LETTERA-APPELLO
DEGLI INSEGNANTI AI MASS MEDIA
Noi, che operiamo nella scuola, siamo contenti
quando questa occupa la ribalta dei mass media.
Crediamo, e non per
patriottismo di categoria, che la qualità della scuola di un Paese costituisca la cartina di tornasole del suo grado di civiltà
e della sua capacità di progresso.
Da quando sono stati approvati la legge delega n. 53/03 e i primi
decreti attuativi, la protesta è dilagata ovunque: frequenti manifestazioni
locali colorate e creative , promosse dalle famiglie e
dagli insegnanti, organizzati nei coordinamenti, mozioni di protesta nelle
scuole da parte degli Organi Collegiali, dibattiti pubblici, mozioni di interi
Consigli comunali , provinciali e regionali, manifestazioni e scioperi a
carattere nazionale con l’apporto o la promozione dei sindacati, protesta con
altri cortei, altri scioperi e occupazioni da parte delle Università, che ha
coinvolto (cosa senza precedenti) gli stessi rettori. Sono stati scritti
Appelli, firmati da una lunga lista di eminenti
intellettuali, primo del lungo elenco Edoardo Sanguineti,
e Manifesti, firmati da scienziati e da
storici.
Giudizi così radicalmente negativi da parte degli operatori
dell’intero settore dell’ Istruzione avrebbero
suscitato in qualsiasi paese democratico un grande dibattito pubblico sugli
organi di informazione, nelle istituzioni e nella società civile. Ci duole
davvero molto, ma ciò non è stato.
Si sono avute solo brevi
notizie, barlumi sporadici che hanno illuminato solo per qualche istante il
disagio drammatico che vivono coloro che operano per
educare e per formare i protagonisti del futuro.
Quanti hanno pensato a dare una voce pubblica ai protagonisti
della protesta, almeno in nome della par condicio,
visto che l’unico messaggio che raggiungeva il grosso pubblico era di fonte
governativa?
Quando, per qualche episodio
di cronaca, si parla di scuola, questa viene descritta
in genere come palestra di violenza e luogo di diffusione della droga, mentre
spesso gli insegnanti sono caratterizzati come ignavi, fannulloni, interessati
solo allo stipendio, a volte ostaggi passivi dei propri alunni affetti da bullismo.
Non neghiamo l’esistenza dei
problemi, ma non sono quelli descritti. Noi, che nella scuola viviamo e
cerchiamo di farla progredire, sappiamo che i nostri allievi, anche quando sono
violenti e cercano di imitare modelli negativi in famiglia, e nella società,
sono pur sempre ragazzi in formazione, ai quali si possono chiedere rispetto di
regole e doveri, ma avendo già assicurato loro tutto ciò a cui hanno diritto.
Anche se poco gratificati sul
piano economico e nella considerazione sociale, la maggior parte di noi
insegnanti affronta situazioni difficili e senza
tutele adeguate. Eppure ci sforziamo di ricavare il
meglio dalle capacità di ciascun alunno. E’ questo l’insegnamento
“individualizzato”, che abbiamo imparato da anni a praticare, ben diverso da
quello “personalizzato” della Moratti.
La furia devastatrice di
questa legge retriva ha travolto esperienze didattiche valide, come
l’insegnamento della nostra scuola elementare, additata ovunque come modello
riuscito, da imitare. E’ stata annullata così, in un istante e senza consultare
nessuno, la felice pratica del team degli insegnanti
per tornare al maestro unico. Il bambino, che finora era stato curato nella sua
educazione e formazione dai suoi maestri, ora per la legge resta solo con il
suo tutor e, per di più, dalla prima classe viene schedato con il portfolio
che, oltre ad accompagnarlo in tutto il corso di studi, sarà più o meno grosso
secondo le risorse economiche e culturali della sua famiglia. Impara subito l’ingiustizia sociale.
Nella scuola media vengono praticamente annullate intere materie, che risultano
indispensabili alla cultura della nostra era, come l’inglese e l’educazione
tecnica, mentre la storia, considerata da sempre maestra di vita, viene tanto
ridimensionata da diventare incomprensibile. Né l’inglese viene
aggiunto veramente all’elementare, in quanto mancano i soldi per pagare gli
specialisti e perciò dovrebbero, per decreto, diventare esperti in questa
materia gli stessi maestri, a cui deve bastare un semplice corso di formazione.
