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46  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / La Stampa.it - Nel grande vuoto lasciato dai cattolici democratici il: 15 Agosto 2008 - 07:51:04
15/8/2008
 
Nel grande vuoto lasciato
dai cattolici democratici

 
 
FRANCO GARELLI
 
E’ un ferragosto di fuoco quello che sta vivendo Famiglia Cristiana, il celebre settimanale dei Paolini oggi al centro di varie tensioni. Anzitutto lo scontro col governo in carica, che si è offeso per l’ultimo editoriale della rivista che paventa la nascita in Italia di un fascismo «sotto altre forme». E di riflesso a questa vicenda, la netta presa di distanza del Vaticano dai commenti «politici» di Famiglia Cristiana, giudicata come una testata importante della realtà cattolica, ma che non esprime «né la linea della Santa Sede né quella della Conferenza episcopale italiana».

Singolare dichiarazione quest’ultima, sia perché la direzione della rivista non si è mai sognata di parlare a nome dei vertici della chiesa (italiana e no), sia perché è evidente l’intento del Vaticano di non creare zone d’ombra tra il mondo cattolico e l’attuale governo italiano, anche a costo di mettere la sordina a qualche sua realtà autorevole. La Santa Sede, in altri termini, non vuol rovinare il rapporto con un esecutivo (e un’area politica) che considera attenti ai valori e agli interessi dei cattolici, in grado - molto più del precedente governo di centro-sinistra - di promuovere una politica che tuteli quei pilastri sociali (famiglia, vita, scuola libera, educazione, ecc.) che a suo dire maggiormente rispecchiano la visione cristiana della realtà.

Non è che Famiglia Cristiana metta in discussione questi valori di fondo, anche se da tempo ha scelto la politica delle mani libere, promuovendo un’informazione sui fatti di casa nostra che non fa sconti a nessuno, che non si lega per partito preso a qualche forza politica, attenta a verificare di volta in volta la congruenza tra dichiarazioni e scelte concrete, tra fatti e intenzioni.

Con questo cambio di pelle (relativamente recente), Famiglia Cristiana ha accentuato la sua presenza critica nella realtà italiana, passando da «pacioso» settimanale delle parrocchie a rivista di impegno civico di rilievo, che sta sulla breccia delle questioni emergenti; e ciò pur continuando a essere una testata che diffonde informazione e cultura religiosa, attenta al lato umano e spirituale dell’esistenza.

Questa trasformazione sembra dovuta a due ragioni di fondo. Anzitutto l’esigenza di meglio collocarsi nel mondo della comunicazione, superando l’immagine di rivista per tutte le stagioni che era la Famiglia Cristiana del passato, quando il mondo cattolico era una realtà molto solida e poco differenziata. Nell’epoca del pluralismo, nessuna grande istituzione (quindi anche nessuna realtà comunicativa) può sopravvivere senza operare delle scelte precise, senza optare per un pubblico particolare di riferimento.

Un altro fattore che può aver spinto Famiglia Cristiana a interessarsi maggiormente delle questioni sociali e politiche emergenti è l’attuale debolezza del cattolicesimo politico, il fatto che esso è ormai ridotto a una minoranza con poca risonanza pubblica. Al tempo in cui la Democrazia cristiana rappresentava gli orientamenti dei cattolici nella società italiana, Famiglia Cristiana era il collante comunicativo di un mondo cattolico perlopiù politicamente allineato. Oggi, invece, nella stagione dell’Italia bipolare, i cattolici sembrano relegati ad un ruolo comprimario sulla scena politica; e ciò sia che il governo sia targato centro-sinistra (come quello diretto da Prodi nella passata legislatura) o sia espressione del centro-destra (come quello attuale di Berlusconi). In entrambi i casi prevalgono esecutivi in cui (al di là di dichiarazioni formali) i cattolici sembrano avere poco peso e possibilità progettuale. In questo quadro, dunque, Famiglia Cristiana tende ad occupare uno spazio lasciato vuoto dalla politica «cattolica», dando voce ad istanze inascoltate, richiamando i governi ad una soluzione ai problemi che rifletta anche una visione solidale della realtà.

Si può dire, come qualcuno ha sostenuto, che Famiglia Cristiana sia l'ultima espressione del cattocomunismo italiano, il gruppo editoriale che non si piega alla deriva a destra del Paese? Credo che il taglio socialmente aperto della rivista sia evidente, nel senso che Famiglia Cristiana rappresenta la punta comunicativa di quel cattolicesimo di impegno sociale che è una delle più grandi realtà della tradizione cattolica italiana. Ma detto questo, la rivista non sembra tirare in una sola direzione e applica lo stesso metro alle varie forze politiche e ai diversi governi. Ieri ha bacchettato Prodi sulla questione dei Dico e Veltroni sull’apertura del Pd ai radicali. Oggi è critica verso Berlusconi quando accusa i pm di essere sovversivi o quando la sua maggioranza sembra compiere scelte populiste sulla questione sicurezza.

In un tempo di grandi silenzi e allineamenti (che coinvolgono anche il mondo cattolico), c’è una forza d'animo in queste prese di posizioni da non sottovalutare, che ha i suoi costi sociali ma che è foriera di una presenza sociale più partecipe e riflessiva.
 
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=4894&ID_sezione=&sezione=
47  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Famiglia Cristiana - PERCHÉ ALTRI CATTOLICI NON L’AVREBBERO MAI FATTO il: 15 Agosto 2008 - 07:43:58
UN CONSIGLIO A GIOVANARDI DOPO LE ASPRE CRITICHE A "FAMIGLIA" SUI ROM

PERCHÉ ALTRI CATTOLICI
NON L’AVREBBERO MAI FATTO


I politici Dc non hanno mai preso provvedimenti come quello sulle impronte dei bimbi rom perché prima di tutto erano cristiani. E poi perché erano più consapevoli dei problemi del Paese in cui vivevano.

