B.B.B.
BUSH, BLAIR, BERLUSCONI
ovvero
le bugie hanno le gambe
corte
Piccolo vademecum delle
menzogne sulla guerra in Iraq a cura dell’Associazione “Aprile per la Sinistra”
www.aprileperlasinistra.it
Luglio 2003
L’11 settembre, la guerra infinita, gli Stati
canaglia
La dottrina della guerra infinita e del “first strike” (primo
colpo) nasce all’indomani dell’attacco alle torri gemelle. L’opinione pubblica
mondiale è ancora scossa da quell’evento senza precedenti e in Europa si
discute di come contrastare il terrorismo e di cosa significa “guerra al
terrorismo”.
Il premier britannico Tony Blair il 17 settembre 2001, in
un’intervista pubblicata su Repubblica, alla domanda “Lei ritiene che sia stata
dichiarata una guerra vera e propria” risponde “quali che siano i risvolti
tecnici e legali di questa vicenda il fatto è che siamo in guerra contro il
terrorismo” senza parlare di “Stati canaglia” che appoggiano il terrorismo
internazionale. Ma già il 15 ottobre all’Observer Blair presenterà l’altra
argomentazione contro l’Iraq: “Non c’è dubbio alcuno che Saddam sta ancora
cercando di acquistare armi in grado di consentire la distruzione di massa”.
Il segretario di Stato USA Colin Powell (che viene definito una
“colomba” dell’Amministrazione Bush) dichiara alla Cbs che non vi sono prove di
legami tra l’attacco alle torri e gli Stati canaglia, in particolare l’Iraq.
Solo pochi giorni dopo, il 25 settembre, sempre sulla Cbs, il
segretario alla difesa USA Donald Rumsfeld contraddice il suo collega: “Non
rivelerò le informazioni di intelligence di cui disponiamo. Quello che è certo
è che esiste una lista di Stati terroristi e che tra questi c’è l’Iraq, così
come la Siria, la Corea del Nord, Cuba e la Libia.” Ma ad una domanda più
esplicita risponde che “il presidente sta valutando”.
Nella stessa intervista il giornalista della Cbs domanda a
Rumsfeld della mancata collaborazione dell’Arabia saudita. Secondo informazioni
di intelligence trapelate a più riprese, l’Arabia saudita avrebbe coperto, se
non sostenuto, Bin Laden e la sua organizzazione (Bin Laden è uno sceicco
saudita). Rumsfeld risponde: “Abbiamo avuto dall’Arabia saudita tutto quel che
abbiamo richiesto… non c’è alcun dubbio che siano nostri amici”. Inoltre, nella
stessa intervista, Rumsfeld dichiara: “Gli USA non hanno mai escluso l’uso di
armi nucleari” contro i propri nemici scatenando una polemica poi
ridimensionata dall’Amministrazione. Rumsfeld parla anche di “attacco
asimmetrico” per definire l’11 settembre. La tesi dell’attacco asimmetrico è
che i terroristi possono colpire con mezzi non convenzionali e inaspettatamente.
Per questo occorre “prevenire” gli attacchi colpendo per primi (“first
strike”).
Ad un mese dall’attacco alle torri Richard Perle (consigliere di
Rumsfeld ed ex sottosegretario alla Difesa di Reagan) dichiara all’Espresso:
“Fin quando esistono governi che lo sostengono o chiudono un occhio le
organizzazioni terroristiche disporranno di un serbatoio inesauribile di
terroristi al quale attingere… Le prove del coinvolgimento di altri paesi
[oltre l’Afghanistan, ndr] ce l’abbiamo già. Siria, Iraq, Iran e Sudan sono
impegnati a sostenere il terrorismo. Non dobbiamo mica discutere
ulteriormente.” Quando il giornalista chiede se non sarebbe meglio adottare
altre strategie diverse dalla guerra Perle non lascia spazi: “Preferisco che i
terroristi operino sulla terra bruciata che vivere permanentemente con stati
che forniscono rifugio ai terroristi”.
Nella stessa intervista Perle afferma che “non è necessario” usare
armi nucleari, ma che se i terroristi lo facessero per primi “nessuno potrebbe
escludere il ricorso alle testate nucleari”.
In sostanza si concentra subito l’attenzione su uno Stato, l’Iraq,
su cui non esistono prove di connivenza con il terrorismo e si accredita come
“amico” un altro su cui invece vi sono sospetti.
Contemporaneamente si gettano le basi per la giustificazione della
guerra preventiva contro il terrorismo ma soprattutto contro gli Stati
canaglia.
La scusa è quella del terrorismo, ma l’obiettivo è altro. Il
dipartimento della Difesa (Rumsfeld) pubblica il 30 settembre 2001 il Quadriennial
Defense Review (documento di revisione quadriennale della difesa) in cui si
afferma che le Forze armate degli Stati Uniti hanno l’obiettivo di “difendere gli interessi americani ovunque
nel mondo” che “gli Stati Uniti e i loro alleati e amici continueranno a
dipendere dalle risorse energetiche del Medio Oriente… questi stati stanno
sviluppando capacità nel settore dei missili balistici e stanno appoggiando il
terrorismo internazionale”. Ma l’affermazione più sconcertante riguarda il modo
di contrastare l’attacco agli interessi americani: “[Occorre] cambiare il
regime di uno stato avversario od occupare un territorio straniero finché gli
obiettivi strategici statunitensi non siano realizzati”. Cioè esattamente quel
che è successo in Iraq.
Sempre su Rumsfeld ecco una chicca: a metà degli anni ’80 il privato
cittadino Donald Rumsfeld si recò in Iraq su mandato dell’Amministrazione
Reagan ed incontrò a nome degli USA lo stesso Saddam per migliorare le
relazioni tra i due paesi. Su Internet è facile trovare la foto dei due che si
stringono la mano.
Bush: “Saddam e Osama sono complici”.