Delle famose tre “I” resta solo l’impresa e la troveremo
in azione al professionale per ottenere un po’ di lavoro fornito gratis dai
nostri alunni alle aziende. Contemporaneamente, il tempo scuola diminuisce
dappertutto.
Sorvoliamo sulle scuole con
edifici in cui spesso piove, con suppellettili carenti e
rotte, con vetusto e raro materiale didattico, che spesso è sostituito con
altro più adeguato dal buon cuore degli insegnati che attingono dal proprio magro stipendio, per il
bene dei propri alunni.
Ma veniamo alle notizie di questi giorni. Per
elencarne qualcuna: 1) il tentativo di soppressione di fatto del tempo pieno,
sparito nella C.M. sulle iscrizioni, 2) la riproposta del tempo
spezzatino, 3) il caos delle pagelle impazzite, 4) la diffusione del contenuto
dei decreti della scuola secondaria superiore. Tutto, senza
confronto con gli interessati (neanche con i sindacati), ma dal chiuso
dell’edificio di viale Trastevere.
Sugli ultimi decreti, non è
possibile svolgere un commento in tale sede. Si può solo evidenziare che: 1) viene imposta la scelta precoce tra licei e professionali
(trasformati in istituti a metà tra quelle che erano le vecchie scuole di
avviamento e l’apprendistato) ad adolescenti, poco più che bambini, che non
sono ancora in grado di effettuare scelte di tal tipo, anche secondo il parere
di psicologi dell’età evolutiva; 2) sono confusi e imprecisi, soprattutto per
quanto attiene ai tecnici e ai professionali, che ne escono comunque nettamente
dequalificati e vengono trasferiti alla formazione professionale regionale; 3) tagliano
il tempo scuola un po’ dappertutto: riduzioni per il latino, per le materie di
indirizzo, per l’educazione fisica, il diritto ecc.; 4) aprono la strada
all’abolizione del valore legale dei titoli di studio.
Una riflessione però possiamo farla, chiedendoci: che senso ha
asserire che la nostra scuola non va e non è in grado di affrontare le
problematiche di una società complessa come la nostra e poi decidere di indebolirla in tutti
i sensi: meno soldi, meno tempo scuola, insegnamento come intrattenimento,
cancellazione dell’obbligo scolastico e sua sostituzione con un astratto
“diritto-dovere” che si traduce in un generico dovere privato, da parte delle
famiglie, di istruire i figli fino a 12 anni?
La scuola che si delinea, nella pratica
dell’attuazione della riforma Moratti è caotica (costringendo spesso i docenti a sottrarre
energie dedite all’insegnamento per assolvere mille pratiche burocratiche,
prive di senso reale), di basso livello formativo, ingiusta e
discriminatoria.
Non insegna agli alunni
come “imparare ad imparare”, ma conferisce nozioni
frammentarie.
Non sottrae alla strada gli alunni esposti a pericolo, ma
glieli restituisce. Non integra gli alunni, ma li
“rende tutti diversi e separati”.
Abbiamo l’impressione che si voglia
colpire la scuola pubblica, piuttosto che migliorarla, disintegrandola con veri
e propri colpi di mano e cancellando tutto il positivo esistente!
Qualcuno ha detto a chi si opponeva alla riforma Moratti: “Dite no al nuovo, perché non volete cambiare”.
Rispondiamo: “Il nuovo è un ritorno al vecchio, perciò lo rifiutiamo”.
Riteniamo che solo
eliminando la legge che si va attuando, possiamo creare le condizioni per
costruire una nuova scuola, adeguata ai tempi, magari mediante una vera riforma.
Vogliamo una scuola che ci faccia
progredire, patrimonio della nostra esperienza e della nostra cultura e che
rispecchi l’opinione di tutti. Perché la scuola
pubblica è un bene della collettività!
Chiediamo
perciò spazio informativo e dibattito collettivo sulla scuola, affinché tutti
possano far conoscere la propria opinione pubblicamente, come
è giusto che avvenga in un Paese democratico.