Associazione

Per la Scuola della Repubblica

Anno scolastico 2003-2004

 

 

L’anno scolastico si apre all’insegna del disagio e dell’incertezza nelle scuole sia per la mancata soluzione del problema del precariato sia per lo stato di agitazione dei Dirigenti scolastici, ma soprattutto per  il succedersi di direttive non coordinate in conseguenza dei ritardi nell’attuazione della legge delega 53/2003.

Questi, frutto del disaccordo in seno alla maggioranza governativa sui contenuti dei decreti attuativi, derivano anche dall’incertezza sulla reale disponibilità delle risorse finanziarie necessarie per il loro avvio, nonostante sia stato previsto dal governo lo stanziamento di oltre 8.200 milioni di euro nel quinquennio 2004-2008,

Nella legge, del resto, sono presenti tutti gli equivoci di una legge quadro abbastanza generica per confondere le idee, ma abbastanza precisa per capire che si va verso la destrutturazione del sistema scolastico nazionale.

Mentre infatti la “grande riforma” preannunciata dalla Commissione Bertagna e dagli Stati generali della Scuola non è ancora decollata, l’unico effetto immediato della sua approvazione è stato la cancellazione dell’aumento di un anno dell’obbligo scolastico, introdotto nel 1999 dal governo di centrosinistra.  Per non lasciare nei prossimi anni le leve dei licenziati dalla Scuola media privi di un’occasione formativa e in attesa del decreto sul riordino delle superiori, è stato stipulato un Accordo Stato Regioni che ha favorito, seppure indirettamente, l’accelerazione del processo di regionalizzazione del sistema scolastico. Dai conseguenti Protocolli d’intesa tra MIUR  e giunte regionali sono scaturite soluzioni molto diverse, ma tutte inaccettabili, nella definizione del rapporto tra istruzione e formazione professionale, anche perché esse interferiscono con l’attuazione del passaggio delle competenze dallo Stato alle Regioni, previsto nella modifica del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001.

Per il resto, l’attuazione della delega al governo per la riforma delle istituzioni scolastiche non ha fatto passi avanti,

 se non con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, nel corso della seduta del 12 settembre 2003, del

 primo schema di decreto legislativo per l'attuazione della riforma
 
nella scuola dell'infanzia e nel primo ciclo d’istruzione.

Prevede tra l’altro l’anticipazione nell'età d’ingresso alla scuola dell'infanzia ed alla scuola primaria, la riduzione dell'orario annuale delle attività educative, l’eliminazione dell'esame di Stato per il passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado. Il decreto deve ancora passare al vaglio della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari competenti per i prescritti pareri. Per quest’anno, ovviamente, resta la facoltà per i collegi docenti della scuola elementare di “sperimentare” o rinviare l’attuazione di quanto previsto dal decreto stesso. Immediato è, invece, il pesante ridimensionamento del Tempo pieno contro il quale si stanno mobilitando già genitori e insegnanti, che hanno proclamato una giornata di lotta per il  26 settembre.

 

Nelle scuole superiori l’introduzione della regola delle diciotto ore per tutti, su cui modellare l’orario di servizio di ogni insegnante, è destinata a creare incalcolabili danni per l’attività didattica, ma anche gravi tensioni nella gestione del quotidiano scolastico, per il quale altre difficoltà e contraddizioni sono prodotte dall’applicazione del nuovo Contratto.

La sua gestione, però, offre ai collegi docenti anche l’occasione per ridefinire i rapporti con il dirigente scolastico e con le Rsu nelle scelte per la definizione dell’uso del fondo precedentemente destinato dal MIUR alle Funzioni Obiettivo ed ora assegnato alle singole istituzioni scolastiche per la retribuzione delle nuove Figure strumentali, che - a differenza delle Funzioni Obiettivo previste dal precedente contratto - sono definite nel numero, nei criteri di attribuzione del fondo, dal Collegio stesso. Ciò consente al Collegio di riappropriarsi del proprio ruolo di programmazione e gestione delle attività organizzativo-didattiche, coinvolgendo un elevato numero di colleghi.

Alla confusione e alle tensioni create nell’ambito dell’utilizzazione di personale precario per i successivi rifacimenti delle graduatorie, ma anche per la mancanza di nomine in ruolo, si è aggiunta la frustrazione di molti per la creazione del ruolo per i docenti di religione cattolica, che, a regime, potrebbe contare circa quindicimila unità, e per la possibilità loro offerta di passare ad altri insegnamenti, in caso di perdita della dichiarazione d’idoneità dell’autorità ecclesiastica. S’introduce così un canale privilegiato di reclutamento del personale docente gestito, di fatto, dall’autorità religiosa, che acquista un significato ben più preoccupante se si considera la volontà della maggioranza governativa di mettere mano alla ridefinizione dello “statuto” degli insegnanti. Allo scopo ha presentato due disegni di legge che prevedono, tra l’altro, l’articolazione della categoria in tre settori (docente tirocinante, ordinario, esperto) e la determinazione delle modalità in cui si esprime l'autonomia e la libertà di insegnamento.

Questi disegni di legge sono la conferma, se ce ne fosse bisogno, di una politica governativa volta a colpire il ruolo istituzionale della scuola pubblica che, in quanto per tutti, pluralista e laica, è precondizione per l’esercizio della cittadinanza e lo sviluppo della democrazia. Intendono ridurla a servizio all’utenza assimilabile perciò alle scuole private. Tale assimilazione sta diventando sempre più evidente con la nuova norma che consente il finanziamento pubblico a loro favore, attraverso la concessione di un risarcimento di parte della retta d’iscrizione per chi le frequenta. Mentre si sottraggono o non si destinano risorse alla scuola pubblica se ne trovano per le private rese paritarie dall’improvvida legge 62/2000.

Contro questa strategia della maggioranza è necessario contrapporre un forte schieramento unitario impegnato a riaffermare, con coerenza e senza ambiguità, la centralità della scuola statale, autonoma e pluralista, ed il suo ruolo insostituibile per lo sviluppo democratico della nostra società secondo i principi affermati nella Costituzione. E’ necessario mobilitare intorno alla scuola pubblica ai suoi operatori e ai suoi studenti l’opinione pubblica democratica creando un vasto movimento di lotta che superi divisioni e dissensi sulla politica scolastica sorti, nell’ambito delle forze democratiche e laiche, durante i governi di centro-sinistra.

Una politica di ridimensionamento della scuola è, come l’attacco alla magistratura, un attacco alla democrazia.

E’ necessario quindi, ridefinire, attraverso un confronto di merito tra tutte le forze e associazioni democratiche una politica per la scuola, coerente con la funzione istituzionale che l’istruzione pubblica deve sempre svolgere in una società democratica.

In questa prospettiva riteniamo che già sin dall’inizio dell’anno scolastico il mondo della scuola debba mobilitarsi con tutte le iniziative possibili a livello locale (assemblee, dibattiti, contestazioni azioni legali, ecc.) per neutralizzare le innovazioni ministeriali e per chiedere a tutte le forze democratiche di convergere nella promozione di un’imponente manifestazione nazionale.

 

Roma,  settembre 2003