La congettura degli Stati canaglia è quindi la giustificazione
principale della dottrina della guerra infinita e del first strike. Occorre
però provare che l’Iraq sia legato alla rete terroristica di Bin Laden, che la
finanzi o comunque la sostenga.
E’ la teoria dell’asse del male: Bin Laden, Saddam, il regime
iraniano, la Siria sono tutti pezzi di un unico disegno volto a distruggere gli
Stati Uniti e si suoi interessi nel mondo (l’amministrazione americana non ha
remore nel fare equivalere gli interessi degli USA con quelli del mondo).
Quel che bisogna immediatamente provare, quindi, è il legame tra
Bin Laden e Saddam Hussein. A dire il vero non è che l’Amministrazione
americana abbia le idee chiare: il sottosegretario alla difesa Wolfowitz il 9
gennaio 2002 afferma che gli USA hanno “il mirino puntato sulla Somalia” dove
si annida Al Quaeda. E in quelle settimane l’Amministrazione americana è sotto
accusa: Condoleeza Rice finisce nel mirino dei media americani perché Fbi e Cia
le avevano fornito, prima dell’11 settembre, informazioni riguardo un possibile
attacco portato al cuore dell’America con degli aerei dirottati da terroristi.
Perché tale informazione è stata sottovalutata?
Ma è comunque l’Iraq il “next target”, il prossimo obiettivo, dopo
l’Afghanistan dove Bin Laden non si trova e il Mullah Omar è fuggito in moto
senza che gli americani se ne accorgessero.
Ad un anno dall’11 settembre Condoleeza Rice annuncia: “Abbiamo le
prove del patto tra Iraq e Al Quaeda”. Sono i giorni in cui si sta discutendo della
risoluzione dell’Onu contro Saddam.
Rumsfeld qualche giorno prima, alla riunione Nato di Vienna aveva
detto “Se la domanda è se ci sono legami tra Al Quaeda e l’Iraq, la risposta è
sicuramente sì”.
La Rice va molto oltre e dice al NewsHour: “Noi sappiamo con certezza
che in passato ci sono stati contatti tra alti responsabili iracheni e membri
di Al Quaeda. Sappiamo anche che parecchi membri di Al Quaeda attualmente
prigionieri hanno detto che l’Iraq ha fornito ad Al Quaeda informazioni per la
messa a punto di armi chimiche. Ci sono uomini di Al Quaeda che hanno trovato
riparo a Baghdad”.
E’ il settembre 2002. L’amministrazione Bush presenta la “National
Security Strategy” che prevede la prevenzione, attraverso il first strike, del
pericolo del terrorismo per gli USA e “i loro amici”. Oramai Bush è consapevole
dell’opposizione franco-tedesca alla guerra all’Iraq e sposta il baricentro
dalla coalizione antiterrorismo che si era creata per l’Afghanistan ad un
gruppo più ristretto di “amici” degli Stati Uniti, tra cui l’Italia. La Rice
aveva detto nel luglio 2002 alla Stampa: “L’Italia ha fatto ogni cosa che
avremmo potuto chiedere. Siete stati molto attivi sul fronte investigativo”.
Vedremo poi l’efficienza del Sismi in due occasioni successive
(l’individuazione degli obiettivi da colpire in Iraq e il dossier sull’uranio
del Niger). La Rice poi conclude le lodi all’Italia complimentandosi per la
gestione del G8 di Genova. E qui ci sarebbe molto, molto, da dire.
Ma torniamo all’amicizia Bin Laden – Saddam. In pochi ci hanno
creduto. Bin Laden è un fondamentalista islamico, Saddam un laico. Hussein fu
sostenuto e finanziato nella guerra contro l’Iran dagli Stati Uniti proprio per
questo motivo (e Bin Laden in funzione anti-sovietica). Troppo diversi i loro
obiettivi e la loro cultura. Bin Laden aveva in passato criticato l’Iraq perché
era uno stato laico. Tutte cose che all’inizio del 2003 portano gli 007 inglesi
ad affermare che “Non ci sono legami tra Saddam e Bin Laden”. Il 5 febbraio
2003 la BBC inglese rivela, a poche ore dalla presentazione del rapporto Powell
sulle armi di distruzione di massa, che i servizi segreti di Sua Maestà hanno
fornito al governo inglese un rapporto in cui si afferma che, sebbene in
passato vi fossero stati contatti, non solo quel collegamento non esiste più,
ma che Saddam e Osama sono divisi da ideologie incompatibili ed entrambi
diffidano a vicenda. Jack Straw, Ministro degli Esteri britannico, è costretto
ad ammette che la consistenza del rapporto Iraq-Al Quaeda non è chiara.
Andrei Gilligan, corrispondente della Bbc, rivela che
l’intelligence britannica è irritata per le pressioni del governo tese ad
ottenere tesi più favorevoli. Non è un caso forse che la rivelazione
sull’inconsistenza del legame tra i due nemici numero uno degli USA avvengano
proprio alla vigilia del famoso dossier di Colin Powell sulla “pistola fumante”
irachena”.
Qualche giorno dopo Powell annuncia un messaggio di Bin Laden che
prova il legame con Saddam. Il 10 febbraio la tv satellitare Al Jazeera
diffonde un messaggio solo audio di Osama che incita alla guerra santa a fianco
del popolo musulmano dell’Iraq ma se la prende con il governo iracheno. “La
guerra” – sostiene lo sceicco – “deve essere solo nel nome di Dio, non per
cercare la vittoria di governi ignoranti che governano in tutti i paesi arabi,
compreso l’Iraq”. Ma per l’Amministrazione Bush il messaggio dimostra i legami
tra Saddam e Bin Laden. L’episodio è di per sé inquietante: Powell annuncia un
messaggio di Bin Laden pochi giorni dopo le rivelazioni dei servizi inglesi. Il
messaggio è stranamente solo audio (e non anche video come i precedenti). E
comunque non dimostra nulla riguardo all’amicizia tra i due avversari di Bush.
