Alcuni chiarimenti sul rapporto tra istruzione (scuola), formazione professionale e lavoro

 

Prima di sviluppare i ragionamenti sulle due prospettive, mi pare utile inserire alcune osservazioni e alcuni chiarimenti:

 

1. Scuola e formazione al lavoro. La fascia di età 14-18/19 contiene sempre meno il lavoro. In questi anni la presenza del lavoro è significativa solo se non separata dalla sua dimensione formativa; è da ritenere improponibile ogni forma di lavoro non veicolata dalla dimensione formativa. È troppo importante che la tappa della formazione culturale tra i 14 e i 18/19 anni non sia saltata o vissuta in modo non adeguato; non potrebbe essere pienamente recuperata successivamente. Va inoltre sottolineato che le possibilità reali di accesso alla formazione per tutta la vita sono direttamente proporzionali alla qualità della formazione culturale sotto i 18 anni: anche per la formazione piove sempre sul bagnato.

Rimane pienamente valido il processo di avvicinamento formativo all’età adulta:

- Il periodo dell’istruzione (fino ai 16 anni) rappresenta, per tutti, il “tempo della scuola”, della formazione culturale da consolidare e rendere persistente e stabile, dell’acquisizione delle competenze culturali di base in grado di sostenere la capacità di apprendere per tutta la vita. Deve essere articolato in fasce scolari in modo da corrispondere ai bisogni formativi che caratterizzano le diverse età (3-6, 6-11, 11-14, 14-16/19)

- Il periodo appena successivo (16÷19 anni) costituisce il tempo del “confine”, dell’intreccio e della contaminazione tra i sistemi formativi (scuola formazione professionale, formazione sul lavoro). In particolare è importante recuperare e far evolvere l’esperienza e l’elaborazione realizzate negli istituti professionali e legate al curricolo del terzo anno (qualifica) e dei due anni post-qualifica.

- Nella formazione per tutto l’arco della vita, nel “tempo del lavoro”, la scuola deve rimanere un punto di riferimento significativo sia a livello della riconversione professionale che dell’approfondimento culturale. Sarà fondamentale intercettare l’esperienza e le competenze di cui l’adulto è portatore e dalle quali deve partire il percorso d’approfondimento culturale e professionale

 

Quale cultura serve aver acquisito per il lavoro?  Si potrebbe semplificare dicendo che “serve” quella cultura che garantisce “occupabilità”, concetto recente che Luciano Gallino specifica come «una caratteristica personale definibile come una somma variabile di competenze formali, di fare pratico, di capacità di lavorare con altri, di esperienza su terreno», la caratteristica che «fa venir voglia a quel dato datore di lavoro di assumere subito l’individuo che risulta possederla (…) mentre gli fa sembrare insensata l’idea di licenziarlo/la quando è un suo dipendente». 

La cultura del lavoro è dunque quella capacità di dare operatività ad un sistema di conoscenze, di ordinarle, di organizzarle all’interno di un processo lavorativo.

Un dato determinante è che essa si è profondamente trasformata com’è mutato il suo rapporto con la cultura scolastica.

Le modificazioni del mercato del lavoro, l’incremento di complessità e di rapidità evolutiva delle professionalità, hanno fatto saltare un equilibrio che continuava a reggere, giustificare e governare l’assetto del sistema scolastico gentiliano tra i 14 e i 19 anni: una scuola libera, senza apparenti legami con la dimensione lavorativa (formativa in quanto “oziosa”), una scuola vincolata al raggiungimento di livelli stretti di professionalità e una scuola interna alla dimensione lavorativa.

Viene a cadere la tesi che, assumendo la scuola come variabile dipendente e passiva nella programmazione economica, vede il mercato del lavoro come il riferimento meccanico per l’orientamento degli indirizzi professionalizzanti, mentre l’area dei licei può rimanere completamente estranea alle dinamiche e alle trasformazioni del mondo del lavoro, da intercettare solo nella tappa formativa successiva.

