intelaiatura del curricolo (art. 8), si possono sottolineare
importanti competenze riconosciute alle scuole in materia di programmazione,
gestione e verifica dell’offerta formativa. Senza mitizzare il ruolo del POF
(che rappresenta comunque un impegnativo atto di indirizzo per tutti i soggetti
della comunità scolastica), si sottolineano alcune prerogative che possono
consentire di “governare” con una notevole discrezionalità aspetti importanti del modello organizzativo di ogni
scuola.
Il
richiamo all’autonomia scolastica e al suo Regolamento non può essere inteso
come un riferimento formale, ma la doverosa premessa per costruire “modelli orari” coerenti con le scelte
culturali, educative e didattiche che ogni singola scuola ha voluto darsi in
questi anni.
Tali
scelte dovrebbero caratterizzarsi per:
-
una forte leggibilità in termini educativi e didattici del
progetto proposto;
-
un significativo rispetto dell’unitarietà della classe e di un “clima di classe” positivo;
-
una particolare attenzione alla coesione (collegialità,
contitolarità, corresponsabilità) del gruppo
docente;
-
una proposizione del tempo scuola adeguato e funzionale al successo formativo e scolastico e ad un
orientamento scolastico aperto a più soluzioni;
-
un rapporto “discipline di studio/ambiti disciplinari - monte
ore” funzionale e coerente con gli scopi formativi della/e disciplina/e
insegnatea/e (una particolare attenzione alla formazione del pensiero, della “forma mentis”).
In particolare,
l’art. 4 (Autonomia didattica) del
Regolamento dell’autonomia prevede, tra le altre, la possibilità di:
a) una articolazione modulare del tempo delle
discipline (su base annua), che può consentire di offrire ai genitori/allievi
anche “pacchetti” di attività non necessariamente ripetute per ogni settimana;
b) una scansione diversa delle unità orarie delle
lezioni, con possibilità di recuperi e compensazioni;
c) una diversa
strutturazione dei gruppi di apprendimento, non necessariamente coincidenti con
il gruppo classe;
d) una aggregazione di discipline in ambiti o aree
disciplinari, anche per favorire soluzioni didattiche più aperte e integrate, e
per venire incontro agli interessi manifestati dagli alunni (opzionalità).
Inoltre, l’art.
5 (Autonomia organizzativa),
consente di:
a) programmare gli orari delle lezioni e
delle discipline in modo flessibile, ivi compresa la possibilità di
strutturarli su 5 giornate;
b) impiegare i docenti secondo modalità
flessibili, espressione di “libertà progettuale”, in coerenza con gli obiettivi
generali e specifici di ciascun indirizzo di studi [il contratto di lavoro
2002-2005 conferma una limitata disponibilità alla flessibilità
plurisettimanale degli orari, in rapporto ad una oscillazione non superiore
alle 4-6 ore settimanali];
L’intero
articolo 6 (Autonomia di ricerca,
sperimentazione e sviluppo) incentiva, inoltre, forme di ricerca e
progettazione praticamente su tutti gli aspetti del curricolo scolastico, in particolare
nel campo della ricerca didattica e dell’innovazione metodologica e
disciplinare.
Occorre dunque
commisurare le competenze spettanti alle scuole con le prescrizioni normative
contenute nel decreto. Anche questo punto potrebbe essere oggetto di possibili
contenziosi. Qui si sottolinea piuttosto la responsabilità tecnica della scuola
nel garantire livelli accettabili del servizio scolastico, che non dipendono
solo dalla “domanda” degli utenti. È lo stesso decreto che impone di
salvaguardare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento (art. 7, comma
8) e di assicurare una equilibrata integrazione dei diversi momenti della
giornata educativa (art. 7, comma 9) evitando il cosiddetto effetto
“spezzatino” che si avrebbe con la semplice sommatoria di attività
obbligatorie, attività facoltative, tempi della mensa e dell’interscuola.
Pertanto la domanda dei genitori andrà “valutata” in sede tecnica, anzi andrà
in qualche modo “anticipata” offrendo ai genitori ipotesi ed alternative già
“validate” sul piano pedagogico-didattico.
Il primo
Decreto legislativo attuativo della legge 28-3-2003, n. 53 (approvato il
23-1-2004) si compone di 19 articoli
che riguardano la scuola dell’infanzia, la scuola primaria, la scuola
secondaria di I grado, oltre ad alcune norme di carattere generale e
transitorio. In sintesi gli articoli si riferiscono ai seguenti argomenti:
Art. |
Contenuto sintetico dell’articolo
|
Art. 1 |
Finalità della scuola dell’infanzia. Generalizzazione del
servizio (rinviata a successivi decreti). Accordi con Enti locali. |
Art. 2 |
Anticipo dell’accesso a 2 anni e 4 mesi (nati entro il 30
aprile) |
Art. 3 |
Orario delle attività educative (fascia 875-1700).
Personalizzazione e continuità. Documentazione educativa. Coordinamento
didattico |
Art. 4 |
Articolazione del primo ciclo in scuola primaria e scuola
secondaria di I grado. Esame di stato conclusivo. Possibilità di aggregazione
in istituti comprensivi. |
Art. 5 |
Finalità della scuola primaria: conoscenze e abilità di base.
