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1  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / MIlano - Dopo le telecamere, la sbarra anti nomadi in via Cimabue il: 06 Ottobre 2010 - 02:29:51
(fonte: Il Giornale)

3 ottobre 2010

Si intensificano gli interventi di sicurezza sui rom. Dopo le cinque telecamere montate al campo di via Triboniano, arriva una sbarra antinomadi che sarà montata in via Cimabue, nella zona nord ovest della città, per impedire lo stazionamento di caravan di nomadi.
Si tratta di una zona da cui venerdì scorso la polizia locale ha fatto allontanare un centinaio di sinti siciliani con diciassette roulotte e dove sono presenti dei cantieri stradali per realizzare il sottopasso. La strada, che costeggia il parco del Monte Stella, sarà percorribile solo dai mezzi autorizzati e dagli addetti ai lavori.
Niente più bivacchi: le roulotte dei rom e delle comunità nomadi non potranno più passare.
2  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Maroni: "Case degne ai rom senza penalizzare i milanesi" il: 06 Ottobre 2010 - 02:27:30
di ZITA DAZZI (fonte: Repubblica)

2 ottobre 2010

«Le famiglie sgomberate dal Triboniano meritano un alloggio degno, senza però che questo venga percepito dai milanesi come una ingiustizia o una discriminazione nei confronti dei cittadini milanesi poveri». Viene dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, a Varese per un’inaugurazione, l’ultimo aggiornamento sulla polemica dei 580 rom che entro la fine del mese di ottobre saranno evacuati dal più grande campo nomadi comunale. Il ministro domani sarà a Milano per un nuovo super vertice in prefettura, a una settimana giusta dall’ultimo incontro con le istituzioni milanesi nel quale aveva enunciato il diktat «zero case popolari ai rom», che ha messo in crisi il piano concordato a maggio fra Comune e prefetto a proposito dello sgombero del Triboniano.

Il responsabile del Viminale ha precisato che il «piano rom è giusto e sacrosanto: non mi interessano le polemiche strumentali» e ha chiuso con parole che lasciano intravedere novità sull’esito della ricerca delle annunciate «soluzioni di alloggio alternativo alle case Aler» da parte del commissario straordinario Gian Valerio Lombardi: «Col prefetto — annuncia Maroni — discuterò anche della decisione di una settimana fa di trovare una sistemazione adeguata per le famiglie sgomberate, e io credo che sarà anche migliore».

Intanto prosegue la campagna di sgomberi del vicesindaco Riccardo De Corato, che ha fatto allontanare 100 sinti siciliani con 17 roulotte dalla polizia locale e altri tre camper con 15 roulotte da via Grosio. Si tratta dell’81mo «allontanamento» del 2010. Il vicesindaco coglie l’occasione per annunciare che dalla prossima settimana via Cimabue, «oggetto di ripetute occupazioni di carovane di nomadi, soprattutto sinti siciliani, verrà chiusa nei pressi dell’intersezione con via Sant’Elia con una sbarra mobile antiintrusione». La strada che costeggia il Parco Monte Stella, compresa in un’area dove sono presenti dei cantieri stradali, sarà percorribile solo da addetti ai lavori.

Una parola sul tema è attesa anche da parte del cardinale Dionigi Tettamanzi, impegnato in una solenne celebrazione in Duomo al termine della processione dei migranti della Lombardia, annuale pellegrinaggio voluto dalla conferenza episcopale lombarda «per richiamare tutti i cristiani alla preghiera e alla riflessione sul fenomeno migratorio, la presenza dei migranti e sui particolari risvolti religiosi, civili e sociali che ne derivano per riconoscere e rivedere luoghi comuni e idee errate, troppo spesso presenti nelle nostre comunità».
3  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / I rom dell'Unione europea: cittadini senza Stato il: 06 Ottobre 2010 - 02:25:22
(fonte: Apcom)

Roma 29 settembre 2010

Tra gli otto e i 10 milioni. Non esiste un dato certo sul numero dei Rom che vivono nel territorio dell'Unione europea "a sottolineare l'assenza di un'attenzione mirata sui rom e le comunità nomadi". Così scrive l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (Fra) in un rapporto pubblicato alla fine del 2009 dedicato alla "Situazione dei rom, cittadini Ue, che si muovono e si stabilizzano in altri Paesi membri". Certo è che quella rom rappresenta la più elevata minoranza etnica dell'Ue, della cui intera popolazione rappresenta almeno l'1,6%.

ORIGINARI DELL'INDIA - Originari del nord-est dell'India, i rom - denominati anche sinti, gitani, piccoli egiziani, manush, tzigani - sono un popolo nomade approdato nell'undicesimo secolo in Asia centrale, prima di disperdersi in Europa. Qui, a partire dal quattordicesimo secolo, sono stati oggetto di discriminazione e ghettizzati: in Romania, per esempio, sono rimasti in schiavitù sino al 1856.

MAGGIORE COMUNITA' IN ROMANIA - Tra i Paesi membri dell'Ue, la Romania è proprio quello che presenta la più grande comunità rom, che conta circa due milioni di persone. Segue la Bulgaria con 800.000 rom, il 10% della popolazione nazionale. Gli altri principali insediamenti sono nei Paesi entrati nell'Unione nel 2004, quali Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia. In Italia i rom sono circa 140.000, in Francia salgono a 400.000. Nonostante la tradizione nomade, oggi il 90% dell popolazione rom europea è sedentaria, per quanto raramente integrata nel tessuto socio-economico del Paese di cui è cittadino, oppure ospite.


4  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Il ministro va giù deciso - Niente case popolari ai rom il: 06 Ottobre 2010 - 02:18:46
di Rossella Gemma (fonte: L'Opinione)

28 settembre 2010

Non sembrano placarsi le polemiche sui rom. Prima è stata la Francia a far parlare di sé, mentre poi ci si è messa anche l’Italia, in cui a dir la verità, il problema è quanto mai degno di nota visti i numeri delle presenze sul territorio. Infatti, secondo un censimento svolto dall’Opera Nomadi, su scala nazionale risulta che i rom, sinti e camminanti in Italia sono circa 180.000, di cui 70.000 con cittadinanza italiana. E come era facile intuire, a far da padrona sull’argomento è stata la Lega Nord, che in tutte queste settimane ha letteralmente sganciato una serie di “bombe” su come affrontare il problema degli sgomberi. L’ultima dichiarazione degna di nota è stata quella di ieri del ministro dell’Interno Roberto Maroni. “Non ci saranno case popolari per i nomadi sgomberati dal campo milanese di via Triboniano” ha annunciato durante una conferenza stampa in Prefettura a Milano che si è tenuta al termine del vertice con il prefetto Lombardi, commissario straordinario per l’emergenza rom, il sindaco di Milano, Letizia Moratti, il presidente della Provincia Podestà, l’assessore regionale La Russa e il presidente del Consiglio Boni. “Il campo nomadi di via Triboniano verrà chiuso” ha assicurato Maroni che ha spiegato che per le 25 famiglie “si troverà una soluzione diversa” a quella inizialmente ipotizzata che prevedeva di sistemarle in alloggi del patrimonio Aler. Un’ipotesi questa, che aveva suscitato l’immediata reazione della Lega e del Pdl. “Le scelte sono sempre politiche - ha ammesso il ministro - ma sono anche di saggezza, e quando si vogliono risolvere probblemi non se ne creano altri. Ma si cerca una soluzione che metta d’accordo tutte le sensibilita”. Per i rom che lasceranno il campo di Triboniano la soluzione è affidata “al grande cuore di Milano”. “Sarà trovata una soluzione - ha spiegato il ministro - che soddisferà le esigenze di carattere umanitario senza utilizzare il patrimonio immobiliare del Comune”. Su quale sarà la strada, però, non si sbilancia accennando che ci si potrà rivolgere al mondo dell’associazionismo. Noi intanto, restiamo a guardare cosa succederà.

5  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Roma: Ozzimo (Pd), il Piano nomadi e' un fallimento il: 06 Ottobre 2010 - 02:14:44
(fonte: Adnkronos)

27 settembre 2010

"Altro che da 100 a 13 campi, come riportato in un manifesto del Pdl, rispetto allo scorso anno passiamo da 100 a 229. Il calcolo e' presto fatto e da fonti dirette dell'Amministrazione comunale, nessun nuovo campo attrezzato (7 erano, 7sono), da 15 campi tollerati nel 2008 passiamo a 13 campi, da 80 cambi abusivi segnalati nel Pianio Nomadi presentato ad agosto 2009 ( 40 a dicembre 2008) siamo passati a 209 micro campi abusivi". Lo ha detto Daniele Ozzimo, consigliere Pd e vice presidente della Commissione Politiche Sociali del Comune di Roma.

"Dall'insediamento della Giunta Alemanno - ha aggiunto Ozzimo - i micro campi abusivi crescono di 150 unita' e sono la logica conseguenza di sgomberi effettuati in chiave vessatoria con l'intento di disincentivare la permanenza di alcune comunita' Rom nella citta'. Emblematico l'esempio di Casilino 700, dove la stessa comunita' Rom viene sgomberata due volte in 48 ore senza una seria proposta di accoglienza".

"E' stato proposto il rimpatrio assistito - ha sottolineato ancora il consigliere Pd - o l'accoglienza solo a donne con bambino con l'inevitabile e comprensibile rifiuto di chi non intende certo separarsi da un proprio caro. Troppe volte le comunita' Rom sono state costrette a disperdersi per le strade della citta'. In realta le persone disperse non sono andate via da Roma, ma hanno dato vita a quei micro insediamenti che oggi la Giunta Alemanno tenta di chiudere con conseguente sperpero di risorse".