La presa di posizione di Famiglia Cristiana contro la proposta del ministro Maroni di rilevare le impronte digitali di tutti i rom, compresi i bambini, ha suscitato molti commenti. Fra i politici, il giudizio più aspro è stato quello dell’ex democristiano ed ex Udc, oggi del Pdl, onorevole Giovanardi, che ha detto: «Dopo aver respinto con rabbia e sdegno la delirante accusa di Famiglia Cristiana di essere parte di un Governo più o meno nazista, mi chiedo che cosa abbia a che fare con la famiglia e con i cristiani questo settimanale».

Consigliamo a Giovanardi di porsi una diversa, più ragionevole e sensata domanda: «Perché in mezzo secolo nessun Governo democristiano, nessun ministro democristiano (nemmeno l’ottimo Pisanu, al Governo con Berlusconi) ha mai proposto una simile inutile scemenza?».

Governi e singoli ministri democristiani non l’hanno mai fatto innanzitutto perché, prima di essere politici, erano cristiani, consapevoli che nei loro comportamenti avrebbe dovuto contare, riguardo alla persona umana, anche allo straniero, l’insegnamento di Gesù: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Matteo 25, 40).

Poi, non lo hanno mai fatto perché erano intelligenti e consapevoli del Paese in cui vivevano e operavano. De Gasperi prese l’Italia uscita dalla guerra in rovina, insidiata da conflitti interni aperti da minoranze etniche o di altra natura, e angustiata da problemi internazionali come quello di Trieste contesa all’Italia dalla Jugoslavia comunista, sostenuta dalle rivendicazioni dei cittadini di origine slava; oltreché dai rapporti con i Paesi europei nei quali affluivano milioni di emigranti italiani, che Roma doveva difendere senza macchiarsi a sua volta di un qualsiasi gesto razzista, verso qualunque straniero.

Erano politici che avevano conosciuto il fascismo; e avevano partecipato alla scrittura della Costituzione, che avrebbe vietato la ricostituzione del Partito fascista e ovviamente non avrebbe autorizzato nessuna deriva razzista, in ricordo di quella contro gli ebrei. Per tutti questi motivi, operando con intelligenza, trovarono le soluzioni migliori ai problemi che avevano davanti, senza prendere impronte digitali a nessuno – tranne i singoli colpevoli di reati – e gestendo la sicurezza pubblica con i sistemi di una società democratica e garantista.

E dopo, l’Italia ha vissuto momenti ben più pericolosi e angoscianti di quelli di oggi, quando ci fanno paura persino i bambini rom: il terrorismo rosso e nero, le bande di sequestratori sardi e quelle dei sanguinari rapinatori di banche, la mafia, la camorra; e, politicamente parlando, la "guerra fredda". Ebbene, nemmeno in momenti molto drammatici, a nessun democristiano al potere è mai venuto in mente quello che è venuto in mente a Maroni.

Infine, Famiglia Cristiana nasce nel 1931, l’anno delle maggiori, più violente pressioni del fascismo sul mondo cattolico per giungere a egemonizzare l’educazione dei giovani. Don Alberione risponde fondando una rivista "per le madri e le figlie", che tenga saldo il fronte educativo cristiano. Nella primavera del 1943, dopo la tragedia del nostro Corpo militare in Russia, il prefetto di Cuneo proibisce la pubblicazione della rivista, perché riporta lettere dolorose di famiglie che hanno perso i figli in quella tragica avventura. Come si può immaginare che nel Dna di questo settimanale non ci sia, fin dall’origine, un naturale rifiuto di tutto quello che, magari inconsapevolmente, sa di fascismo?



Beppe Del Colle
http://www.sanpaolo.org/fc/0828fc/0828fc23.htm
48  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Rom, Famiglia Cristiana: "Rischio fascismo". Esplode la polemica il: 15 Agosto 2008 - 02:27:44
Rom, Famiglia Cristiana: "Rischio fascismo". Esplode la polemica
14 agosto 2008 -
 
ROMA - E' scontro tra Governo e Famiglia Cristiana. Il settimanale cattolico in un editoriale di Beppe Del Colle aveva auspicato che "non si riveli mai veroil sospetto", emerso dal rapporto dell'organizzazione Esprit, "che stia rinascendo da noi sotto altre forme il fascismo". Il riferimento va alla proposta di prendere le impronte digitali ai bambini rom perché "bisogna evitargli la vergogna di vedersi marcati per tutta la vita come membri di un gruppo etnico".

"Se ne sono accorti in tutta Europa - prosegue il settimanale ‘paolino' -, dove resta vivo l'orrore della discriminazione sociale delle minoranze: quella foto del bimbo ebreo

nel ghetto di Varsavia con le mani alzate davanti alle Ss è venuta alla memoria come un simbolo. Per questo il Parlamento di Strasburgo e il Consiglio europeo hanno protestato".

Parole che pesano come pietre e che hanno suscitato, come inevitabile aspre polemiche. ''Critichiamo l'attuale governo, come abbiamo fatto con tutti i governi, anche democristiani, quando ci sembrava giusto e cristiano farlo'', ha chiarito il settimanale.

Durissime nei confronti di Famiglia Cristiana le critiche arrivate al sottosegretario Carlo Giovanardi, che ha detto: "'La maggior parte dei suoi articoli sono faziosi, usano un linguaggio degno dei centri sociali, come il Manifesto e Liberazione. Contesto il diritto di quel settimanale a essere venduto in chiesa e nelle parrocchie. Non rappresenta la vera dottrina della Chiesa e i cattolici se ne sono accorti. Insomma, si è convertito in un organo cattocomunista".

http://www.romagnaoggi.it/politica/2008/8/14/99734/
49  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / DON PANIZZA, “UN BLUFF BLITZ CONTRO ROM LAMEZIA” il: 15 Agosto 2008 - 02:23:37
DECINE DI TELEFONATE A 112 DI LAMEZIA PER SCHIAMAZZI NOTTURNI
DON PANIZZA, “UN BLUFF BLITZ CONTRO ROM LAMEZIA”

