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Autore Topic: Nel campo rom Aristofane narra i tanti soprusi  (Letto 2284 volte)
Luisa
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« il: 05 Agosto 2008 - 06:51:06 »

Nel campo rom Aristofane narra i tanti soprusi
Adriana Pollice


NAPOLI
Una tortuosa strada sterrata nel vuoto, ai margini di Scampìa. In cima al cancello un uomo dal becco rosso di cartone introduce il pubblico a Il popolo degli uccelli, frammento tratto da Gli uccelli di Aristofane. Le porte si aprono sul campo rom non autorizzato di via Cupa Perillo, gli abitanti divisi in due gruppi: spettatori da un lato, attori e tecnici dall'altro, per presentare una delle attività di Punta Corsara, il progetto Crociati. Si tratta di laboratori che coinvolgono bambini di Caivano, periferia di Napoli, un gruppo di anziani del quartiere partenopeo di Montesanto, riuniti presso il centro sociale Damm, e i rom di Scampìa, oltre un anno di lavoro per mettere in scena a maggio 2009 un'opera collettiva.

Primo frammento del percorso affidato, appunto, ad Aristofane: «Adolescente infuriato - racconta Maurizio Lupinelli, una delle guide dello spettacolo -, scrisse Gli uccelli in un momento in cui il popolo non ne poteva più di guerre e soprusi. Le sue parole vengono reinterpretate dagli abitanti del campo rom di Scampìa». E infatti l'azione scenica è continuamente interrotta dalle incursioni del geometra del comune, dalla burocrazia in cerca di attestati, a rendere impossibile la fondazione della città ideale.

Pubblico e attori occupano il cortile centrale del campo, intorno prefabbricati in legno dipinti in arancione pastello delimitano lo spazio, sembrerebbe un camping se l'orizzonte non fosse occupato dall'autostrada e dalle Vele, palazzoni surreali di una periferia tra il disastrato e il metafisico. Tutto è pulito e ordinato: «Ci sono voluti due anni - ha raccontato Barbara, dell'associazione Chi rom... e chi no - per convincere l'Asìa (la municipalizzata addetta allo smaltimento, ndr) a mettere i bidoni per i rifiuti. Il fatto che il campo non sia autorizzato è spesso un alibi per non fornire servizi». Gli abitanti di via Cupa Perillo, circa sessanta, sono qui da 15 anni, vengono dalla ex Jugoslavia, gli allacciamenti ai servizi sono abusivi, regolarizzarli è impossibile. Luoghi abbandonati, lo stato qui non c'è né per loro né per gli sfollati del terremoto del 1980. «Dietro il campo - ha proseguito - abbiamo costruito un campo di calcetto e la Scuola Jungla per i laboratori. Sport e teatro aperti a tutti, non solo ai rom, così sono cadute barriere e diffidenze e la comunità sta imparando a condividere le battaglie per avere spazi vivibili».

Alcuni dei ragazzi del campo che fanno teatro hanno partecipato al film Gomorra, ma solo quelli per cui è stato possibile mettere insieme tessere sanitarie, attestati scolastici e qualsiasi cosa la burocrazia sia in grado di ingoiare; chi invece aveva i genitori senza passaporto, perché bruciati con la baracca, è rimasto a casa. Dennis è quasi un veterano, bambino delle elementari e un irresistibile attore con la erre moscia, la madre fa la mediatrice culturale sugli autobus carichi di migranti che vanno verso i campi di Villa Literno, ma fa anche la maschera all'auditorium di Scampìa. Non abita più nel campo, ma il teatro continua a fare da collante. I rom hanno messo su la compagnia Asunen Romalen (Sentite gente) per raccontarsi sulla scena. Il primo spettacolo all'Auditorium era una satira sui loro vizi: anche il pubblico partenopeo applaudiva.

http://www.ilmanifesto.it/argomenti-settimana/articolo_baca9689ceb5840d3fdf3b3a5da57464.html
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