Le proposte
Un programma può
essere riconosciuto valido
a. se riesce ad
ispirare sistemi di conoscenze atti ad essere insegnati nei tempi debiti e con
i
modi operativi;
b. se ispira un
insegnamento capace di assicurare un percorso formativo comune a tutti gli
studenti e le
studentesse e che fornisca grandi quadri cronologico-spaziali e di sapere
critico;
c. se riesce ad
ispirare agli editori e autori libri di testo più rispettosi delle elaborazioni
alte della
storiografia esperta;
a. se orienta e ispira
gli insegnanti e li motiva a studiare oltre la laurea e l’abilitazione;
b. se mette in
condizione di formare cultura storica atta a far comprendere il mondo attuale
che
è generato da lunghi
processi di trasformazione ed è ormai plurale e interrelato;
c. se dà valore alla
conoscenza delle storie a scala locale;
d. se induce a includere
nei processi di insegnamento e di apprendimento i beni culturali
e. se non suggerisce
l'idea che la storia sia un corpus limitato di conoscenze da apprendere
gradualmente con
diversi livelli di specializzazione cronologica o tematica.
Pensare programmi vuol
dire pensare nuove storie da insegnare con nuovi metodi e nuove risorse:
tutte novità che non
possono essere elaborate che attraverso seminari, convegni, dibattiti nei quali
si
incrocino le
riflessioni degli storici e degli studiosi dei problemi dell’insegnamento della
storia.
Ad un esito positivo
non portano commissioni formate con cooptazioni partigiane e con orizzonti
angusti. E gli attuali
programmi non soddisfano nessuna delle condizioni elencate
Che cosa rivendicare
per ovviare ai rischi insiti nell’applicazione conformistica da parte degli
editori e di
insegnanti che non assumono l’autonomia riconosciuta come un punto di forza per
impostare diversamente
il sapere storico? Ecco la proposta di alcuni caratteri che dovrebbero
caratterizzare la storia
scolastica.
I programmi scolastici
dovrebbero raccomandare di fondare la cultura storica sulla conoscenza dei
processi di lunga
trasformazione che travalicano le barriere cronologiche dei singoli fatti e
quelle dei
periodi canonici. Non
è possibile comprendere il modo in cui si configurano i problemi attuali senza
risalire molto
indietro nel passato e senza che l’inizio dei fenomeni non sia considerato
processualmente legato
alla fine attuale. Ad esempio, come si può comprendere l’egemonia degli
USA oggi senza tener
conto non solo della «Rivoluzione americana» ma di altri importanti fatti della
storia statunitense
dell’800 e del ‘900? Ma le Indicazioni inseriscono nell’elenco solo la
Rivoluzione
americana
Contro la tendenza a
ridurre la scala di osservazione dei fenomeni alla sola Europa occidentale,
occorre sottolineare
che ogni fenomeno storico ha una scala spaziale privilegiata di osservazione
per
l’intelligibilità dei
processi e degli aspetti: essa può essere la scala mondiale per tanti processi
che
non potrebbero essere
compresi senza la visione delle connessioni tra gli scenari disparati del mondo
e può essere la scala
locale per costruire conoscenze capaci di essere la base per la comprensione
di fenomeni
sovralocali.
I programmi dovrebbero
raccomandare che la formazione storica e critica si elabori con la
composizione di
conoscenze a scale spaziali diverse.
La cultura storica e
critica deve comporsi di conoscenze che siano capaci di far comprendere come i
processi storici hanno
coinvolto le donne e come le donne sono state elemento importante del loro
svolgimento e come i
rapporti di genere si sono configurati, trasformati e diversamente costruiti
nel
corso della storia.
Programmi che vogliano
sollecitare la formazione storica e civica devono mettere in forte rilevanza la
convenienza ad usare i
beni culturali nell’insegnamento e nell’apprendimento della storia.