Valorizzazione delle diversità individuali. |
Art. 6 |
Anticipo dell’accesso a 5 anni e 4 mesi (nati entro il 30
aprile). L’obbligo di iscrizione riguarda solo gli alunni che compiono i sei
anni entro il 31 agosto. I nati tra il 1 settembre ed il 31 dicembre sono
considerati “anticipatari”. |
Art. 7 |
Orario obbligatorio di 891 ore annue. Attività opzionali
facoltative per 99 ore annue. Assistenza educativa alla mensa e al dopomensa
per 330 ore annue, nei limiti degli organici consolidati. Previsione di un
docente con funzioni di orientamento, tutorato, coordinamento, ecc. con
orario di insegnamento di almeno 18 ore (fino alla classe terza). Criteri per
l’assegnazione dei docenti alle classi. Criteri per un’equilibrata
ripartizione dell’orario. |
Art. 8 |
Valutazione periodica e annuale. Possibilità di non ammissione
alla classe successiva anche all’interno del biennio. Continuità della
permanenza in sede per gli insegnanti. Conferma degli esami di idoneità alle
diverse classi (senza limiti di età). |
Art. 9 |
Finalità della scuola secondaria di I grado. Diversificazione
didattica e metodologica. Funzioni di orientamento. |
Art. 10 |
Orario obbligatorio di 891 ore annue. Attività opzionali
facoltative per 198 ore annue. Assistenza educativa alla mensa e al
dopo-mensa per 231 ore annue, nei limiti degli organici consolidati. Previsione
di un docente con funzioni di orientamento, tutorato, coordinamento, ecc. |
Art. 11 |
Valutazione periodica e finale. Possibilità di non ammissione
alla classe successiva anche all’interno del biennio. Esame di stato. Esami
di idoneità alle classi. Privatisti. Continuità della permanenza in sede per
gli insegnanti. |
Art. 12 |
Condizioni per l’anticipo (sperimentale e graduale)
dell’accesso alla scuola dell’infanzia. Adozione di un assetto pedagogico
transitorio (Allegato A). |
Art. 13 |
Condizioni per l’anticipo (graduale) dell’accesso alla scuola
primaria. Tempistica per l’attuazione del nuovo ordinamento nella scuola
primaria. Adozione di un assetto pedagogico transitorio (Allegato B e profilo
allegato D). |
Art. 14 |
Tempistica per l’attuazione del nuovo ordinamento nella scuola
secondaria di I grado. Conferma dei criteri per la definizione degli
organici. Configurazione transitoria delle cattedre. Utilizzo docenti con
orario eccedente. Nuova definizione delle classi di abilitazione. |
Art. 15 |
Conferma per l’a.s. 2004/2005 dei posti funzionanti per tempo
pieno e prolungato. Incrementi futuri nell’ambito della consistenza
complessiva degli organici. |
Art. 16 |
Conferma (transitoria) delle sanzioni per gli inadempienti
l’obbligo scolastico. |
Art. 17 |
Disposizioni particolari per Regioni a statuto speciale e
Trento e Bolzano. Conferma assetti sperimentali a Trento. |
Art. 18 |
Copertura finanziaria per l’anticipo nella scuola dell’infanzia
e primaria. |
Art. 19 |
Abrogazione di articoli del Testo Unico (D.lvo 16 aprile 1994,
n. 297). |
Scuola dell’infanzia: il gioiello di famiglia
Qual è l’immagine di scuola dell’infanzia che emerge dal
decreto legislativo attuativo della legge 53/2003 per il primo ciclo di
istruzione ?
Tre ci sembrano le questioni da sottolineare:
a) l’impianto
pedagogico ed il ruolo delle famiglie
b) il curricolo
tra vecchi e nuovi orientamenti
c) il problema
dell’anticipo scolastico.
Il
progetto pedagogico: ai genitori fai sapere…
L’annunciata riconferma della triennalità
del percorso della scuola dell’infanzia fa intravedere la possibilità di un
curricolo formativo coerente ed organico per i bambini dai 3 ai 6 anni di età,
così come previsto dalla legge istitutiva della scuola materna statale (Legge
18 marzo 1968, n. 444). Ma questo principio è messo in discussione, sia per le
diverse opzioni relative agli anticipi che
le famiglie possono esprimere, sia per l’estrema flessibilità degli orari di funzionamento. Le scelte dei genitori
possono determinare le caratteristiche del curricolo della scuola dell’infanzia;
questa “filosofia” rischia di indebolire notevolmente il ruolo “istituzionale”
della scuola dell’infanzia.
Il
principio di servizio alle famiglie, più volte evidenziato tra gli obiettivi
della riforma, viene qui enfatizzato per l’ampio ventaglio delle opportunità
entro cui ogni genitore può scegliere in base alle proprie esigenze: dalle 25
alle 50 ore settimanali. Si tratta di verificare come sarà possibile che la
scuola mantenga alto il profilo e la compattezza dell’offerta formativa, a
fronte della molteplicità e della diversità delle domande dei genitori.
È
auspicabile che ogni scuola definisca una serie di opportunità (seppure diversamente articolate, ma
sicuramente di qualità comprovata) da mettere a disposizione delle famiglie,
evitando di limitarsi ad accogliere la domanda sociale dei genitori. I tempi
“lunghi” possono garantire il servizio alle famiglie, ma non altrettanto la
qualità dell’ambiente educativo per ogni bambino anche in tenera età.
Attualmente l’80% delle scuole dell’infanzia statali funziona per circa 40 ore
settimanali ed è prevedibile che su questa “quota” si assesti anche la domanda
dei genitori. L’orario ridotto rappresenta un evento marginale e collegato a
situazioni di emergenza. Comunque, ai fini della qualità della proposta
educativa, sarà decisivo l’organico docente assegnato alla scuola in rapporto
alla diversa durata del servizio, posto che il decreto abolisce l’automatismo
del doppio organico docente per ogni sezione.
In
questo contesto, le scuole non possono rinunciare al compito di definire
modelli educativi di alto profilo, pur offrendo soluzioni temporali diverse ma
di qualità equivalente. Si tratta di far capire ai genitori la delicatezza dei
tempi di frequenza, aiutandoli a scegliere nella maniera più equa per i propri
figli piuttosto che per le proprie esigenze organizzative. Un rapporto costante
tra scuola e famiglie, la fiducia reciproca, la condivisione degli obiettivi…
costituiscono i presupposti per una scuola sempre più attenta ai bisogni reali
dei bambini. Così come diventa decisivo il rapporto con la rete degli Enti
locali, espressamente richiesto dal decreto: il via libera agli “anticipi”
nella scuola dell’infanzia potrà venire solo con il consenso del Comune.
Nel decreto si parla in termini assai vaghi di organico
d’istituto, con il superamento dell’automatismo del doppio organico per ogni
sezione. Non si fa riferimento ad eventuali criteri, parametri o indicatori,
che saranno oggetto di successivi provvedimenti amministrativi. Ma non è
pensabile che gli organici del personale siano direttamente dipendenti, anno
dopo anno, dalle sole richieste delle famiglie. Una interpretazione simile non
garantirebbe né la qualità dell’offerta formativa né la stabilità
dell’organico.
Il curricolo tra vecchi e nuovi orientamenti….
I
concetti che si evidenziano nei nuovi documenti della riforma sono quelli della
“personalizzazione” e della “relazione con le famiglie”, con scarsa
considerazione al contesto della vita di sezione e alla cultura del gruppo. È
probabile che si consideri l’organizzazione per classi/sezioni un dato fattuale
(perché non è ancora chiaro se gli organici saranno ancora definiti sul
parametro numero di bambini per sezioni).
Il rischio, però, è di interpretare la “personalizzazione” come “presa in
carico” degli aspetti vocazionali (dei talenti e delle attitudini dei bambini)
da coltivare individualmente, sulla base delle richieste delle famiglie,
anziché la tutela e la cura della ricchezza, potenziale e reale, del bambino
che cresce ed apprende anche e soprattutto attraverso le esperienze formative
tra pari.
Sicuramente, da parte della scuola, per “cura della
personalizzazione” si deve intendere anche la predisposizione di una serie di
esperienze attente alle diversità dei bambini (di provenienza, maturazione,
motivazione) nella prospettiva di una continuità “dinamica” con i contesti di
vita.
Non è chiaro se il richiamo alla “documentazione
educativa”, che già caratterizza le metodologie della scuola dell’infanzia, sia
l’anticamera per la realizzazione del portfolio. In effetti, si parla di Portfolio solo nell’allegato A (art. 12,
comma 2 del decreto) che, in via transitoria, costituisce il documento di
riferimento per l’adozione dell’assetto pedagogico, didattico ed organizzativo.