Infine il 21 luglio l’Amministrazione Bush commette un clamoroso
autogol: viene diffuso un rapporto precedente la guerra (il ‘National
Intelligence Estimate’) in cui la CIA afferma che Saddam sarebbe più pericolo
se deposto piuttosto che al potere. La CIA sostiene infatti che “in caso di
pericolo Saddam potrebbe essere molto più propenso a stringere legami con il
gruppo terroristico [Al Quaeda] di quanto farebbe da capo del governo
iracheno”. Come dire: Saddam per ora non si è alleato con Bin Laden, ma
potrebbe farlo se costretto, quindi meglio non disturbare il can che dorme.
Bush&Bin soci in affari
La BBC è una fonte di notizie inesauribili. 7 novembre 2001.
Newsnight , programma della rete inglese, racconta che all’FBI fu ordinato di
“mollare” ogni indagine sul fratello di Osama, Abdullah Bin Laden, legato all’
“Associazione mondiale della gioventù musulmana (WAMY) finanziata dall’Arabia
saudita”, prima dell’11 settembre. Una fonte di intelligence altolocata
sostiene che fu detto alla polizia federale di lasciare perdere ogni
investigazione che coinvolgesse altri membri della famiglia Bin Laden, membri
della famiglia reale saudita e possibili collegamenti sauditi per
l’acquisizione di armi nucleari da parte del Pakistan.
Ma la rivelazione più inquietante riguarda la commistione di
interessi tra i Bush e i Bin Laden. Bush padre è socio del gruppo Carlyle, così come i Bin
Laden. Ex Presidente della società è Frank Carlucci, segretario alla Difesa nel
governo Reagan ed ex direttore della Cia; consigliere anziano è James Baker
III, segretario di stato sotto la presidenza di Bush padre.
Alla testa della Carlyle Europe c’è John Major, ex premier conservatore
britannico, e dal 2001 siede nell’Advisory board Letizia Moratti, ministro
dell’Istruzione nel governo Berlusconi. Per il gruppo ha lavorato anche Colin
Powell. George Bush figlio dal 1990 al 1992 fu membro del cda della compagnia aerea Caterair, una delle
partecipate del gruppo.
Dopo l’11 settembre i Bin Laden si ritirano dalla società. C’è chi
ironizza sul conflitto di interessi dello sceicco che guadagna grazie agli
appalti del governo statunitense alle società del gruppo Carlyle che si
occupano di difesa. In altre parole Bin Laden organizza gli attentati, per
reazione gli USA si armano anche grazie a Carlyle, e Bin Laden ci guadagna.
Il mondo si chiede se l’amico di Osama sia Saddam oppure George W.
Bush. Michel Moore, premio Oscar per “Bowling a Colombine”, gira un nuovo film
sulla vicenda: “Fahrenheit 911”.
E, qualche mese fa, Carlyle acquista (70%), insieme a Finmeccanica
(30%), la Fiat Avio. Fiat Avio produce componenti di motori per aerei, oltre ad
occuparsi di aereospazio. Se si pensa all’arma dell’11 settembre … una
coincidenza certo, ma piuttosto incredibile.
Ma gli interessi di Carlyle in Italia vanno oltre. Il 3 marzo 2003
l’agenzia di stampa AGI rende noto che il Ministero dell’Economia guidato da
Giulio Tremonti ha ceduto 36 immobili al gruppo statunitense attraverso la sua
società “Patrimonio S.p.A.”.
La “pistola fumante”
Oltre ai legami con Al Quaeda, l’altra accusa rivolta al regime
iracheno concerneva il possesso delle armi di distruzione di massa. Testate
nucleari, chimiche, batteriologice, proibite dai trattati internazionali.
Anche su questo aspetto le prove non sono mai state convincenti.
Anzi, dalla fine della guerra ad oggi
tutte le prove portate da Bush e Blair si sono rivelate infondate.
I due documenti principali sono il rapporto di Colin Powell al
consiglio di sicurezza dell’ONU e quello del governo Blair (pomposamente
annunciato nei giorni precedenti la sua presentazione come la “prova
definitiva”).
I punti
principali del rapporto di Colin Powell furono anticipati già da Bush nel
discorso sullo stato dell’Unione del 28 gennaio 2003: “Il dittatore dell’Iraq
non disarma, ma, al contrario, continua i suoi inganni … l’intelligence degli
Stati Uniti segnala che Saddam Hussein possiede inoltre più di 30 mila testate
capaci di veicolare agenti chimici … da tre fuoriusciti iracheni abbiamo saputo
che l’Iraq, alla fine degli anni Novanta, possedeva diversi laboratori mobili
per le armi biologiche … fonti della nostra intelligence ci dicono che ha
cercato di acquistare tubi d’alluminio rinforzato adatti alla costruzione di
armi nucleari”. In realtà la storia dei tubi di alluminio fu tirata fuori l’8
settembre 2002. Condoleeza Rice dichiarava alla CNN: “Questi tubi possono
servire solo per armi nucleari”. Ma non era così. Il capo dell'Agenzia
internazionale per l'energia atomica (Aiea), Mohamed El Baradei,afferma il 9
gennaio che gli ispettori Onu impegnati in Iraq sono giunti alla conclusione
che i tubi possono piuttosto servire alla produzione di razzi, come denunciato
da Baghdad, e non di uranio arricchito per armi nucleari o atomiche.
Successivamente si apprese che nel luglio precedente uno di questi tubi entrò
in possesso degli americani che avevano intercettato una nave diretta verso il
golfo. Ma il tubo era ricoperto di sostanze chimiche che lo rendevano
inutilizzabile per le centrifughe che si impiegano per arricchire l’uranio.
I giorni precedenti e successivi il rapporto sono quelli in cui si
discute se prorogare o meno i lavori degli ispettori. Da un lato Francia e
Germania chiedono altre settimane o mesi, dall’altro Bush e Blair premono per
una risoluzione più determinata della precedente (la 1441) che autorizzi l’uso
della forza anche se per gli americani essa “non è indispensabile”.