Il rapporto scuola-lavoro diventa meno lineare, meno determinato e meno determinabile, più complesso, interattivo, in grado di colloquiare con entrambi i percorsi formativi.

Il mutamento produttivo, economico e sociale, l’evoluzione delle conoscenze e in particolare del sapere tecnologico, sono talmente rapidi da produrre profili professionali caratterizzati contemporaneamente da un’alta specializzazione e da una rapida trasformazione e instabilità; è il concetto, ormai abusato, di flessibilità.

Ma come costruire figure professionali flessibili e, contemporaneamente, ad alto livello di specializzazione?

Non certo anticipando il momento della specializzazione: i tempi lunghi di formazione specialistica e settoriale caratterizzavano i profili professionali rigidi e duraturi tali da coprire l’intero periodo della vita lavorativa.

Crescono le competenze trasversali e le abilità comunicative e di comprensione/interazione all'interno di situazioni complesse e in forte, continua evoluzione.

Il lavoro insomma, tende ad incorporare quantità sempre maggiori di conoscenze/competenze culturali e non solo nelle fasce di professionalità medio-alte. Ogni area significativa di professionalità presuppone sempre più un livello alto di formazione culturale. Proprio la nuova tipologia della specializzazione legata alle nuove tecnologie e il suo bisogno di flessibilità sono compatibili unicamente con una base di formazione di ampio e consolidato respiro culturale che solo ad un certo momento si orienti e si pieghi verso lo specifico settore professionale. Coloro che non possiedono tale base culturale sono destinati a subire la flessibilità che caratterizza il lavoro.

E' il definirsi di un nuovo concetto di professionalità non più statico (raggiungibile una volta per tutte nella vita lavorativa) ma dinamico "attivo", professionalità come capacità di dare ordinamento, organizzazione e operatività ad un insieme di conoscenze, all'interno di un processo produttivo ampio, costruita su un bagaglio di conoscenze (generale e specialistiche), sulla capacità di "astrarre" sulle conoscenze, di "operativizzare", di apprendere autonomamente, professionalità come cultura in atto, in azione, parafrasando Cartesio professionalità come «cultura attiva».

La ricaduta sulla scuola non può che essere significativa: la scuola assume, per tutti i suoi percorsi, un ruolo centrale nel produrre quella formazione culturale forte intesa come elemento base della futura professionalità, senza dover mortificare il compito, che le è proprio, di costruire quella formazione culturale comune necessaria ai bisogni di crescita e di identità di tutti i giovani cittadini 

La cultura stessa, nel suo valore autonomo diviene base della formazione alle professioni; la formazione culturale generale e quella specifica non più separate nel metodo e nella funzione.  Lo specialismo può avere cittadinanza nella scuola della formazione culturale purché sia in grado di riprodurre, di svelare un abbozzo di visione del mondo.

Come rinforzo si può recuperare un concetto di Giancarlo Lombardi (1993): «...la scuola prima ancora che fattore decisivo di sviluppo economico, è il luogo di acquisizione sistematica e critica della cultura, luogo in cui si promuove lo sviluppo della persona umana.  La scuola, insomma, prima che risorsa economica, è una risorsa civile in quanto sede dei processi di umanizzazione e socializzazione delle nuove generazioni. È altrettanto vero che una scuola di qualità è condizione indispensabile per lo sviluppo economico del Paese.» 

Alla scuola secondaria superiore si ripropone, già dai primi anni, il compito di costruire le basi culturali delle professioni, vale a dire la formazione di base al lavoro, non di raggiungere professionalità compiute.

Ma ciò può funzionare solo se accanto alla scuola vengono a trovarsi altri momenti formativi in grado di completare il percorso di avvicinamento alle professionalità compiute: è ancora il bisogno di un vero sistema formativo integrato ad emergere.