A
proposito delle Indicazioni Nazionali allegate al decreto (Allegato A) è bene
precisare che esse rappresentano una soluzione transitoria fino a quando non
saranno elaborati gli indirizzi curricolari previsti dall’art. 8 del Dpr 275/99
(Regolamento dell’autonomia). Anche la legge 53/2003 non parla di “Indicazioni
nazionali”, ma di un “nucleo essenziale” dei piani di studio scolastici, che
rappresenterà il livello essenziale delle prestazioni in materia di diritto
all’educazione che deve essere perseguito da tutte le istituzioni scolastiche
del paese.
La
soluzione transitoria alimenta un clima di incertezza, ma apre anche la
possibilità di procedere ad una nuova e diversa stagione di elaborazione
culturale, più pluralistica e partecipata di quanto sia avvenuto in questi mesi,
e come è stato vivamente chiesto dal mondo della scuola.
Se
le Indicazioni Nazionali rivestono una funzione prescrittiva per le scuole, le
Raccomandazioni, di cui non si parla nel decreto, rimangono dei semplici
documenti di lavoro lasciati alla libera fruizione degli operatori scolastici.
Il problema assume un rilievo particolare proprio per la scuola dell’infanzia,
in quanto le Raccomandazioni elaborate nella fase sperimentale della “riforma”
ricalcano molto da vicino gli Orientamenti per la scuola materna, approvati nel
1991. Si registra così il paradosso che il documento (le Raccomandazioni) che
più appare in sintonia con l’attuale cultura della scuola dell’infanzia
(rappresentata dagli Orientamenti del 1991) viene accantonato per far posto
alle Indicazioni Nazionali. Infine, appare non motivata l’esclusione della
scuola dell’infanzia dal primo ciclo di istruzione, ben visibile per l’assenza
di un riferimento al percorso 3-6 anni nel profilo educativo di uscita a 14
anni.
A
(s)proposito di anticipo
A
differenza dell’anticipo nella scuola primaria, la possibilità di anticipare la
frequenza della scuola dell’infanzia (che nel corrente a.s. 2003/2004 viene
limitata ai bambini che compiono i tre anni entro il mese di febbraio) viene
subordinata ad alcune precise condizioni, che segnalano l’esigenza di una
particolare cautela “pedagogica” nell’affrontare una questione molto contorversa.
Viene infatti proposto un approccio sperimentale, finalizzato anche alla
definizione di nuovi modelli organizzativi (quanto a tempi, spazi, ritmi della
giornata, routines, didattica) e alle competenze richieste agli insegnanti e ad
altre figure professionali.
Esiste
in Italia un patrimonio di conoscenze, soprattutto negli enti locali, che ha
contribuito a qualificare l’esperienza degli asili nido per i bambini fino a
tre anni. I modelli organizzativi per l’anticipo dovrebbero essere desunti
dalle migliori esperienze in atto negli asili nido, ivi comprese le tipologie
di sezioni “primavera” o sezioni “ponte”, pensate in molte regioni proprio per
una fascia di utenza compresa tra i due e i tre anni di età. La legislazione
regionale in materia di nidi, di sezioni primavera, di modelli 0-6 anni (cioè
del complesso dei servizi educativi per la prima e seconda infanzia), può rivelarsi
un prezioso riferimento giuridico per garantire correttezza degli interventi e
per mettere a fuoco le caratteristiche delle nuove “professionalità” e dei
nuovi modelli organizzativi, di cui parla il decreto.
Ecco
perché viene richiamato costantemente il rapporto con gli Enti locali, che
devono garantire le condizioni di accoglienza di questa particolare utenza,
utilizzando risorse proprie nel limite delle compatibilità prefissate. È inoltre
ovvio che l’accoglimento delle richieste di frequenza anticipata resta
subordinata all’esaurimento delle liste di attesa dei bambini in età regolare
(3-6 anni). Un’ulteriore ragione per rafforzare gli accordi tra amministrazione
scolastica ed enti locali, anche in vista di una possibile gestione coordinata
(o unificata) delle richieste di iscrizione alle diverse tipologie di scuola
dell’infanzia (statali, comunali, private paritarie).
Scuola
elementare, Scuola primaria…
Garantire le “buone pratiche”
Tra
le novità più significative proposte dal decreto legislativo per la scuola
elementare, ora denominata scuola “primaria”, si segnalano la questione del
tempo scuola e l’organizzazione dell’equipe docente.
Se
27 ore vi sembran poche: l’organizzazione del tempo scuola nella scuola elementare
Viene previsto
(art.7 del Decreto legislativo) un nuovo regime dell’orario scolastico, articolato
in una quota obbligatoria (di 891 ore annue, in linea di massima 27 ore
settimanali per 33 settimane), in una quota opzionale facoltativa (di 99 ore
annue, quantificabili in 3 ore settimanali) e nel tempo da dedicare ai servizi
di mensa e dopomensa (che può “spingersi” fino a 330 ore annue, cioè 10 ore
settimanali), ovviamente facoltativi per gli utenti.
È la prima
volta che nell’ordinamento si specifica la diversa finalizzazione degli orari
scolastici, anche se nella legge di riforma del 1990 (poi rifusa negli articoli
del T.U. del 1994) permanevano inconguenze tra l’orario del tempo pieno (di 40
ore settimanali) o del tempo lungo (fino a 37 ore settimanali), entrambi
comprensivi del servizio di mensa, e l’orario “modulare” (con la variante 27-30
ore settimanali, in relazione all’insegnamento della lingua straniera) calcolato
al netto di tale servizio, che veniva però garantito di fatto con la formula
della permanenza (e non solo dei rientri) dei ragazzi a scuola. A tal fine una
parte dell’orario di insegnamento dei docenti era impegnato (sia nel tempo
pieno, sia nell’organizzazione modulare) per assicurare la necessaria
assistenza educativa durante le fasce orarie di permanenza alla mensa e
all’interscuola.
Viene ribadito
che le attività che si svolgono in orario opzionale/facoltativo sono gratuite
per gli utenti e la loro frequenza diventa obbligatoria, una volta che sia
stata operata (annualmente) questa scelta, da parte delle famiglie. Ancora, è
fatto obbligo alla scuola di organizzare tali attività e di offrirle come
opportunità ai genitori. Questo implica l’esigenza di una specifica e chiara
progettazione da parte delle scuola anche dei tempi facoltativi ed opzionali
(nonché dei servizi di mensa e dopomensa), anche per garantire quell’unitarietà
dell’esperienza educativa degli allievi (e quindi delle loro giornate
scolastiche) che è ora richiesta dal decreto legislativo (art.7, comma 9) .