(AGI) - Lamezia Terme (Catanzaro), 14 ago. - “I rom di Lamezia Terme - aggiunge - non trovano diritto alla loro salute, resasi ormai precaria se non impossibile in quel ghetto fogna a cielo aperto di contrada Scordovillo”. Secondo Don Giacomo “i bambini e le bambine rom della citta’ non vengono sostenuti nel loro sacrosanto diritto allo studio, e ancora oggi non e’ dato sapere se avranno il servizio di accompagnamento alla scuola dell’obbligo nell’imminente anno scolastico”. Ed inoltre per il sacerdote della comunita’ Progetto Sud, “i rom di Lamezia Terme non trovano pari opportunita’ di lavoro quanto i coetanei, perche’ essi vengono stigmatizzati e le loro capacita’ ignorate e non valorizzate. I rom di Lamezia Terme vivono assembrati in un fazzoletto di terreno circondato da un muro alto circa quattro metri, un muro che nei giorni scorsi e’ apparso sulle tv in mondovisione, commentato come vergogna non dei rom ma di una citta’ incivile. I rom onesti, al pari dei cittadini onesti di Lamezia Terme, tirano un respiro di sollievo quando le forze dell’ordine ottengono successo con qualsiasi delinquente, sia rom o italiano o straniero”.

Comunque per il sacerdote “accanto a una giustizia fatta di blitz pero’ occorre che le Istituzioni tutte s’impegnino effettivamente per una giustizia orientata anche a costruire uguaglianza tra tutte le persone che convivono in questa nostra citta’”. (AGI)

http://www.diritto-oggi.it/archives/00034645.html
50  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Gitani in piazza a Madrid contro l'Italia xenofoba il: 13 Agosto 2008 - 06:49:33
Gitani in piazza a Madrid contro
l'Italia xenofoba


RICCARDO IORI

«Gitanos europeos contra el racismo»: era questo lo striscione che apriva il corteo che si è svolto a Madrid per concludersi sotto l'ambasciata italiana, in Calle Lagasca. Circa 400 gitani hanno sfidato il caldo che sta attanagliando in questi giorni la capitale spagnola, per manifestare il proprio sdegno verso le notizie che arrivano dall'Italia riguardo ai loro «fratelli rom».

Nella Glorieta Rubén Darío, dove si sono concentrati i manifestanti, sono giunte delegazioni da ogni angolo della Spagna: Asturia, Andalusia, Extremadura, Paesi Baschi, Galizia, Catalogna, le due Castiglie, oltre, naturalmente, alla comunità madrileña.

La manifestazione è stata indetta dall'Unión Romaní spagnola e guidata dal suo presidente, Juan De Dios Ramírez Heredia, il primo rom eletto nel Parlamento europeo, il gitano che rappresentò il suo popolo nel primo governo postfranchista e la cui firma è posta sotto la Costituzione spagnola, come ha rivendicato orgogliosamente durante il discorso finale.

Molte le bandiere del popolo rom, azzurre e verdi con una ruota rossa al centro, altrettanti i cartelli che spiegavano il senso della manifestazione, con impresse le immagini provenienti dall'Italia dei roghi ai campi rom di Ponticelli e delle due bambine affogate a Torregaveta che giacciono sulla sabbia della spiaggia napoletana fra l'indifferenza generale. Entrambi episodi accaduti nella solitamente tollerante città partenopea.

Ad accompagnare le immagini le scritte «Contro il razzismo» e «Contro l'indifferenza».

Ad aprire e chiudere il corteo sono state le parole di Juan De Dios, che ha ribadito il messaggio di «pace, tolleranza e allegria di cui il popolo rom si fa portatore» e «la totale intransigenza contro proposte razziste e aberranti come prendere le impronte digitali ai minori rom».

Quando, a fine corteo, ci presentiamo come giornalisti italiani, la prima cosa che Juan de Dios intende mettere in chiaro è la profonda insoddisfazione che ha provato nel vedere tra gli striscioni quello che paragonava Berlusconi  Mussolini, che ha fatto immediatamente rimuovere: «Questa non è una manifestazione che vuole colpire il governo democraticamente eletto dagli italiani e sarebbe sbagliato che il messaggio che arriverà in Italia sia questo. Naturalmente è una manifestazione contro i comportamenti razzisti, contro l'indifferenza e l'intolleranza, ma non contro il governo italiano in quanto tale».

Juan de Dìos è venuto l'ultima volta in Italia due mesi fa, per partecipare alla manifestazione organizzata dalla neonata Federazione dei sinti e rom, guidata da Alexian Santino Spinelli, a Roma l'8 giugno scorso: «Il problema della situazione italiana», spiega, «è prima di tutto numerico. Qui in Spagna ci sono circa 700 mila gitani, quasi tutti spagnoli, ben inseriti nei meccanismi della società. In Italia i rom sono solo 150 mila e di questi poco più della metà sono italiani, condizione che li rende una minoranza che ha difficoltà ad organizzarsi». In secondo luogo si tratta di politiche adeguate: «Non ci si può aspettare che un popolo che vive da anni nel fango e nella disperazione possa dalla notte al giorno alfabetizzarsi, uscire dalla marginalità e integrarsi. C'è bisogno di una politica illuminata, che non consideri la repressione la strada da seguire. Il nostro è un popolo abituato a soffrire e nei secoli è sopravvissuto a qualsiasi tipo di oppressione. L'unica via è quella di coinvolgere i rom, parlare con i suoi rappresentanti e renderli padroni del loro destino».

Più duro con il comportamento del governo italiano è Isidor Rodriguez, presidente della Fundación Secretariado Gitano di Madrid e componente dell'European Roma Policy Coalition: «Quello che sta accadendo nel vostro paese è molto pericoloso, il governo italiano sta violando i trattati e gli accordi europei, in primis la direttiva 2000/43 sulla parità di trattamento fra le persone, indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica».

Prosegue Rodriguez: «Deve essere il ministro delle Politiche sociali, e non quello dell'Interno, ad occuparsi della situazione dei rom; i provvedimenti devono essere di carattere sociale e non di ordine pubblico». E riguardo alla situazione spagnola: «La nostra condizione e il clima intorno a noi va migliorando costantemente, ma questo non esclude che in periodi di crisi sociale ed economica l'intolleranza possa apparire di nuovo. L'importante è che non ci sia l'avallo di sentimenti razzisti da parte del governo e dei media, come purtroppo sta avvenendo in Italia».

