L´INTERVISTA
Fausto
Bertinotti: un pasticcio confondere i due piani,
la trattativa e l´abbandono della missione
irachena
GIOVEDÌ
9 SETTEMBRE 2004
"Ora salviamo
le due ragazze del ritiro riparleremo dopo"
Priorità : in questi casi serve una gerarchia nelle scelte. E
la priorità adesso è trattare, trattare, trattare Resistenza Quella irachena ha la r minuscola, non contiene la
soluzione del problema Terrorismo Va affrontato senza
alcun "ma", è un avversario distruttivo dell´umanità Ambigui Mai stati. Ma di fronte all´escalation
terrorista bisogna usare parole nuove, più adeguate GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - «Il terrorismo va
affrontato senza alcun "ma". Non ha giustificazione, quello che fa in Iraq
o in Ossezia non si capisce per nulla. È solo un
avversario distruttivo per l´umanità». Fausto
Bertinotti dice: «Fare tutto
il possibile per la salvezza delle due Simone». Anche ritirare i nostri soldati dall´Iraq? No, risponde il segretario di Rifondazione,
uno dei leader del movimento pacifista. «Teniamo
distinta la questione della guerra dal rapimento delle due volontarie.
Adesso stiamo parlando di come salvare delle vite umane. Confondere i due
piani è solo un pasticcio». Il
rapimento di Simona Pari e Simona Torretta vi fa
mettere da parte la richiesta di ritiro delle truppe italiane? «In
questi casi c´è un´urgenza temporale e di valori che impone una
gerarchia, una scelta. Al primo posto c´è la
salvezza delle volontarie. La priorità è trattare, trattare, trattare». Come: soldi, diplomazia? «Non
entro nel dettaglio. Penso però che si debba discutere non in nome delle
ragioni del governo italiano, che è coinvolto nella guerra irachena, ma
privilegiando l´aspetto
umanitario della presenza delle due rapite a Bagdad. È necessario anche attivare le condizioni
ambientali per una trattativa. Sottolineando la
nostra collocazione al centro del Mediterraneo che non può non
privilegiare il confronto di civiltà, riconoscendo i valori dell´Islam, alimentando il dialogo interreligioso,
stabilendo, come ha fatto la Francia, un rapporto diretto e
visibile con il mondo arabo. Insomma, si deve fare tutto il possibile».
Anche ritirare i
soldati? «La questione della guerra va tenuta distinta, è un´altra
dimensione. Adesso parliamo di come salvare la vita alle due
ragazze. Poi, c´è l´altra dimensione, quella strategica, sulla quale
rimane un dissenso profondo con il governo. Ma è una dimensione che va
tenuta separata, ripeto. La guerra va fermata non
perché hanno sequestrato due donne pacifiste, ma per il fondo della
questione. Il conflitto non ha fatto nascere il terrorismo, ma ne alimenta la violenza. Lo abbiamo visto in Ossezia, dove si è valicata la soglia dell´orrore, e lo vediamo in Iraq, dove emerge la
volontà di distruggere tutto quello che sta fuori
dalla coppia di gemelli siamesi guerra-terrorismo. Detto questo,
confondere i due piani, il conflitto e il rapimento, significa creare un
grande pasticcio. Anzi, è proprio su questa
distinzione che si può mantenere una vera autonomia dei soggetti politici
». Anche gli Stati uniti cercano lo scontro
di civiltà? «Perché bombardano le città sacre? Hanno fallito sia
sulla soluzione immediata del caso iracheno sia sul controllo delle
risorse del territorio. E di fronte al fallimento
delle ipotesi a breve, chi fa la guerra adesso lavora allo scontro di
civiltà». Dopo il vertice di
ieri, si può parlare di unità
nazionale? «No. È stato soltanto un incontro e un sovraccarico di
significati politici indebolisce e pregiudica il dialogo, schiaccia il
terreno di cooperazione che può nascere sulla base delle differenze
strategiche. L´unità nazionale ci sarebbe se si
parlasse tutti insieme del ritiro dei soldati
italiani. Ma non è così. Oggi si cerca una
collaborazione per liberare due ostaggi. Evitiamo di introdurre elementi
grotteschi in una vicenda tanto drammatica». Le parole nette di
Ingrao contro il terrorismo sono un modo
per uscire dall´ambiguità pacifista? «Non
si può attribuire a Ingrao l´ambiguità di cui parla Amato. Può usare quelle
parole forti contro il terrorismo proprio chi ha saputo parlare con
altrettanta forza contro la guerra. Non esiste alcuna
ambiguità nella posizione di Ingrao o
nella nostra. Certo, anche chi come noi ha sempre
denunciato la connessione guerra-terrorismo oggi deve trovare parole
nuove, più adeguate. Parole e gesti, come dimostra lo
straordinario successo della fiaccolata di Roma per le vittime di Beslan. Da lì viene fuori un linguaggio
diversamente politico, non prepolitico. Emerge
l´irriducibile umano che c´è nella vita e si oppone all´orrore. Quel linguaggio deve irrompere nella
politica». La sua è una
correzione di rotta? «Nessuna correzione di rotta
ma è giusto mettersi all´altezza dell´escalation terrorista. Beslan è un baratro sulla nostra umanità, ma non
possiamo non chiederci cosa è accaduto in Cecenia negli ultimi dieci anni. Per fortuna, abbiamo
usato lo stesso metro per la Cecenia e per l´Iraq e oggi possiamo affrontare un nuovo passaggio
nel percorso della non violenza. A Beslan è
successo qualcosa di nuovo? Sì. E allora bisogna
dire parole nuove. Le abbiamo dette noi e le dice
un pacifista come Ingrao che si richiama all´articolo 11 della nostra Costituzione». Non è la sinistra antagonista a
parlare di resistenti iracheni? «Mai usato quel termine. C´è una Resistenza con la "r" maiuscola come quella italiana. E ci sono le
resistenze con la "r" minuscola. La prima ha sconfitto il fascismo e dato
una Costituzione repubblicana all´Italia, quella irachena, mi riferisco a chi è fuori dal
terrorismo, può essere legittima perché lì si vive un´occupazione ma non contiene in sé la soluzione del
problema. Poi, c´è il terrorismo. Che va affrontato senza alcun "ma", che non si giustifica, che
non va capito. È un avversario dell´umanità non solo per i mezzi odiosamente
violenti che usa ed esibisce, le teste mozzate, i bambini colpiti alle
spalle, ma anche per i fini che si propone. La società che immaginano i terroristi è repellente quanto le loro
azioni». |