Va sottolineata
la sovrapposizione che si determina nel testo del decreto, tra attività opzionali
ed attività facoltative. In termini pedagogici (e linguistici) con opzione si
intende l’espressione di una scelta tra più alternative offerte ad un soggetto
(fermo restando l’obbligatorietà della frequenza, in quanto compresa in un
progetto complessivo predisposto dalla scuola). Questa è, in punto di diritto,
l’interpretazione suggerita dal Regolamento dell’autonomia (Dpr 275/99) che
distingue nettamente (all’art. 4, comma 4) le attività opzionali (cioè una
scelta all’interno di un’offerta obbligatoria: “agli studenti e alle famiglie
possono essere offerte possibilità di opzione”) dalle attività facoltative
(attività aggiuntive all’orario curricolare, che si possono frequentare o
meno), come possibile ampliamento dell’offerta formativa (art. 9 del
Regolamento).
Va da sé che le
attività opzionali rappresentano l’impegno della scuola ad interpretare i diversi
bisogni formativi degli allievi, offrendo loro proposte anche differenziate, ma
nell’ambito di un progetto unitario, con l’obiettivo di favorire capacità di
auto-orientamento, motivazioni, partecipazione dei ragazzi alla propria
formazione. L’attività facoltativa sembra invece rimesse direttamente alle
decisioni delle famiglie e quindi la sua eventuale scelta dipende da fattori (esterni)
alle dinamiche scolastiche. È pur vero che gli insegnanti dovranno orientare i
ragazzi nella scelta delle attività ma resta sempre la percezione di una scelta
“esterna” rispetto al progetto della scuola. Inoltre, fa riflettere
l’affermazione del decreto, là ove si associa il concetto di personalizzazione
alla partecipazione alle attività facoltative/opzionali (forse che se un
ragazzo non sceglie alcuna attività facoltativa, per lui non valgono i “piani
di studio personalizzati” ?).
I
contenuti degli allegati: aspettando i curricoli nazionali
Il decreto
assegna agli allegati contenenti le Indicazioni Nazionali per i tre livelli
scolastici (A-B-C) ed il Profilo di uscita (D) una più limitata funzione
transitoria, in attesa della emanazione degli indirizzi curricolari nazionali
previsti dall’art. 8 del Regolamento dell’autonomia. Va ricordato che la legge
53/2003 impone di definire il “nucleo fondamentale” dei piani di studio
scolastici, che dovranno essere considerati i “livelli essenziali delle
prestazioni” in materia di diritto all’istruzione. Poiché le attuali
Indicazioni sono il frutto di un’operazione di elaborazione culturale assai
unilaterale e ridotta, il rinvio a processi di definizione di curricoli
nazionali potrebbe aprire la strada a strategie più aperte e condivise di
partecipazione della comunità scientifica e professionale all’emanazione di
nuove indicazioni programmatiche.
Le Indicazioni
nazionali, pertanto, non sono i nuovi curricoli nazionali e le attività di
ricerca, formazione e innovazione delle scuole dovranno tenere conto di una
pluralità di fonti culturali in continua evoluzione (i programmi vigenti, il
dibattito sui “saperi essenziali”, le proposte di curricolo verticale della
Commissione De Mauro, i materiali più recenti, gli esiti delle sperimentazioni,
ecc.). Occorre diffidare, dunque, di chi propone l’interpretazione “autentica”
del progetto culturale della scuola italiana. Le stesse attività di formazione
e-learning gestite dall’INDIRE hanno senso solo se offrono effettivi spazi di
ricerca, dibattito ed approfondimenti, aperti a più interpretazioni.
Va precisato
che il testo del decreto non utilizza la terminologia di “tutor” per identificare
un docente cui attribuire particolari funzioni. Questo termine è presente nella
legge 53/2003, ma unicamente riferito al docente incaricato di progettare i
percorsi formativi in alternanza tra studio e lavoro. Nulla si dice per la
scuola primaria, né – più in generale – vengono precisate le finalità e le
caratteristiche delle funzioni di tutorato. Si trova solo un fugace richiamo ad
una serie di funzioni o di figure professionali nell’articolo relativo alla
formazione in servizio degli insegnanti (affidata alle Università). Dovremo
pertanto interpretare con molta acutezza giuridica i commi 5-6-7 dell’articolo
7 del decreto legislativo, confrontandoli anche con l’interpretazione “culturale” che di questa figura del tutor si
dà nei documenti via via elaborati nel corso degli ultimi due anni
(Indicazioni, Raccomandazioni ed Esemplificazioni). Ma, appunto, si tratta di
una interpretazione culturale e pedagogica (non sempre espressa con chiarezza,
quasi mai motivata), che non ha una cogenza giuridica, se si esclude il D.M
18-9-2002 che avviava esclusivamente per l’a.s. 2002/2003 un programma
nazionale di innovazioni (in 251 scuole italiane), alquanto “limitato” dai
successivi provvedimenti transitori (DM 61/2003). Gli stessi esiti della sperimentazione,
in materia di docente-tutor, si prestano a valutazioni differenziate (nella
relazione finale si afferma che la figura del tutor ha suscitato preoccupazioni
e atteggiamenti di diffidenza).
Del decreto
vanno considerate alcune sottolineature, per ognuna delle quali riportiamo qualche
considerazione in corsivo:
*)
si intendono valorizzare alcune funzioni educative connesse all’attività di
insegnamento, in termini di tutoraggio degli allievi, orientamento degli
stessi, coordinamento didattico, rapporti con i genitori, documentazione e
valutazione.
**)
è opportuno attivare gruppi di ricerca interni alla scuola per
”esplorare” le diverse caratteristiche di ogni funzione: fonti, modelli
operativi, buone pratiche, ecc. Es: la funzione di tutoring è diversa da quella
di coaching,la funzione di holding è altro rispetto al counceling, ecc.
*) si chiede di assegnare queste
funzioni ad un solo docente, per assicurare la coerenza e l’unitarietà degli
interventi;
**)
questo assunto appare discutibile, perché è evidente il rischio di una
gerarchizzazione di funzioni tra i docenti di una equipe pedagogica,
soprattutto se alcuni docenti fossero “privati” di aspetti qualitativi della
funzione docente (il tutoring o il rapporto con i genitori o la valutazione
sono funzioni intimamente connesse alla funzione docente); tutt’al più si
potrebbe affidare ad uno dei docenti titolari della classe un coordinamento
di team, come garanzia di unitarietà e tenuta del gruppo docente;
*) il docente cui vengono
assegnate le funzioni “arricchite” esplica un orario dedicato all’insegnamento
di almeno 18 ore settimanali (non si specifica se da rivolgere agli alunni
della stessa classe);
**)
questa previsione sembra precostituire un diverso regime contrattuale di orario
(ridotto) solo per alcuni docenti; la cosa in sé non è negativa, ma va vista in
una logica contrattuale (incentivi, articolazione di funzioni, formazione) e
comunque occorre valutare le conseguenze sulla qualità dell’insegnamento
di una eccessiva contrazione degli orari; il rischio è di considerare
“insegnamento” sempre e comunque una attività “frontale”;
*)
le funzioni arricchite devono essere svolte dal docente incaricato, con
l’apporto dei colleghi “contitolari” della medesima classe;
**)
è possibile forzare l’interpretazione del decreto distribuendo le funzioni
di “tutoraggio” tra tutti i docenti titolari della classe (ogni docente
accompagna in forme tutoriali solo alcuni allievi; tutti i docenti condividono
la funzione “tutoriale”;altro è il problema del coordinamento didattico;
*) la responsabilità delle
attività didattica ed educative è affidata ai docenti (al plurale) assegnati (e
quindi titolari) della classe;
**)
scompare il concetto pedagogico e giuridico di modulo (cioè di raggruppamento
di 2 o 3 classi affidate ad un team docente). L’unità di riferimento (anche
giuridico) è la singola classe, cui è preposto un gruppo di docenti (non si
indica il numero di tali docenti). Si mantiene, dunque, l’idea di team
docente, con responsabilità condivisa della classe (“contitolarità
didattica”)
L’assegnazione
ad un unico docente delle funzioni tutoriali mette in discussione l’impianto
della pluralità docente e, prima ancora di creare gerarchie tra i docenti,
porta ad uno svilimento della funzione docente in questo ordine di scuola. Non
si può accantonare il ruolo strategico del team, inteso come luogo della
condivisione e della collegialità, ma anche come il luogo entro cui meglio
esplicitare le competenze del singolo docente all’interno del gruppo nella
salvaguardia dell’unitarietà dell’insegnamento.