Concetto ribadito anche da Antonio Vásquez Saavedra, vicepresidente del Consiglio statale del popolo gitano, organo dipendente dal ministero dell'Educazione spagnolo: «Ci sono anche qua barriere e differenze da superare, però nel nostro Paese non c'è un razzismo orchestrato e promosso dal governo. Al contrario esistono organi governativi con partecipazione gitana che promuovono politiche e manifestazioni per promuovere il nostro popolo e la nostra cultura»

http://www.granma.cu/italiano/
51  Lingua e cultura ROM / Abitare / Le Monde: In Calabria il ''ghetto'' dei Rom. La baraccopoli di Lamezia il: 13 Agosto 2008 - 06:37:55
Martedì, 05 Agosto 2008
Le Monde: In Calabria il ''ghetto'' dei Rom. La baraccopoli di Lamezia

      Il campo nomadi di contrada Scordovillo di Lamezia Terme
      finisce sulle pagine di "Le Monde", il quotidiano francese piu' diffuso al mondo.
     
      In particolare, il quotidiano francese ha pubblicato il primo agosto a pagina 8 un articolo
      dove viene descritta la situazione dei rom che vivono nella baraccopoli
      della quarta citta' della Calabria. Nell'articolo, intitolato "In
      Calabria, il campo 'provvisorio' dal 1982 si e' trasformato in ghetto", si
      parla della baraccopoli, di come vivono i rom, ma anche di quel che pensa
      il sindaco della citta' Gianni Speranza con alcune testimonianze di rom e
      anche di lametini che lavorano nella cooperativa sociale Ciarapani'.


      "I fiori di plastica abbelliscono le finestre delle baracche - si legge
      nell'articolo pubblicato su "Le Monde" - i bambini giocano tra le
      pozzanghere d'acqua. Poi c'e' un muro di 4,5 metri d'altezza e lungo 50
      metri. Il muro c'era gia' quando siamo arrivati - ha detto all'inviato di
      'Le Monde' uno dei rom, Massimo Berlingieri - ma a poco a poco e' stato
      alzato ed e' stato messo del filo spinato per impedirci di saltare
      dall'altra parte. Il muro - prosegue l'articolo - separa il resto della
      citta' degli Italiani, al di qua si vive in condizioni disumane". Nel
      testo si racconta anche di come vive "Zi Antonio", memoria storica del
      campo, che la sera prima di andare a dormire chiama una dozzina di ragazzi
      che arrivano con dei bastoni e lo aiutano a togliere i topi dalla sua
      baracca. "Le 84 famiglie che sono state messe nel campo 'provvisorio' dal
      1982 chiedono solo un alloggio decente - prosegue il giornalista nel suo
      articolo - nel campo nomadi di Lamezia vive la piu' forte comunita' rom
      del Sud dopo Napoli. Anche se ci sono le condizioni per accedere agli
      alloggi popolari, tutto e' bloccato". A questo punto, il giornalista
      riporta il pensiero del sindaco Gianni Speranza: "C'e' l'empasse - ha
      detto il primo cittadino - il rialloggiamento nelle case popolari e' la
      sola soluzione, e si finira' a questo, ma quel giorno io credo ci sara'
      una guerriglia contro i rom". L'inviato speciale di "Le Monde" scrive
      inoltre che "i rom sono accusati di provocare dei fumi tossici incendiando
      i pneumatici per prelevare del materiale da rivendere. Gli si rimprovera
      di avere trasformato gli spazi del campo in luoghi di smaltimento di
      rifiuti ingombranti e tossici". Nella parte conclusiva dell'articolo c'e'
      anche una dichiarazione di Marina Galati, presidente dell'associazione
      Ciarapani. "Sono dei cittadini - ha detto al giornalista Marina Galati -
      e' scandaloso che li hanno chiusi in un ghetto, dato che hanno i diritti,
      come tutti, alla scolarizzazione, alla formazione, all'opportunita' di
      lavorare e ad un alloggio". Ma, conclude l'articolo, "la paura dei rom,
      che denunciano la sinistra, le associazioni cattoliche, allontana tutte le
      soluzioni. Il muro di Lamezia Terme non cadra' presto".

C:\Documents and Settings\Luisa\Desktop\CatanzaroInforma_it - Catanzaro Informa il giornale online della città di Catanzaro - catanzaro informa, notizie, eventi, eventi.htm
52  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / ROMA: CRI PROSEGUE CENSIMENTO. EMERGE FORTE DEGRADO il: 12 Agosto 2008 - 07:12:11
CRI, PROSEGUE CENSIMENTO. EMERGE FORTE DEGRADO 
 
(ASCA) - Roma, 12 ago - I riflettori sul censimento dei rom negli insediamenti abusivi della Capitale si sono abbassati ma l'operazione della Croce Rossa italiana prosegue senza sosta anche durante il mese di agosto. In questi giorni e' stato completata la mappatura degli insediamenti nel quadrante sud di Roma. ''L'operazione prosegue senza intoppi'', spiega all'ASCA il presidente della Cri, Massimo Barra, che sottolinea le condizioni di ''forte degrado'' riscontrata dagli uomini della associazione.

''C'e' in alcuni posti sconosciuti che per fortuna abbiamo portato all'attenzione dell'opinione pubblica una condizione di forte degrado''. Il riferimento e' in particolare alle condizioni dei minori, oggetto della querelle internazionale sull'ipotesi, a Roma non percorsa, di rilevarne le impronte digitali. ''In molti casi abbiamo registrato assenza di vaccinazioni in bambini in eta' prescolare'', afferma Barra che ricorda quali sono i compiti della Croce Rossa: ''noi procediamo con l'identificazione dei presenti e diamo loro un tesserino che gli consente di usufruire gratuitamente dell'assistenza sanitaria presso i nostri ambulatori''.