"Un Piano dovrebbe servire a programmare una serie di interventi scadenzati nel tempo - ha proseguito Ozzimo - con l'obiettivo di risolvere il problema e di ridurre al minimo gli effetti negativi che ogni azione rischia di scatenare soprattutto se si affronta un tema complesso come quello della riorganizzazione della presenza delle Comunita' Rom e Sinti sul territorio cittadino".

"In realta' cresce l'insicurezza per i cittadini romani - ha aggiunto ancora Ozzimo - peggiorano le condizioni di vita delle comunita' Rom, si azzera qualsiasi politica d'integrazione. Si realizzino prima nuovi spazi di accoglienza almeno uno dei tre nuovi campi attrezzati che la Giunta Alemanno dice di voler realizzare da oltre un anno, poi si proceda alle delocalizzazioni garantendo in primo luogo la scolarizzazione dei minori".

"E' giunto il momento - ha concluso il consigliere Pd - che il sindaco convochi un Consiglio Straordinario sul Piano Nomadi, allarghi il tavolo cittadino delle associazioni a tutte le realta' operanti quotidianamente all'interno dei campi e lavori affinche', su questo tema cosi' delicato, vi sia una larga assunzione di responsabilita'".

6  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / ROM/SINTI. MILANO: NIENTE PIÙ CASE il: 06 Ottobre 2010 - 01:28:13
(fonte: Redattore sociale)

27 settembre 2010

Niente più case pubbliche ai rom. Palazzo Marino fa marcia indietro rispetto al piano concordato in estate tra Comune, Casa della Carità e Caritas Ambrosiana, che prevedeva di assegnare alle due associazioni 25 appartamenti Aler per i rom dei campi di via Triboniano e via Novara (vedi lancio del 23 agosto e successivi, ndr). La decisione e' stata presa questa mattina in occasione di un vertice alla Prefettura di Milano, in presenza del ministro dell'Interno Roberto Maroni, del Prefetto Gian Valerio Lombardi e del sindaco Letizia Moratti. Presenti al tavolo anche il vicesindaco Riccardo De Corato, il presidente del Consiglio regionale Davide Boni e il consigliere regionale Romano La Russa. Per i 25 nuclei familiari rom interessati dal piano siglato in estate con il privato sociale dall'assessore ai Servizi sociali, Mariolina Moioli, bocciato il 16 settembre da espoenenti della Lega e dello stesso Pdl, saranno individuate "altre soluzioni" da parte da parte del Prefetto e Commissario straordinario per l'emergenza rom, Gian Valerio Lombardi. Alle altre 38 famiglie nomadi residenti nel campo autorizzato di via Triboniano non resta che attendere la chiusura del campo, attesa di certo entro fine anno, forse già verso fine ottobre. Per alcuni di loro si profila il rimpatrio in Romania con percorsi di reinserimento sociale nel loro Paese "anche con l'assistenza da parte del Comune", precisa il Prefetto.

"Abbiamo voluto dare un segnale in vista dell'ingresso della Romania tra i paesi dell'area Schengen (dal nome del trattato europeo che prevede l'abolizione delle frontiere e la libera circolazione dei cittadini, ndr), che avverra' forse gia' a marzo 2011 -ha detto il ministro Maroni, ribadendo la linea del Governo e del Comune di Milano per affrontare la questione rom-: chi ha diritto a restare restera' e verra' aiutato a trovare una sistemazione, chi non ha diritto a restare sara' allontanato". In proposito il Ministro ha annunciato una "innovazione legislativa", che proporra' anche in sede europea, per rivedere le condizioni per risidere stabilmente in un paese dell'Unione, anche da parte di un cittadino comunitario: "Avere un lavoro, un reddito, e un'abitazione, altrimenti si potra' rimanere solo fino a 90 giorni", ha detto Maroni.

Il titolare del Viminale ha poi applaudito al "modello Milano" che ha diminuito la presenza di nomadi in città "da circa 10 mila a poco più di mille in quattro anni", ammettendo che la decisione di oggi "è una scelta politica, una scelta di saggezza che deve mettere d'accordo tutte le sensibilità". Ora però resta il problema di sistemare le 25 famiglie a cui era stata promessa una casa: un compito affidato al Prefetto Lombardi, che ancora non si sbilancia, pur ipotizzando il ricorso al mercato privato degli alloggi. "Perchè invece non rivolgersi alla Curia di Milano? -propone a margine il vicesindaco De Corato-: loro hanno migliaia di immobili".
7  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / I sinti: «Sì al patto col Comune» La Cgil: «Perché cacciarli?» il: 06 Ottobre 2010 - 01:25:24
di Eugenio Barboglio (fonte: Brescia Oggi)

26 settembre 2010

Pronti a firmare il patto di cittadinanza. Lo precisano i sinti del campo di via Orzinuovi 108. Restare lì tutto inverno nelle condizioni attuali del campo, però, per loro è una prospettiva nera. Per questo si dicono decisi a rispettare gli accordi che sottoscriveranno con l'amministrazione: il campo verrà bonificato e loro pagheranno regolarmente i consumi di energia e acqua e gli altri servizi comunali, stimati in duemila euro annui. Accettano il regolamento votato ieri dal consiglio comunale, ma non capiscono, e con loro anche il segretario Damiano Galletti della Cgil, perchè nel giro di un anno e anche se rispetteranno i patti, debbano lasciare la città. «Si sentono bresciani - sottolinea Galletti - e ci tengono a restare. Per questo rispetteranno gli accordi. Ma cacciarli mi pare una speculazione sulla pelle di cittadini bresciani, perchè tali sono. Non sono qui impropriamente».
Galletti non cerca contrapposizioni: «Lasciamo ad altri la polemica politica». Ma ci tiene a precisare alcune cose. Ad esempio «che il trasferimento di alcune famiglie a Guidizzolo è saltato non perchè le prime rate al Comune, acquirente del terreno, non sono state pagate. Vero che non sono state pagate ma perchè Brixia Sviluppo non aveva chiesto la Dia, la dichiarazione di insediamento abitativo al comune di Guidizzolo e perchè la gente del luogo non li voleva e aveva eretto muri pur di non farli arrivare». La verità sinti è che «noi avevamo già versato 2700 euro di caparra, ma prima delle rate volevamo la sicurezza della residenza che invece non c'era». Comunque afferma il capofamiglia Quirini «se domani ci dicessero che si può andare a Guidizzolo noi saremmo ben contenti di partire».
Sono meno contenti invece quelli che dovrebbero trasferirsi nel campo di emergenza di via Borgosatollo. I rapporti con i nomadi di etnia rom non sono idilliaci. Anche se - sottolinea Galletti - di questa eventualità di trasferimento di alcune famiglie non eravamo stati informati. Lo apprendiamo ora». Ma è evidente che il sindacalista nutra dubbi sulla legittimità di un allontanamento nel giro di un anno, una prospettiva che tra l'altro non sembra il migliore degli incentivi per far pagare ora le utenze a chi in passato non si era distinto proprio per puntualità.
GALLETTI comunque mette in guardia dal trasformare la vicenda di 108 sinti in un caso di emergenza sociale, perchè non lo è. «A Brescia in totale i nomadi sono solo trecento, nulla insomma che desti allarme». E pensa che non si debbano trascurare i molti segnali di integrazione: «C'è una percentuale del cento per cento di frequenza dei bambini sinti nelle scuola bresciane». E Barbara Sobardi Danesi di Arci Ragazzi esibisce una pagella media di un alunno sinti piena di bei voti. E ricorda i programmi di inserimento sociale, di doposcuola e di imprenditoria femminile che stanno funzionando.
L'assessore ai Servizi Sociali, Giorgio Maione, ricorda per contro che «è vero che i sinti non poterono trasferirsi nelle 13 casette realizzate per loro dalla vecchia amministrazione» perchè quella nuova si affrettò a cambiare destinazione d'uso, destinandole a campo d'emergenza per famiglie disagiate. Ma aggiunge che «nessuno di loro aveva pagato i debiti delle utenze, condizione senza la quale non avrebbero potuto trasferirsi». E ribadisce «che i sinti trovino il modo di vivere qui, ma non in campi nomadi perchè Brescia li chiude tutti».
8  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Un piano della Loggia per i campi nomadi: obiettivo integrazione il: 06 Ottobre 2010 - 01:22:50
di Giovanni Armanini (fonte: Brescia Oggi)

23 settembre 2010

Integrare Rom, Sinti ed i cosiddetti «nomadi» nella città. Portarli progressivamente fuori dai campi per farli vivere a Brescia da bresciani a tutti gli effetti e non in strutture «che hanno fatto il loro tempo e fallito la loro missione». Parole e musica di Fabio Rolfi, vicesindaco ed assessore alla sicurezza del Comune di Brescia e Giorgio Maione, titolare dei servizi sociali nella giunta cittadina.
C'è un progetto chiaro, un modello che Rolfi e Maione, sostenuti dalla maggioranza (compatta nel voto in commissione sul quale l'opposizione si è astenuta) hanno in mente per risolvere il problema delle strutture. Una recente delibera di giunta dà il via al cambiamento. Innanzitutto il campo di via Orzinuovi sarà previsto come unica struttura rientrante nella disciplina del «regolamento aree per nomadi» (negli ultimi anni sono stati chiusi i campi di via Girelli, cascina via Palazzoli, via Orzinuovi, via Serenissima, via Buffalora e via Serenissima Balardini). In secondo luogo tra le cause di allontanamento ci sarà anche il mancato pagamento reiterato dei vari servizi erogati dal Comune a favore del nucleo familiare. Dal 2007 infatti vi era stato un esonero di fatto giustificato dal disagio abitativo. Da gennaio, a tal proposito, il Comune confida di poter far partire una serie di utenze personalizzate con concessione di un anno che permettano di regolarizzare i pagamenti delle famiglie. «Successivamente - ha spiegato Rolfi - l'obiettivo è quello di trovare sistemazioni nel centro di emergenza abitativa di via Borgosatollo e successivamente di incentivare alla residenzialità: perchè ormai ci sono un sacco di nomadi che di fatto sono stanziali, cittadini a tutti gli effetti, che possono essere portati a vivere in situazioni più consone». Un lavoro lungo che Rolfi definisce «coerente e progressivo».
La maggioranza auspica per venerdì, quando la delibera sarà portata in consiglio comunale, «un atteggiamento responsabile anche da parte dell'opposizione su un tema che necessita di ampia condivisione», come ha sottolineato il presidente della commissione Giovanni Aliprandi.
L'assessore Maione - che ha quantificato in circa 120 mila euro i servizi erogati a favore dei bambini per mense e trasporti - ha infine sottolineato la massima apertura di questi anni concordata con l'assessorato alla cultura guidato da Andrea Arcai. «Abbiamo privilegiato il diritto allo studio anche per i bambini dei campi - ha spiegato Maione - non abbiamo interrotto i servizi ed abbiamo cercato di responsabilizzare le famiglie».
9  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Se la destra con i Rom si aggroviglia il: 06 Ottobre 2010 - 01:19:58
di Carmelo Palma (fonte: Secolo d’Italia)

