Giuseppe - anno scolastico 2005-2006
Giuseppe Aragno - 25-08-2006
Fa male dirlo, ma è così. I delegati del popolo sovrano, eletti senza voti come ai tempi felici dei Fasci e delle Corporazioni, fanno ormai da bestiame votante, armano e riforniscono soldataglie da spedire là dove chiede l'impero e sanno starsene ...
Giuseppe Aragno - 16-08-2006
Il clima è quello delle attese doverosamente benevoli: la maggioranza conta su culture politiche fra loro diverse e contrastanti, la partita in Senato è sempre aperta e c'è il timore di una Caporetto. I più ritengono che occorrano prudenti ...
Giuseppe Aragno - 10-08-2006
"Perché le classi dirigenti di Francia, Spagna e Italia stanno dalla parte di Hezbollah e contro Israele?" si chiedeva sul suo "Foglio" giorni fa Giuliano Ferrara, che molti ritengono giornalista di qualità. Da dove tira fuori Ferrara un'idea così ...
Giuseppe Aragno - 02-08-2006
Non credo ai presagi: i segni premonitori sono favole che inventiamo per noi stessi a mano a mano che il nostro impenetrabile futuro si consuma sul filo del tempo che ci è dato, giunge fino in fondo al suo cammino e si riduce infine alla sola ...
Giuseppe Limone - 21-07-2006
Ad Alessandra Ricciardi di "ItaliaOggi", con viva cordialità

Napoli, 8.7.2006



Oggi la Scuola, di ogni ordine e grado, fino al livello universitario e post-universitario, è diventata, anche per una paradossale congiura bipartisan fra le forze politiche, un'urgenza nazionale. E' necessario, pertanto, che qualcuno abbia il coraggio di dire alcune cose scomode e inattuali.
Occorre, per essere adeguati veramente alle sfide, riuscire a far propria una vera epistemologia della complessità, pensata in modo rigoroso (si guardi, per un puro riferimento, agli scritti di Edgar Morin): un'epistemologia capace di muoversi oltre alcuni cronici vizi: il provincialismo dell'antiprovincialismo, la separazione fra i saperi e l'inconsapevolezza delle radici.
Non occorre ricordare quello che già Elio Vittorini una volta sottolineava, ossia che la cultura vera deve riuscire a superare la vecchia contrapposizione fra saperi ('umanistici' e 'scientifici') per avviarsi a una nuova articolazione, capace di realizzare un autentico salto di qualità. Ma quello che certamente Vittorini non intendeva dire, era che i saperi 'umanistici' dovessero essere accantonati per privilegiare i saperi 'scientifici'. Esistono, oggi, insieme col sapere tecnoscientifico, scienze epistemologiche e scienze dei valori. Chi se ne accorge? Eppure, una tale robusta verità dovrebbe essere lampante, sol che si riuscisse a guardare con intelligenza a due precise vicende: si pensi, da un lato, all'emergere incontenibile di discipline etico-valoriali e filosofico-epistemologiche dal seno stesso del sapere tecnico-scientifico, che ne avverte il bisogno per un'imperiosa necessità endogena (si pensi, solo per un esempio, ai saperi bioetici, alle discipline epistemologiche, ai nuovi saperi trans-disciplinari ben più che 'interdisciplinari', ai nuovi bisogni epistemologici di reciproche contaminazioni fra scienze), e si pensi, dall'altro lato, al moltiplicarsi di fatti sociali inquietanti che indicano non tanto la 'crisi di valori', ma la crisi nella domanda di valori.
La scuola sembra oggi sottoposta a un quadruplice paradossale assedio: da parte del sistema massmediatico, da parte del sistema tecnico-economico, da parte del sistema burocratico (quanto tempo inutile viene sottratto in carte al tempo della formazione e della ricerca!), da parte del sistema politico. Occorre saper reagire con intelligenza a questa sfida. Sfida che deve essere raccolta soprattutto da un altro attore, quello della società civile pensante, che deve restare il vero alimento - ma indipendente - del sistema dei partiti.
Oggi assistiamo quasi rassegnati al grave scadimento culturale in cui versano i giovani che arrivano all'università. Ciò, mentre i loro docenti sembrano di fatto destinati a una strana simbiosi fra l'autodisistima e la rassegnazione, oltre che a un accelerato burn-out. Tutto ciò non è una sciagura meteorologica. La scuola non può essere trasformata in una 'macchina di servizi': essa è un centro di formazione, di inculturazione, di educazione, destinata a rigenerare in ognuno le condizioni culturali e simboliche in cui la società è storicamente pervenuta. La presenza e invadenza del sistema massmediatico non può e non deve intimidire la scuola, né metterla sulla difensiva, ma farla partire per un più serrato confronto con esso - e al suo livello. Ma una tale scuola può agire a tale livello solo se ha le risorse adeguate per farlo (un personale altamente motivato e mezzi congrui).
La scuola, trascurata, è una bomba all'orologeria, i cui danni, devastanti, esplodono a distanza di tempo. Sicchè può ben dirsi che qualsiasi potere politico, per quanto concerne la scuola, riesce di fatto a operare in una situazione di sostanziale irresponsabilità.
Occorre, a tal fine, snidare - oggi - alcuni pericolosi equivoci, insidiosamente nascosti anche nel lessico della classe dirigente. Vediamone alcuni.