Entro il 15 ottobre l'operazione sara' portata a termine, e per il futuro cosa ci si puo' augurare? ''L'obiettivo possibile e' creare campi nomadi regolari dotati di tutti i servizi e di una stazione fissa della croce rossa all'interno che sarebbe una soluzione di garanzia per tutti: ben vista dai rom e dall'opinione pubblica'', spiega Barra. Un'idea che il presidente della Cri aveva sottoposto all'allora sindaco della Capitale, Walter Veltroni, ''che la defini' buona ma poi non se ne fece nulla''.

Ora invece la proposta del presidente della croce rossa e' finita sulla scrivania del ministro Maroni e ci sono buone possibilita' che venga messa in atto. Il ruolo di garante, del resto, e' garantito proprio dallo spirito umanitario che anima la Cri. ''Noi siamo ausiliari dei governi, che siano di destra o sinistra. La nostra missione e' quella di fornire assistenza umanitaria'', sottolinea Barra, che di impronte ai bimbi rom non vuol sentire parlare. ''Ci mancherebbe che la Cri si mettesse a fare la polizia...''.

Intanto ieri la comunita' Rom di via delle Cave di Pietralata si e' rifiutata di essere ''censita'' dalla Croce Rossa italiana. Il comitato di appoggio in una nota spiega che ''la comunita' rom ha occupato lo scorso 14 febbraio un capannone abbandonato perche' minacciata di sgombero nel precedente campo di fortuna di via dei Quintiliani. In questo modo, la comunita' Rom ha dato una soluzione alle proprie necessita' abitative, migliorando la qualita' della vita delle 60 persone che qui vivono''.

Con il sostegno delle associazioni del territorio (Arci, Bottega Tutti giu' per terra, DiversaMente ed altre), la comunita' Rom ''ha avviato un dialogo costruttivo'' con le istituzioni del Municipio 5, con la parrocchia, con le scuole e ha lanciato un appello per sostenere l'occupazione che ha gia' ottenuto migliaia di firme dalla cittadinanza romana: ''si chiede di poter sviluppare l'autorecupero di uno stabile abbandonato, e che nell'area attualemente occupata si possa finalmente realizzare il giardino pubblico per il quartiere''.

dnp/mcc/ss
 
http://www.asca.it/moddettnews.php?idnews=771921&canale=ORA&articolo=ROMA/NOMADI:%20CRI,%20PROSEGUE%20CENSIMENTO.%20EMERGE%20FORTE%20DEGRADO
53  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Roma, comunità Cave Pietralata rifiuta censimento C. Rossa il: 12 Agosto 2008 - 07:08:54
Roma, comunità Cave Pietralata rifiuta censimento C. Rossa
Un comitato d'appoggio: "Basta razzismo"

Roma, 12 ago. (Apcom) - La Comunità Rom di via delle Cave di Pietralata, a Roma, ieri si è rifiutata di essere censita dagli uomini della Croce Rossa italiana.

Lo rende noto il Comitato di appoggio all'occupazione di Via delle Cave di Pietralata, spiegando che la comunità Rom è occupante di un'area pubblica e parte del movimento di lotta per la casa cittadino.

La comunità Rom ha occupato lo scorso 14 febbraio via delle Cave di Pietralata perché minacciata di sgombero nel precedente campo di fortuna di via dei Quintiliani: "In questo modo - spiega il comitato di appoggio - la comunità Rom ha dato una soluzione alle proprie necessità abitative, migliorando la qualità della vita delle 60 persone che qui vivono".

"Con il sostegno delle associazioni del territorio (Arci, Bottega Tutti giù per terra, DiversaMente ed altre), la comunità Rom ha avviato un dialogo costruttivo con le istituzioni del Municipio 5, con la parrocchia, con le scuole. La comunità Rom ha recuperato uno spazio abbandonato pulendo il capannone e l'area occupata, usufruisce dei servizi di zona, ha buone relazioni con gli abitanti del quartiere, le bambine ed i bambini hanno iniziato un percorso scolastico regolare".

Un appello lanciato per sostenere l'occupazione ha già ottenuto migliaia di firme dalla cittadinanza romana: si chiede di poter sviluppare l'autorecupero di uno stabile abbandonato e che nell'area attualemente occupata si possa realizzare un giardino pubblico per il quartiere.

Il Comitato di appoggio all'occupazione di Via delle Cave di Pietralata chiede infine che "finiscano le discrimanzioni ed il razzismo verso le minoranze ed i migranti presenti sul territorio italiano".


http://notizie.alice.it/notizie/cronaca/2008/08_agosto/12/nomadi_roma_comunita_cave_pietralata_rifiuta_censimento_c_rossa,15727475.html
54  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Il caso Famiglia Cristiana - Critiche al piano sicurezza il: 12 Agosto 2008 - 10:53:10
Polemica Il ministro della Difesa: l'esercito contro le morti bianche
«Giochi inutili con soldatini come fossimo in Angola». Il caso Famiglia Cristiana
Critiche al piano sicurezza. La Russa: idee da '68

ROMA — Famiglia Cristiana, il settimanale cattolico con una diffusione record, ora attacca frontalmente il governo sulla politica per la sicurezza, accusandolo di voler scatenare «una guerra tra poveri». In un editoriale, il periodico delle Edizioni Paoline diretto da Antonio Sciortino non fa sconti all'esecutivo: «La verità è che il Paese da marciapiede i disagi li offre da tempo ma la politica li toglie dai titoli di testa, sviando l'attenzione con le immagini del "Presidente spazzino", l'inutile gioco dei soldatini nelle città, i finti problemi della sicurezza. Neanche fossimo in Angola...». E non manca una stoccata al sindaco Gianni Alemanno per la sua intenzione di vietare ai poveri di rovistare nei cassonetti, iniziativa di nuovo stigmatizzata ieri dal cardinal Martino (presidente del Pontificio consiglio Giustizia e pace) dai microfoni di Radio Vaticana.