Il 5 febbraio Powell presenta il dossier al Consiglio di Sicurezza
dell’ONU e mostra quanto anticipato da Bush: la foto un tubo di alluminio, un
disegno (sì, proprio un disegno!) di un camion attrezzato come laboratorio
mobile corroborato dalla voce di un colonnello che dice “abbiamo questo camion
modificato”, foto satellitari di presunte basi irachene dove, a detta del
segretario di Stato, si muoverebbero diversi camion. Powell presenta delle
“slide” composte al computer e si parla di “show multimediale”. Vi sono anche
intercettazioni e un aereo che vola per oltre 550 kilometri senza rifornimenti.
Ma subito si capisce che di “smoking gun” (pistola fumante) non vi è traccia.
Tra l’altro, qualche ora prima, gli USA annunciano che non tutte
le prove potranno essere presentate, in quanto riservate, per non dare un aiuto
indiretto a Saddam.
Powell parla anche di campi di addestramento di Al Quaeda in Iraq.
Sono però nel nord del paese e quindi fuori dal controllo di Saddam. Ma ecco le
reazioni di Blix presentate nel suo controrapporto del 14 febbraio.
I camion: “In molte occasioni abbiamo sentito dire dagli Usa che
gli iracheni dispongono di unità mobili per la produzione di armi biologiche.
Noi abbiamo ispezionato alcune di queste unità ma abbiamo accertato che non
servono alla produzione di armi biologiche… i due laboratori mobili in possesso
del Paese sono utilizzati per l'analisi e i controlli sui generi alimentari importati
in base al programma "Cibo contro petrolio"”.
Trasferimento di materiali proibiti da un posto all'altro per
nasconderli alle ricerche degli ispettori dell'Onu: “Non abbiamo prove che
siano realmente avvenuti da alcun sito.. non credo che ciò sia vero”. Quelli
mostrati da Powell “potrebbe esser stata un'attivita' di routine”.
Saddam spiava gli ispettori: "in nessun caso abbiamo avuto
prove convincenti che l'Iraq sapesse in anticipo che gli ispettori stavano
arrivando in qualche sito".
All’udire i detti di Blix, riferiscono fonti dell’ONU, Powell si
sarebbe “accigliato”.
Nessuno crede più al suo rapporto, ma nonostante questo la
preparazione della guerra va avanti. Il 7 marzo il Consiglio si riunisce
nuovamente ma non viene presa alcuna decisione.
L’altro documento importante è il rapporto del governo inglese
presentato poco prima di quello Powell. Se possibile la
storia è ancora più imbarazzante. L’inglese e progressista «Guardian» cita alcuni
esperti secondo cui almeno dieci delle 19 pagine del documento «Iraq: la sua
infrastruttura di occultamento, menzogne e intimidazioni» sarebbero state
copiate da alcuni documenti di provenienza accademica tra cui l'articolo di
Ibrahim al-Marashi, un dottorando di 29 anni, pubblicato nel settembre 2002 sulla
rivista «Middle east review of international affairs», in cui si parlava dell'Iraq
prima del '90 e che prende spunto da un suo lavoro di dieci anni prima. «Ci
sono persino gli stessi errori di grammatica», sostenne con il «Daily
Telegraph» al-Marashi.
L’imbarazzo di Downing Street è enorme. Il governo arriva
addirittura a scusarsi per non aver “citato le fonti” del rapporto. Il 25
giugno 2003, di fronte alla Commissione Esteri della Camera dei Comuni,
torchiato in diretta televisiva, il portavoce di Tony Blair, Alastair Campbell,
si è detto ''rammaricato per il falso dossier'' sulle armi di distruzione di
massa irachene e ha scritto una lettera di scuse ai servizi segreti.
La vicenda dei “45 minuti” e le pressioni di
Downing Street sugli 007
23 settembre 2002. La Gran Bretagna presenta un dossier intitolato
“Iraq’s weapons of mass destruction”. Oltre alle
solite affermazioni sulle armi irachene, la non collaborazione, le connivenze
con Al Quaeda, il governo di Tony Blair afferma: “alcune delle più pericolose
armi potrebbero essere utilizzate entro soli 45 minuti dall’ordine dei comandi
militari iracheni”.
Ma il 29 maggio 2003 il giornalista Andrew Gilligan della BBC
riferisce di aver saputo da autorevoli fonti dei servizi segreti che Downing
Street, nella persona del capo della comunicazione Alastair Campbell, aveva,
forzando la volontà degli 007, enfatizzato nel dossier diffuso a settembre del
2002 l'affermazione che gli iracheni avrebbero potuto attivare in 45 minuti le
loro armi chimiche e batteriologiche.
E non è tutto: il primo rapporto sull'Iraq del coordinamento dei
servizi segreti britannici (Jce), fu presentato a Downing street nel marzo del
2002. Secondo il Sunday Times tornò al mittente perché non riusciva a provare che
la minaccia rappresentata dalle armi di Saddam era aumentata dalla guerra del
1991. Anche il secondo rapporto del Jce non piacque all'ufficio del primo
ministro, ma lo spionaggio rifiutava di
appesantirlo e Downing street operò qualche aggiustamento. In settembre il premier
disse al parlamento che Saddam "ha piani militari operativi per l'uso di
armi chimiche e biologiche... che potrebbero essere attivate in 45
minuti". Il premier lasciò intendere che quella era la conclusione dei
servizi segreti (deriva "per buona parte" dai rapporti del Jce), ma
in realtà era solo una ipotesi basata su una talpa senza ulteriori riscontri.
E delle attrezzature ingombranti per lanciare i missili non si è
trovata lacuna traccia.
Anche su questo Campbell è stato sottoposto ad un lungo
interrogatorio da parte della Commissione inglese, addossandosi le
responsabilità dell’errore, ma i Comuni se la sono presa con il primo ministro,
affermando che in particolare il
dossier–bufala copiato dalla tesi dello studente iracheno offriva un
quadro ingannevole al parlamento.
