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Autore Topic: Rom: non solo campi nomadi la storia di Orhan e Jasa  (Letto 2853 volte)
Luisa
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« il: 27 Agosto 2008 - 02:51:58 »

Rom: non solo campi nomadi
la storia di Orhan e Jasa


La famiglia Ibraimov e' uno dei primi nuclei che ha ottenuto un alloggio popolare grazie al progetto rom del Comune.
Un'iniziativa, tra le poche in Italia, che cerca di integrare i rom affrancandoli dalla logica dell'assistenzialismo

di Benedetta Pintus
         

Nell'Italia dell'emergenza sicurezza la parola rom è diventata
sinonimo di criminalità e disprezzo per le regole, ma il calore di
una famiglia come quella di Orhan e Jasa spazza via ogni
pregiudizio. Il loro piccolo e accogliente appartamento di via
Navetta è lontano anni luce dallo stereotipo dello zingaro che vive
di furti ed elemosina rifugiandosi in un campo nomadi alla
periferia della città. Quelle quattro mura colorate da soprammobili
di porcellana e innumerevoli mazzi di fiori variopinti sono il
simbolo dell'integrazione e raccontano una storia iniziata in
Macedonia e finita a Parma. Dove i coniugi Ibraimov, dopo una vita
di stenti tra accampamenti abusivi, edifici occupati e roulotte,
grazie al "progetto rom" del Comune, sono riusciti a ottenere un
alloggio popolare per potersi finalmente stabilire e crescere in
serenità i propri figli.

Madre e padre sono poco più che trentenni, ma le loro spalle
portano il peso di anni di sacrifici, celati in fondo allo sguardo
stanco di Jasa. "Per me – racconta - arrivare al campo di strada
del Cornocchio è stato come entrare in albergo, perché dopo aver
vissuto in mezzo alla strada tutto mi sembrava un lusso". Anche se
all'inizio mancavano l'acqua e il riscaldamento. "C'era freddo da
morire". Ma sempre meglio che dormire in macchina con i bambini
piccoli e affamati in attesa che il padre torni dal lavoro. Mai
fatto l'elemosina? "Io sono un lavoratore – risponde Orhan – non
sono venuto qui per mendicare". Altrimenti sarebbe rimasto in
Macedonia, il suo paese d'origine, dove aveva una casa ma, in
quanto rom, era comunque discriminato. "Nel nostro Paese i rom sono
costretti a vivere in case pericolanti, dove intere famiglie
dormono in una sola stanza. Mio padre, pensionato, riceveva dallo
stato un contributo di 15 euro al mese. Quella non è vita".

Trovare un impiego per Orhan era diventata un'impresa impossibile, così nel
1996 ha deciso di emigrare in Italia con Jasa in cerca di fortuna.

La prima tappa è stata in un campo nomadi di Foggia, dove
nel 1998 è nato Gelo, il loro primo figlio. Anche in Puglia, però,
trovare lavoro non è facile, perciò i due si spostano con il
bambino verso nord e finiscono in un accampamento abusivo in riva a
un fiume a Marano di Basilicanova, che presto viene sgomberato. Da
quel momento Orhan e sua moglie cercano rifugio in una scuola
occupata da altri immigrati e poi nell'ex villa Maghenzani, dove
vivranno per tre mesi. Intanto Jasa ha dato alla luce altri due
bambini, Leonardo e Bernando, con cui, infine, nel 2002 arrivano al
campo nomadi di Parma. Da qui gli Ibraimov fanno domanda per
l'assegnazione di una casa popolare tramite il "progetto rom" dei
servizi sociali.

Si tratta di un'iniziativa portata avanti dal Comune con
l'obiettivo di affrancare i rom dalla logica dell'assistenzialismo.
"Cerchiamo di superare il concetto di campo nomade", spiega il
coordinatore del progetto Vito Verrascina. "Anche perché negli anni
i rom in Italia hanno fatto un percorso che li ha trasformati da
nomadi a stanziali. Solo alcuni si spostano per difficoltà o
problemi legali. In molti casi sono i rom stessi a chiedere di
poter andare a vivere in un appartamento".