Le
scuole, nella loro autonomia, dovrebbero salvaguardare il lavoro collegiale
(almeno 2 docenti nell’attuale primo ciclo e nel tempo pieno e 3 docenti nel
secondo ciclo – si vedano la C. M. 116/1996 e gli orientamenti di riferimento).
Una tale soluzione è compatibile con il nuovo assetto e sta entro i limiti dell’organico garantito per il
prossimo anno scolastico. Tutto diventa più difficile con un organico ridotto
(nel decreto legislativo si rinvia alle leggi finanziarie che di volta in volta
possono operare tagli di personale).
I
nodi della progettazione organizzativa
Piuttosto che
proporre esempi già concretamente dettagliati (che ricadono ormai nell’ambito
della piena autonomia dei docenti) è utile soffermarsi sulle variabili che
vanno a comporre un modello organizzativo.
1) tempo
settimanale: è possibile per la scuola offrire un modello “ricco” ai genitori,
assestato sulla fascia alta della quantità oraria (ad esempio, 30 ore
settimanali), comprendenti anche momenti opzionali per gli allievi (es.: 3
ore). I genitori vanno comunque informati circa il loro diritto di avvalersi
anche dell’orario “minimo” (chiarendo le controindicazioni in termini di qualità
dell’insegnamento di un orario eccessivamente compresso);
2) l’offerta ai
genitori può prevedere anche l’indicazione dei servizi accessori garantiti (mensa,
interscuola), con la configurazione della settimana (su 5 o 6 giorni, con
rientri pomeridiani, preferibili nel caso ci si orienti verso la fascia
“arricchita” dell’orario). Ad esempio 33 ore comprensive di 3 ore per i servizi
di mensa, con due rientri pomeridiani; o altre soluzioni simili che offrono
tempi adeguati al servizio di mensa e dopomensa;
3) il rientro
pomeridiano (meglio la permanenza) non rappresenta più un obbligo formale, ma
va “motivato” con i genitori alla luce di considerazioni pedagogiche (tempi più
distesi, successione equilibrata di attività) e sociali (vita di relazione,
integrazione di esperienze, ecc.);
4) è possibile
garantire un’offerta settimanale di 40 ore corrispondente all’attuale tempo pieno,
strutturato in 5 giornate di 8 ore ciascuna, con pause adeguate per la mensa ed
il dopo mensa (ad es.:2 ore giornaliere). In questo caso i genitori devono
esprimere il loro gradimento per l’intero “pacchetto” integrato di 40 ore.
Eventuali scelte differenziate sulle diverse attività (che vanno prospettate ai
genitori) mettono a rischio la possibilità di aver garantito il doppio organico
dei docenti per ogni classe ad orario pieno (tempo pieno);
5) le attività
opzionali-facoltative assumono una piena rilevanza curricolare. Dovrebbero riguardare
insegnamenti “fondamentali” espansi ed intensificati attraverso approfondimenti
di contenuti e adozione di metodologie operative (produzione culturale,
laboratorio, socializzazione di conoscenze, ecc.);
6) va
assolutamente esclusa la distinzione tra docenti titolari di insegnamenti
curricolari e docenti titolari di soli laboratori; ogni docente deve poter
gestire insegnamenti curricolari e laboratori, in base a effettive competenze e
attitudini;
7) è
consigliabile una iniziale distinzione delle discipline tra almeno due grandi
ambiti (quello della lingua e dei linguaggi; quello delle scienze e
matematica); esiste poi l’opportunità di aggregare insegnamenti di storia e
geografia all’ambito linguistico;
8)
l’insegnamento delle 18 ore (fino alla terza classe) non è vincolante che
avvenga nella stessa classe, rivolta al medesimo gruppo di alunni. Esempio: si
possono ipotizzare 15 (12) ore in una classe, con leggera prevalenza, e 3 (6)
ore in una altra classe, nella quale si opererà con maggiore frequenza a partire dalle classi successive. La
seconda figura di insegnante potrebbe assicurare, tendenzialmente una presenza
paritaria di 11 ore in ciascuna delle due classi di insegnamento;
9) le 18 ore
“di insegnamento” devono considerarsi comprensive anche del tempo eventualmente
dedicato all’assistenza educativa alla mensa e al dopo-mensa, in quanto
contrattualmente equiparate; una certa elasticità nella configurazione degli
orari consente di recuperare un migliore equilibrio nel team e assicurare
alcune fasce di compresenza;
10) i tempi del
coordinamento dovrebbero essere riconoscibili anche in forma di incentivo economico
(per non ridurre tempi di compresenza “pregiata”). Per lo stesso motivo i tempi
per i servizi di mensa non dovrebbero andare a discapito dei tempi di
compresenza;
11) la figura
del tutor (ma non chiamiamolo così) potrebbe caratterizzarsi soprattutto come
figura di “coordinamento” dell’equipe pedagogica, per assicurare la
condivisione e la tenuta unitaria del gruppo docente, per realizzare una piena
responsabilità nello svolgimento delle funzioni arricchite. Infatti è opportuno
che le funzioni di tutoraggio, di orientamento, di valutazione, di rapporto con i genitori, siano svolte con
ampie forme di collegialità e condivisione (in accordo tra i docenti, come
recita il decreto).