L'attacco di Famiglia Cristiana arriva nel giorno in cui il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, rilancia e propone di usare i militari anche per affiancare i carabinieri che controllano la sicurezza del lavoro nei cantieri e nelle fabbriche. Il ministro, tuttavia, non si scompone più di tanto davanti alle critiche: «"Giochi di soldatini inutili"?. Lo dicano ai cittadini... Ci sono reminiscenze pseudo-ideologiche che vengono da sinistra ma anche da certi cattocomunisti con un atteggiamento post-sessantottino, antico, che è duro a morire». A La Russa si unisce il ministro iper-cattolico Gianfranco Rotondi: «Famiglia Cristiana usi un linguaggio cristiano». Gaetano Quagliarello (Pdl) ironizza: «Cambi nome e si chiami "Famiglia Cristiana per il Socialismo"». E, chiamato in causa, reagisce Alemanno che rivendica le «ordinanze antidegrado» come utile strumento «contro il racket e non contro i poveri».

Dal fronte dell'opposizione interviene il senatore Giorgio Tonini (Pd) che dà ragione al settimanale: l'affermazione su «un'Italia da marciapiede è da condividere». Ma è già polemica sulla proposta di La Russa di affiancare ai 470 uomini in forza al Comando carabinieri per la tutela del lavoro i colleghi della Arma territoriale e, «temporaneamente e qualora si rendesse necessario», anche i soldati del Genio per predisporre un dispositivo di «controlli a tappeto», o «quanto meno di visite a sorpresa molto più frequenti degli attuali» nei cantieri, nelle fabbriche, nei laboratori artigiani e ovunque ci siano operai e operaie a lavoro. L'operazione cantieri sicuri, che per ora sembra essere spinta soprattutto da An (il piano lo hanno studiato i senatori Alessio Butti e Pierfrancesco Gamba), dovrà trovare il suo punto di sintesi in consiglio dei ministri. Tutto, spiega La Russa, «va fatto nell'ottica di un'intesa che non ho ancora espletato, e quindi stiamo parlando di ipotesi, con il ministero del Welfare Sacconi che ha molto a cuore questo problema». Lapidario il segretario Prc, Paolo Ferrero: «Più che il governo della Repubblica italiana sembra di avere davanti una giunta militare sudamericana...».

Bocciature anche dalla Cgil e dall'ex ministro Cesare Damiano che ha chiesto all'esecutivo un po' di coerenza: «Risulta fortemente imbarazzante promettere da un lato l'invio dell'esercito e l'aumento dei carabinieri e, dall'altro, manomettere le tutele del testo unico sulla sicurezza e tagliare le risorse per le ispezioni». In realtà, osserva La Russa, la proposta di «utilizzare i militari nei cantieri l'ho letta sull'Unità» quando ancora non si sapeva «che noi alla Difesa ci stavamo lavorando sopra»: «Io, comunque se continua questo batti e ribatti ideologico sono pronto a fare retromarcia». Per il ministro, però, il dato politico è stato evidenziato: «Questo tema è stato giustamente occupato culturalmente dalla sinistra ma sia chiaro che la sicurezza nei cantieri è nelle corde anche di una parte cospicua del Pdl. La mia sicuramente».

D. Mart.
12 agosto 2008

http://www.corriere.it/politica/08_agosto_12/famiglia_crstiana_critiche_piano_sicurezza_3395218c-681f-11dd-859b-00144f02aabc.shtml
55  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / INCONTRO tra CRI e PRESIDENTE della CROCE ROSSA ROMENA SUL CENSIMENTO il: 12 Agosto 2008 - 09:10:08
INCONTRO BARRA (CRI)-PRESIDENTE CROCE ROSSA ROMENA SU CENSIMENTO 


(ASCA) - Roma 30 lug - I primi risultati e il significato del censimento nei campi Rom a Roma intrapreso dal Comitato Provinciale della Croce Rossa di Roma sono stati al centro dei colloqui tra il presidente della Cri, Massimo Barra, e la sua collega romena Mihaela Geoana.

I due Presidenti si sono trovati concordi nel sottolineare la valenza umanitaria della attivita' di contatto intrapresa dai volontari della Cri di Roma nei campi abusivi e in quelli autorizzati della Capitale. Per facilitare al massimo i rapporti con i cittadini di origine romena Volontari della Consorella si uniranno nelle prossime settimane a quelli italiani in squadre miste come mediatori culturali. Massimo Barra e Mihaela Geoana si sono rallegrati del clima accogliente che ha circondato i Volontari della CRI nei primi campi visitati, cosi' come della reazione positiva della maggioranza dell'opinione pubblica e dei media italiani, mentre hanno convenuto che ancora alcuni pregiudizi non hanno consentito ai media e all'opinione pubblica internazionale di valutare appieno l'operazione che per ampiezza e sistematicita' non ha precedenti. I due Presidenti si terranno in stretto contatto nell'immediato futuro per aumentare le attivita' comuni delle Societa' Nazionali Consorelle, contribuendo cosi' alle buone relazioni tra Romania e Italia. res-map/mcc/alf

(Asca)

 
http://www.asca.it/moddettregione.php?id=305940&img=&idregione=&nome=&articolo=NOMADI:%20INCONTRO%20BARRA%20(CRI)-PRESIDENTE%20CROCE%20ROSSA%20ROMENA%20SU%20CENSIMENTO
56  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Rimini: Donna rom denunciata per abbandono di minore, le levano i 4 figli il: 12 Agosto 2008 - 01:52:24
Rimini: donna rom denunciata, faceva chiedere l'elemosina alla figlia

Una bimba rom di quattro anni, nata a Bologna, è stata trovata da una Volante della polizia mentre girava da sola in strada a Rimini. Gli agenti poco dopo hanno trovato la madre, venticinquenne, che con gli altri tre figli - di 9, 6 e appena un anno - era in spiaggia a chiedere l' elemosina.

È stato rintracciato anche il padre e tutti sono stati poi portati in Questura, dove si è scoperto che la donna era già stata colpita da un mandato di rintraccio della Procura per i minori del capoluogo emiliano.