Della
vicenda dei 45 minuti Blix dirà il 17 luglio 2003: “Non so come i servizi
britannici abbiano calcolato questo tempo di 45 minuti nel loro dossier di
Settembre. Ma mi sembra una stima molto lontana dalla verità”.
Falsi nastri di Bin Laden
Abbiamo già detto del messaggio in cui Osama critica Saddam. Ma a
novembre del 2002 era stato diffuso un altro nastro in cui, tra l’altro, Bin
Laden cita l’Italia e loda gli attentati nelle Filippine. Era il primo
intervento di Bin Laden dopo 11 mesi di silenzio in cui non si sapeva che fine
avesse fatto. Scott McClellan, portavoce della Casa Bianca, dichiarò che
"a giudizio degli esperti dell'intelligence il nastro è genuino". E Bush disse:
"Mentre Osama loda questi attacchi ecco i ceceni entrare in azione. È
chiaro che c'è un interesse di Al Qaeda" dando indirettamente credito
all’autenticità del nastro. Erano i giorni in cui i terroristi ceceni tenevano
in ostaggio 700 persone in un teatro di Mosca. In realtà il nastro
probabilmente era un falso. Il centro svizzero l'Idiap (Institute for
perceptual artificial intelligence) ha inventato un sistema per verificare
l'autenticità delle voci. Gli esperti
analizzarono tre ore di discorsi dello sceicco maledetto. Dopo aver verificato
che le loro macchine identificavano correttamente il 97% dei campioni
utilizzati, i ricercatori esaminarono la registrazione diffusa da al Jazeera.
Conclusero che la voce non era di Bin Laden.
Racconta inoltre Guido Rampolli su Repubblica: “Un altro minaccioso nastro di
Bin Laden fu trasmesso da Al Jazeera tre mesi dopo. Secondo l'emittente, era
arrivato attraverso lo stesso canale del precedente: se dunque il primo era
falso, probabilmente lo era anche il secondo. Sarebbe stato interessante
conoscere il verdetto dell'Idiap, ma nel frattempo doveva essere accaduto
qualcosa perché il direttore dell'istituto rifiutò di esaminare il nastro,
malgrado la committenza non mancasse. Comunque la riapparizione della voce probabilmente
contribuì al prodigio attestato da un sondaggio della tv Abc: al momento
dell'invasione la metà degli americani era convinta che gli attentatori delle
Twin Towers fossero iracheni (non uno in realtà).”
Le 16
parole sul caso dell’uranio dal Niger
Torniamo al 28 gennaio, allo “State of the Union Address” di
George W. Bush. E leggiamo: “The British government has learned that Saddam
Hussein recently sought significant quantities of uranium from Africa” (“Il
governo britannico ha saputo che Saddam Hussein recentemente tentava di
procurarsi una notevole quantità di uranio dall’Africa”). Sedici parole che
costeranno caro a Bush e, come vedremo, anche all’Italia.
Da dove proveniva quell’affermazione? Dall’ennesimo dossier
britannico che raccontava di un presunto traffico tra il Niger e l’Iraq.
Traffico riguardante uranio “yellowcake”.
Non che
fosse qualcosa di particolarmente sconvolgente. L’8 settembre 2002 il Sunday
Express, citando fonti americane, racconta di un potenziale distruttivo di
Saddam Hussein enorme. Il dittatore dell'Iraq avrebbe a sua disposizione
4.000 tonnellate di materiale ad alto
rischio da utilizzare nelle testate dei suoi missili.
Le
riserve includerebbero sostanze chimiche e batteriologiche a cui si
affiancherebbe la capacità nucleare di Baghdad derivata da scorte di materiale
fornito dalla Corea del Nord. Secondo i rapporti riservati degli gli Stati
Uniti, l'Iraq sarebbe in possesso di oltre 30.000 litri di tossine botuliniche,
sei tonnellate di gas nervino e 6.000
litri di spore di antrace. L'Iraq avrebbe a disposizione una quantità di sarin
sufficiente ad armare le testate di 400 missili e grosse scorte di sostanze chimiche
come il tabun.
A
coordinare i lavori nelle centrali nucleari del Paese Saddam Hussein avrebbe
chiamato alcuni scienziati dell'ex Unione Sovietica e della Corea del Nord: il
regime sarebbe in possesso di 18 tonnellate
di uranio arricchito e l'impianto principale si troverebbe nella citta'
di Tuwaitha, a Sud di Baghdad.
Ma
torniamo al traffico Niger-Iraq. 7 marzo 2003: il direttore dell'Agenzia
internazionale per l'energia atomica (Aiea), Mohammed El Baradei, smentisce le
accuse secondo cui l'Iraq avrebbe acquistato uranio dal Niger e dice al
Consiglio di sicurezza dell’Onu che i documenti su cui Usa e Gran Bretagna
fondavano questo sospetto "sulla base di analisi approfondite, sono in
effetti non autentici".
Ma i
britannici hanno fatto tutto da soli? No, per nulla. Sono loro stessi ad
ammettere la collaborazione con servizi stranieri. Tra giugno e luglio negli
USA impazza la polemica sulle “16 parole” di Bush riguardo l’uranio africano.
Il Presidente dice che aveva fatto leggere il discorso alla Cia che lo aveva
approvato. Insomma, la colpa è di Tenet, il capo dell’intelligence degli USA,
che viene sottoposto al torchio della commissione di inchiesta del senato. Ma
forse non è così: il 7 ottobre 2002 Bush è in Ohio per un discorso. La Cia
suggerisce alla Casa Bianca di eliminare il riferimento all’uranio nigerino ed
insistere sulle foto satellitari e sui tubi. Ma allora perché a gennaio la
questione dell’uranio ricompare nel discorso di Bush?
