PROPOSTA DI LEGGE D’INIZIATIVA
POPOLARE
Norme per l’attuazione del principio del
ripudio della guerra
sancito dall’articolo 11 della Costituzione e
dallo Statuto dell’Onu
RELAZIONE
di
Luigi Ferrajoli, Domenico Gallo, Danilo Zolo
1. Un ricorso crescente
alla guerra
A partire dalla fine
degli anni ottanta del secolo scorso, dopo la conclusione della 'guerra fredda',
abbiamo assistito a un ricorso crescente alla forza militare, quasi
esclusivamente da parte delle potenze occidentali: l'occupazione di Panama per
il controllo del canale, la guerra del Golfo, l'invasione di Haiti, gli
interventi militari in Somalia e in Ruanda, le due guerre balcaniche della
Bosnia e del Kosovo, l'Afganistan. Da ultimo, il progetto degli Stati
Uniti di un attacco militare contro l'Iraq: un attacco che potrà avere
conseguenze incalcolabili in termini di perdite di vite umane, di distruzioni di
strutture civili, di devastazioni ambientali.
Nel corso di questi conflitti, anche a causa dell'uso di armi di distruzione di
massa sempre più potenti e sofisticate, centinaia di migliaia di persone
innocenti hanno perso la vita, sono state mutilate o ferite, hanno visto
distrutti i loro affetti e i loro beni. Altre centinaia di migliaia di civili
sono morti per fame o per malattie a causa degli embarghi, primo fra tutti
quello contro l'Iraq. A questo flagello vanno aggiunte la persecuzione del
popolo palestinese, le continue violenze contro i ceceni, i curdi, i tibetani e
molti altri popoli emarginati ed oppressi, e, infine, le atrocità del terrorismo
internazionale. All'escalation di odio, di dolore, di distruzione e di
morte ha corrisposto l'inerzia o l'impotenza delle istituzioni internazionali
che dovrebbero operare per la pace, anzitutto delle Nazioni Unite.
Le Nazioni Unite sono ormai sottoposte a un permanente ricatto da parte delle
massime potenze mondiali, che se ne servono come di uno strumento di
legittimazione delle proprie strategie egemoniche. Ma la Carta delle Nazioni
Unite non può essere usata, se non sulla base di una conclamata violazione dello
spirito e della lettera delle sue norme, per giustificare la guerra, e tanto
meno una "guerra preventiva" come quella che Stati Uniti e Gran Bretagna si
apprestano a scatenare contro l'Iraq. Questa Carta fu un patto solenne con il
quale fu messo al bando, come è scritto nel suo preambolo, il ripetersi del
"flagello della guerra", che per due volte nel corso di una stessa generazione
aveva causato indicibili sofferenze all'umanità. In essa fu definito, contro le
minacce alla pace, un complesso di misure, tra le quali l'uso controllato della
forza nelle forme e alle condizioni stabilite dal capitolo VII. Fu insomma
progettato, al fine di "conseguire con mezzi pacifici la soluzione delle
controversie internazionali", il monopolio della forza in capo al Consiglio di
Sicurezza, attraverso l'istituzione - che però non è stata mai attuata -- di
organismi militari permanenti alle sue dipendenze, chiamati a svolgere di fatto
funzioni di polizia internazionale. Oggi quel patto è stato
dimenticato.
In tutti i casi sopra citati le potenze occidentali hanno infatti usato la forza
militare ignorando il diritto internazionale e violando i diritti più elementari
delle persone. Il bombardamento della televisione di Belgrado, la strage di
Mazar-i-Sharif, il lager di Guantanamo sono esempi di un uso criminale della
forza internazionale che molto probabilmente nessuna Corte penale internazionale
avrà mai il potere di sanzionare. E dopo l'attentato terroristico subìto l'11
settembre, gli Stati Uniti hanno elaborato una teoria militare e inaugurato una
pratica bellica che presentano aspetti eversivi non solo della Carta delle
Nazioni Unite, ma anche del diritto internazionale generale: basta pensare al
carattere preventivo, unilaterale, spazialmente indefinito e temporalmente
indeterminato della 'nuova guerra' dichiarata dal presidente Bush contro l''asse
del male'.