Innanzi tutto è determinante che la formazione professionale, attraverso una sua profonda riforma, sia messa in condizione di poter sviluppare pienamente la sua vocazione istituzionale di diventare l'anello di raccordo con il tempo del lavoro liberandosi dalla necessità di surrogare e supplire a compiti  propri della scuola, per essere in grado di concentrarsi sugli interventi che le sono specifici:  dalla qualificazione iniziale successiva all’obbligo, alle forme di professionalizzazione e di perfezionamento successive al diploma, al sistema di rientri con la scuola secondaria, alla riconversione e riqualificazione della forza-lavoro in mobilità.

Diventa inoltre importante che anche l'impresa si proponga e venga riconosciuta come luogo di formazione, proprio l'impresa che oggi sta enfatizzando il ruolo strategico dei processi formativi come fonte primaria delle qualità delle risorse umane deve risultare impegnata a raccogliere e potenziare lo sforzo educativo-formativo della scuola e della formazione professionale per rendere reali le valenze formative del lavoro quando è costruito sulla valorizzazione dell'esperienza umana.

 

2. Istruzione e formazione professionale. In sede di analisi è possibile individuare due funzioni/dimensioni della formazione: la prima si chiama istruzione (senza aggettivi) la seconda si chiama formazione professionale. È fondamentale che alla base e a premessa delle argomentazioni sul rapporto tra istruzione e formazione professionale si pongano alcuni chiarimenti attorno al significato che si vuole attribuire ai due concetti.

Rappresentano funzioni distinte anche se non separate, non sono mai pienamente in alternativa, sono complementari e devono, nel corso della vita, riconoscersi e integrarsi.

Sostanzialmente sono realizzate da soggetti e in ambienti anch’essi distinti che però non devono essere separati.

L’istruzione è al centro delle funzioni della scuola come la formazione professionale è al centro delle agenzie di formazione professionale e dei percorsi formativi in ambiente di lavoro.

L’approfondimento del ragionamento può permettere di superare alcuni luoghi comuni: l’Istruzione non si riduce alla trasmissione di conoscenze inerti e la Formazione Professionale non si risolve nell’addestramento o in una forma minore d’istruzione; sono esperienze formative diverse ma ugualmente essenziali e non in alternativa.

La distinzione è nella natura, nell’identità, nella ragione sociale e istituzionale e l’unione sta nella complementarità, nell’intreccio che caratterizza le zone di confine. È su tali identità e complementarità che si basa la costruzione del sistema formativo integrato.

Il concetto d’istruzione, senza aggettivi, corrisponde a quello di formazione culturale (formazione di “conoscenze attive”); rappresenta un processo unitario anche se assume forme diverse sulla base dei diversi approcci conoscitivi (uso formativo dei saperi disciplinari), sostiene la formazione professionale, comprende tutte le forme di conoscenza (dichiarative, procedurali, “come si fa”, è costitutivo della cittadinanza. La  valenza educativa dell’istruzione è fondamentalmente contenuta nella qualità della formazione culturale

Attraverso la formazione professionale[1], l’aggettivo è necessario, si sviluppano le competenze professionali partendo dalla cultura posseduta (è questa la valenza pre-professionale della cultura); la formazione professionale fa parte del “tempo del lavoro” e al lavoro è collegata; è centrata sulla forma conoscitiva del “come si fa”; in essa le conoscenze sono “dosate” e finalizzate; veicola certo anche istruzione ma come necessità di integrazione, utilizza strumenti metodologici e un impianto organizzativo specifici rappresenta il tempo/luogo di collegamento tra istruzione e lavoro riducendo la discontinuità.

 

In ogni percorso di formazione (in particolare se rivolto a persone in età evolutiva) si possono individuare tre piani di intervento: la cura del sé, la formazione culturale, la formazione per il lavoro.

Proprio attraverso questi piani è possibile riflettere sulle due funzioni/dimensioni/sottosistemi della formazione.