22 settembre 2010

Mentre la minoranza xenofoba di Jimmie Akesson, depurata dalle componenti razziste e naziste, entrava trionfalmente nel Parlamento di Stoccolma ad ingombrare il passo alla maggioranza conservatrice del premier Reinfeldt, l’Europa non aveva ancora smaltito la sbornia anti-rom, ubriacata da un Sarkozy capace di dare il meglio nel peggio (alla Bossi, per intendersi) e di trascinare alla rissa le istituzioni dell’Unione, a partire da una Commissaria sventata, Madame Reding, a cui, nel fuoco della polemica, era sfuggita la differenza tra un’espulsione collettiva e una deportazione di massa.

Ma se il cattivismo di Sarkò non è parente del nazismo e le migliaia di rom incentivati a sloggiare dalla “paghetta” (300 euro per gli adulti, 100 per i bambini) corrisposta loro dal governo francese non somigliano al mezzo milioni di zingari ammazzati nei campi di sterminio nazisti, allora va tutto bene? Allora ha ragione Monsieur le Président, con la sua politica delle espulsioni per target etnici, che è sembrata, anche ai meno malevoli, più interessata a rintuzzare la concorrenza lepenista che a risolvere un problema di ordine pubblico?

Insomma, ha ragione chi nello schieramento liberal-conservatore europeo sostiene che non è possibile arginare l’esplosione della destra xenofoba e razzista senza soddisfare, almeno in parte, i sentimenti che ne alimentano il successo? Perché è questo, alla fine, che Berlusconi ha scelto di dire, schierandosi, senza alcun interesse per la dimensione istituzionale dello scontro, dalla parte di Sarkozy, contro quella di Barroso e della cancelliera Merkel. Ed è questo anche il senso dell’affinità elettiva che il premier ostenta per l’alleato leghista.

Eppure la questione dei rom è paradigmatica dei nodi che la politica dovrebbe imparare a sciogliere, anziché aggrovigliare. E della capacità che le classi di governo dovrebbero dimostrare nel maneggiare questioni “estreme”, senza scadere nell’estremismo o nell’opportunismo cinico. Sulla vicenda dei rom, ha quindi senso provare a ragionare non partendo dal caso francese, di cui molti si è discusso, ma da quello italiano, che per certi versi è ancora più significativo.

Il pregiudizio contro gli zingari non è solo diffuso, ma “giustificato” da una speciale diffidenza per una minoranza, che la superstizione popolare sospetta da secoli di stregoneria e confidenza col Maligno, ma che le statistiche giudiziarie non aiutano purtroppo a presentare, agli occhi dell’opinione pubblica, come una minoranza “qualunque”. Così l’immagine dei rom non solo accresce la loro marginalità, ma consolida il pregiudizio contro di loro, fino ad “autorizzarne” una declinazione razziale, come se fossero, nel loro complesso, un tumore sociale e ciascuno, individualmente, una cellula attiva, capace di replicare e diffondere il male.

Come ha scritto giustamente Adriano Sofri “nell’elenco delle minoranze designate a fare da capro espiatorio, tengono il primo posto, perché tengono l’ultimo nella scala della considerazione sociale… Agli ‘zingari’ si pensa e si provvede all’ingrosso: al diavolo il principio per cui sono perseguibili gli individui, non le comunità”. La riprovazione e il disprezzo nei confronti degli zingari, d’altra parte, non sono neppure dissimulati, ma dichiarati apertamente e “portati” orgogliosamente in società.

Gli zingari appaiono inoltre una presenza tanto invadente, quanto inafferrabile. Ne sono stimati dall’Opera Nomadi circa 160.000, lo 0,3% della popolazione residente, la metà dei quali di nazionalità italiana. Però il censimento sui campi nomadi, disposto dal Ministero dell’Interno alla fine del 2008, ha individuato 167 accampamenti, di cui 124 abusivi e 43 regolari, registrando la presenza di 12.346 persone, tra le quali 5.436 minori.

Non esistendo la possibilità di censire su base etnica la popolazione residente, è probabile che molti rom e sinti, in particolare italiani, nascondano la propria identità per evitare discriminazioni e che molti altri vivano in una condizione border line, fuori dai campi, ma non totalmente dentro la società legale. Complessivamente, in Italia, gli zingari, che in realtà provengono da diversi ceppi etnici (italiani, slavi, rumeni) sono – sia in numero assoluto che in proporzione sui residenti – molti meno che in altri grandi paesi europei. Inoltre, a differenza di quanto si pensa, per la grandissima parte non sono più nomadi, né esercitano, come un tempo, mestieri girovaghi.

Dal punto di vista socio-demografico, le comunità rom e sinti appaiono un pezzo di terzo mondo alloggiato nelle pieghe invisibili del primo: hanno un’età media che non supera i 50 anni, sono per oltre la metà minorenni, con tassi impressionanti di analfabetismo ed evasione scolastica; hanno una organizzazione sociale chiusa, familiare secondo una logica estesa e tendenzialmente clanica, impermeabile al sistema di incentivi e sanzioni della moderna società civile.

Il pregiudizio diffuso contro gli zingari poggia, purtroppo, sulle fondamenta di una “diversità”, i cui codici sono oggi inconciliabili con quelli culturali e giuridici delle società contemporanee. Infatti, peggio del pregiudizio negativo verso le persone rom, c’è solo il pregiudizio positivo verso la società rom, presentata come una riserva antropologica sopravvissuta a secoli di discriminazione e da salvaguardare nella sua “originalità”, neppure si trattasse di una specificità etologica o di una forma di biodiversità naturale.

Una classe politica responsabile, invece, dovrebbe realisticamente ammettere di avere a che fare con un problema tendenzialmente irrisolvibile – i rom sono la minoranza più numerosa dell’Ue –, che diventa però ingovernabile quando viene usato per alimentare gli esibizionismi identitari, siano essi buonisti o cattivisti, monoculturalisti o multiculturalisti.

Che la minoranza rom e sinti più “visibile” viva in una condizione di confine tra l’emergenza sociale e la catastrofe umanitaria lo dimostra il fatto che a rappresentarla, più delle statistiche economiche, siano quelle epidemiologiche. Se si vuole davvero perseguire un obiettivo di parziale integrazione, a partire dai minori che vanno “strappati” ad una sorte in molti casi segnata, si deve però allentare e raffreddare la tensione, che alimenta insieme il pregiudizio e il risentimento.

Le strategie di integrazione sono costose sul piano politico ed economico e lo diventano assai di più quando devono pagare la sovrattassa dei processi di piazza, istruiti abitualmente dalla Lega e dalle destre dure e pure, prima gridando, ad esempio, contro i campi nomadi irregolari, e poi urlando, ancora più forte, quando se ne costruiscono di legali con “i nostri soldi”. La verità è che gli zingari sono sempre una rogna per i politici “di governo” e un affare per quelli “di lotta”, in uno scontro dove la sinistra e la destra peggiori – quelle che se non ci fossero, non bisognerebbe inventarle – se le danno di santa ragione.