Il nostro paese, per volontà sia di governi di centro-sinistra sia di governi di
centrodestra, è stato corresponsabile di una larga parte di questi gravissimi
illeciti internazionali, partecipando sistematicamente, con le proprie strutture
militari, le proprie armi e le proprie basi, alle aggressioni decise dalle
potenze occidentali contro Stati sovrani e contro i loro popoli, per lo più
deboli e poveri. Nel farlo i nostri governi e i nostri rappresentanti
parlamentari -- spesso votando in complicità bipartisan -- hanno
apertamente violato la Costituzione repubblicana.
2. Contro la
normalizzazione costituzionale della guerra
La nostra Costituzione, all'art. 11, stabilisce che "l'Italia ripudia la guerra
come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali". Questa norma non solo è
stata ripetutamente violata nel corso dell'ultimo decennio, ma si è affermata
una tendenza a considerala normativamente inesistente, come se fosse ormai del
tutto desueta. E' in corso, in altre parole, un'operazione politica e giuridica
di normalizzazione costituzionale della guerra che intende privare l'art. 11
della Costituzione di ogni valore vincolante. Esso conserva al più --– si
sostiene -- – un
significato programmatico: è un nobile auspicio per tempi migliori. E' ormai un
coro unanime in questo senso: il presidente del Consiglio Berlusconi ha
apertamente sostenuto questa tesi, ispirandosi ad un documento del Pentagono,
nel suo discorso alla Camera del 25 settembre scorso. Massimo D'Alema, sin dalla
partecipazione dell'Italia alla guerra per il Kosovo, ha dichiarato che la
sinistra deve liberarsi di ogni arcaico "tabù pacifista". Più recentemente, una
delle massime autorità dello Stato – il presidente della Camera, Pierferdinando
Casini – ha sostenuto che il ripudio costituzionale della guerra non ha più il
suo significato originario, che i tempi sono cambiati, che i principi
costituzionali vanno interpretati in modo flessibile. Per sconfiggere il
terrorismo internazionale anche l'Italia deve impegnarsi ad usare lo strumento
della guerra.
Si tratta di una tendenza molto grave e tanto più pericolosa perché è largamente
sostenuta dai grandi mezzi di comunicazione di massa, controllati dal duplice
monopolio multimediale, pubblico e privato, di cui è titolare il presidente del
Consiglio italiano. Contro gli apologeti della guerra, la pace deve essere
considerata un bene fondamentale del popolo italiano: un bene che né il
Parlamento, né il governo dovrebbero mai mettere in discussione. Parlamento e
governo dovrebbero al contrario impegnarsi a realizzarlo collaborando alla
costruzione della condizioni politiche ed economiche generali che rendano meno
spietati e violenti – meno 'terroristici' – i rapporti fra le nazioni.
Il ripudio della guerra appartiene in dote al popolo italiano. E al popolo
italiano spetta oggi la responsabilità di ripristinarlo, delegittimando le
scelte in senso contrario del governo e del Parlamento. Per questo, oggi più che
mai, è importante che una larga mobilitazione politica impugni la bandiera
dell'art. 11, una bandiera che i bipartisan di casa nostra hanno
irresponsabilmente ammainato.
Uno strumento che può promuovere una vasta iniziativa popolare contro la guerra
è quello apprestato dall'art. 71 della Costituzione: una proposta di legge di
iniziativa popolare, redatta in articoli, e firmata da almeno cinquantamila
elettori.
3. Una iniziativa di
legge popolare contro la guerra
Il progetto di legge di
iniziativa popolare che viene qui presentato – Norme di attuazione del
ripudio della guerra sancito dall'art. 11 della Costituzione – chiede al
Parlamento l'approvazione di una serie di garanzie che rendano operante l'art.
11 della Costituzione, ne consentano una effettiva applicazione e prevedano
rigorose sanzioni delle sue violazioni. Il progetto si compone di cinque
articoli.
L'art. 1 (Ripudio della guerra) si richiama direttamente alla
prescrizione dell'art. 11 della Costituzione che bandisce l'uso della guerra in
ogni sua forma (comma 1) e propone una definizione di "guerra" (comma 2)
coerente con il dettato costituzionale e con la Carta delle Nazioni Unite. Al
comma 3, richiamando congiuntamente l'art. 52 della Costituzione e l'art. 51
della Carta delle Nazioni Unite, viene affermato un principio di grande valore.
L'uso della forza militare, consentito dall'art. 52 per la difesa della patria
da aggressioni esterne, è la sola eccezione ammessa sia all'art. 11 della nostra
Costituzione, sia alla generale normativa della Carta delle Nazioni Unite, che
riserva al Consiglio di Sicurezza il potere di usare la forza internazionale.