 

Nel percorso di istruzione la cura del sé è rivolta trasversalmente ad ogni aspetto dell’identità che si sta costruendo. Ogni attività didattica e curricolare è intrinsecamente coinvolta nella cura del sé dello studente. Si pensi al ruolo che assume la letteratura di formazione nell’età dell’adolescenza. La valenza del processo formativo di sostenere adeguatamente la formazione delle identità individuali si gioca nella qualità del fare scuola in cui la qualità della relazione e l’intensità del protagonismo degli studenti sono interne e integrate all’insegnamento/apprendimento.

 

L’asse centrale dell’istruzione è ovviamente la formazione culturale necessaria per rendere possibile l’apprendimento per tutto il corso della vita. La scuola prevede tempi lunghi il raggiungimento di competenze culturali che solo secondariamente hanno finalità professionalizzanti: il concetto di studio disinteressato (se non frainteso e confuso con il liceocentrismo) corrisponde bene alla definizione della cultura della scuola.

L’istruzione è il tempo/luogo della consapevolezza in cui l'apprendimento spontaneo, televisivo, “elettronico”, del senso comune, dell’esperienza concreta incontra il sapere dei “vincoli” che caratterizza la cultura scolastica costruita appunto sui vincoli-"discipline"; ed è questa una lunga, lenta e fondamentale esperienza conoscitiva che tutti devono poter incontrare e percorrere in modo compiuto in modo da poter consolidare gli alfabeti e quelle competenze culturali (compreso il gusto della competenza) che possono sorreggerli e renderli attivi, contenendo il rischio di bassa persistenza che la strumentazione conoscitiva porta con sé.

Il processo di innovazione deve garantire che la cultura della scuola diventi, ad ogni livello e per ogni area disciplinare, vera conoscenza attiva in grado di intercettare la cultura dei bambini e dei giovani e di giocare un forte ruolo nella costruzione della cultura del lavoro e della cittadinanza; va invece superata la logica che continua ad accettare la cultura scolastica come erudizione alla quale aggiungere scampoli di “operatività”.

Socializzazione, apprendimento, funzione conoscitiva e poi ancora cognitivo, emotivo, non sono elementi da contrapporre: c’è uno specifico scolastico che li fa dialogare in un equilibrio continuamente ricostruito; uno specifico dello stare a scuola non totalizzante ma significativo, in cui il dilemma educazione-istruzione si risolve nell’apprendimento come atto di socializzazione, nell’apprendimento situato in precisi ambiti di relazioni sociali, emotive e di stimoli culturali.

Spesso evidenziando la differenza tra gli aspetti "teorici" e quelli "operativi", tra l’approccio "deduttivo" e quello "induttivo", tra quelli dell'"astrazione" e quelli dell'"esperienza" si finisce per concepirli come percorsi autosufficienti e separati che possono portare a risultati formativi equivalenti.  É un ragionamento fuorviante, se non strumentale alla tesi della canalizzazione; la scuola (principale responsabile dei percorsi di istruzione) non è meno operativa ed esperienziale della formazione professionale (semmai lo è la caricatura della scuola).

L’esperienza conoscitiva, l’esperienza di apprendere non è una delle tante funzioni della scuola da affiancare ad altre o, talmente forte, da produrre l’esclusione delle altre: rappresenta invece il nodo centrale dell’esperienza scolastica, il nodo attorno al quale si costruiscono e si intrecciano le altre dimensioni dello stare a scuola.

 

Le competenze culturali non possono essere pensate come estranee alla cultura delle professioni.

È importante riflettere come le fondamentali basi culturali delle professioni vengano costruite proprio all’interno di tutto il percorso di istruzione (cosa c’è di più imprescindibile per qualsiasi lavoro dell’acquisizione ad un alto livello delle competenze di letto-scrittura?).  Sono competenze però sviluppate senza una stretta finalità in riferimento ai singoli profili professionali; è tale autonomia che ne garantisce la profondità, la trasversalità la pervasività e la persistenza. La miopia di una loro finalizzazione/dosatura intaccherebbe proprio queste indispensabili caratteristiche.