Si dice che investire nel sapere scientifico è importante perché è investire nella capacità d'innovazione del sistema e nella sua crescita (economica). Si gioca, in realtà, sul significato multiplo di 'sapere' e di 'società civile'. Dimenticando di dire che il 'sapere' è importante non solo perché, in quanto sapere tecnico-scientifico, serve a far crescere il sistema economico, incrementandone il PIL, ma anche, e forse soprattutto, perché, in quanto sapere valoriale ed epistemologico, dà strumenti critico-filosofici di fondo per orientare e dirigere la società degli uomini, le sue scienze e le sue scelte. Una scuola non deve generare solo operatori per la produzione, ma persone che pensano. La scuola non deve dare solo la competenza sui significati, ma l'educazione alla ricerca del senso. E non si parla di questo o di quel tipo di scuola, ma di qualsiasi scuola. E' la complessità della società contemporanea che l'impone. Se la scuola, con i suoi curricula concreti, non dà gli strumenti per pensare, avrà fallito il suo fine. Gli specialismi maturi non possono non mirare a una nuova frontiera, fatta di una rottura orizzontale e verticale. Rottura orizzontale, perché i saperi si aprono a nuovi nessi, che ritrasformano i saperi stessi di partenza. Rottura verticale, perché i saperi si aprono a nuove consapevolezze di orizzonte e di senso: metodologiche, epistemologiche e valoriali. Uno sfondamento orizzontale e uno sfondamento verticale che spalancano un nuovo modo di pensare - uno sguardo più profondo e più alto. Che non è più un lusso, ma una necessità.
Oserò dire, in un tale contesto, di più: la scuola deve essere una funzione e un 'potere' della Repubblica e non un 'servizio'; e - perciò - è lo Stato che deve essere al servizio della scuola e non la scuola dello Stato. Perché la scuola è un grande strumento della società civile e della sua necessità di generare uomini civili.
La scuola, insieme con un certo sistema massmediatico, sta diventando, invece, un paradossale modo per investire nell'incultura. Perché produrre silenziosamente 'incultura' è far crescere una rendita preziosa, con la quale si potrà, prima o poi, con un sol tratto di penna, cancellare ogni democrazia, o renderla un simulacro. Chi investe nell'incultura, oggi, lavora, senza lasciar tracce, per la tirannia.
Ci sono, nel nostro tempo, alcune tendenze che vanno identificate e tarate. Occorre, ad esempio, contrastare criticamente e con forza, una certa retorica dei numeri pensati come misuratori neutri. Si rende necessaria, in proposito, una critica epistemologica del 'numerare', che sappia epistemologicamente contrastare quella che forse Vico avrebbe denominato, a suo modo, la 'boria dei numeri'. L'enfasi acritica consegnata al 'sistema dei crediti' ne è un'ottima spia. Si misura tutto (anche le pagine ...) presupponendo che la misura sia oggettiva e neutra, laddove può essere angolata e faziosa, se non sviante. Non solo. Altra cosa da contrastare con forza è l'enfasi acritica attribuita a un'informatica pensata solo in senso dirigista (si dà di fatto mano libera a elaboratori di software centrali che diventano i veri sovrani)....

Giuseppe Aragno - 20-07-2006
A dar retta ai sondaggi del "Corriere della Sera", notoriamente vicino ai fondamentalisti islamici e tradizionalmente schierato coi terroristi dell'immortale Bin Laden, il 61% degli italiani sarebbe favorevole all'immediato ritiro delle nostre truppe ...
Giuseppe Aragno - 15-07-2006
Con un lampo di tristezza che ci attraversò il petto, Pina uscì dalla mia vita come c'era entrata: per caso. Se ci penso però, nessuno mi toglie dalla testa che spesso la sorte non ha scampo e ci conduce là dove porta la via del tempo che abbiamo ...
Giuseppe Aragno - 13-07-2006
Quella che segue è una bella analisi politica. Non è di ieri, risale ai primi di giugno, ma le parole sono misurate, i toni pacati, acute le valutazioni. Per quanto mi riguarda condivido il rammarico per il destino del paese balcanico e il dispiacere ...
Giuseppe Aragno - 01-07-2006
Una napoletana raccontò la guerra civile dalla radio della Spagna libera

Se la memoria non m'inganna, è stato Paul Ricoeur - non a caso un filosofo - a riflettere sull'intima relazione che corre tra "tempo" e narrazione e ad aprire con gli ...
Giuseppe Aragno - 24-06-2006
"Il mondo - ebbe a scrivere qualcuno negli anni della guerra del Vietnam - è allibito per l'arrogante brutalità degli Stati Uniti [...].
Ogni giorno giungono dal Vietnam notizie di crimini efferati. Sono crimini compiuti da un aggressore, da un invasore, da un torturatore...
Il martirio dei bambini arsi vivi [...] le loro sofferenze, come quelle degli ebrei che furono uccisi con i gas ad Auschwitz, sono una manifestazione caratteristica della civiltà che noi abbiamo costruito.
[...] Nel Vietnam abbiamo fatto ciò che Hitler fece in Europa
".

Le parole di Russell sono più che mai attuali e Afgnanistan o Irak non sono diversi dal Vietnam.
Ora io mi chiedo: quando il governo di centro-sinistra ricondurrà in patria i nostri soldati impegnati in una guerra criminale in Irak ed in Afganistan? Come si può ad un tempo difendere la Costituzione e continuare a violarla così apertamente? Se ne ricorda Prodi che l'Italia ripudia la guerra?