Non
finisce qui. Il giornale americano New Yorker avanza l’ipotesi che il dossier
sull’uranio fosse pervenuto agli inglesi dal Sismi, il servizio segreto
militare italiano. L’Italia è coinvolta nella fabbricazione di false prove?
Prima di proseguire, facciamo un passo indietro e vediamo il ruolo dell’Italia
nella seconda guerra del golfo.
Lo zelo di Berlusconi, il primo dei willings
Il governo italiano ha sempre mostrato di condividere le tesi
americane. L’Italia è stata in prima fila, insieme alla Spagna, nella
coalizione dei volenterosi (willings). Ricostruiamo i passaggi fondamentali.
28
gennaio 2003, viene annunciato, il giorno stesso del discorso di Bush al
Congresso, che Berlusconi sarà a Washington il giovedì successivo. La Casa
Bianca scrive: “L'Italia è un solido alleato nel quadro della lotta contro il
terrorismo”
29
gennaio, Silvio Berlusconi: “Oggi è in gioco la collocazione ferma del nostro
paese nella coalizione mondiale per le libertà e contro il terrorismo” e poi la
conferma: il Governo italiano, "ha già dato il diritto di sorvolo"
per gli aerei americani sul territorio nazionale, "e ha comunicato al
Parlamento che sarà consentito agli Stati Uniti di far scalo sulle basi
italiane, anche per lo spostamento dei loro addetti. Questo è già avvenuto e lo
abbiamo già comunicato". Lo stesso giorno Powell dichiara che l’Italia
sarebbe “benvenuta” nella coalizione contro l’Iraq e che Berlusconi e Bush
“parleranno di questo”. Berlusconi va da Blair e alla fine dell’incontro
dichiara: “ci saranno prove inoppugnabili” sulle armi in Iraq. Abbiamo visto
che non è così, ma il capo del governo italiano crede alle anticipazioni di
Blair.
Berlusconi
è attivissimo. Firma insieme ad altri premier europei un documento di sostegno
agli USA che chiede all’UE di essere a fianco degli States. Per gli 8 capi di
governo (Italia, Spagna, Portogallo, GB, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e
Danimarca) “il regime iracheno e le sue armi di distruzione di massa
rappresentano una chiara minaccia alla sicurezza mondiale”. Nessun dubbio
quindi. Il “capolavoro” diplomatico di Aznar, Berlusconi e Blair è notevole: si
schierano con Bush e spaccano in gruppo fondatore dell’Unione Europea (di cui
fa parte l’Italia), acquisendo inoltre il consenso di alcuni importanti Stati
che entreranno presto nell’Europa a 25. L’Amministrazione Bush è soddisfatta e
fa sapere che il documento dimostra che solo una minoranza dell’Europa è contro
la guerra. Per Rumsfeld “solo uno o due” paesi europei sono contrari al
conflitto. Il segretario alla difesa fu anche protagonista di un incidente
diplomatico: il 22 gennaio, incontrando la stampa estera affermò: “Francia e
Germania sono rappresentativi della vecchia Nato” e che la loro posizione non è
quella della “Nuova Europa” cioè degli stati ex comunisti. Shroeder e Chirac
sono furenti, la frase riecheggerà e inasprirà i rapporti nel consiglio di
sicurezza.
Notevole
la tempistica: Rumsfeld parla di “Nuova Europa” e pochi giorni dopo diversi
stati dell’Est firmano il documento. Il tutto mentre Berlusconi incontra Blair,
Aznar e Bush.
Il 30 il
premier italiano è a Washington e vede il presidente, Powell e Condy Rice.
Berlusconi si scatena: “Temiamo che dopo la serie di attacchi terroristici,
culminati con l'11 settembre, ci sia l'intenzione dei terroristi di giungere ad
una terribile strage. E per fare ciò essi hanno bisogno di avere disponibili le
armi biologiche e chimiche che noi sappiamo essere nelle mani di Saddam
Hussein”. “Noi sappiamo…”.
Berlusconi
parla un linguaggio che è simile a quello di Bush. Non dice di essere alleato
dell’America ma di più: “Sono qui oggi per aiutare il mio amico, il presidente
Bush...”. “My friend”, come Bush parla oramai di “our friends” “i nostri
amici”.
Il giorno
dopo il presidente del consiglio torna sulla vicenda: “Saddam Hussein ha
dichiarato di avere armi pericolosissime. Spetta a lui dare l'onere della prova
dell'avvenuto disarmo oppure può scegliere la strada dell'esilio”. Sull’esilio
poi Berlusconi dirà che in parlamento l’Italia è attiva su questo fronte. Ma
per l’intanto sposa la tesi USA dell’onere della prova a carico di Saddam.
5
febbraio, Powell presenta il rapporto all’Onu. Berlusconi esprime
"apprezzamento" per il discorso di segretario di stato USA al
Consiglio di Sicurezza dell'Onu. "Powell ha dimostrato che il regime
iracheno ha ripetutamente ostacolato il lavoro della missione Onu ed ha
continuato ad intrattenere rapporti con il terrorismo internazionale. La palese
e reiterata violazione irachena delle risoluzioni Onu oggi ulteriormente
dimostrata di fronte al Consiglio di Sicurezza, conferma la necessità di un
atteggiamento risoluto della comunità internazionale". Il giorno dopo in
parlamento il premier affermerà: “Il popolo iracheno e la comunità internazionale
sono di fronte alla sfida di un regime -testimoniata con tragica eloquenza da
dieci anni di storia, dalle relazioni plurime degli ispettori e da ultimo dal rapporto
Powell di ieri - che costituisce un pericolo vitale per il Medioriente e per il
mondo”. Secondo Berlusconi bisogna “convincere il dittatore iracheno a disvelare
il possesso e le postazioni delle sue armi di distruzione di massa”. Certezze
granitiche quindi.