I processi storici si
comprendono assumendo la scala temporale di lungo periodo per analizzarli, ma
non
possono essere
compresi se non si studiano anche i loro esiti e le trasformazioni a cui hanno
portato nel
corso del ‘900. Perciò
assegnare all’ultimo anno di corso troppi processi comporta la conseguenza già
verificata che gli
insegnanti non riescono a gestire la programmazione per svolgere in modo
soddisfacente i
processi
novecenteschi. Per questo motivo si suggerisce di preferire per l’ultimo anno
di ogni ciclo la
periodizzazione
1870-fine XX secolo anzichè quella dall’età napolenica al 1970 con la
convinzione che gli
allievi potranno
comprendere meglio i processi in corso se conosceranno il loro lungo svolgimento
e i loro
recenti esiti.
Si è concordi nel
raccomandare alle commissioni che stanno elaborando i programmi per i licei di
a. non diversificare
l’essenziale dei programmi secondo l’asse culturale degli istituti di
istruzione
secondaria di II
grado, per non formare culture storiche di diversa qualità;
b. distendere il
programma per tutti i cinque anni di corso degli istituti superiori (contro la
possibilità di
distinguere tra un quadriennio e un «monoennio» terminale), in modo da rendere
più agevole
l’affrontare lo svolgimento delle storie a diversa scala spaziale;
c. indicare
all’insegnamento e all’apprendimento un forte carattere critico mediante
l’esame di
molteplici
interpretazioni storiografiche su temi e problemi controversi.
8. Questione dello sbocco professionale
dei laureati in storia e
delle classi abilitanti
Al corso di Laurea in
Storia deve essere riconosciuta opportunità di promuovere professionalità
all’insegnamento
uguale a quella di altri corsi di laurea umanistici. Occorre individuare classi
di
abilitazione adeguate
per questo e la Storia dovrebbe essere insegnata da laureati in Storia. A tal
fine
si propone
l’abbinamento della nostra disciplina alla Geografia ed alle Scienze Sociali
(Antropologia,
Sociologia e Demografia),
in accordo ad una pratica scientifica ormai consolidata nel lavoro degli
storici.
In ogni caso, ai fini
della qualità dei futuri docenti di Storia si ritengono irrinunciabili almeno
due
requisiti per
l’accesso all’insegnamento di tale disciplina:
a. il possesso
preliminare di una preparazione disciplinare sull’intero curricolo diacronico
di
Storia: possesso
certificato tramite il superamento dei corrispondenti esami universitari;
b. il superamento di
specifici esami disciplinari con prove scritte, tanto all’inizio quanto alla
conclusione dei corsi
di formazione professionale con valore di abilitazione, oppure in
occasione dei concorsi
di abilitazione e/o di assunzione a tempo indeterminato.
9. L’identità inventata e
la centralità dell’educazione civica
Contro ogni tentazione
ideologica e di «uso pubblico» della Storia, la comunità degli storici
ribadisce
l’assoluta irrilevanza
scientifica delle chiacchiere sull’uso della storia per la costruzione di
presunte
«identità» (etniche,
politiche, religiose, culturali, sociali e via dicendo) e rifiuta decisamente
l’ipotesi
che la nostra
disciplina si faccia strumento di trasmissione di simili vaneggiamenti ai
giovani. Da
tempo, fra gli storici
è acclarato al di là di ogni ragionevole dubbio che
a. ogni soggetto storico
non è mai definito una volta per sempre, ma al contrario muta e si
trasforma nello
scontro-confronto con altri soggetti e che in tale situazione si definisce
provvisoriamente;
b. ogni individuo non
è portatore di un’identità monoliticamente primigenia, ma costruisce la sua
personalità acquisendo
e componendo insieme – più o meno coscientemente – una pluralità di
«appartenze»,
anch’esse mutevoli nei tempi e negli spazi della propria esistenza.
Pertanto, gli storici
italiani, ribadendo la centralità dell’educazione civica fondata sui principi
della
costituzione italiana
nel processo formativo dei giovani, richiamano il legislatore a riconoscere e
ribadire la funzione
civile dell’insegnamento della Storia come educazione alla scoperta,
all’analisi ed
al confronto delle
diverse appartenenze compresenti nel singolo individuo, nei segmenti sociali,
nelle
comunità di diversa
dimensione, lungo l’arco del tempo e negli spazi vissuti dagli uomini.