Giuseppe Aragno - 21-06-2006
L'appuntamento è per le dieci a Bagnoli. Giugno si ricorda di esistere e per la prima volta quest'anno ho proprio caldo, mentre la mia vecchia Panda amaranto sbiadito sbuffa e minaccia di rendere l'anima al Dio dei motori. Trovo da parcheggiare di ...
Giuseppe Aragno - 16-06-2006
Cito a memoria, ma chi volesse applicarsi troverebbe certamente altri esempi: nel nuovo guidato dal nuovissimo Prodi c'è molto del vecchio che ci condusse allo sfascio del 2001: Massimo D'Alema, Vincenzo Visco, Pier Luigi Bersani, Giovanna Melandri, ...
Giuseppe Aragno - 08-06-2006
Ci tenevo a sentirlo. Mi incuriosiva terribilmente la dichiarazione dell'ex dirigente del PCI, peripateticamente passato per il travaglio doposoviettista, pudicamente convertito alla prudenza buonsensista e approdato, dopo le ripetute bocciature in apertura di legislatura, bagagli ed... armi alla consolatoria Farnesina: c'è una giustizia a questo mondo e un premio gli toccava per l'uranio depotenziato regalato agli ex compagni serbi in barba a quel reperto archeologico della Costituzione, che improvvidamente ripudia la guerra.
Giuseppe Aragno - 26-05-2006
Siamo alla fase delle buone intenzioni. Quella per la quale una politica non c'entra con gli uomini chiamati a realizzarla, Metti Crispi al posto di Giolitti e hai comunque l'idillio con Turati. E' il momento in cui lo slogan pubblicitario garantisce ...
Giuseppe Aragno - 18-05-2006
Non chiedetemi, perché. Non saprei che dirvi, non troverei parole per spiegarlo e non ci provo. Eppure è così: mentre il carrozzone massmediatico si scatena per Giorgio Napolitano che sale sul colle più alto della nostra - posso dirlo? - malandata ...
Giuseppe Aragno - 09-05-2006
Li ho davanti: lavoratori-studenti dell'università nuova, che stipula accordi con stato e parastato ed offre a buon prezzo pillole di cultura usa e getta; tante pagine, tanti "crediti", tanti esami e lauree da consumare per ogni bisogno: brevi e ...
Giuseppe Aragno - 29-04-2006
Quale scuola? Oggi non è certo una domanda banale, ma la risposta passa inevitabilmente per un'altra domanda: quale società? Mentre cambia la guardia e la destra fa posto alla sinistra, mi pare più evidente che mai: parlare di scuola è parlare di società e, per farlo, occorre probabilmente provare a guardarsi un po' indietro e "storicizzare" l'esperienza recente.

Cosa ci mosse a lottare contro il "concorsone"? Partirei di qui e, semplificando, direi che la protesta ebbe due motivazioni prevalenti: quella "retributiva", provocata dai sei milioni di lire garantiti solo ad alcuni lavoratori in una busta paga che era - e rimane - un vero e proprio oltraggio, e quella "antidiscriminatoria" che rifiutava la divisione dei docenti in "buoni" e "cattivi" e il conseguente "aumento per merito".
Tra noi, tuttavia, c'era chi criticava non solo la "gerachizzazione" del personale, ma anche il ruolo imposto agli insegnanti e alla scuola dello Stato e avvertiva che la logica del "concorsone" era quella di una selezione funzionale alla scuola-azienda. Chi lo aveva ideato si affannava a negare: si tratta solo di avviare concretamente l'autonomia scolastica. Nei fatti, invece, si inaugurava quel processo di "autonomizzazione aziendalistica" della scuola che la sinistra non ha mai ripudiato e la destra ha condotto alle sue estreme conseguenze.

Ritornata la potere, la sinistra che fa? Abolisce la riforma Moratti? Si direbbe di no. Aggiusta, a quanto pare, modifica, rattoppa, ma non abolisce. E' un dato di fatto. Chi ha vissuto in prima persona, come dirigente sindacale, delegato, o anche solo militante attivo, lo scontro sull'autonomia sa che esso si fece aspro quando risultò chiaro che, dalla fase teorica, si stava passando alla realizzazione concreta d'una scuola che non solo ricorreva ad una selezione degli insegnanti in rapporto a parametri valutativi discriminanti - il che appariva, ed era, già di per sé grave - ma si proponeva di rivedere la funzione docente in vista di compiti comandati e del tutto subalterni. La scuola-azienda passava per un sistema integrato pubblico-privato e aveva bisogno di insegnanti sconfitti, costretti ad accettare ruoli mortificanti. Non solo selezione, quindi, ma subordinazione ad un sistema formativo servo a sua volta di quello economico, il cui compito non era più quello di formare cittadini, ma di dare risposte al mercato della forza-lavoro. La barzelletta delle "tre i" non è di schietta matrice berlusconiana. Ha radici più profonde, che vanno cercate sul terreno delle scelte concrete - lascio da parte quello dell'ispirazione ideologica - legate all'esperienza del governo D'Alema, che si distinse per il tentativo di mostrarsi all'altezza delle aspettative del grande capitale. Come per la guerra, così per la scuola, la correttezza costituzionale cedette in quegli anni il passo agli interessi superiori del profitto che non ha patria. Ciò che si voleva ottenere era la costruzione, nell'ambito dell'area imperialistica, di un sistema scolastico paritario, pubblico e privato, finalizzato all'imposizione di una nuova alfabetizzazione - quella informatica - e ad una concezione mercantilistica della conoscenza - l'inglese a scapito di ogni altra lingua - che costituisse il primo gradino di una nuova scala di valori di un sapere volgarmente tecnico e decisamente funzionale ad una nuova divisione sociale del lavoro.