Ma non
sempre è stato così. Il 15 ottobre 2002 Berlusconi era andato dall’ “amico
Putin” a Mosca. Alla fine del colloquio afferma: “Bagdad non ha più armi di
distruzione di massa", perché c'è stato tempo per la loro eliminazione o
riallocazione”. L’imbarazzo è forte ma le precisazioni alimentano nuove
polemiche. “Era un opinione personale” dice dopo qualche ora. Ma il serata
nuova correzione “E’ una ipotesi di Vladimir Putin”. A Berlusconi era scappata
la verità, ma ha dovuto fare marcia indietro.
Il 14
febbraio 2003 l’Italia concede agli USA, su loro richiesta, l’uso delle
infrastrutture del paese: strade, autostrade, porti, ferrovie. I pacifisti
contrastano con forza il trasporto di materiale bellico bloccando le stazioni e
facendo fermare i treni, nei porti i lavoratori della CGIL manifestano contro
la guerra e annunciano che non caricheranno armi. Per l’opposizione “siamo in
guerra senza la pronuncia del parlamento”.
Il
sostegno alla guerra in Iraq vede anche l’Italia impegnata nel sostituire gli
angloamericani in Afghanistan. USA e GB hanno bisogno di disimpegnarsi dal
paese liberato l’anno prima. L’Italia manda i suoi alpini ad ottobre del 2002
quando i preparativi della guerra all’Iraq erano già a buon punto.
Il Sismi in Iraq
Non è
solo Berlusconi ad essere zelante. Il nostro servizio segreto militare non è da
meno. Repubblica rivela il 24 aprile 2003 che il Sismi si è infiltrato per 22
giorni in Iraq nelle aree metropolitane di Bassora, Baghdad e Kirkuk per
condurre operazioni di intelligence in appoggio alle forze militari
angloamericane. Secondo il quotidiano diretto da Ezio Mauro le operazioni sono
state "coordinate con il Comando alleato, cui veniva indirizzato il flusso
di informazioni raccolte". Si tratta di "tre divisioni del Sismi e
una rete di 'fonti dirette' che si è andata infittendo nelle settimane
predecenti il conflitto. Con il 'reclutamento' di alti ufficiali dell'esercito
iracheno e del partito Baath persuasi dal Sismi alla diserzione". Secondo
Repubblica "la guerra del nostro servizio segreto in Iraq è cominciata
nelle ultime settimane del dicembre scorso. Nicolò Pollari, direttore del
Sismi, ha ricevuto allora dal governo il via libera ad avviare in Iraq la più
imponente operazione di intelligence e coinvolgimento militare sul terreno che
il servizio abbia conosciuto nella sua storia recente".
Perché il
servizio segreto di un paese “non belligerante” era in Iraq? Palazzo Chigi
parla di operazioni solo di intelligence. Ma il problema resta tutto intero:
l’Italia ha dato una mano agli USA sul terreno iracheno prima della guerra. E
dopo, con l’invio dei carabinieri sotto il comando angloamericano. L’ONU ha
dichiarato USA e GB paesi “occupanti”. L’Italia è lì alle loro dipendenze,
anche se formalmente per fornire aiuti umanitari.
Di nuovo l’uranio del Niger, l’Italia all’origine dello scandalo
Il Sismi
torna protagonista tra giugno e luglio. Il New Yorker e altri giordani
statunitensi tornano sul dossier dell’uranio nigerino di cui parlò Bush il 28
gennaio, pronunciando le “16 parole” incriminate. La stampa statunitense parla
di un coinvolgimento italiano. Sarebbe stato i Sismi a consegnare ai servizi
inglesi (il famoso MI6) le carte false. Negli USA è già polemica,
l’Amministrazione tenta di scaricare sulla Cia le responsabilità dell’errore e
il capo del servizio Tenet si addossa le colpe di tutto. Ma arriva il colpo di
scena: l'ex ambasciatore Joseph Wilson, in un'intervista al Washington Post il
6 luglio, accusa pubblicamente l'amministrazione Bush di aver esagerato il
materiale di intelligence per giustificare l'attacco all'Iraq.
“Alla
fine si è trattato di questo: un governo che distorce i fatti su una questione
fondamentale per decidere l'ingresso in guerra”, dichiara Wilson che era
l’estensore del rapporto della Cia. La Casa Bianca ammette l’errore: “c'erano
altre notizie che suggerivano che l'Iraq stava cercando di ottenere uranio in
Africa” - recita il comunicato – “comunque l'informazione non è dettagliata o
abbastanza specifica da renderci certi che questi tentativi furono
effettivamente fatti”. E’ scandalo. Londra conferma la bontà del suo rapporto:
“c’erano anche altri elementi” ma poi lo stesso Straw in una lettera alla
Camera dei Comuni asserisce di aver ignorato gli avvertimenti della Cia sul
dossier-Niger.
Il 12
luglio parte un’altra bordata: "Non ci sono piani significativi (che
lascino intendere) che vi fosse una cooperazione nell'attività terroristica tra
l'Iraq e al Qaida", a parlare è l'ex funzionario dell'intelligence Usa,
Greg Thielmann, che aveva lasciato lo scorso settembre l'Ufficio intelligence e
ricerca del Dipartimento di Stato. I democratici, con Ted Kennedy, ventileranno
l’ipotesi di un impeachment del Presidente. Negli States dire una bugia di
fronte al Congresso e alla Nazione non passa inosservato.
A Londra
il ministro degli esteri britannico Jack Straw commette quella che
ottimisticamente potrebbe essere definita una gaffe. Alla BBC Straw dice che
Saddam stava per costruire la bomba nucleare. E’ vero, ma i fatti risalgono al
’91. Straw cita “documenti tecnici e componenti di una centrifuga per
l’arricchimento dell’uranio” forniti da uno scienziato iracheno. Lo scienziato
è Mahdi Obeidi che sotterrò quei materiali 12 anni fa.
Nel
frattempo caso “uraniumgate” arriva anche in Italia: il 13 luglio, domenica,
Palazzo Chigi smentisce che il Sismi abbia mai dato il dossier agli inglesi.