… dove va la scuola media?
salvaguardare l’unitarietà e la coerenza del progetto educativo
I genitori? la sanno lunga…
Il decreto
legislativo introduce operativamente nella scuola media alcuni principi
enunciati nei numerosi documenti “ufficiosi” di corredo delle proposte di
riforma (ma mai esplicitati nella legge 53/2003):
-
la garanzia per ogni
cittadino di poter fruire del diritto dovere all’istruzione, ma per un tempo
scolastico di 27 ore (inferiore di almeno 3 ore rispetto alla scuola che c’è);
-
l’opzionalità per le
famiglie di scegliere tra le diverse opportunità (attività e discipline fino ad
un massimo di 6 ore) che la scuola deve mettere a disposizione;
-
l’obbligatorietà della
scuola ad offrire il massimo delle possibilità previste (6 ore diversamente
articolate) e realizzarle sulla base delle richieste;
-
la facoltatività per i
genitori di avvalersi o meno delle offerte opzionali messe a disposizione della
scuola.
Rimanendo sul
piano dei principi, quello di riconoscere alle famiglie una così ampia responsabilità
appare in sintonia con un sistema di valori attraverso i quali sono le
famiglie, prima ancora delle istituzioni pubbliche (le scuole, lo Stato, gli
enti locali, ecc.), a farsi carico dell’istruzione dei ragazzi. Assecondando
questa filosofia “familista” dovremmo consentire ai genitori di scegliersi gli
insegnanti, disporre di orari scolastici a propria misura, decidere sulle
attività scolastiche, privilegiare la lingua inglese, strizzare l’occhiolino
all’informatica, disporre del “tutor” preferito…
Il decreto legislativo è sensibile a tutto
ciò. Ma la scuola, come istituzione formativa pubblica, ha regole e finalità che non possono dipendere
in maniera diretta ed unilaterale dalla domanda “individuale” di ogni famiglia.
Scorriamo allora gli articoli del decreto per capire quali sono i pericoli e
come (e se) è possibile arginarli.
Gli articoli
del decreto che riguardano direttamente la scuola secondaria di primo grado
sono i seguenti:
-
Articolo 10, che regola l’orario obbligatorio delle attività
opzionali facoltative, dell’assistenza educativa alla mensa e al dopomensa e
prevede un docente con funzioni di orientamento, tutorato, coordinamento, ecc.
-
Articolo 11, che oltre alla valutazione periodica e finale,
all’eventuale bocciatura, ridefinisce le regole fondamentali dell’esame di
stato e stabilisce il criterio della permanenza in sede per gli insegnanti.
-
Articolo 14, che definisce la tempistica per l’attuazione del
nuovo ordinamento, entra nel merito dei criteri per la determinazione degli
organici, prevede una configurazione transitoria delle cattedre e dell’utilizzo
dei docenti con orario eccedente. Annuncia altresì una nuova definizione delle
classi di abilitazione.
Estrapoliamo alcuni concetti fondamentali individuando in ognuno
i punti di criticità.
Quali finalità
per il primo ciclo? Le lingue e l’informatica al primo posto?
Le finalità della scuola media sono le stesse indicate nella legge
53/2003 (art. 2, comma 1, lettera f), ma declinate in conoscenze ed abilità dal
documento Allegato C (Indicazioni nazionali) che in via transitoria determina
l’assetto pedagogico, didattico e organizzativo della scuola media. Resta lo sconcerto, già segnalato in
occasione dell’approvazione della legge di riforma, circa l’assenza di ogni
richiamo ai valori costituzionali (a quella “formazione dell’uomo e del
cittadino” ben presente nei programmi del 1979).
Una questione
problematica è quella relativa alle tecnologie informatiche e alla seconda lingua
dell’unione europea, che sono presentati come gli aspetti più innovativi del
corso di studi. L’alfabetizzazione informatica viene configurata come
un’attività trasversale a tutte le discipline, quindi non assegnata ad alcun
docente. Ma rimane il problema di chi si assume la responsabilità degli
obiettivi formativi che appaiono, nelle “Indicazioni nazionali”, autonomi,
rispetto alle altre discipline.
L’introduzione
dello studio della seconda lingua europea nel curricolo obbligatorio, se in linea
di principio costituisce un elemento di pregio, apre una serie di problemi non
solo organizzativi. Nei programmi attualmente vigenti la lingua straniera ha 3
ore di insegnamento settimanale, con l’introduzione della seconda lingua si
verrebbe a diminuire la quota complessiva annuale quasi della metà (da 99 ore a
54 ore) con rischi evidenti sul piano degli esiti formativi. E il tempo per la
seconda lingua non sarebbe comunque superiore alle due ore settimanali. Di
fatto, l’introduzione della seconda lingua comporterebbe per lo Stato un
aumento complessivo di pochi minuti di insegnamento alla settimana: si tratta
di appena 21 ore annue (dalle 99 per la 1a lingua dei programmi del
1979 alle attuali 120). Inoltre, si tace clamorosamente sul problema delle
competenze necessarie e dell’organico docente conseguente…
Un
orario obbligatorio asciugato… quasi secco?
In realtà nel decreto non si parla di orario “obbligatorio” ma di un tempo che garantisce
l’esercizio del diritto dovere. Come per la scuola primaria, è di 27 ore
settimanali (se si opta per una distribuzione uniforme della quota annuale di
891 ore), cioè di 99 ore in meno
rispetto a quella prevista dai Programmi del 1979.
Nelle 27 ore sono
comprese: la quota regionale (non ancora specificata); quella riservata
all’autonomia scolastica (ancora del 15%, come nel DM 340/2000?); l’ora di
religione cattolica; ma anche l’informatica e la seconda lingua comunitaria. Ci
sono, cioè 11 insegnamenti e due attività assai complesse (come l’educazione
alla convivenza civile e l’informatica), rispetto ai quali risulta difficile
far fronte con qualche lifting di superficie (togliamo qualche minuto alla
matematica che regaliamo alle scienze, qualche ora in meno di palestra, qualche
ora in più per la musica…). Nello schema che segue sono riportate oltre le
quote di oscillazione annuali e settimanali anche i tempi del vecchio
ordinamento con le relative differenze, sia rispetto alla quota annuale sia a
quella settimanale.
Discipline/orari |
Quota minimo |
Quota Medio |
Quota massimo |
Quota
di oscillazione min.
media massima settimanale |
Monte
ore 1979 |
Media
settimanale 1979 |
Diff.
rispetto alla quota media annua |
Italiano Storia Geografia |
(307) |
203 (313) 60 50 |
(319) |
6,1 (9,3-9,4-
9,6) 1.6 1,5 |
231 (363) 132 |
7 (11) 4 |
(- 50) |
Matematica Scienze e Tecnologia |
(239) |
127 (245) 118 * |
(251) |
(7,2-7,4-7-6) |
198 (297) 99 |
6 3 |
(-52) |
Inglese 2a lingua comunitaria |
(114) |
54 (120) 66 |
(126) |
1,6 (3,4-3,6-3,8) 2 |
(99) |
3 |
(+ 21) |
Arte e immagine |
54 |
60 |
66 |
1,6-1,8-2 |
66 |
2
|
- 6 |
Musica |
54 |
60 |
66 |
1,6-1,8-2 |
66 |
2 |
- 6 |
Scienze motorie e sportive |
54 |
60 |
66 |
1,6-1,8-2 |
66 |
2 |
- 6 |
Religione |
33 |
33 |
33 |
1 |
33 |
1 |
- |
|
|
891 |
|
|
990 |
|
-
99 |
* di cui 33 ore da destinare alla
Tecnologia
NB: I dati in parentesi si riferiscono
alle aggregazioni disciplinari
L’opzionalità
e la facoltatività… per una scuola su misura… di chi?