La scuola confindustriale non chiedeva cittadini consapevoli, ma utili idioti subordinati che anche non sapendo mettere insieme un pensiero critico avessero titoli "qualificati" in rapporto alle esigenze del mercato. Per ottenere questo scopo, occorrevano insegnanti ridotti ad agenti speciali del capitale in una scuola buona a costruire soprattutto giovani pronti ad eseguire mansioni contrarie ai propri interessi sia sociali sia, detto in senso lato, di "classe".
Giuseppe Aragno - 21-04-2006
In un momento politico come quello che viviamo, il 25 aprile non è un giorno della memoria rituale. Abbiamo davanti a noi un centrodestra che, sconfitto dal responso delle urne, si rifiuta si far posto ai vincitori. Ed è, si badi bene, un centro destra che ha nel suo bagaglio culturale la storia "revisionata" di Nolte e De Felice. In quanto al centrosinistra vittorioso, molti dei suoi rappresentanti, in nome di una anacronistica "pacificazione nazionale", hanno aperto la breccia attraverso la quale è passata una "parificazione" presto sfociata in processo ai comunisti ed alla Resistenza. Il 25 aprile che ci si presenta è un'occasione irripetibile per ricordare a tutti su quali radici cresce la democrazia nel nostro paese. E' necessario farlo, fino a che c'è tempo, perché vinti e vincitori tornino alla politica, perché la maggioranza si distingua nei fatti dall'opposizione, perché chi perde rispetti gli avversari e chi vince di misura si metta in discussione, interrogandosi sui mille perché di una risicata vittoria. E' necessario farlo perché entrambi la smettano di pensare che c'è mezzo paese fatto da idioti. Le ragioni dell'esito elettorale sono politiche e occorre capirle. Lo impongono le ragioni della democrazia. Lo impone soprattutto la consapevolezza che il terreno dello scontro sulla Resistenza e, quindi, sulle Istituzioni, ha perso da tempo il suo significato storiografico per assumere connotati evidentemente politici. Checché ne pensi la sinistra, di cui è esponente Luzzatto, la battaglia è ancora tra fascisti e antifascisti.
In questo senso è necessario dirlo: i comunisti saliti in montagna non conoscono probabilmente la realtà dell'Unione Sovietica, né del lacerante dibattito che ha diviso Stalin da Troztky sul tema della rivoluzione permanente e del socialismo in un solo paese. Essi sono espressione di ciò che resta del partito di Bordiga, che ha decisamente combattuto la subordinazione dell'Internazionale agli interessi dello stato sovietico e, soprattutto di quel filone autoctono, nazionale del comunismo, che ebbe in Gramsci il suo ideologo. E' un proletariato al quale il rivoluzionario sardo, in sintonia col pensiero di Marx, assegnava il compito di diventare classe dirigente inserendosi a pieno titolo in quello storicismo che vantava tra i suoi interpreti Vico, Spaventa e Antonio Labriola. E una classe dirigente si forma anche e soprattutto a scuola. Quella scuola sulla quale - sarà solo un caso? - Polo ed Unione stentano a distinguersi. Eppure le radici culturali delle forze in campo sono veramente alternative e la storia della Resistenza lo dimostra ampiamente. .Non è un caso che tra i partigiani comunisti vi siano rivoluzionari professionali per i quali lottare contro il fascismo è combattere una guerra di classe per edificare un nuovo sistema sociale. Non è un caso che quella comunista sia una presenza significativa, che ha radici profonde nella classe operaia e tra i ceti genericamente "popolari" e che essi costituiscono la maggioranza delle forze antifasciste, com'è attestato dagli innumerevoli militanti condannati dal Tribunale speciale, dai tanti confinati e attivisti scesi in clandestinità, dalla massiccia partecipazione in ruoli anche di comando alla lotta armata combattuta in Spagna contro il franchismo ed il nazifascismo. Nopn è tuttavia nemmeno un caso che, per avviare un processo di cambiamento che conducesse l'Italia a diventare una repubblica che guardasse al socialismo, essi non attesero che Stalin, aggredito dai nazisti, abbandonasse le sue tesi sull'equivalenza tra socialismo e fascismo e sulla sostanziale identità del capitalismo anglo-francese ed italo-tedesco o che inserisse in maniera organica l'antifascismo nell'ideologia comunista. I comunisti non mangiarono bambini: furono un pilastro della democrazia. Il 25 aprile invita a ricordare. Ma è un invito che per la sinistra si trasforma in dovere etico e politico: ripristinare la verità, perché in termini politici essa è rivoluzionaria.
Giuseppe Aragno - 08-04-2006
- Voterai? - mi ha chiesto ieri un amico che pure lotta contro la nuova sinistra che quota l'acqua in Borsa, si tiene la Moratti e promette la TAV come fa Berlusconi
-Ci andrai? ha insistito e - da lui sinceramente non me l'aspettavo - mi ha fatto il fervorino sul bieco centrodestra - bieco, mi ha detto, e come dargli torto? - sui diritti negati, la solidarietà schernita, il Mezzogiorno oltraggiato e, dulcis in fundo, la "lunga transizione italiana".