E Berlusconi, oggi, dove sta, anzi dove va? Dove lo portano i sondaggi, as usual. E quindi con Sarkozy. Dove lo trascina la corrente di una destra, non solo italiana, ma europea, che, ad essere sinceri, non è ideologicamente “sua” e con cui non si mischia, ma da cui, alla fine, non si dissocia. Torniamo quindi alla domanda iniziale. E’ prudente non avere su questi temi nemici a destra? E’ possibile, come forse Berlusconi spera di fare, coltivare la paura e praticare la misura, usare parole forti, ma tenere la mano leggera? Temiamo sinceramente di no. Le idee, con le loro potenti narrazioni, fanno davvero la politica, come dimostra, nel bene e nel male, la terribile storia novecentesca dell’Europa. E non le si ferma con la tela di ragno delle blandizie.
10  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / L’Europa dei “dritti” e quella dei diritti il: 06 Ottobre 2010 - 01:11:45
di Maurizio De Santis (fonte: Giustizia Giusta)

20 settembre 2010

Viviane Reding, laureata in Scienze Umane alla Sorbona di Parigi, è una politica lussemburghese che ricopre attualmente il ruolo di Commissario dell'Unione Europea.  La signora, stimatissima da José Manuel Barroso, risulta incaricata della commissione che si occupa di Giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza.
I fatti sono questi.
In aperto contrasto con la politica interna del presidente francese Sarkozy, votata alle espulsioni mirate dei nomadi non regolari, la Reding non ha esitato a trascinare la Francia in un contenzioso giudiziario che, volenti o no, rischia di rappresentare di diventare per l’UE un rovo doloroso.
Vediamo perché.
Dunque, Viviane Reding ha chiesto alla Francia di rinunciare alla propria politica delle espulsioni dei Rom (bulgari, romeni o di altri lidi, che fossero). Al diniego dell’Eliseo e, dopo l’invito del bellicoso Nicolas Sarkozy, di portarsi i nomadi in Lussemburgo, la commissaria UE ha attivato una procedura di infrazione contro la Francia
Qui il discorso si complica.
La prima opzione promossa dalla Reding, infatti, contempla la possibilità che l’Alta Corte di Giustizia Europea condanni la Francia per le proprie scelte. Obbligandola ad osservare le direttive indicate dalla Reding e comminando una salatissima multa allo Stato francese.
La seconda possibilità, invece, apre scenari politici più delicati. Perché prevede la sospensione del diritto di voto della Francia. Opzione possibilissima, perché prevista dal Trattato dell’Unione Europea (il TUE) che, nell’articolo 7, osserva la possibilità di sospendere il voto a quello Stato che non osserva più i valori dell’Unione Europea.
La commissaria lussemburghese si è sicuramente mossa confidando  nella replica di uno scenario simile a quello del 1999, quando di fronte alla vittoria dell’estrema destra austriaca di Jorg Haider, l’UE preparò un “biscotto” che fece subito desistere Vienna da ogni progetto esecutivo contro l’immigrazione musulmana.
Ma forse stavolta la Reding ha sottovalutato il crescente disagio sociale che attraversa gli Stati membri.
Oggi come oggi, nessun governo appare particolarmente incline a condannare il proprio vicino di casa, anche se di colore politico diverso, sapendo che la nemesi potrebbe riservare un contrappasso analogo a quello francese.
In definitiva, il dibattito attuale su Rom (e nomadi in generale), altro non è se non la prova provata che tutte le politiche di integrazione messe in piedi dai vari Stati dell' Unione europea sono fallite. E che alle politiche di integrazione credano sempre di più in pochi se ne è avuta una concreta testimonianza in aprile a Cordoba, dove in un summit ad hoc su questa problematica, organizzato dalla presidenza spagnola, la maggior parte dei ministri europei ha brillato per la propria assenza.
E non è vero che Sarkozy abbia incassato il solo consenso del suo vicino Berlusconi.
Vero è che se il primo ministro bulgaro Boïko Borissov ha paragonato gli zingari odierni alle tribù di nomadi che imperversavano nel medio evo, il suo omologo belga, Yves Leterme, ha sollecitato i rappresentanti delle comunità nomadi ad avere "il rispetto per il diritto di proprietà".
Niente male per chi si ostina a dire che nessuno la pensa come Sarkozy.
E come non citare  il premier ceco, Petr Necas, secondo cui la Francia ha "il pieno diritto di esigere che un cittadino Ue residente lavori, studi o dimostri di avere i mezzi per sostenersi"?
Insomma, il dibattito sui Rom sembra definitivamente orientato verso un orizzonte sgombro dei postulati buonistici sino ad oggi apparecchiati da una certa ideologia. Diritti si, ma anche sacrosanti doveri da rispettare nelle società dove si è accolti.
Hai voglia ad aggrapparti al concetto di cultura diversa.
Santino Spinelli, musicista e docente di lingua e cultura Rom all’università di Chieti, per esempio, sostiene che «la cultura rom non distingue il mondo dell’infanzia da quello degli adulti.  Se per esempio il papà va a dormire alle tre di notte o la mamma chiede l’elemosina i bambini li seguono. E’ naturale, non si tratta di sfruttamento”.
Io posso comprendere il Prof. Spinelli, ma nelle complesse società attuali, sussistono  dei paletti che non possono essere superati neanche da deroghe accordate a “culture diverse”, siano esse sotto forma di un burqa o di “cooperazione” di minori alle attività di accattonaggio svolte dagli adulti.
Lo stesso Massimo Converso, presidente dell'Opera Nomadi, pur lamentandosi dell’incompletezza dell’informazione, sa perfettamente che il caso della riuscita stanzialità dei Rom in terra d’Abruzzo non può essere portato quale esempio valido per l’intero territorio Europeo. In Abruzzo si parla di “zingari” italiani da plurigenerazioni, lentamente integratisi (e non tutti, sia chiaro), nel tessuto sociale abruzzese. Altrove, invece, parliamo di un’ondata devastante di zingari bulgari e romeni, spesso invisi agli stessi nomadi “nostrani”, causa la loro profonda asocialità.
E a chi rifiuta il confronto, sfoderando la solita, ammuffita, minaccia di razzismo, suggerisco di consultare l’ultimo rapporto del centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità dell’Università di Firenze. Un lavoro che ha chiaramente indicato  nei Sinti un nodo critico dell’allarme sociale. Il primo cittadino della città gigliata (non esattamente di destra), rifiuta il decotto stereotipo di razzista.  «Sono dell’avviso di dare una chance a tutti, una casa, la possibilità di studiare, la normalità. Se poi uno delinque se ne va, in prigione o direttamente al suo paese».
E mentre l’Unione dei Rom Iberici intenta un ricorso contro la Francia per violazione dei diritti umani, l’autorevole quotidiano economico Il Sole24ore ha condotto un sondaggio che, intorno al semplice e chiaro quesito  "siete d'accordo con Sarkozy o Barroso?", ha visto trionfare con il 70% la posizione di Parigi.
Il Presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, ha giustamente avvertito che «il problema non è solo dei Rom o della Francia, ma di tutta l'Europa e dobbiamo affrontarlo insieme». Un monito contro certi “pruriti” di qualche area politica, pronta a brandire la questione dei Rom a mò di clava per strategie di breve respiro.
11  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / I rom in tribunale contro il governo: «Il censimento ci discrimina» il: 06 Ottobre 2010 - 01:07:09
17 settembre 2010 (fonte: Ansa)

MILANO - Una decina di nomadi milanesi, assistiti da alcune associazioni e da Valerio Onida in rappresentanza di una Ong americana, hanno chiesto venerdì, attraverso i loro legali, che il tribunale civile di Milano accerti il carattere discriminatorio dei provvedimenti del governo sulla «emergenza rom» e che vengano sospesi immediatamente. In particolare, hanno chiesto che vengano sospesi i censimenti nei campi nomadi. L'udienza si è tenuta davanti al giudice della prima sezione civile e, dopo la testimonianza di un consulente del Centro europeo per i diritti dei rom, è stata rinviata al prossimo 5 novembre, quando verrà discusso il ricorso presentato dai nomadi, assistiti dagli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri.

ONIDA: MINORANZE DISCRIMINATE - In particolare, nel ricorso si contesta il decreto della presidenza del Consiglio dei ministri del 2008 e una successiva ordinanza governativa che hanno dato il potere ai prefetti in Lombardia, Campania e Lazio di effettuare i censimenti nei campi nomadi, visto lo stato di emergenza. «Il censimento è un controllo con carattere discriminatorio», ha spiegato l'ex presidente della Corte costituzionale e ora candidato alle primarie del centrosinistra a Milano, Valerio Onida, che assiste la Open Society Justice Initiative, Ong americana di George Soros, aggiungendo che «questi provvedimenti sono discriminatori perché hanno per destinatari delle minoranze, i rom e i sinti».

RICORSO ALLA UE - I nomadi, attraverso i loro legali, hanno chiesto al giudice di sollevare la questione alla Corte di giustizia dell'Unione Europea, qualora il magistrato lo ritenga necessario per l'interpretazione delle normative comunitarie sui comportamenti discriminatori. Questa richiesta dunque, è in subordine rispetto alla principale, ossia, l'accertamento del carattere discriminatorio e la sospensione dei provvedimenti del Governo. Il 5 novembre, dopo la discussione, il giudice si prenderà alcuni giorni per decidere.

«PERQUISITI ALLE 5 DEL MATTINO» - «I nomadi hanno vissuto questi censimenti, che sono stati veri e propri controlli di polizia, come dei maltrattamenti nei loro confronti», ha spiegato Andrea Ansaldi, consulente del Centro europeo per i diritti dei rom, testimoniando davanti al giudice civile di Milano. Il consulente, che ha svolto una ricerca sui campi nomadi e che è stato chiamato a testimoniare dai promotori della causa, ha parlato davanti al giudice per circa un'ora e mezza, spiegando le modalità con cui sono stati effettuati i censimenti nei campi nomadi milanesi. Ansaldi ha spiegato che queste «vere e proprie operazioni di polizia» sono state svolte dalle forze dell'ordine e non «da operatori come deve avvenire in questi casi». Secondo Ansaldi, ci sono state perquisizioni che sono avvenute spesso tra le 5 e le 7 del mattino. In alcuni casi, come a Napoli, secondo il consulente, «ai nomadi veniva richiesto di specificare la propria l'etnia». Il testimone ha aggiunto che ai rom non sono stati fatti firmare «fogli per il consenso» e ha spiegato che i dati di questi censimenti non sono stati mai forniti dalle autorità.

ONIDA: SGOMBERO TRIBONIANO IMPENSABILE - Gli sgomberi dei rom dai loro campi «sono cose impensabili in una società civile, basta un po' di comprendonio per capirlo e il minimo standard di civiltà», ribatte Valerio Onida. A chi gli chiedeva se difendere i rom in questa causa non sia un «regalo» per Letizia Moratti, Onida ha risposto: «Non è un regalo. Io sto seguendo una tesi di cui sono assolutamente convinto. Non si può infatti sgomberare delle persone senza dargli alternative». Onida ha parlato anche dello sgombero del grande campo di via Triboniano che dovrebbe avvenire ad ottobre, spiegando che è una cosa «impensabile. In certi casi qua a Milano hanno buttato fuori anche dei bambini».