Ma il
telegiornale dell’ABC, grande network televisivo USA, e poi il quotidiano La Repubblica
rivelano che il dossier era stato prodotto a fine 2001 da un funzionario
dell’ambasciata nigerina in Italia e venduto al Sismi, per poche migliaia di
dollari, il Sismi lo avrebbe dato al MI6 inglese e quest’ultimo alla Cia. Il
sottosegretario Letta smentisce le rivelazioni al Comitato parlamentare di
controllo sui servizi e si oppone alla consegna dei documenti. Ma il giallo
rimane. Tant’è che la Procura di Roma apre un’inchiesta. E’ bufera anche in
Italia con il governo che smentisce, l’opposizione che chiede le carte, la
stampa che accusa.
Nei giorni successivi si accavallano le ricostruzioni.
L’ambasciata americana a Roma sostiene di aver avuto i documenti da un “fonte
privata”. Tale fonte si scopre essere una giornalista di “Panorama”. Ma da chi
e come Panorama ha ottenuto le lettere contraffatte sul traffico di uranio? E
perché non le ha consegnate alle autorità italiane? E ancora, perché Bush parlò
di “governo britannico” in merito alle fonti di informazione sul presunto
commercio tra Niger e Iraq? Qualcosa non torna.
Scrive il
deputato Pietro Folena dei DS, presentatore di una proposta di legge per una
Commissione di inchiesta sulla guerra e le responsabilità del governo: “Il vero
dubbio quindi è che non ci sia stata una semplice sequenza dei Bugiardi (prima
Bush, poi Blair, poi Berlusconi) ma che le menzogne siano state preparate, dopo
l’11 settembre, da una sequenza che ha visto, su indicazione statunitense, i
servizi italiani e quelli inglesi attivamente impegnati nella fabbricazione
della Grande Bugia del 28 gennaio 2003. Non è vera questa tesi? E’
nell’interesse allora non solo della grande maggioranza di italiani che subito
aveva capito di essere di fronte a bugie e a bugiardi, ma anche di chi a quelle
bugie ha creduto in buona fede, pretendere ora la verità. Per questo ci vuole
la commissione parlamentare di inchiesta. Non vorremmo infatti che una Bugia
negli USA, che potrebbe perfino costare la poltrona a Bush, diventasse una
verità in Italia solo perché detta da un professionista della menzogna.”
Ci scappa il morto
Il
giallo dell’uranio si aggrava venerdì 18 luglio quando viene scoperto a Londra,
vicino a casa sua, il corpo di David Kelly, scienziato e consulente della
Difesa britannica. Kelly è la “talpa” che forniva informazioni alla rete
televisiva BBC riguardo le menzogne sulle armi irachene, permettendo gli scoop
che tante grane hanno procurato a Blair e al suo portavoce. Microbiologo ed
esperto di armi di distruzione di massa, Kelly ha visitato più volte l'Iraq
prima della guerra. Nel 1994 era stato nominato consulente
sulla
guerra biologica dalle Nazioni Unite, incarico che mantenne
fino
al 1999, e tra il 1991 e il 1998 partecipò alle ispezioni
dell'Onu
in Iraq. Secondo le indagini sarebbe morto per dissanguamento. Suidicio? Tony
Blair è nella bufera dei sospetti e delle polemiche.
Conclusioni
Da tutto
ciò si può trarre qualche logica conclusione. USA e GB non hanno mai avuto in
mano prove convincenti dell’esistenza o della preparazione di armi di
distruzione di massa da parte dell’Iraq. Certo, l’Iraq ha posseduto arsenali di
questo tipo, la l’ex capo degli ispettori dell’ONU, Scott Ritter, cacciato da
Saddam nel ’98 con l’accusa di essere una spia, ha sempre sostenuto che l’Iraq
aveva distrutto il suo arsenale.
L’Iraq
non ha usato armi proibite durante il conflitto e nessuna arma è stata trovata
in Iraq a tre mesi dalla fine della guerra (tranne qualche bidone di diserbante
che qualcuno ha tentato di spacciare per agente chimico di uso bellico).
Nessuno è stato in grado di spiegare il perché. Bush in persona è arrivato a
sostenere che Saddam se ne è disfatto prima della guerra. Ma perché lo avrebbe
fatto? Non gli sarebbe convenuto usarlo durante la guerra? E comunque come si
fa a distruggere un arsenale di migliaia di bombe chimiche e atomiche in pochi
giorni o settimane?
In realtà
quasi tutte le prove portate dagli angloamericani si sono rivelate delle bufale
e quel poco che rimane è talmente insignificante da non costituire alcun
elemento minimamente probante.
Non è
stato mai provato alcun rapporto tra Al Quaeda e il regime iracheno, ma anzi vi
sono elementi per ritenere Hussein e Bin Laden due avversari (almeno prima
della guerra).
Vi sono
fondati sospetti (e in alcuni casi oramai delle certezze) di fabbricazione
fraudolenta di prove a sostegno delle tesi di Bush e Blair.
Insomma,
USA e GB avevano deciso di attaccare l’Iraq e hanno mentito al mondo. Bush e
Blair hanno mentito ai loro parlamenti. Forse ingannati dai servizi segreti, ma
più probabilmente è il contrario e cioè sono stati i governi a forzare i
rapporti degli 007. Chi è sospettato di aver spifferato tutto ai mezzi di
informazione ci ha rimesso la pelle.
E
all’origine di una parte importante dell’intrigo potrebbe esserci l’Italia con
il suo servizio segreto militare. Sicuramente il nostro paese è stato parte
della grande menzogna, forse inconsapevolmente. Forse no se si scoprisse una
qualche responsabilità nella vicenda del dossier sull’uranio nigerino. Quel che
si sa è che il governo italiano ha sostenuto sempre con forza le ragioni della
guerra.
Certo è
che una nazione democratica, libera e civile non può rimanere nel dubbio.
Questo
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