Ho l'imperdonabile difetto di dire ciò che penso, anche se costa caro, e non metto mai insieme due parole se non seguo il filo di pensieri miei vagabondi che vanno in giro tra passato e presente.
- Stammi a sentire - ho replicato brusco - poi, per favore, la litania va a recitarla in chiesa. Voterò. Va bene? Ma non farti illusioni: la crisi noi non la chiudiamo qui perché non è vero che tutto parte dalla stagione berlusconiana. Non è vero e non ne usciamo, se non ci decidiamo ad inserire i fatti in un contesto storico più ampio.
- Quale? - mi ha chiesto l'amico - e ho proseguito.
Giuseppe Aragno - 31-03-2006
Via Bernini è larga e quieta al primo sole pomeridiano di questa primavera lenta e pigra. L'attraverso pensoso, con le mani in tasca e il passo lento delle mie pause di riflessione. Poche decine di metri più in là, al culmine della salita, le cariatidi dei palazzi umbertini pare mi guardino da Piazza Vanvitelli e, come spesso mi accade quando vado in giro, un numero civico, un angolo, un incrocio richiamano alla mente la storia ricca e complessa d'una città che siamo in pochi a conoscere: quella nascosta in fasci e faldoni nelle carte antiche e affascinanti dell'archivio di Stato. Il numero non lo ricordo, e non c'è una lapide ad aiutarmi, ma qui, in Via Bernini, in una delle case che ho intorno, tra edifici neorisorgimentali e ville liberty, si spense Umberto Vanguardia, socialista, poi anarchico e sindacalista di buona tempra, che per tutta la vita lottò per la democrazia.
Ho in mente questa mia città di carta ingiallita e di storie incredibili di militanza e lotte per un mondo migliore, quando giungo all'ingresso del Plaza, affollato da vecchi e giovani compagni.
Giuseppe Aragno - 25-03-2006
I brancaleone messi assieme dall'Unione, codini antichi e neo convertiti alla santità di Sacra Romana Chiesa, tengono un cero acceso e fanno voti, battendosi il petto, perché il cielo li ascolti e consenta vita lunghissima a Silvio Berlusconi: il giorno in cui dovesse mancare, sarebbe quello tristissimo da segnare col lapillo nero. Togliete Berlusconi, che ha ridotto ad un pericoloso covo di sovversivi perfino l'associazione degli industriali, e verrebbe il momento tragicomico di parlare alla gente di politica.
Ve l'immaginate?
Giuseppe Aragno - 13-03-2006
Premessa

Sento la pesantezza dello scontro che si è aperto da tempo e intuisco che in ciò che vado scrivendo c'è ormai un evidente rifiuto di quella che comunemente, e a mio avviso ipocritamente, chiamiamo democrazia. Sì, sento di rifiutare questa pseudo democrazia borghese, e non lo nego: è una sorta di ritorno al passato, alle mie radici profonde. Lo sento e mi interrogo. Mi domando soprattutto se non rischio di generalizzare e provo a capire quali possano essere gli sbocchi di questa che ormai è una rottura.
Io penso di difendere principi irrinunciabili. E lo faccio tagliando con l'accetta: buoni e cattivi, giusto e ingiusto, vero e falso... E' una scelta consapevole, so di estremizzare, ma se mi lascio volutamente alle spalle la complessità degli eventi, perché i confini dei campi contrapposti siano chiari, dentro i dubbi me li porto e non li cancello. No: lascio che vivano. Sono il lievito della comprensione, la garanzia dell'evoluzione, l'aria di cui si nutre l'onestà intellettuale, alla quale non rinuncio. E' un tormento - e dio sa i dubbi che hi avuto nell'inviare a Fuoriregistro l'articolo che segue questa breve premessa - è un tormento accusare di malafede quella che è stata la propria parte e sentir crescere dentro la convinzione che occorra ricominciare daccapo. D'accordo. Ciò che dico può andar bene solo a chi ritiene che il caso Milosevic è un'ignominia, che egli aveva diritto ad essere giudicato in patria, se il suo popolo l'avesse voluto, e che gli è stato impedito di dire la sua fino in fondo. Sbaglio? Bene. Rispondendo, però, non mi si dica che le situazioni sono complesse. Mi si dimostri che questo penoso tribunale internazionale ha ragion d'essere, che è neutro e via discorrendo. E non mi si ricorra ai pannicelli caldi delle formulette magiche - è pur sempre qualcosa - o ai teoremi del realismo: ogni tanto occorre sporcarsi le mani. Si contestino i fatti e allora sì, allora sarà servito scrivere ed aprire un dibattito. E però - ecco il tormento - chi della mia parte intende farlo? Chi l'ha mai fatto negli ultimi tempi tra quanti pontificano "sarebbe meglio confessarlo, sei di destra!" ? Mi si oppone da tempo che non è il momento, si cercano le sottile differenze, si fanno le graduatorie. Ed io mi interrogo. Non è che per difendere principi e regole, trascuro chi è stato ferito? Non mi pare sia così, ma ci fosse uno dall'altra parte chi mi aiutasse a capire. No. Slogan, scomuniche, realismo politico. Null'altro. E i fatti? E' o non è vero che la vergogna dei centri di accoglienza riguarda da vicino i due schieramenti? Abbiamo o no rifiutato la guerra e però la facciamo, da destra come da sinistra? Siamo Bolkestein in Europa e progressisti in Italia? E quante domande come questa si potrebbero porre? Qual è la bussola che deve orientarci? L'interesse piccolo e immediato di parrocchia, la questione elettorale? E perché il centrosinistra oggi osannato fu ieri lapidato negli uomini che oggi si osannano? Milosevic dunque. A chi conveniva quel miserabile processo? Chi se usciva scornato, benché il pseudo tribunale abbia secretato le identità dei "testimoni a carico", abbia continuamente cambiato le regole del gioco a partita iniziata, abbia dato e tolto a sua piacimento la parole all'imputato che espiava fatti, abbia rifiutato di interrogare i testimoni chiamati a discolpa? Chi aveva interesse a questo punto a vederlo morto? Si processava un dittatore? E perché proprio quello? E con quale diritto? Si colpiva un criminale di guerra? E perché si assolve la Nato che bombarda le fabbriche chimiche della Serbia, con i prevedibili effetti sull'ambiente, fa strage di civili innocenti e indifesi e imbarbarisce alla maniera dei nazisti su Guernica? Perché sono impuniti Bush e Blair per una guerra dichiarata con la menzogna, per una guerra d'aggressione coloniale, per le torture, il fosforo su Falluja, le Guantanamo note e quelle ignote? E io con chi sto? Con Berlusconi che è apertamente con Bush, o con Prodi che non dice: signori, filate. Io non so che farmene di un paese amico che ha la pena di morte, che spara uranio depotenziato, che tortura, aggredisce, che delegittima l'Onu, che viene in casa nostra a rapire presunti terroristi e poi li fa sparire, un amico sul quale pesano le accuse dei nostri magistrati per i piloti criminali della funicolare alpina, per la Sgrena e Calipari? Milosevic. E i terroristi albanesi armati e addestrati dagli Usa e dalla Nato?