È stata denunciata per abbandono di minore, mentre i figli sono stati accompagnati in una struttura protetta 

11/08/2008 21:31
http://unionesarda.ilsole24ore.com/unione24ore/?contentId=37006
57  Lingua e cultura ROM / Nello spazio e nel tempo: il viaggio / In Italia: cultura e musica il: 12 Agosto 2008 - 01:40:29
In Italia: cultura e musica
di Nico Staiti

Con la parola “zingari”i si sogliono definire i lontani discendenti di popolazioni provenienti dal nord dell’India, che intorno al Mille sono state spinte ad emigrare da quelle zone da problemi politici ed economici, e che in seguito si sono distribuite in diverse zone dell’Asia, dell’Europa, del nord-Africa e, successivamente, dell’America settentrionale e meridionale e dell’Oceania. Il romani - la lingua parlata dalla maggior parte dei gruppi zingari in innumerevoli varianti dialettali - è una lingua indiana, modificata da innesti di varia provenienza, nei quali si rinvengono le tracce dei percorsi seguiti da ciascuno di essi. Agli ambulanti indiani si sono variamente mescolati, fin dall’inizio del loro esodo e poi ancora in varie zone e in varie epoche, marginali e ambulanti di diversa origine e provenienza; tratti zingari e tratti allogeni si sono trasmessi tra gli uni e gli altri rendendo a volte indistinguibili i due insiemi. Elementi lessicali del romani sono entrati a far parte di vari gerghi locali, e parole di gergo di marginali e artigiani non zingari sono penetrati nel romani.

Il nomadismo, o anche il semplice ambulantato dei diversi gruppi in genere e normalmente (in periodi non critici, che costringono a spostamenti di ampio rilievo e di lungo periodo) si svolge ciclicamente su aree alquanto ristrette, all’interno di un territorio mappato per mercati, luoghi di ricovero, servizi di vario genere.

Dunque gruppi genericamente definibili come zingari in varie parti del mondo si sono mossi, si muovono, si sono fermati e si fermanoi in aree circoscritte, ove specializzano la propria cultura e le proprie attività in relazione all’ambiente circostante.

Ciascun gruppo ha elaborato orizzonti culturali, sistemi mitici e religiosi, abitudini di vita modellati in buona misura su quelli delle popolazioni presenti nell’area sulla quale insistono, sia pur salvaguardando delle specificità che consentono loro di non essere assorbiti da queste.

Gli zingari in Italia: rom, caminanti, sinti

In Italia attualmente sono presenti numerosi gruppi zingari, arrivati in epoche diverse, e seguendo percorsi differenti. La prima notizia certa della presenza di zingari in Italia risale al 1422: si tratta di un gruppo di un centinaio di persone, che sosta a Bologna e dice di essere diretto a Roma. Da allora in avanti è documentata la presenza in Italia di diverse comunità.
Quello di più antica presenza è il grande gruppo dei Rom dell’Italia centro-meridionale, arrivati verosimilmente da aree balcaniche via mare e insediatisi in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria fin dal XV sec. Il loro romani, fortemente influenzato dai dialetti regionali, oggi è quasi del tutto abbandonato in favore di questi: la lingua zingara sopravvive pressoché esclusivamente nella memoria degli anziani e nell’uso di alcune frasi con funzione di gergo.
Esercitavano le attività di fabbri e mercanti di equini. Fino agli anni successivi la seconda guerra mondiale durante la bella stagione giravano per i mercati con carrozzoni trainati da cavalli; svernavano vicino a qualche borgo, in stalle o fienili presi in affitto.

Adesso si sono tutti “fermati” in baraccopoli adiacenti le città o in quartieri di periferia; hanno macellerie equine, fanno gli sfasciacarrozze, i rottamai, lavorano il ferro e vendono i prodotti della loro attività (treppiedi, pale, zappe, pale da forno, ferri da calza, ferri per fare la pasta, scacciapensieri, azzarini) nei mercati rionali e di villaggio, chiedono l’elemosina.
Alcuni di essi praticano l’attività di usurai; in qualche caso sono legati al mondo della malavita non zingara, di cui conoscono il gergo e le norme di comportamento. Parecchie famiglie continuano a praticare un nomadismo stagionale: durante l’estate si spostano nelle grandi città del Nord, ove le donne chiedono l’elemosina e predicono la ventura e gli uomini vanno in giro con dei finti organetti di Barberia (carrettini tirati a mano e variamente decorati, all’interno dei quali è occultato un magnetofono a cassette).

Sono di religione cattolica; la loro partecipazione ad alcune feste religiose le influenza in maniera determinante: è il caso, ad esempio, della festa di S. Rocco a Torrepaduli, in provincia di Lecce, cui intervengono i Rom del Salento, e della festa dei SS. Cosma e Damiano a Riace (CZ), che vede la partecipazione dei Rom calabresi. In entrambi i casi la presenza degli zingari, simultanea a quella dei contadini, è sensibilmente diversa da questa: i contadini trascorrono la notte accampati in chiesa, seguono la processione cantando, suonano e danzano la tarantella solo in spazi e in momenti a margine della festa vera e propria; gli zingari si accampano in automobili, camion o furgoni, nei pressi del santuario.

A Riace precedono la processione danzando; a Torrepaduli, dopo la processione, si impadroniscono del sagrato dando vita per tutta la notte a delle “ronde” di “pizzica”.
Qui agli zingari (e, in misura minore, ad altri marginali e a gente di malavita) spetta prevalentemente il ruolo di danzatori, ai contadini quello di suonatori di tamburello e di armonica a bocca. La tarantella ballata a Torrepaduli in occasione della festa di S. Rocco è detta la “scherma”: due uomini si affrontano danzando, indice e medio della mano destra tesi a simulare la presenza di un coltello, e duellano fino a che uno dei due contendenti viene toccato per la terza volta dalle dita dell’avversario. Alcuni Rom salentini sostengono che la “scherma” viene “dalle Calabrie”. E in provincia di Reggio Calabria viene danzata una tarantella di questo genere, detta, anche lì, “scherma”, o “tarantella maffiusa”.

In Calabria non è tipica degli zingari, ma è danza di contadini e, soprattutto, di pastori e di gente di malavita. Come in Salento, i danzatori mettono in scena, con la “scherma”, la propria appartenenza ad un ambiente maschile in cui è elemento fondante la capacità di confronto virile di ogni individuo con altri individui appartenenti allo stesso gruppo.

