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Autore Topic: Caritas: sulle impronte non collaboriamo  (Letto 2217 volte)
aemme
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« il: 02 Luglio 2008 - 04:51:03 »

Caritas: sulle impronte non collaboriamo
Uno studio sugli stranieri a Roma: sfatare il pregiudizio non c’è il clandestino cattivo e il lavoratore buono

di Luciana Cimino

Checché ne dicano, a Roma l'immigrazione è sana. Lo evidenziano i risultati dall'indagine «Le condizioni di vita e di lavoro degli immigrati nell'area romana» della Caritas diocesana di Roma che nel 2007 ha somministrato un questionario a un campione di 900 persone di 69 nazionalità. Il quadro che emerge non è quello fosco e delinquenziale presentato dalla destra: l'immigrato della porta accanto è «istruito, laborioso, poco incline al consumo, economicamente autosufficiente». E nonostante le avversità che incontra all'ingresso nel nostro paese, è «sempre più attaccato all'Italia e aperto alla solidarietà». Il 66% infatti, oltre a sostenere con le rimesse i familiari in patria, dichiara di aiutare, anche economicamente, altri immigrati che si trovano in difficoltà, non solo connazionali. Questo perché l'arrivo in città (e la conseguente ricerca di un alloggio e di un lavoro) e la richiesta dei documenti rimangono momenti critici.

Circa la metà del campione (il 50,6%) ha usufruito di un provvedimento di regolarizzazione (nel 98 o nel 2000), se si aggiunge un 10% di ricongiungimenti familiari, allora è chiaro che, «la maggior parte di quelli che consideriamo inseriti ha attraversato un percorso d'irregolarità giuridica». «Attenti alle generalizzazioni – avverte Salvatori Geraci, estensore del rapporto – non esiste la dicotomia immigrato buono con permesso di soggiorno e cattivo senza: sono sempre le stesse persone prima o dopo il decreto flussi». Altro pregiudizio da sfatare: l'80% ha un lavoro (ma è a nero in un sesto dei casi), «non esiste quindi- si legge nell'indagine – una massa di fannulloni che grava sul sistema italiano, ma dei lavoratori scarsamente tutelati».

Nonostante l'altro livello d'istruzione (l'80% è diplomato), la maggior parte sono impiegati nell'edilizia o come collaboratori domestici ma a Roma tanti (il 13,5%), ed è un buon segno, sono dediti a occupazioni intellettuali o nell'ambito socio-sanitario. Circa i due terzi si ritengono tutto sommato soddisfatti del loro tenore di vita. Sono consumatori attenti, che, se potessero comprerebbero casa in città (53.1%) o l'auto. La preoccupazione maggiore per gli immigrati romani è costituita, infatti, dal costo dell'affitto.

«Da più parti invocano una "immigrazione buona" ma in città c'è già - ha spiegato Mons. Di Tora, direttore della Caritas di Roma – non è né ricca, né depressa, assolutamente "normale"». «Molto utile», per il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti, l'indagine presentata ieri. «Aiuta a conoscere l'altro, un concetto questo molto attuale» a fronte del «dibattito sulla percezione dell'insicurezza delle persone».

E proprio su questo i curatori del rapporto hanno posto l'attenzione. «Il censimento dei rom tramite impronte digitali è un'operazione da condannare eticamente, la sicurezza è ben altro», ha detto il direttore della Caritas Italiana, Vittorio Nozza annunciando che «non ci sarà alcuna collaborazione con le istituzioni in tal senso».

Luciana Cimino

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