Ecco. Nel fuoco di fila di queste domande, io mi attesto sulle regole e di là non mi muovo. Di là, forte di alcune certezze incontrovertibili, rispondo ai miei dubbi. Questo ragionamento sta dietro la durezza delle parole che leggerete. Ma serve farlo? E se anch' io, come ho ritenuto di dovere fare, lo premetto, dove mai troverò la disponibilità a discutere di ciò che ho scritto, non degli altari sacri che ho violato?

Giuseppe Aragno - 28-02-2006
Pina entrò nella mia vita per caso. Ci si fece un posto che pochi hanno mai avuto e nessun caso glielo avrebbe tolto se, quindici anni dopo il nostro incontro, una mattina di quelle che non sono uguali ad altre, non avessimo scelto di affidare la ...
Giuseppe Aragno - 16-02-2006
Giriamoci attorno come vogliamo, demonizziamo il dissenso e ripetiamolo ogni volta che serve: così tu dai una mano a Berlusconi! Si può, tanto non costa nulla, e vincere si deve. Ad ogni costo.
Il dramma politico al quale assistiamo - spettatori ...
Giuseppe Aragno - 10-02-2006
Comincio da ottobre del '43, ma non abbiate paura. E' la politica che ho in mente, non la storia. Il fatto è che sono testardo e continuo a pensare che la chiave del presente è nel passato.
"Ciò che ci divide", è il titolo di un breve opuscolo ...
Giuseppe Aragno - 26-01-2006
Vittorio Emanuele Savoia: sosterremo Campagna Berlusconi.
Così titola "La Repubblica" che scrive: "Vittorio Emanuele di Savoia e sua moglie Marina sosterranno la campagna elettorale di Silvio Berlusconi. Lo affermano i due esponenti di casa Savoia, ...
Giuseppe Aragno - 23-01-2006
Gli ispettori scolastici, sostenitori della scuola paritaria di berlingueriana memoria, si danno da fare. Maurizio Tiriticco, ad esempio, sembra essere ora il nuovo portavoce dei DS e si prende su serio, com'è storica tradizione degli ex comunisti ...
Giuseppe Aragno - 14-01-2006
Un incubo non è. Non è l'angoscia senza nome che ti prende nel sonno, ti ossessiona, ti incalza sino al terrore folle di un momento estremo, quando in soccorso, sulla soglia della follia, giunge il risveglio.
Un incubo non è: non riesco a ...
Giuseppe Aragno - 07-01-2006
Quando ne ho sentito parlare per la prima volta, l'Unipol "assicurava" insegnanti per i rischi d'un mestiere a rischio. E mi si passi il bisticcio delle parole: ci sono casi in cui la forma cede per forza di cose alla sostanza.
Se ne faceva ...
Giuseppe Aragno - 02-12-2005
Febbre alta. Influenza.
Forse la fatica, il veleno dello stress mescolato al vaccino. Non so e in fondo non me ne curo: filo via come un treno, scrivo.
Scrivo.
Scrivo.
Un saggio è questo: scrivere dopo tanto cercare.
- Cento anni compie la ...
Giuseppe Aragno - 26-11-2005
Mi capita tra le mani per caso - cerco altro - ma mi fermo pensoso. Come tante volte accade mentre sei lì a cercare tra documenti d'archivio rosicchiati dal tempo, l'attenzione cade su un particolare, una data, la curiosità d'un fatto. Basta poco e non ricordi più cosa cercavi.