L'eccezione prevista dall'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite riguarda il
diritto di difesa di uno Stato attaccato militarmente da un altro Stato. In
questo caso lo Stato aggredito può usare la forza per difendersi dall'attacco in
atto, in attesa che intervenga direttamente il Consiglio di Sicurezza e prenda,
a sua discrezione, le misure necessarie per il ristabilimento della pace.
E' chiaro, fra l'altro,
che un atto terroristico, per grave che sia, non rientra tra i presupposti della
guerra di legittima difesa, previsti dalla Costituzione italiana e dalla Carta
delle Nazioni Unite. E' infatti un atto criminale, che richiede
l'identificazione, la cattura e la punizione dei colpevoli, e non certo la
risposta illegittima della guerra, idonea a provocare migliaia di vittime
innocenti e non, come l'esperienza dimostra, a sconfiggere le organizzazioni
terroristiche
L'art. 2 (Prevenzione dei conflitti), al comma 1, conferma l'impegno
dell'Italia alla cooperazione internazionale per il mantenimento della pace,
incluse le missioni di peacekeeping, e cioè di interposizione armata con il
consenso delle parti interessate. Ma afferma anche, al comma 2, un principio di
grande importanza. Afferma che qualsiasi 'missione' che comporti l'uso della
forza e non risponda alle rigorose previsioni degli artt. 43, 45 e 47 della
Carta delle Nazioni Unite deve essere considerata illegale. Questi articoli
prevedono che l'uso della forza, eventualmente deliberato dal Consiglio di
Sicurezza, deve essere affidato a contingenti militari posti sotto la sua
diretta responsabilità e sorveglianza, con l'assistenza di un Comitato di Stato
Maggiore permanente. Queste previsioni, come è noto, non sono mai divenute
effettive ed è invalsa la prassi di 'appaltare' l'uso della forza alle grandi
potenze interessate ad esercitarla. La conseguenza è stata che il Consiglio di
Sicurezza si è spesso limitato a legittimare ex ante o, più spesso, ex
post guerre di aggressione che le potenze interessate avrebbero comunque
condotto – o avevano già condotto – in ossequio alle proprie convenienze
strategiche.
L'art. 3 (Inammissibilità di ulteriori interventi armati), al comma 1,
vieta qualsiasi intervento militare all'estero da parte delle forze armate
italiane in violazione delle norme contenute nei due articoli precedenti, e ai
commi 2 e 3 prevede specifiche sanzioni per tali violazioni.
L'art. 4 (Armi vietate dalla convenzioni internazionali), ai commi 1 e 2,
in applicazione di vari trattati internazionali ratificati dal nostro paese,
vieta non solo l'uso ma anche la produzione, il transito nel nostro paese e
l'esportazione di armi biologiche, chimiche e nucleari ed estende questo divieto
alle 'bombe a grappolo', ai proiettili all'uranio impoverito e alla mine
anti-uomo. Bombe a grappolo e proiettili all'uranio impoverito sono stati
largamente usati dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna sia nella guerra del
Golfo del 1991, sia nelle due guerre balcaniche, dal 1993 al 1999, sia infine in
Afghanistan, con effetti che secondo molti osservatori sono stati gravissimi --
e lo sono ancora -- per le vite umane e per l'ambiente naturale. Le mine
antiuomo sono state recentemente bandite da un trattato multilaterale, al quale
solo gli Stati Uniti, fra i paesi occidentali, si sono rifiutati di aderire. Le
industrie belliche italiane ne hanno prodotto per decenni grandissime quantità e
le mine italiane, fra le più pericolose, sono ancora sparse, in centinaia di
migliaia, nel territorio dell'Afghanistan.
L'art. 5 (Cooperazione con la Corte Penale Internazionale), al comma 1,
conferma la collaborazione del nostro paese con la Corte Penale Internazionale
recentemente entrata in funzione (luglio 2002), nonostante l'opposizione degli
Stati Uniti. La Corte ha il compito di perseguire gravi illeciti internazionali
come i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra, il genocidio, i crimini
contro la pace. Nello stesso tempo, vietando al comma 2 che l'Italia possa
stipulare accordi per sottrarre cittadini di paesi terzi alla giurisdizione
della Corte, questo articolo intende reagire sia al sabotaggio della Corte che
gli Stati Uniti hanno orchestrato sfruttando l'art. 98 del suo Statuto, sia alla
complicità del governo italiano con il sabotaggio statunitense.