DE CORATO: FA CAMPAGNA ELETTORALE - Pronta la reazione del vicesindaco di Milano e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato. «L'accanimento terapeutico per i nomadi abusivi sostenuto da alcune ong francamente ci fa sorridere. Al pari dell'enfasi, imbarazzante, di Onida, neo paladino dei rom, che strilla solo perché è in campagna elettorale. La verità è che sulla questione della presunta illegittimità dei censimenti nei campi autorizzati si è recentemente espresso il Tar. Che ha dato ragione a Comune e Prefettura». «Nel febbraio 2010 - spiega De Corato - il Tar Lazio, confermando una precedente decisione in sospensiva del Consiglio di Stato, ha legittimato la correttezza delle procedure previste dal regolamento prefettizio sulle norme di identificazione e censimento dei rom previste nei regolamenti comunali. E conseguentemente ha spazzato via le pretestuose polemiche avanzate da fasulli buonisti e benaltristi che, mentendo a se stessi, evocano inesistenti fantasmi discriminatori e razzisti approfittando dei ricorsi a orologeria del mondo dell'associazionismo che campa sul caso rom». «Non va poi dimenticato che nel settembre 2008 - prosegue De Corato - il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso, presentato da alcune associazioni, contro lo sgombero degli abusivi di San Dionigi del settembre 2007». «Che si voglia arrivare fino all'Unione europea - sottolinea De Corato - non ci fa alcuna paura. Ed è bene ricordare che proprio una direttiva Ue, la 38 del 2004, invita ad allontanare i rom che dopo tre mesi stanno a carico di altri Stati membri non avendo alcuna fonte di sostentamento e sfuggono al censimento anagrafico».
12  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Insediamenti comunità nomadi e "stato di emergenza" il: 09 Giugno 2008 - 06:10:36
Insediamenti comunità nomadi e "stato di emergenza"

“Stato di emergenza” in relazione agli insediamenti nomadici: una scelta irrazionale e discriminatoria. Commento di Emilio Robotti e Barbara Spinelli alle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3676, 3677 e 3778 del 30.05.2008.

Le ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3676, 3677 e 3778 del 30.05.2008 dispongono misure urgenti di protezione civile per fronteggiare lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni di Lazio, Lombardia e Campania.
Attraverso tale scelta normativa, il Presidente del Consiglio ha fatto un uso spregiudicato di uno strumento giuridico assolutamente eccezionale, finalizzato a fronteggiare eventi assolutamente imprevedibili e comunque eccezionali e catastrofici (terremoti, emergenze sanitarie ecc.), paventandolo come la panacea per il “male” dei campi nomadi, che indubbiamente non rappresenta una emergenza (improvvisa difficoltà, situazione che impone di intervenire rapidamente, circostanza imprevista) quanto piuttosto l’ordinaria precarietà di vita e abitativa di migliaia di (non) persone, che ordinariamente si svolge nel più totale disinteresse delle Istituzioni.
Le Istituzioni, se si escludono le azioni giustificate da reali o presunte esigenze di ordine pubblico, sono rimaste incuranti -vuoi ignoranza, vuoi per complice indifferenza- ai numerosi pronunciamenti dei principali organismi internazionali e comunitari. E’ evidente che tali indicazioni e raccomandazioni di organi previsti dal diritto internazionale e comunitario sono sempre stati ritenuti un semplice fastidio, quando non indebite “ingerenze” negli affari interni italiani, poiché insistono per il riconoscimento, anche verso le popolazioni nomadi storicamente presenti in Italia da diversi secoli (Rom, Sinti e Camminanti) dello status di minoranza etnica; di conseguenza impongono sul piano dei diritti fondamentali il rispetto della loro identità e stile di vita, del diritto all’abitazione, alla salute, all’istruzione, all’integrazione sociale, così come meglio specificati anche da una corposa produzione giurisprudenziale della Corte Europea per i Diritti Umani.
Dunque, a fronte di una situazione che necessita di interventi non “emergenziali”, ma organici, strutturali, di “integrazione” del popolo nomade attraverso la comprensione e la valorizzazione delle differenti culture, si preferisce utilizzare in modo improprio uno strumento di legislazione straordinario. Ottenendo un risultato che è, sostanzialmente, la rimozione psicologica - da parte delle istituzioni - del problema, attraverso l’allontanamento fisico dei nomadi, e dunque della fonte di “insicurezza” e di “degrado”, dai centri abitati, e la creazione di un clima di intolleranza e razzismo nella popolazione “stanziale”.

Il Governo, con il D.P.C.M. 21.05 2008 ha decretato lo stato di emergenza nei territori regionali suddetti per una “situazione di grave allarme sociale, con possibili gravi ripercussioni in termini di ordine pubblico e sicurezza per le popolazioni locali” poiché vi è “impossibilità di adottare soluzioni finalizzate ad una sostenibile distribuzione delle comunità nomadi senza il coinvolgimento di tutti gli enti locali interessati”. Lo scopo reale del provvedimento e di quelli che ad esso hanno dato esecuzione è quindi proprio questo, quello di sempre: distribuire le popolazioni nomadi in modo “sostenibile”.
Ancora una volta, emerge come fonte di preoccupazione primaria, per il Governo, la “gestione” di popoli dei quali, ancora, dopo secoli di convivenza, non si riesce ad accettare, ma soprattutto non si vuole nemmeno provare a comprendere il diverso stile di vita: prevale dunque la “logica dei campi”, già in numerose occasioni censurata come profondamente discriminatoria dai principali organismi a tutela dei diritti umani, una logica di ghettizzazione e di negazione spaziale che confina la diversità nella miseria del niente, puntando a separare chi non si conforma al vivere stanziale dal resto della società italiana.
Società stanziale dalla quale, facendone oggi una questione “di grave allarme sociale”, ci si adopera per tenere artificialmente esclusi i nomadi, bloccando sul nascere qualsiasi possibilità di interazione e condannando i Rom e i Sinti a subire il peso della segregazione su base “razziale” o “etnica” che dir si voglia..
Quella che riguarda le popolazioni nomadi non può essere considerata quindi un’emergenza, ma una situazione storica che non nasce oggi, e che come tale andrebbe considerata ed affrontata: al contrario, si è decretato da parte del Consiglio dei Ministri lo stato di emergenza sino al 31.05.2008, solo per poter giustificare le successive ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri, che, al contrario della ratio che le caratterizza, una ratio di contingenza e temporaneità, non hanno un termine definito, e, possiamo immaginare, così è per evitare una inevitabile e continua proroga di tale - qualora fosse stato fissato - termine.
L’obiettivo di ottenere “una sostenibile distribuzione delle comunità nomadi” , viene arbitrariamente limitato ai nomadi stanziati nelle Regioni di Lazio, Lombardia e Campania: anche questa previsione - apparentemente poco comprensibile - trova una sua logica solo se si considera che, per fondare i poteri di emergenza, non si è fatto riferimento all’insostenibilità delle condizioni di vita che caratterizzano i campi nomadi, (la medesima in tutta Italia), ma è piuttosto il “fastidio” che la presenza dei campi provoca alle popolazioni locali, in altre parole, per utilizzare la terminologia dei provvedimenti in esame, la situazione di “grave allarme sociale” che, a “causa della loro estrema precarietà”, i campi hanno determinato, “con possibili gravi ripercussioni in termini di ordine pubblico e sicurezza per le popolazioni locali”.
Ovvio che, se il problema non viene affrontato in un’ottica di interazione per creare relazioni empatiche, incondizionate e prive di valutazioni ideologiche, promotrici della crescita, del benessere e dell'indipendenza di entrambe le parti, mettendo al centro la dignità della Persona, ma si affronta attraverso la negazione della dignità dell’identità nomade, a favore di logiche securitarie, perseguendo l’obiettivo di ottenere “una sostenibile distribuzione delle comunità nomadi”, inevitabilmente si arriva ad utilizzare misure di carattere coattivo; così, lo sgombero dei siti non autorizzati viene adottato come “misura utile e necessaria per il superamento dell'emergenza” .
In tal senso, il Commissario (il Prefetto del capoluogo regionale) ha amplissimi poteri: “l'approvazione dei progetti da parte del Commissario delegato sostituisce, ad ogni effetto, visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di competenza di organi statali, regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico generale e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori, in deroga all'art. 98, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 salva l'applicazione dell'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 e successive modifiche ed integrazioni, anche prima dall'espletamento delle procedure espropriative, che si svolgeranno con i termini di legge ridotti della metà.” Poteri straordinari, questi, non giustificati come abbiamo detto, da alcuna reale emergenza, che dimostrano solo la volontà del Governo di aggirare le norme vigenti ogni qualvolta esso individui un argomento mediaticamente forte, al quale dare una risposta altrettanto forte mediaticamente, seguendo uno stile che, purtroppo, da anni accomuna i governi di diverso colore che si sono succeduti nell’intervenire a colpi di decreti legge sui temi legati alla sicurezza (delle popolazioni nomadi, della sicurezza sul lavoro, del terrorismo, della precarietà del lavoro), senza alcuna seria e meditata valutazione rispetto al risultato che si possa effettivamente ottenere dai provvedimenti emanati.
Risultati che, in questo specifico caso: saranno lo smantellamento di qualche campo, e soprattutto -questa la vera novità- la schedatura ulteriore e qualche ulteriore “espulsione” o detenzione in attesa di essa, di stranieri irregolari. Ma, soprattutto ben più gravi conseguenze in termini di “deriva razzista” delle quali già si intravedono allarmanti segnali (1).