Rimane il problema relativo al livello di professionalità che la formazione scolastica può porsi come obiettivo. É l’antica e sempre attuale questione del ruolo della scuola nel formare alle professioni, al lavoro.

Non è possibile, inoltre, affrontare il tema in modo indifferenziato, come se avesse la stessa valenza e significato per tutte le fasce di scolarità; è fondamentale ragionare sui livelli cui il rapporto scuola-professione si colloca e all’interno dei quali assume forme e dimensioni certo diverse a 14/16 anni rispetto a 16/19 anni.

 

I percorsi di formazione professionale sono costruiti attorno alla finalità centrale di dare forma, contenuti alle competenze culturali in termini di competenze professionali. È uno specifico che non appartiene all’istruzione: presuppone una conoscenza non approssimativa del mercato del lavoro nella sua evoluzione (in tempo reale) e la capacità di costruire, partendo dal bilancio delle competenze culturali/professionali possedute, profili professionali in grado di corrispondere alle reali esigenze del mondo del lavoro.

Per formare un “riparatore di lavastoviglie” serve una profonda preparazione culturale che comprenda la dimensione tecnologica (necessariamente costruita con i tempi lunghi dell’istruzione) e una specifica formazione professionale riferita alle tecnologie con cui sono costruite oggi le lavastoviglie, realizzata in un corso altamente qualificato.

 

Le competenze professionali prevedono certamente una ulteriore acquisizione di conoscenze e competenze culturali. In questo caso però esse sono finalizzate all’ambito professionale e presuppongono le basi culturali che rendano possibile tale acquisizione. Un esempio: lo studio dei numeri complessi in riferimento alle competenze di elettrotecnica prevede competenze matematiche acquisite precedentemente ovviamente  senza alcuna finalizzazione nei luoghi e con i tempi dell’istruzione.

 

Per la cura del sé vale un analogo ragionamento. L’inserimento in una attività lavorativa prevede il possesso di competenze sociali e di relazione che proprio nella formazione professionale possono acquisire il necessario spessore in particolare nelle fasi di interazione reale con l’ambiente di lavoro (stage/tirocini, e relative riflessioni).

 

Si può rilevare come istruzione e formazione professionale siano distinte anche se si intrecciano e sono da sole insufficienti, hanno bisogno di integrarsi.  Prevedono il reciproco riconoscimento e forme di co-progettazione delle zone di confine e di integrazione. Prevedono nel contempo che ciascuna risulti portatrice di una specifica e forte identità formativa.

Istruzione e formazione professionale si configurano dunque come due sottosistemi integrati della formazione.

 

Sarebbe un errore non riconoscere tale distinzione per costruirne un’altra, quella tra una forma di istruzione “pura” (il liceo di Gentile) e l’istruzione/formazione professionale costruita su diverso principio educativo (che finalizza e motiva l’istruzione alla professione da costruire). Questa scelta diventa ancor più scorretta se applicata già ai percorsi per i quattordicenni.

Fino ad una certa età la formazione coincide con l’Istruzione, dopo le due forme interagiscono e si integrano e solo in questa accezione non sono tra loro subordinate.

 

 

3. Lavoro e cultura tecnologica nei percorsi formativi. 

 

Sul rapporto scuola-lavoro si giocano una serie di fraintendimenti e si costruiscono tanti luoghi comuni. Quale rapporto deve avere la scuola con il lavoro? L’idea che siccome la scuola è teoria, porta a pensare che sia sufficiente aggiungervi, ogni tanto, pezzettini di pratica, scampoli di operatività.

Questa è la semplificazione/banalizzazione del rapporto che ci può essere a scuola tra scuola e lavoro. Si devono invece percorrere strade molto diverse e non far coincidere in modo riduttivo e approssimativo la cultura tecnologica (una componente dell’istruzione senza aggettivi) con il percorso di costruzione delle professioni.