Il modello di tempo scuola sembra seguire una sua logica:
c’è una prima quota “obbligatoria” e c’è una seconda quota
“opzionale-facoltativa”. Confrontiamolo con la situazione attuale: le ore
opzionali-facoltative, se distribuite uniformemente nella settimana, diventano
6 ore, che aggiunte alla quota obbligatoria permette di ricomporre un tempo
scuola di 33 ore (3 in più rispetto al modello “base” precedente, ma tre in
meno rispetto al modello del tempo prolungato).
Il problema risiede proprio nella “facoltatività” il cui
principio consegna al genitore anche la possibilità di non scegliere,
sia per optare per altri servizi nel territorio sia anche (nelle fasce più
marginali e a rischio) per superficialità, incapacità o anche noncuranza.
Molto dipenderà da come le scuole sapranno progettare
l’offerta formativa. Si possono prevedere due diverse strategie:
a. Una proposta
organica della scuola, su cui si opera la successiva scelta dei genitori;
b. Una scelta
preventiva dei genitori su un ventaglio di insegnamenti e di attività.
Naturalmente la
prima modalità è quella che garantisce maggiormente l’unitarietà del modello
formativo e la stabilità degli organici (assicurando una necessaria continuità
per gli studenti). Si tratta, infatti, di “contenere” le eventuali
particolarissime richieste dei singoli genitori, magari tagliate su esigenze
familiari piuttosto che su quelle dei bisogni formativi dei ragazzi. La domanda
di un genitore per un certo tipo di servizio non può essere scambiata per un
diritto soggettivo perfetto…. La scuola dovrà certamente “negoziare” e
“mediare” tra le diverse istanze, ma il criterio sarà quello di decidere (in
termini professionali) ciò che è più utile per una comunità e non solo per un singolo
soggetto.
Occorre evitare
che la scuola diventi una specie di supermercato dove ognuno possa prendere
quello che al momento piace di più, magari perché attratto da qualche piccolo
effetto speciale. Bisogna in ogni modo evitare che sul principio dell’opzionalità
(diritto di scegliere) prevalga il principio della facoltatività
(che è anche diritto a non scegliere), facendo in modo che gli allievi più
bisognosi di cure educative non siano proprio quelli che si accontentano solo
della quota garantita.
Un altro
rischio è quello della precarietà dell’organico essendo soggetto ogni anno (?)
alle scelte dell’utenza. Una modifica apportata nel testo definitivo che
“obbliga” gli allievi alla frequenza
delle attività facoltative scelte elimina il pericolo di una precarietà
anche in corso d’anno, ma non scongiura quello della precarietà per periodi più
lunghi. Questa incertezza può costituire un freno per la scuola ad utilizzare
ampiamente l’autonomia organizzativa, prevista del Regolamento del 1999: cosa
potrebbe succedere, infatti, se si organizzano le attività opzionali e
facoltative concentrandole in determinati periodi, anziché spalmarle uniformemente
nell’intero anno scolastico?
Il
giallo del tempo prolungato… c’è e non c’è!
Grazie
agli interventi dell’Anci e della Conferenza unificata Stato Regioni, tra le
garanzie a livello nazionale (ma su richiesta delle famiglie) c’è ora anche
quella del tempo riservato alla mensa e al dopo mensa. Il decreto prevede fino
ad un tempo massimo di 231 ore che al livello settimanali può significare anche
7 ore. Paradossalmente, ne deriva che sommando questo tempo aggiuntivo alla
quota obbligatoria e a quella opzionale-facoltativa tutto il servizio per la
scuola secondaria di primo grado potrà estendersi fino a 40 ore settimanali,
quindi per un tempo maggiore rispetto al modello più diffuso di tempo
prolungato.
Permane,
quindi, nella vulgata, che lo stesso
decreto veicola (vedi art. 15, attività
di tempo pieno e di tempo prolungato) il termine “tempo prolungato”. In
realtà non si tratta di una riproposta di quello già esistente: formalmente,
perché vengono eliminate le norme di riferimento (art. 19, commi 3 e 4);
sostanzialmente, perché il modello della legge di riforma (leggasi Decreto) è
fondato su altri presupposti.
Le
scuole a tempo prolungato si trovano, ora, a dover ridurre di tre ore le
attività e le discipline (vedi sopra), ma possono comunque prolungare l’azione
educativa durante la mensa e nel dopomensa, essendo tali ore garantite
dall’organico. I docenti, quindi, sulla base delle rispettive professionalità,
ma anche degli aspetti vocazionali di varia natura, possono sicuramente utilizzare
parte dell’orario aggiuntivo per azioni educative di carattere educativo
(attività sociali, piccoli gruppi, relax intelligente, ascolto, lettura,
ecc.).
Resta
aperto il problema del fabbisogno aggiuntivo di personale per i tempi
aggiuntivi promessi agli utenti (offerta fino a 33 ore, tempo della mensa,
ecc.), se ad ogni scuola media viene data la possibilità di conservare per un
triennio il proprio organico. Insomma, non è chiaro il rapporto tra
congelamento dei posti di tempo prolungato, salvaguardia degli organici di
istituto, risposta alla eventuale domanda “aggiuntiva” dei genitori, riduzione
di 12.000 cattedre previste – per altre vie – dalle leggi finanziarie.
Arriva
il tutor… ma è un coordinatore (!?)
In tutor non esiste… se dobbiamo attenerci alla termine
specifico, ma viene previsto un docente con una serie di funzioni tutoriali:
-
di orientamento
(per le scelte delle attività opzionali facoltative);
-
di tutorato
degli allievi;
-
di
coordinamento delle attività educative didattiche;
-
di cura delle
relazioni con le famiglie;
-
di cura della
documentazione del percorso formativo
Esse dovrebbero essere svolte all’interno del tempo già
definito. Non si fa riferimento né ad una tempo minimo di insegnamento
garantito per ogni classe o gruppo di alunni, né ad un tempo aggiuntiva di
esonero dall’insegnamento per l’espletamento delle funzioni tutoriali.
In realtà buona
parte di tali funzioni non sono nuove e spesso vengono assegnate al docente
(es.: lettere) che garantisce una presenza più continua nella classe di
riferimento. Dal momento che l’organizzazione delle attività educative e
didattiche rientra tra le responsabilità della scuola autonoma (concetto
ribadito anche nel decreto) si presuppone che anche la distribuzione di tali
incarichi sia compito della scuola, dovendo essa assicurare la funzione di
tutorato per tutta la durata del corso. Non può essere certamente il docente a
garantirla dal momento che (nella migliore delle ipotesi) esso può essere
vincolato per solo un periodo didattico (norma che tra l’altro stride con la
facoltà di chiedere annualmente il trasferimento in altra sede).