La recente normazione d’emergenza riflette, ancora una volta, quel sentimento di diffidenza, astio, rigetto nei confronti di popoli da sempre vittime di persecuzioni per la propria identità non stanziale: non è un passato remoto quello che ha visto la pulizia etnica delle popolazioni nomadi (Romà principalmente), con oltre 500.000 vittime nei campi di sterminio nazisti, oltre alle donne sottoposte a sterilizzazione, ed altre barbarie subite.
Ma anche volendo considerare tutto questo storia passata, stupisce che si sia decretato lo stato di emergenza in un momento in cui, stando alle statistiche, il numero attuale di Romà e Sinti presente in Italia è sostanzialmente paragonabile a quello degli ultimi dieci anni, senza variazioni significative, ed invece nessun tipo di strumento eccezionale sia ad esempio mai stato utilizzato quando effettivamente, a causa dei conflitti in ex Jugoslavia, i profughi affollarono i campi sosta, autorizzati e no, italiani, causando, allora sì, una emergenza umanitaria. In quel caso, peraltro, ed al contrario di oggi, si ebbe tutto sommato una qualche
- pur relativa - maggiore elasticità, da parte di alcune Questure, almeno nel concedere permessi temporanei per motivi umanitari a tali profughi che sovraffollarono i campi sosta, spesso rimanendo nel nostro paese anche a guerra finita.

La logica seguita dai provvedimenti più recenti è quindi sempre la stessa, non rappresentando altro che la prosecuzione di fallimentari politiche in merito alle popolazioni nomadi; politiche che non tengono mai conto delle esperienze - negative e positive - di volontari , operatori professionali, EE.LL, ovvero degli unici che con i nomadi hanno tentato l’ascolto, la mediazione culturale, ma soprattutto non tengono conto delle reali esigenze dei nomadi stessi, che mai vengono considerati, pur se cittadini, soggetti interlocutori nelle politiche che direttamente concernono la loro esistenza e permanenza sul territorio italiano.
Il fine ultimo perseguito a livello istituzionale è sempre quello di controllo del territorio: solo campi sosta autorizzati, “distribuzione” più o meno “sostenibile” degli “zingari”, non considerando che la crescita demografica di tali popolazioni e il frequente spostamento, impediscono di affrontare la situazione semplicemente contingentando i posti “autorizzati” e facendo accedere a case popolari, che non ci sono per chi le vuole (gli stanziali), e si pretende ci debbano essere, almeno sulla carta, per chi quasi sempre non le vuole (i nomadi).
Il risultato di tale politica, fallimentare, contribuisce a creare un humus favorevole allo sviluppo di sentimenti razzisti e xenofobi nella popolazione stanziale, un affollamento dei campi autorizzati (che non possono contenere i “regolari” per la crescita demografica, oltre che per gli spostamenti degli “ospiti”) che a sua volta determina la nascita di campi “irregolari” ed il loro sovraffollamento.
Le soluzioni “alternative” a tali politiche, talvolta trovate da alcuni gruppi nomadi, che hanno acquistato terreni per risiedervi sulle loro case mobili, trovano l’accanita opposizione delle Amministrazioni Locali che si adoperano per criminalizzare le roulotte e gli insediamenti “abusivi”, ordinandone la demolizione e costringendo così anche chi aveva scelto di vivere in condizioni più dignitose a rinunciarvi, in nome della “legalità”.
In ogni caso, il diritto dei nomadi ad una “abitazione adeguata”, ovvero rispondente alla loro tradizione e identità oltre che dignitosa sotto il profilo urbanistico e sanitario, viene sempre vincolato e subordinato al comportamento del soggetto: dunque o una logica di “assimilazione” (appartamenti che dividono i nuclei familiari) o a una logica di “segregazione” (campi).


Nessuna considerazione per il fatto che nella cultura “zingara”, nomade per antonomasia, il viaggio (drom), anche come possibilità simbolica espressa da un’abitazione “mobile”, abbia ovviamente un'importanza fondamentale: è ciò che permette l'esercizio di mestieri, ciò che determina l'organizzazione sociale. Il viaggio consente l'incontro in occasioni di avvenimenti importanti, di non avere legami significativi con i luoghi in cui si è sostato, e quindi salvaguarda l'identità e l'omogeneità culturale; permette di riconoscersi con il simile (nomade), e di differenziarsi dal diverso (stanziale). E' un mezzo attraverso il quale circolano le informazioni, che permette di risolvere possibili conflitti con le popolazioni sedentarie o con altri gruppi nomadi, che permette l'incontro, e attraverso il matrimonio, la costruzione di alleanze tra le famiglie. In realtà, non sempre le comunità zingare odierne viaggiano più di quanto non facciano gli “stanziali”; ma il viaggio, in una cultura nomade, determina una diversa concezione del tempo e dello spazio, poiché "La concezione e la modalità di uso dello spazio, analogamente alla concezione e all'organizzazione del tempo, sono (…) il risultato, storicamente determinato, dei bisogni organizzativi della vita sociale e ne rivelano i valori fondamentali"(2).
I concetti di spazio e di tempo propri della vita sociale zingara, sono infatti rispondenti a bisogni e a valori diversi da quelli delle società sedentarie ai margini delle quali le comunità zingare vivono. Il concetto di abitare assume un significato diverso, perché non comprende solo l'unita abitativa, la kampina (la roulotte, la baracca, il caravan, ma anche l’appartamento in qualche caso), utile per contenere gli oggetti indispensabili, dormire e ripararsi dalle intemperie, ma tutto lo spazio infinito che lo circonda, che non appartiene a nessuno; in questo modo diviene accettabile vivere tutta la vita in uno spazio inconcepibilmente angusto per la cultura degli stanziali, abituata a separare e delimitare tutti i luoghi della vita: quello del lavoro, della famiglia, del tempo libero. E si tratta di concetti che vivono nelle popolazioni nomadi, indipendenti dalla frequenza degli spostamenti, che possono essere anche meno frequenti di quelli degli stanziali: il nomadismo d’altronde non ha mai significato essere “sempre” in viaggio; è sempre stato legato ai ritmi della terra, dell’allevamento, ai rivolgimenti sociali, alle guerre ecc.
L’emergenza indicata nei provvedimenti del Governo non esiste, quindi, e probabilmente tali provvedimenti non reggerebbero alla verifica giudiziale; casomai sussiste una incapacità diffusa, non solo a livello centrale, di risolvere problemi che si trascinano da decenni (tristemente significativo l’accostamento tra “rifiuti” e “zingari”) e che si cerca di risolvere attraverso l’istituzione di “Commissari”, lo spreco di risorse pubbliche, ed ora anche la violazione della ratio della normazione d’emergenza (dell’ordinamento normativo si chiede, come spesso accade, il rispetto solo ai semplici cittadini, attenuando via via la severità con i potenti, sino ad annullarla allorquando l’agente è una figura istituzionale che, facendo cattivo uso degli strumenti in suo potere, ne abusa trasformandoli in strumento di governabilità e di consenso, come nel caso di specie).

Emergenza o meno che sia, sappiamo che comunque il problema non sarà così risolto, e la recente retata notturna per il censimento di una storica famiglia di cittadini italiani di etnia sinta di Milano ce lo conferma; ma non possiamo esimerci dal dire che, per non risultare discriminatori ed illegittimi a tutti gli effetti, i provvedimenti del Governo, e soprattutto in futuro quelli dei Commissari istituiti ad hoc e delle altre autorità amministrative, dovrebbero tenere conto già prima della loro emanazione dell’art. 16 della Costituzione, dell’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), dell’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, degli art. 8, 15, 16 della Convenzione Quadro per le minoranze nazionali, ratificata dall’Italia il 03.11.1997 con riferimento al mancato rispetto della vita privata e familiare e del domicilio; dell’art. 25 CEDU, gli art. 2.2, 3, 11.1 della Convenzione Internazionale sui diritti sociali, economici, culturali (ICESCR), dell’art. 2.1. della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), degli art. 1, 2, 5, della Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (CEDR), l’art. 31 della Carta Europea Sociale, dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali della UE e di varie altre Raccomandazioni e Risoluzioni con riferimento al diritto ad una adeguata abitazione e, congiuntamente, al diritto di libera scelta di uno stile di vita nomade.

I provvedimenti del Governo e delle Autorità amministrative dovrebbero poi tenere conto, già prima della loro emanazione, della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale è costante nel ribadire che “la posizione vulnerabile dei nomadi in quanto minoranza comporta che debba essere prestata una particolare attenzione alle loro esigenze ed al particolare stile di vita tanto nella pianificazione urbanistica quanto nella decisione in merito a particolari situazioni” (Chapman, par. 96 (3); Buckley, par. 76 (4)), “dunque in ragione di ciò incombe sugli stati membri, in virtù dell’art. 8, un’obbligazione positiva di favorire lo stile di vita nomadico” (vedasi anche, Marchx vs. Belgium, par.31; Keegan vs. Ireland, par. 49, Kroon and Others vs. the Netherlands, par.31;); ha più volte ribadito (Chapman v. the United Kingdom, 18.01.2001, n. 2723895, Corte Europea dei Diritti Umani) l’importanza di una “lunga tradizione di una minoranza nel seguire uno stile di vita non stanziale”(5) e che, anche qualora, per qualsiasi motivo, le popolazioni nomadi scelgano di “stazionare per lunghi periodi in un luogo”, “anche per favorire – ad esempio- l’educazione dei figli”, qualsiasi misura che incida sulla possibilità per il gruppo di stazionare - ad esempio - su un terreno di proprietà con i propri caravan, roulottes, ecc, “ha un impatto sul diritto del rispetto alla propria casa e comprime la possibilità per loro di mantenere la propria identità nomade e di condurre la propria vita famigliare secondo la tradizione”. Dunque, qualora non venga fornita alcuna adeguata alternativa, tale compressione “costituisce una illecita interferenza, da parte della amministrazione, con il diritto dei ricorrenti al rispetto per la propria vita privata, vita famigliare, e il godimento dei propri beni, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione”.