Fino ad una certa età il rapporto tra scuola e lavoro per definizione è solo nel percorso interno al curricolo, nell’esperienza conoscitiva, la scuola non può incontrare il lavoro reale, il lavoro non è sinonimo di operare, costruire degli oggetti, il lavoro non è separabile dall’essere interno ad un rapporto di lavoro. È fondamentale che la scuola impari a incontrare la cultura del lavoro ma lo può fare con i mezzi e gli strumenti che le sono propri, cioè quelli della cultura.

Il lavoro è storicamente luogo di produzione di cultura.  La tecnologia (nell’accezione di cultura tecnologica) potrebbe essere una modalità per intercettarla, ma la tecnologia per farlo deve essere assunta nella scuola come vero sapere, come approccio originale alla conoscenza, come linguaggio, fattore di cultura o di formazione generale e non come elemento professionalizzante (in senso specialistico) da scongiurare nei licei e da confinare negli istituti tecnici e professionali.

L’insufficienza della ricerca epistemologica relativamente alle scienze tecnologiche, la trasformazione dei processi produttivi e l’incredibile impatto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione rendono problematica la stessa sistemazione statutaria ma la sua traduzione in curricolo.

L’accezione di scienza dei sistemi artificiali, ancorati nella loro dimensione storica, è quella maggiormente significativa per ripensare la valenza formativa che la tecnologia potrà assumere nel curricolo verticale nei primi due anni del secondo ciclo.

Scienze dell'artificiale è il nome con cui Herbert Simon definisce quell’insieme di conoscenze che hanno come oggetto l’ampio ventaglio di attività volte alla progettazione, alla costruzione e trasformazione di qualcosa in vista di determinati obiettivi e di un migliore rapporto tra uomo e natura.

La tecnologia possiede quindi uno specifico oggetto di studio, e utilizza tutto il sapere disponibile: in questo senso intercetta e finalizza molti altri approcci conoscitivi (in particolare le conoscenze delle scienze sperimentali) attivando però un proprio specifico di ricerca.

La tecnologia si interessa di artefatti, di oggetti e sistemi artificiali, di procedure; comprende nello studio i processi produttivi e le Tecnologie della Informazione e della Comunicazione ma non si esaurisce in essi.

Il concetto di «sistema artificiale» rappresentata la dimensione centrale dell’accezione di tecnologia da utilizzare a scopi formativi: la tecnologia comprende allora sia lo studio e la ricerca sui sistemi artificiali (similmente alle scienze sperimentali) sia la costruzione/trasformazione di sistemi artificiali (con procedure inverse a quelle delle scienze sperimentali). Per la tecnologia la «realtà» è rappresentata dai sistemi artificiali caratterizzati dai paradigmi della finalizzazione, della strumentalità, della funzionalità, della fattibilità efficiente, della verificabilità e dell'affidabilità a cui si somma il problema dell’impatto con il sistema “naturale”.

Proprio il paradigma della fattibilità efficiente segna la rivoluzione prodotta dal processo di industrializzazione; ponendosi come un ulteriore vertice al triangolo di Vitruvio (funzione, resistenza/stabilità e estetica) lo trasforma nel tetraedro che caratterizza i sistemi produttivi e gli artefatti industriali.

I modelli in tecnologia sono sistemi analoghi dei sistemi artificiali; in buona parte sono sistemi analoghi con struttura lineare o ad albero: il più generale e noto è diagramma di flusso, modello del ciclo produttivo. L'organizzazione e il controllo dei processi, unitamente ai meccanismi di retroazione e di anticipazione sono elementi centrali della struttura tecnologica.

L’uso e il governo/controllo di sistemi artificiali accanto ai processi per la loro realizzazione, rappresentano un serbatoio di procedure conoscitive, di vere e originali modalità di pensiero, di metodi e di linguaggi che la scuola deve riuscire ad attivare nel suo processo di rinnovamento.

 

 

 

 

 



[1] Il termine “formazione” è molto generale e comprende tutti i processi educativi quindi anche l’istruzione; in questo contesto è necessario parlare di “formazione professionale”