Mi colpisce la data: 26 novembre. Oggi, mi dico, è ventisei novembre. E mi fa un certo effetto: un oggi di ottanta anni fa. Mi colpisce la legge cui il documento fa riferimento: la n. 2069, la prima di quelle fascistissime. Racconta il vecchio foglio ingiallito che ho davanti e mi rammenta - nel suo faticoso linguaggio burocratico - che Mussolini e il suo entourage non se l'erano inventata dal nulla quella legge liberticida che predisponeva la schedatura delle associazioni politiche e sindacali operanti nel regno e obbligava associazioni, istituti, enti, a consegnare alla pubblica sicurezza gli atti costitutivi, gli statuti, i regolamenti interni, gli elenchi dei soci e dei dirigenti. Te ne stavi zitto? Modificavi i dati? Pagavi con l'immediato scioglimento e pene detentive tutte da definire. Quando venne il momento, ci volle poco a mettere in manette tutta l'opposizione.
Giuseppe Aragno - 19-11-2005
Andrea Ranieri si è occupato di sviluppo e organizzazione per la Bocconi di Milano; si è interessato di impresa plurale e imprenditori, di nuovo welfare, di organizzazione del lavoro e oggi è responsabile del Dipartimento Scuola, Università e Ricerca dei Democratici di sinistra. Non è cosa da poco: in tre parole ci sono tre pianeti. E' vero, ruotano tutti attorno ad una sola stella - la Politica con la pi maiuscola - ma occorre un telescopio per poterli osservare: sono molto più lontani tra loro di quello che comunemente si creda. E lontanissimi oggi dalla stella che dovrebbe dar loro la luce ed il calore.
Responsabile di questo sistema solare, Ranieri, mi par di capire, lo è soprattutto perché ha alle spalle una intensa esperienza sindacale nella Cgil, vissuta sulla linea del fuoco, tra lo scontro e, talvolta, l'incontro con la controparte: il compromesso è arte, è mestiere, e ciò che conta è l'altezza del profilo. E' stato, per provare ad esser chiari, Vice Presidente e poi di Presidente dell'Organismo Bilaterale Nazionale Confindustria-Sindacati, deputato alla rilevazione dei fabbisogni formativi delle imprese. Insomma, sindacalista degli anni cruciali della concertazione, prestato o passato alla politica. Uno dei tanti, mi viene da pensare. Tanto numerosi che, se provo ad elencare anche solo a memoria uno dietro l'altro quelli che hanno seguito lo stesso percorso, corro il rischio che questo intervento si riduca ad un elenco.
Non discuto. Il governo delle Galassie, in quella stella con la pi minuscola che è oggi la politica nell'Olimpo di centro sinistra, passa ormai per questi titoli ed occorre crederci: è, si direbbe, una delle tappe significative del "cursus honorum" e, quindi, titolo da valutare con rispetto, sebbene sia piuttosto inflazionato. Dalle Circoscrizioni ai consigli comunali e, andando su, ai consigli provinciali, a quelli regionali, alle Camere del Parlamento nazionale e, giunti finalmente in cima, all'Europarlamento, sono legioni e un'equipe di studiosi che ne avesse voglia ne caverebbe uno studio di estremo interesse storico, sociologico e antropologico. Politico, intendo, e non politologico: con l'occhio attento ai confini, agli scontri e agli incontri.
Pressato da "lettere di compagni ed amici" i quali - va a capire perché, si sarà domandato - gli chiedono, cito testualmente, un "pronunciamento chiaro sul fatto, che ritengono nodale, se la legge Moratti vada abrogata o meno", il responsabile del sistema solare si è pronunciato - o, se volete, pronunciamentato; come comanda l'inviolabile legge che governa ascensori e gradini sui quali si inerpicano coloro che fanno - o intendono fare - carriera sindacale e politica, ha prontamente risposto e, altrettanto prontamente, ha evitato di dare una chiarificatrice risposta monosillabica. E si capisce. Un sì e un no, appartengono al suburbio degli elettori. Gli eletti - per dirla con una parola che indica sempre più nature celesti e governatori delle stelle, e sempre meno delegati "votati" - sanno perfettamente che è molto meno rischioso dare l'idea di una estrema complessità e articolazione di pensiero, anche a costo di apparire confusi, piuttosto che rischiare l'impegno vincolante di quei micidiali boomerang che sono i sì o i no. Meglio lasciarli ai dilettanti della politica i monosillabi contrattuali: chi si avventura poi ha da farci i conti. Sì e no, lo dica Berlusconi e si cucini poi nel brodo suo come un polipo malaccorto.
"A me - scrive Ranieri per chiarire - sembra di essere stato chiaro" - ed un dubbio così lo insinua: che a non capire, o magari a capire anche troppo, sia l'interlocutore che recita la parte del manzoniano "scempiato Gervasio". Democratico di sinistra, però, com'è rinato dopo il lifting che ha cancellato rughe da Pci - ha scelto di essere ancora più chiaro perché, scrive giustamente, se nonostante la precedente chiarezza "sussistono margini di ambiguità è bene chiarirli nella maniera più schematica possibile".
Benedetto il Signore che governa i numi governatori della Galassia Scuola, Università e Ricerca - esclamo tutto lieto - stavolta avremo la chiarezza monosillabica di un assenso o di un diniego! Un sì o un no, voglio dire, e non se ne parla più.
Di quattro punti consta il "chiarimento" e mi sorge subito il dubbio che un chiarimento chiaro non lo avremo. Né compagni, né amici, né avversari e nemici. Ma mi vergogno: questo è preconcetto. Smettila di pensare agli azzeccagarbugli! Si può farla lunga per desiderio di chiarezza. Non vedi che anche tu la stai facendo lunga?
Leggo.
