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Autore Topic: Noi e i rom, sodalizio di note nato in Metro a Milano  (Letto 4340 volte)
Luisa
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« il: 10 Luglio 2008 - 07:06:34 »

MUSICA E INTEGRAZIONE

- Il cantautore che vive a Copiano si esibisce con successo assieme a un gruppo di artisti da strada
Durkovic: «Noi e i rom, sodalizio di note»

Carlo Pecoraro

«Abbiamo inciso un cd in cui le mie composizioni sposano il sound tzigano»
Li ho sentiti suonare per la prima volta in metropolitana Ho iniziato a seguirli fino a quando siamo diventati amici. Ci presentammo nell’ufficio di un discografico con gli strumenti
eseguendo dal vivo tutti i nostri brani 

COPIANO. Da Pavia a Praga passando per la metropolitana di Milano. Un incontro bizzarro quello tra i “Fantasisti del metrò” e il cantautore Roberto Durkovic. I primi, musicisti tzigani, Durkovic cantautore milanese (da anni a Copiano). Una storia, la loro, di musica e integrazione.

S’intitola “Benvenuti santi musicisti” («è il modo di salutare i musicisti rom quando arrivano alle feste. Quando vanno via imvece sono “maledetti santi musicisti”») ed è un disco corale che raccoglie le composizioni dei musicisti tzigani e quelle di Durkovic. Un disco attraverso il quale raccontare anche dello «straordinario rapporto tra il popolo rom, la loro musica e il nostro Paese» spiega il cantautore milanese. «Oggi sono dei musicisti affermati - continua Durkovic - nel senso che oltre a suonare con me, fanno concerti con varie formazioni (Moni Ovadia, Orchestra di Piazza Vittorio, Acquaragia drom -ndr). Ma la strada, per loro, resta sempre, un “palcoscenico” importante».

Ci spiega il perché?
«La strada è la loro vita, per strada guadagnano. Quando sono fuggiti dai loro paesi, molti di questi musicisti che in patria erano professori o maestri d’orchestra, hanno fatto l’unica cosa che sapevano fare meglio, suonare; e lo hanno sull’unico palcoscenico a loro disponibile, la strada. Così oggi conservano un profondo rispetto per questo “palco”. Li puoi trovare una sera ad un concerto importante e il giorno dopo in una piazza a suonare con la stessa intensità della sera precedente. Per loro è normale, la musica è vita e non importa dove la si esegue. Un grande teatro piuttosto che un vagone della metropolitana, l’atteggiamento, l’approccio, la passione non cambia mai».

Vi siete conosciuti in metrò. Come è andata?
«Suonavano su questo treno della metropolitana, un brano per ogni vagone per evitare di essere pizzicati, visto che era vietato suonare in metropolitana. Ho sentito questa musica ed ho iniziato a seguirli nel loro giro. Vagone dopo vagone fino alla stazione successiva dove scendevano e s’infilavano in un altro treno e riprendevano a suonare».

Una Odissea?
«Sì. Però dopo un po’ sono riuscito a fermarli e, spiegandogli chi ero, gli ho manifestato il desiderio di suonare con loro. Gli lasciai un mio cd nel quale c’era un brano (“Praga” -ndr), che seguiva quelle sonorità e ci demmo appuntamento dopo qualche giorno».

Vi siete rivistti in metrò?
«No, ma in una zona della stazione Garibaldi a due passi dalla Milano dei locali alla moda. Qui, scavalcando un muro, mi ritrovai sotto dei portici dove viveva accampata una intera famiglia di musicisti».

Erano clandestini?
«Si, all’epoca lo erano tutti. Rimasi colpito dall’accoglienza. Avevano ascoltato il mio brano e iniziarono a suonarlo con quel sound balcanico che stavo cercando».

Fu facile convincerli a suonare con lei?
«No. Ovviamente io non avevo nulla da offrirgli se non la possibilità di qualche serata. Ma occorreva fare delle prove e questi lavoravano tutto il giorno. Così pattuimmo che per ogni prova gli avrei offerto panini e birra e così riuscimmo ad andare avanti un paio di settimane e a registrare una demo».

Dalla demo al primo cd.
«Raccontai la storia di questo incontro ad un amico giornalista e qualche giorno dopo, un discografico lesse l’articolo e mi telefonò chiedendomi di ascoltare la demo. “Altro che demo” dissi, “questa è una musica che si deve ascoltare dal vivo“. Così ci presentammo nell’ufficio di questo tizio con gli strumenti ed eseguimmo cinque sei brani. Lui rimase molto contento è produsse il nostro primo cd».

Come nasce la sua passione per la musica tzigana?
«Io sono figlio di madre italiana e padre cecoslovacco. Mio padre, costretto dal dominio dell’Unione Sovietica, non riuscì mai a venire in Italia e così decisi di partire per andarlo a cercare. Fu a Praga, grazie a mio padre che ascoltai per prima volta questa musica. Un sound meraviglioso. Così quando li ho sentiti in metrò, dopo anni, si è risvegliato questo ricordo ed è nata questa collaborazione».

http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/Durkovic:-%C2%ABNoi-e-i-rom-sodalizio-di-note%C2%BB/2032607/6
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