Gli sgomberi senza adeguate alternative sono illegittimi, anche se ordinati con poteri speciali per affrontare un supposto stato di emergenza: la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha già più volte censurato che, seppure le misure amministrative sono adottate in “accordo con la legge” e perseguono il legittimo scopo di difesa di interessi generali, quali quello paesaggistico o urbanistico, quello che viene in rilievo è il modo in cui il legislatore/l’amministrazione concepisce gli imperativi di utilità pubblica in ragione dei quali ingerisce nell’esercizio dei diritti fondamentali del singolo, ovvero si deve valutare se il giudizio del legislatore/dell’amministrazione è ragionevole e rispettoso del principio di proporzionalità ed avviene nel contemperamento dei diversi interessi in gioco (6).

A livello politico la scelta di intervenire sul problema con misure di stampo securitario ed emergenziali stico, non solo a livello amministrativo da parte degli enti locali, ma addirittura a livello legislativo, indubbiamente denota e rimarca un disinteresse esplicito per le numerose forme di raccomandazioni elaborate a livello comunitario per l’integrazione dei Rom, Sinti e Camminanti ed il loro riconoscimento come minoranze, nonché vanifica di fatto l’adesione a tutti i trattati internazionali a tutela dei diritti fondamentali, primo fra tutti il CERD, poiché in concreto tali provvedimenti discriminatori, oltre a non concretizzare la tutela dei diritti umani fondamentali sanciti da tale Convenzione, ne costituiscono esplicita violazione, soprattutto se in riferimento alle Raccomandazioni poste all’Italia dal Comitato per l’applicazione del CERD.
Ma anche a livello comunitario tale corpus normativo fornisce una pessima immagine del nostro paese, soprattutto in vista della ratifica del Trattato di Lisbona, poiché rappresenta l’espressione di totale indifferenza nei confronti della condanna (07.12.2005) all’Italia da parte del Comitato Europeo per i Diritti Sociali, avvenuta con decisione sul Reclamo Collettivo n. 27/2004 presentato contro l’Italia dall’ European Roma Rights Center e da OsservAzione.
Il Reclamo Collettivo dell’ERRC e di OsservAzione paventava presunte violazioni dell’articolo 31 della Carta Sociale Europea, indipendentemente o letto congiuntamente al principio di non discriminazione previsto dall’articolo E. Lo Stato Italiano, avendo ratificato la Carta Sociale Europea in data 22.10.1965 e avendo aderito alla versione revisionata in data 05.07.1999, poiché ha esplicitamente accettato di aderire anche al Protocollo relativo ai reclami collettivi, risulta vincolato alle decisioni adottate dal Comitato Europeo per i Diritti Sociali sui reclami presentati contro lo Stato stesso. Il Comitato Europeo per i Diritti Sociali, nel decidere il ricorso, a fronte della estesa documentazione prodotta dai ricorrenti, ha condannato formalmente l’Italia sulla politica abitativa nei confronti dei Rom, identificando tre distinte violazioni della Carta Sociale Europea Revisionata, sottoscritta dal nostro Paese. Con decisione del 7/12/2005, infatti, il CEDS ha decretato che le politiche abitative sviluppate per Rom e Sinti in Italia puntano a separare questi gruppi dal resto della società italiana e a tenerli artificialmente esclusi, bloccano qualsiasi possibilità di interazione e condannano i Rom e i Sinti a subire il peso della segregazione su base razziale. Il CEDS, dopo aver esaminato la difesa del Governo Italiano ha deciso:

- unanimemente che l’inadeguatezza dei campi sosta per Rom e Sinti costituisce una violazione dell’articolo 31(1) della Carta, letto congiuntamente all’articolo E;

- unanimemente che gli sgomberi forzati e le altre sanzioni ad essi associati costituiscono una violazione dell’articolo 31(2) letto congiuntamente all’articolo E;

- unanimemente che la mancanza di soluzioni abitative stabili per Rom e Sinti costituiscono una violazione dell’articolo 31(1) e dell’articolo 31(3) della Carta, letti congiuntamente all’articolo E.

Evidentemente, la considerazione per i diritti umani fondamentali della Persona non è argomento sufficiente a riportare alla moderazione né il legislatore, né il Governo nell’esercizio del potere legislativo. Ci si auspica che quantomeno nelle aule dei Tribunali tali parametri di riferimento godranno di adeguata considerazione nella valutazione della legittimità costituzionale delle norme e dell’azione amministrativa.


NOTE

1) Indicativo che i media segnalino presunti casi di sottrazioni di bambini ad opera di zingari. Al di là dell’astratta possibilità che individui di qualsiasi gruppo etnico possa commettere tale crimine, vedi i casi legati allo sfruttamento sessuale o al commercio di organi, criminose attività purtroppo reali e certamente non legate ai gruppi zingari e nomadi, si tratta di leggende antiche, mai dimostrate ad oggi da nessuna statistica o ricerca scientifica, secondo le quali gli zingari ruberebbero i bambini degli stanziali per turpi traffici, e che hanno la stessa “dignità storica”, ovvero la falsità, delle leggende e dicerie che hanno accompagnato i pogrom e le altre persecuzioni contro gli ebrei.

2) A. R. Calabrò, "Il vento non soffia più. Gli Zingari ai margini di una grande città", pag 23.

3) Chapman v. the United Kingdom, 18.01.2001, n. 2723895, Corte Europea dei Diritti Umani, par. 96: As intimated in Buckley, the vulnerable position of Gypsies as a minority means that some special consideration should be given to their needs and their different lifestyle both in the relevant regulatory planning framework and in reaching decisions in particular cases (judgment cited above, pp. 1292-95, §§ 76, 80 and 84). To this extent, there is thus a positive obligation imposed on the Contracting States by virtue of Article 8 to facilitate the Gypsy way of life (see, mutatis mutandis, Marckx v. Belgium, judgment of 13 June 1979, Series A no. 31, p. 15, § 31; Keegan v. Ireland, judgment of 26 May 1994, Series A no. 290, p. 19, § 49; and Kroon and Others v. the Netherlands, judgment of 27 October 1994, Series A no. 297-C, p. 56, § 31).

4) Buckley v. the United Kingdom, Corte Europea dei Diritti Umani, par. 76: The Court cannot ignore, however, that in the instant case the interests of the community are to be balanced against the applicant's right to respect for her "home", a right which is pertinent to her and her children's personal security and well-being (see the above-mentioned Gillow judgment, p. 22, para. 55). The importance of that right for the applicant and her family must also be taken into account in determining the scope of the margin of appreciation allowed to the respondent State. Whenever discretion capable of interfering with the enjoyment of a Convention right such as the one in issue in the present case is conferred on national authorities, the procedural safeguards available to the individual will be especially material in determining whether the respondent State has, when fixing the regulatory framework, remained within its margin of appreciation. Indeed it is settled case-law that, whilst Article 8 (art. 8 ) contains no explicit procedural requirements, the decision-making process leading to measures of interference must be fair and such as to afford due respect to the interests safeguarded to the individual by Article 8 (art. 8 ) (see the McMichael v. the United Kingdom judgment of 24 February 1995, Series A no. 307-B, p. 55, para. 87).

5) Chapman v. the United Kingdom, 18.01.2001, n. 2723895, Corte Europea dei Diritti Umani, par. 73-74 : The Court considers that the applicant's occupation of her caravan is an integral part of her ethnic identity as a Gypsy, reflecting the long tradition of that minority of following a travelling lifestyle. This is the case even though, under the pressure of development and diverse policies or by their own choice, many Gypsies no longer live a wholly nomadic existence and increasingly settle for long periods in one place in order to facilitate, for example, the education of their children. Measures affecting the applicant's stationing of her caravans therefore have an impact going beyond the right to respect for her home. They also affect her ability to maintain her identity as a Gypsy and to lead her private and family life in accordance with that tradition. The Court finds, therefore, that the applicant's right to respect for her private life, family life and home is in issue in the present case.

6) Chapman v. the United Kingdom, 18.01.2001, n. 2723895, Corte Europea dei Diritti Umani, par. 90: An interference will be considered “necessary in a democratic society” for a legitimate aim if it answers a “pressing social need” and, in particular, if it is proportionate to the legitimate aim pursued.

(9 giugno 2008)

http://www.giuristidemocratici.it/what?news_id=20080609093029
13  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Precariato, povertà e insicurezza - Al tramonto la società solidaristica il: 09 Giugno 2008 - 06:06:17
Il "Rapporto sui diritti globali 2008" segnala il pericolo di involuzione del Paese a causa delle sempre maggiori difficoltà economiche e del crescere della paura

Precariato, povertà e insicurezza
Al tramonto la società solidaristica


L'indebitamento totale delle famiglie ammonta a 490 miliardi, in forte difficoltà 1 su 5
Il lavoro è sempre più precario e rischioso: i morti sul lavoro superiori a quelli delle guerre

di ROSARIA AMATO

ROMA - Un lavoratore sempre più marginale, con un salario sempre più striminzito e lontano dalle medie europee e dai picchi straordinari raggiunti dai compensi dei manager. Un sistema ingiusto, all'interno del quale le famiglie s'impoveriscono, s'indebitano senza che s'intravveda "un vero disegno riformatore" nelle politiche di welfare. E' l'Italia che emerge dal "Rapporto sui diritti globali 2008", il rapporto annuale sulla globalizzazione e sui diritti nel mondo redatto dall'associazione SocietàINformazione e promosso da Cgil, Arci, ActionAid, Antigone, CNCA, Forum Ambientalista, Gruppo Abele e Legambiente.