Nel decreto,
però, si fa riferimento ad un docente “al singolare” in più dotato di specifica
formazione. Ci troviamo quindi di fronte ad un’altra contraddizione: non è
possibile un docente al “singolare” per i motivi sopra esposti, come non è
neanche possibile che un insegnante abbia già una formazione ad hoc non essendo
state, tali funzioni, mai definite per norma. Non va inoltre ignorato che la
maggior parte di tali funzioni rientrano tra quelle di una normale professionalità
d’aula (tutorato degli allievi, orientamento, cura della relazione con la
famiglia) o di una professionalità arricchita a seguito della realizzazione
dell’autonomia scolastica (cura della documentazione, coordinamento delle
attività educative e didattiche).
Se valgono tali
riferimenti, come e chi decide i criteri per validare le esperienze formativi realizzate,
ma sicuramente mai certificate? Inoltre, secondo la legge 53/2003 (comma g, art 5) la formazione in servizio degli insegnanti interessati ad assumere
funzioni di supporto, di tutorato e di coordinamento dell’attività educativa,
didattica e gestionale delle istituzioni scolastiche e formative dovrà essere
curata solo da apposite strutture di Ateneo che, al momento non solo non
esistono, ma devono ancora essere definite con un apposito decreto legislativo.
A supportare la
tesi che è la scuola a dover garantire la funzione tutoriale (e non il singolo
docente tutor) c’è anche la stessa legge di riforma che nel suo articolato si
era limitata a indicare una serie di funzioni educative da potenziare, ma non
aveva preordinato alcuna figura professionale di questo tipo.
Le
variazioni apportate all’ultima stesura del decreto
È utile, per
cogliere il significato delle diverse disposizioni contenute nel decreto,
soffermarsi anche sulle numerose variazioni (almeno 25) che sono intervenute
nel corso del processo di elaborazione dell’articolato. Rispetto al testo
inizialmente conosciuto (aprile 2003) sono state apportate, nel corso dei mesi
successivi, numerose modifiche che incidono su aspetti qualificanti del
provvedimento, come ad esempio nel caso del tempo scuola che appare,
nell’ultima versione, più garantito, almeno sotto il profilo quantitativo,
rispetto alle iniziali ipotesi legislative. Merito del vasto movimento che si è
creato in questi mesi e che è stato, in un qualche modo, recepito soprattutto
dalla Conferenza Stato-Regioni-Autonomie che ha interagito in maniera assai più
incisiva dello stesso Parlamento nelle diverse fasi di definizione del decreto.
(Quadro sinottico
delle variazioni più significative)
Articolo |
Modifiche apportate al testo iniziale
(12 settembre 2003) |
Soggetti che hanno determinato le
modifiche |
Art. 1 |
La generalizzazione della scuola
dell’infanzia è rinviata ad ulteriori decreti |
Governo ultima stesura |
|
Continuità educativa assicurata da
accordi con Regioni ed Enti locali |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
Art. 2 |
(invariato) |
|
Art. 3 |
È costituito l’organico di istituto |
Governo ultima stesura |
Art. 4 |
Configurazione autonoma del primo
ciclo |
Governo ultima stesura |
|
Aggregazione di scuole del primo
ciclo e dell’infanzia in istituti comprensivi |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
Art. 5 |
Richiamo all’accoglienza e alla
valorizzazione delle diversità, ivi comprese le disabilità |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
Art. 6 |
(invariato) |
|
Art. 7 |
Gratuità delle attività facoltative
nella scuola primaria e obbligo di frequenza, una volta scelte dai genitori |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
|
Organico di istituto deve garantire
la “copertura” delle attività obbligatorie (27 ore), delle attività
facoltative (3 ore), del tempo dedicato alla mensa e al dopomensa (10 ore) |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
|
Fa “fatta salva la contitolarità didattica dei docenti” |
Governo, stesura del 12-9-2003 |
|
Il docente cui sono attribuite
funzioni tutoriali deve assicurare un’attività di insegnamento agli alunni
non inferiore alle 18 ore settimanali (nei primi tre anni della scuola
primaria)[scompare il riferimento allo “stesso gruppo classe”] |
Governo, stesura del 12-9-2003 |
|
Va assicurata “una equilibrata
ripartizione dell’orario quotidiano tra le attività obbligatorie e quelle
opzionali facoltative” |
Governo, ultima stesura |
Art. 8 |
Gli esami di idoneità possono essere
sostenuti anche per i nati oltre la data del 30 aprile (inizialmente stabilito
come limite, collegato alla “legalizzazione” dell’anticipo scolastico. |
Governo, ultima stesura |
Art. 9 |
(invariato) |
|
Art. 10 |
Gratuità delle attività facoltative
nella scuola secondaria di I grado e obbligo di frequenza, una volta scelte
dai genitori |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
|
Organico di istituto deve garantire
la “copertura” delle attività obbligatorie (27 ore), delle attività
facoltative (6 ore), del tempo dedicato alla mensa e al dopomensa (7 ore) |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
Art. 11 |
(invariato) |
|
Art. 12 |
L’anticipo nella scuola
dell’infanzia è correlato anche alla
“definizione delle esigenze di nuove professionalità e modalità
organizzative” |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
|
L’anticipo avviene secondo criteri di
gradualità a prescindere dalle scadenze previste dalla legge 53/03 |
Governo, ultima stesura |
Art. 13 |
(invariato) |
|
Art. 14 |
Nella scuola secondaria sono
confermati i criteri vigenti per la formaazione gli organici docenti |
Governo, ultima stesura |
|
Le scuole secondarie di I grado,
possono configurare in via provvisoria la configurazione oraria delle
cattedre e dei posti di insegnamento |
Governo, ultima stesura |
|
I docenti con diminuzione di orario
della propria cattedra sono utilizzati per insegnamenti obbligatori e facoltativi |
Governo, ultima stesura |
|
Ridefinizione delle classi di
abilitazione |
Governo, ultima stesura |
Art. 15 |
Per le attività di tempo pieno e
prolungato vengono “congelati” gli organici esistenti al 2003/2004 |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
|
Ulteriori incrementi di posti, per le
stesse finalità sono attivati nell’ambito dei contigenti complessivi del personale |
Governo, ultima stesura |
Art. 16 |
Sono confermate le sanzioni per la
mancata frequenza del primo ciclo |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
Art. 17 |
Sono fatte salve le disposizioni per
le Regioni a statuto speciale e per le province di Trento e Bolzano |
Richiesta ANCI e conferenza unificata |
|
Viene salvaguardato il protocollo
stipulato a Trento per un approccio graduale e sperimentale ai nuovi ordinamenti |
Governo, ultima stesura |
Art. 18 |
(invariato) |
|
Art. 19 |
(invariato) |
|
Cidi, 18 febbraio 2004