Giuseppe Aragno - 12-11-2005
L'esito delle prossime elezioni politiche è per me scontato: vinceranno comunque manovalanti del capitalismo, quale sia lo schieramento che avrà più voti. E' presumibile che in termini numerici - e, quindi, di volto da presentare al Paese - avrà la ...
Giuseppe Aragno - 01-11-2005
Tante ne merita l'arlecchinata che chiamiamo politica in un Paese che se fai un paragone - quale che sia la terra che ti scegli - provochi certamente un incidente diplomatico: non ce n'è al mondo un altro come il nostro.
La fanno da padroni guitti ...
Giuseppe Aragno - 15-10-2005
La scuola superiore che ricordo da studente era un groviglio di contraddizioni. Classista e selettiva, privilegiava disciplina e nozione e poteva anche andar bene a chi aveva le carte in regola per frequentarla. Mi ci trovai per sbaglio - a quei tempi cominciava a capitare sempre più spesso a chi viveva di poco - per l'ostinazione appassionata di mia madre. Se n'era fatta una questione di vita o di morte che a scuola continuassi, lei, autodidatta, che per bisogno prima, per passione poi, aveva calcato con molto onore le tavole del palcoscenico e s'era ritirata, dopo aver rifiutato una "scrittura" del grandissimo Eduardo: mio padre riteneva che nella vita d'una donna stimabile il teatro non ci fosse posto per il teatro.
La preparazione per l'esame di ammissione - ce ne voleva uno perché ai proletari era riservato a spese dello Stato solo l'avviamento professionale - costò ai miei genitori una stretta di cinghia che arrotondò le entrate di un giovane procuratore legale. Cominciai che l'Armata Rossa entrava a Budapest e Che Guevara iniziava con Castro la rivoluzione cubana - mentre i computer a transistor si preparavano a mandare a casa le schede perforate - e me ne andai che il Sant'Uffizio - c'era ancora, ma chi se lo ricorda? - rinnovava la scomunica ai comunisti e la rivoluzione vittoriosa portava il guerrigliero Guevara alla testa della "Banca National": un Draghi rivoluzionario che poi sarà ministro. Ogni tempo ha gli uomini che merita.
Avevo la testa piena di declinazioni, recitavo D'Annunzio coi pastori d'Abruzzo e Omero, tradotto da Monti, mi aveva incantato per sempre con l'umanità del suo Ettore alle porte Scee. Devo dire che Achille non riscuoteva che rari consensi: operai o borghesi, venivamo da una guerra devastante, ferite dentro e fuori e il consumismo che s'annunciava non aveva ancora spento ricordi e umanità. Tranne i fascisti convinti e clericali codini, ognuno coltivava nell'anima una scintilla di solidarietà che faceva luce nel buio più profondo. Dei grandi dolori collettivi, la scia che più tarda a morire è la speranza.
Giuseppe Aragno - 08-10-2005
"Quotidiano comunista", scrive ancora sotto la testata "il Manifesto".
Comunista certo. E, quanti che siano e siamo, occorre davvero un bel coraggio oggi che, manca poco, e li fanno - ci fanno - fuorilegge i comunisti, da destra e da sinistra, solo ...
Giuseppe Aragno - 01-10-2005
Un modello di scuola è un'idea politica e, in quanto tale non nasce per partenogenesi. E' figlio di un tempo della storia fecondato - e talvolta paradossalmente isterilito - da un sistema di valori. Un ethos politico direbbe Croce.
Per quelli della mia generazione che militarono a sinistra, l'idea di scuola nella quale incappammo era figlia di un modo di produzione, dell'intreccio inestricabile tra le ragioni del mercato e quelle dell'educazione, di un modello egemonico di classe, armato di filosofia economica e di scienza sociale.
Un modello strutturato secondo i criteri della selezione alla base.
Parlo di tempi in cui osavamo ancora pensare alla democrazia come ad un processo, a percorsi originali che si esprimono in modelli perfettibili e da perfezionare e, senza provare sensi di colpa, ragionavamo di "democrazia borghese".
E se il mondo nel quale eravamo cresciuti fatalmente ci condizionava, noi rispondevamo decisi a condizionare.
Avevamo identità ben definite e sentivamo di essere inconciliabilmente alternativi: noi alla destra, la destra a noi. C'erano di mezzo barriere ideali - "ideologie" si dice oggi e i risultati sono sotto gli occhi di tutti - e non si facevano sconti a nessuno. Qui non importa sapere chi avesse torto e chi invece ragione. La discriminante era di una evidenza solare: i valori dell'antifascismo e una Carta costituzionale che rendeva nobile la parola mediazione.
Giuseppe Aragno - 23-09-2005
Fine legislatura.
Tra destra e sinistra il cambio della guardia è già nei fatti. Ognuno, certo, spara come può le sue cartucce e c'è ancora battaglia, ma "il Manifesto" di oggi ha ragione a titolare: "C'era una casa".
Berlusconi ha voglia di ...
Giuseppe - 20-09-2005
Cara Redazione,

sono un insegnante, ma mai come oggi ho visto mortificare la nostra professione. Mia moglie non ha mai insegnato pur avendone i titoli. Abilitazione per la scuola materna, per quella elementare e per le discipline economiche e ...
Giuseppe Aragno - 14-09-2005
Non tutte hanno vita facile, non ne dubito - e posso capire chi trova che sia deprecabile - ma scuole cattoliche ce ne sono un po' dovunque. E se questo vuol dire libertà di pensiero, mi pare che sia giusto: dai cattolici mi dividono mille cose, ma ...