"Cresce sempre di più il senso di insicurezza della popolazione, la precarietà del lavoro, la sfiducia nel futuro e la paura di perdere il benessere e la qualità delle proprie condizioni di vita", osserva nel presentare il rapporto il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, denunciando "il rischio di processi involutivi che, oltre a danneggiare il mondo del lavoro in generale, finirebbero per devastare il tessuto connettivo sui cui si è sviluppata la nostra società, impostato su valori solidaristici e universali".

Morti sul lavoro, una guerra a bassa intensità. Quella delle morti sul lavoro, denuncia il curatore del rapporto Sergio Segio, direttore dell'associazione SocietàINformazione ed ex militante di Prima Linea è "una piccola guerra a bassa intensità, nascosta dietro le mura delle fabbriche, tra le impalcature o nei campi". Per quanto riguarda le cifre è però "una grande e infinita guerra, se consideriamo che, nella Seconda guerra mondiale, le perdite militari italiane furono di 135.723 morti e 225.000 feriti, mentre la lunga battaglia nei luoghi di lavoro dal 1951 al 2007 ha prodotto almeno 154.331 morti e ben 66.577.699 feriti". Analoghi i risultati di un confronto rispetto alla Guerra in Iraq: dal 2003 al 2007 hanno perso la vita 3.520 militari della coalizione contro 5252 morti sul lavoro in Italia nello stesso periodo.

Le morti sul lavoro non sono un caso, sono piuttosto la conseguenza di "una cultura economica e organizzativa" che non ritiene ragionevole una spesa per la sicurezza volta a evitare anche il minimo rischio di incidenti. Si viaggia, ricorda il rapporto, a un ritmo di ben oltre 1000 morti sul lavoro e più di 900.000 infortuni l'anno. E la nuova legge sulla sicurezza (legge n.123/2007 non pone le condizioni per un vero miglioramento, secondo i curatori dell'analisi, dal momento che, "più che sul sistema sicurezza, è intervenuta suo suoi effetti perversi, non modificandone, quindi, le logiche e le strategie di governo".

La povertà "differita". "La povertà è sostanzialmente stabile, le politiche di welfare sembrano non scalfirla", rileva il rapporto, denunciando però un rischio ancora più grave, quello della "povertà prossima ventura", o della "povertà differita". "Così può infatti essere definito - spiega Segio - il fenomeno massiccio del credito al consumo e dell'indebitamento delle famiglie, spesso premessa di fallimenti individuali, vale a dire l'impossibilità di fare fronte alle rate del mutuo della casa e dei tanti debiti contratti". Dal 2001 al 2006 il credito al consumo in Italia è cresciuto dell'85,6%, arrivando ormai a 94 miliardi di euro, mentre l'indebitamento complessivo delle famiglie ammonta a 490 miliardi. Per precipitare nella povertà, ricorda il rapporto, basta poco: nel 2007 secondo uno studio sarebbero 346.069 le famiglie italiane divenute povere a causa delle spese sanitarie sopportate.

Salari sempre più bassi. La principale causa dell'aumento della povertà in Italia è costituita tuttavia dai salari, sempre più bassi e inadeguati rispetto alla crescita dell'inflazione. Le statistiche Ocse, ricorda il rapporto, ci dicono che tra il 2004 e il 2006 le retribuzioni in Italia sono scivolate dal diciannovesimo al ventitreesimo posto, ma nel frattempo "nel 2007 i primi cinque top manager italiani hanno ricevuto compensi per circa 102 milioni di euro, il salario lordo di 5000 operai, peraltro senza alcun vincolo con i risultati dell'impresa e con l'efficacia e produttività del proprio lavoro". Oltre due milioni e mezzo di famiglie "ufficialmente" povere, sette milioni e mezzo di individui. Mentre con un reddito non superiore al 20% della linea di povertà calcolata dall'Istat cerca di sopravvivere l'8,1% dei nuclei. Vale a dire che le famiglie povere e a rischio povertà sono una su cinque. Anche perché, a fronte di salari praticamente fermi, negli ultimi sei anni ogni famiglia ha perso un potere d'acquisto pari a 7700 euro, secondo alcune associazioni dei consumatori.

La "flexicurity" rimane un miraggio. A contribuire alla povertà c'è anche il lavoro precario. Nel 2006, ricorda il rapporto, le assunzioni a tempo determinato hanno superato per la prima volta quelle a tempo indeterminato. Sommando tutti i lavoratori impegnati con contratti precari, o se si vuole flessibili, si arriva, secondo il centro studi Ires, a una cifra compresa tra 3.200.000 e 3.900.000 persone; poco meno quelle che lavorano nel sommerso. "La flessibilità è corrosiva nei confronti del lavoratore - osservano i curatori del rapporto - perché gli istilla ansie, paure e insicurezza, ma lo è anche nei confronti del lavoro, che finisce per perdere qualità". Anche perché la flessibilità italiana è lontanissima dalla flexsecutiry del modello scandinavo: "Il famoso modello danese, il più studiato e forse il più efficace (anche se poi alla prova dei fatti lascia fuori i più fragili) si basa infatti su una serie di variabili necessarie, oltre la semplice formula: investimenti ingenti di risorse pubbliche, ammortizzatori sociali molto estesi, di tipo universalistico, un sistema efficiente di formazione permanente, un uso del lavoro flessibile non 'al risparmio' ma mirato a obiettivi di sviluppo".

Una paura che fa paura. In una situazione di sempre maggiore povertà e insicurezza la paura dilaga, ma è "una paura che fa paura", osserva Segio: "I dati ci dicono che le paure legate alla sicurezza sono infondate, il tasso di scippi ma anche di omicidi è il più basso degli ultimi trent'anni, eppure l'88% degli italiani pensa che in Italia vi sia più criminalità rispetto a cinque anni fa". La paura porta alla xenofobia, sentimento che può anche far comodo: "Dietro a ogni campagna securitaria - afferma Segio - ci sono sempre appetiti e progetti immobiliari. Così come la geografia degli sgomberi dei campi rom in molte grandi città, a partire da una incattivita Milano, ricalca esattamente le necessità e le tempistiche dei 'palazzinari', proprietari di vastissime aree".

(9 giugno 2008)

http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/economia/rapporto-cgil/rapporto-cgil/rapporto-cgil.html
14  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Roma. La carovana nomade a Tor Vergata il: 07 Giugno 2008 - 06:20:20
Roma. La carovana nomade a Tor Vergata
In serata raggiunto l'accordo

Carlo Mosca, prefetto di Roma e commissario per l’emergenza Rom, aveva annunciato che fino a ottobre non ci sarebbero stati sgomberi nella capitale. Si volevano censire tutti i nomadi. Dopo un'estenuante giornata, 120 persone italiane appartenenti ad una comunità Sinti, sono state costrette a spostarsi, con roulotte e camper, dal quartiere Testaccio, alla zona periferica di Tor Vergata.

Ieri mattina a Roma è cominciato il tentativo di sgombero del campo nomadi di Campo Boario, nel popolare quartiere di Testaccio. Dalle prime ore del giorno vigili e polizia hanno cercato di mandare via gli occupanti del campo. Nel corso della giornata lo sgombero è stato poi fermato per aspettare il rientro dei bambini dalla scuola.

Poi è stata aperta una trattativa per vagliare l'ipotesi di uno spostamento non traumatico delle circa 40 roulotte dove vivono i nomadi Sinti, tutti italiani. Durante le trattative tra i funzionari del comune di Roma, e la comunità Sinti, sono stati presenti molti operatori sociali delle cooperative, Ermes e Capodarco, che lavorano sulle problematiche relative ai nomadi.

Secondo il legale del campo, Fabrizio Consiglio, non ci sarebbe stata l'ordinanza indispensabile per un'operazione del genere. Per il sindaco Alemanno, lo sgombero nel quartiere romano del Testaccio, è di piccola entità ed era stato già deciso da tempo, e ne era a conoscenza il Consiglio provinciale per l'ordine e la sicurezza.

«Si sta facendo una polemica pretestuosa sull'intervento di stamattina fortemente richiesto dai cittadini della zona e che interviene su una situazione evidentemente illegale». Secondo il sindaco ci sono diversi livelli di intervento: uno complessivo su cui lavora il prefetto come commissario della questione Rom, uno di tutela quotidiana della legalità, nel quale rientra lo sgombero di Testaccio.

In serata, dopo le multe per l'applicazione di un'ordianza del 1991 che vieta il campeggio abusivo sul territorio urbano, si arriva ad un accordi con sede provvisoria alternativa: si trasloca a Tor Vergata.
Mercoledì prossimo, rappresentanti della comunità incontreranno il sindaco Gianni Alemanno per avviare la trattativa che porti ad una sede definitiva.

(07/06/2008)

AMI - http://www.agenziami.it/articolo/776/Roma++La+carovana+nomade+a+Tor+VergataIn+serata+raggiunto+l+accordo/
15  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Roma, prima notte dei nomadi a Tor Vergata il: 07 Giugno 2008 - 06:13:11
Roma, prima notte dei nomadi a Tor Vergata
In 120 tra sinti, calderari, rom, sgomberati ieri da Testaccio

ROMA, 7 GIU - Prima notte a Tor Vergata, per i circa 120 rom sgomberati ieri dall'ex Campo Boario. La notte e' passata tranquilla.Comunque tra i nomadi, che hanno annunciato per domani una manifestazione contro 'quello che sta accadendo in Italia' sono stati lamentati disagi per la carenza di servizi. A essere stata allontanata e' stata una comunita' di sinti, calderari e rom, con cittadinanza italiana, che da circa un anno vivevano nei pressi dell'ex mattatoio al Testaccio.

(7 giugno 2008)

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