Orhan aveva tutti i requisiti per ottenerlo: una famiglia numerosa,
un permesso di soggiorno, la residenza da più di due anni, un
lavoro continuativo. Il sogno di trovare un rifugio stabile si è
realizzato nel 2005. "Siamo stati la seconda famiglia ad andare via
dal campo. Ora non torneremmo mai a viverci". Secondo Jasa la
situazione è molto peggiorata rispetto a prima: "Quando ci vivevamo
noi c'erano regole più severe. Per qualsiasi cosa bisognava
chiedere il permesso al Comune. Ora invece chi ci abita fa tutto
quello che vuole: si rubano anche le cose tra loro". Molti rom non
vogliono stare in appartamento "perché preferiscono essere liberi e
non avere regole da rispettare. Vogliono fare feste, grigliate,
ascoltare la musica a tutto volume fino a tardi. Il nostro scopo,
invece, da quando siamo arrivati in Italia era quello di trovare
una casa".

Oggi Orhan si sveglia ogni mattina alle sei: lavora da quasi sette
anni come operaio nell'impresa di costruzioni Pizzarotti. Sua
moglie Jasa si occupa della casa e dei bambini, che frequentano la
scuola elementare: Gelo ha ormai dieci anni, Leonardo otto e
Bernando sette. La loro è una famiglia come tante, che tra prezzi
in aumento, conti da pagare e visite mediche, cerca di arrivare
alla fine del mese con un solo stipendio. "Per la scuola si spende
tanto", si lamenta Jasa. Ma sorride quando Bernando mostra con
orgoglio il suo nuovo zainetto di Superman. Poi il suo sguardo si
fa di nuovo preoccupato. "Ora basta bambini. I bambini costano",
dice ricordando con sofferenza i suoi due aborti, l'ultimo due anni
fa. "Le famiglie numerose – spiega Verrascina - sono frequenti tra
i rom. Spesso i figli vengono usati come strumento per ottenere
agevolazioni".

"Molti bambini rom disturbano. Fanno chiasso, chiedono
l'elemosina", ammette Orhan. "Ma non è colpa loro. E' colpa dei
genitori", gli fa eco Jasa, che racconta le difficoltà che ha
incontrato dopo il trasloco a causa dei pregiudizi. "Nessuno ci
salutava, c'era molta diffidenza. Parlavano alle nostre spalle e i
bambini non potevano neanche giocare in giardino. Una volta i
vicini si sono lamentati perché c'era qualcuno che suonava
continuamente i campanelli e loro hanno subito accusato
ingiustamente i nostri figli". Addirittura una volta qualcuno ha
telefonato l'Acer, l'azienda che gestisce gli alloggi popolari,
dicendo che in casa Ibraimov si nascondevano famiglie di
clandestini. A quanto pare per qualche inquilino del quartiere il
solo fatto di avere origini rom è più che sufficiente per
sospettare che dietro la facciata di una famiglia per bene si
nasconda un covo di criminali. "Il problema – dice Orhan – è che
basta il cattivo esempio di uno per gettare cattiva luce su tutti.
Ma i rom non sono tutti uguali".


A poco a poco, però, la situazione è migliorata. Gelo, Leonardo e
Bernando giocano tranquillamente sotto casa con gli altri bambini
di via Navetta e qualche vicino invita anche Orhan e Jasa a
prendere un caffè. "Ora - dice lei - salutano anche i bambini, ma
io continuo a non parlare con nessuno. Certa gente è peggio degli
zingari".

(25 agosto 2008)

http://parma.repubblica.it/dettaglio/Rom:-non-solo-campi-nomadi-la-storia-di-Orhan-e-Jasa/1504667?edizione=EdRegionale
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