Com’è noto, uno degli effetti della riforma Moratti è di aver dato vita ad un’ampia opposizione da parte di insegnanti, genitori, sindacati e associazioni contro lo stravolgimento dei modelli esistenti (il modulo e il tempo pieno nella scuola elementare) e in difesa della scuola pubblica. Ci sembra però che accanto a forme di “resistenza” legittime, fondate su motivazioni di carattere pedagogico e sociale ma anche su solidi presupposti giuridici (il riferimento al Regolamento sull’autonomia in primis), emergano anche posizioni più estreme, connotate da una netta propensione a sottovalutare o a disconoscere il valore delle norme e delle disposizioni di legge. E’ un fenomeno che merita qualche riflessione perché rimanda ad alcune “questioni di metodo” tutt’altro che secondarie, sulle quali è bene avere la massima chiarezza.
A leggere certi interventi o certe “proposte di delibera”, per i toni usati e i contenuti impliciti, si ha l’impressione che qualcuno consideri i collegi docenti come organismi sovrani e indipendenti o addirittura forme di “contropotere”, scambiando forse l’autonomia delle scuole con l’autarchia o con l’anarchia. Come se una delibera di un Collegio fosse atto in sé compiuto, sufficiente per sottrarsi al rispetto delle norme (Leggi, decreti o circolari ministeriali che siano, fatte ovviamente le debite proporzioni).
E’ il caso forse di ricordare che esistono ambiti di competenza ben distinti, che esiste una gerarchia delle norme legislative e che il rispetto della norma, in uno Stato di diritto e in una democrazia è questione essenziale. Autonomia non vuol dire che ciascun istituto o ciascun collegio è libero di fare quello che vuole. Non è autodeterminazione. Affatto. Il DPR 275 del 1999 a questo proposito è molto chiaro, definendo con una certa precisione i contenuti e i contorni dell’autonomia didattica ed organizzativa delle scuole, gli ambiti di decisione dei Collegi e le materie che sono e restano di competenza esclusiva del ministero, valide su tutto il territorio nazionale (cfr: Federico Niccoli “
In difesa dell’autonomia delle istituzioni scolastiche” ). Sarebbe davvero paradossale criticare da un lato il governo di centrodestra di avere scarso senso dello stato e della legalità, di voler stravolgere le regole del gioco, di voler manomettere la Costituzione eccetera eccetera e poi riproporre dall’altro, all’opposizione e a sinistra, la stessa logica, la stessa forma mentis, nell’ambito della scuola.
Un’altra distorsione della realtà, una leggenda metropolitana è quella che dipinge i dirigenti scolastici come i “cani da guardia” del Miur, funzionari governativi ansiosi di applicare le disposizioni in maniera autoritaria e burocratica, e i docenti come soggetti sottoposti a soprusi e forme di strapotere. Nulla di meno corrispondente al vero. Non c’è dubbio che sta al dirigente scolastico - in quanto rappresentante dell’istituzione autonoma e funzionario della Repubblica (non del governo in carica!) - far rispettare e applicare correttamente la normativa, esercitando in questo un ruolo di garanzia (anche nei confronti dell’utenza e degli stessi insegnanti, in una scuola pubblica e di Stato). Ma le norme non sono un optional, valgono tanto per il dirigente quanto per il docente: non hanno due pesi e due misure differenti. “La legge è uguale per tutti”, come sta scritto nelle aule dei tribunali.