Dei Rom del Salento che sono oggi gli interpreti principali della “scherma” locale è documentata la provenienza dalla Calabria, nel secolo scorso; è del tutto verosimile che siano stati loro ad importarla dalla provincia di Reggio in quella di Lecce. Gli zingari insomma hanno svolto ruolo di mediatori di tradizioni tra due diverse regioni dell’Italia meridionale, e interpretano, a Torrepaduli come a Riace, un ruolo diverso da quello degli altri partecipanti alla festa e ad esso complementare.

Si assiste insomma alla divisione di ruoli e di comportamenti tra zingari, contadini e pastori, che insieme e separatamente concorrono a formare un orizzonte culturale costituito da più componenti di diversa natura. I Caminanti siciliani, venditori ambulanti che, con bancarelle di semi di zucca, ceci abbrustoliti, torroni, palloncini girano per le feste patronali in Sicilia e risiedono per lo più a Noto in provincia di Siracusa, sono forse una casta di ambulanti e marginali autoctoni, nel cui linguaggio sono penetrati elementi gergali mutuati dal romani e che si sono variamente ibridati con gruppi zingari allogeni.

Un segmento recente della loro storia illustra bene i modelli di relazione e le forme di ibridazione tra gruppi diversi, anche di diversa origine: recentemente un matrimonio tra una ragazza appartenente al gruppo dei Caminanti e un Rom croato, di una famiglia residente da tempo a Milano, ha rafforzato i rapporti tra le due comunità, che dapprima si limitavano a condividere saltuariamente la città di Milano come luogo di migrazione stagionale. Questi rapporti in seguito sono stati consolidati da altri matrimoni, che hanno allargato il numero delle famiglie coinvolte in questi nuovi legami di parentela. La malattia e la lunga degenza ospedaliera di un Rom croato l’inverno scorso ha mosso parecchie famiglie di Caminanti dalla Sicilia, e ha determinato il sorgere di un grosso accampamento provvisorio nei pressi dell’ospedale, in cui convivono croati e siciliani.

I Rom croati residenti a Milano e i Caminanti ad essi imparentati, sebbene mantengano delle identità differenziate, hanno acquisito degli elementi culturali in comune: quelli perlomeno che derivano dalla sinergia delle due tradizioni applicata alla nuova esperienza condivisa. Il nuovo accampamento ospita ora quelli che si potrebbero definire, per certo verso, degli “zingari di Milano”, con una propria identità, diversa da quella dei gruppi d’origine.
I Sinti, che popolano l’Italia settentrionale (detti Sinti piemontesi, veneti o emiliani a seconda della regione in cui hanno soggiornato di più e di cui hanno fatto proprio il dialetto), sono verosimilmente arrivati in Italia a più riprese e in varie epoche dalla Francia e dai paesi di lingua tedesca, ove sono ancora massicciamente presenti. Parlano, oltre ai dialetti regionali, il sinto, che è uno dei dialetti romani. Le loro attività tradizionali sono la vendita e l’elemosina porta a porta, la fabbricazione e la vendita di piccoli oggetti d’artigianato (ad esempio fiori di carta e, recentemente, bottiglie di bibite rimodellate a caldo in forme allungate e contorte), i mestieri legati ai luna-park (giostre, tiro a segno, autoscontro ecc.) e ai circhi.

I loro costumi non differiscono in maniera sostanziale da quelli dell’altra gente che appartiene al mondo della piazza, dello spettacolo popolare, della marginalità urbana in Italia settentrionale. Molti di essi, in Italia come in Francia, in Austria, in Germania, sono di culto evangelico avventista; i Sinti veneti ed emiliani venerano S. Antonio, per la cui festa si recano in massa a Padova. Alcuni di essi - quelli che hanno mantenuto le attività di giostrai o circensi - sono nomadi; gli altri si sono “fermati” da 15/20 anni, col diminuire dei proventi delle occupazioni girovaghe e con la maggiore difficoltà di reperire aree autorizzate e attrezzate per la sosta temporanea.

Vivono per lo più in campi nomadi alle periferie delle città del Nord, in roulotte o in container. Sebbene spesso vi abitino da molti anni, hanno mantenuto in certa misura una forma di vita segnata dal viaggio, dall’abitudine allo spostamento: un campo di Sinti in genere si distingue da altri campi di zingari perché non vi sono state edificate baracche o altre strutture più o meno stabili. Vi si vedono di solito soltanto le roulotte e, accanto ad esse, l’automobile e pochi oggetti (uno stendibiancheria piegevole, qualche giocattolo dei bambini): come se, raccolte queste poche cose, si dovesse esser pronti a partire anche immediatamente.

Sono, o sono stati, professionisti dello spettacolo popolare: per l’attività circense, ma anche perché alcune famiglie localizzate in Alto Adige affiancano alle altre attività consuete dei Sinti quella di musicisti professionisti: con chitarra e violino eseguono repertori di varia origine e provenienza; la loro presenza marca l’estrema periferia, si potrebbe dire, della diffusione della tradizione musicale “tzigana” che ha il suo epicentro in Ungheria.

A questi gruppi di antica permanenza in Italia recentemente - nel corso del nostro secolo - se ne sono aggiunti degli altri: Rom provenienti dalla Slovenia, dalla Romania, dall’Ungheria, dalla Croazia, dalla Macedonia, dalla Bosnia, dal Kosovo, dal Montenegro, che si sono variamente distribuiti su tutto il territorio italiano, come in altri paesi dell’Europa occidentale.

L’immigrazione più recente - e forse numericamente più rilevante - è quella determinata dagli sconvolgimenti politici e dalla guerra nell’ex-Iugoslavia, che hanno condotto numerosi gruppi di zingari bosniaci e, soprattutto, kosovari a lasciare queste aree, in cui erano insediati da molto tempo. Al pari di quanto è avvenuto in Italia coi Sinti, i Caminanti, i Rom di antico insediamento, i Rom balcanici avevano fatto propri gli orizzonti culturali delle aree su cui hanno insistito per secoli, contribuendo in modo determinante alla loro definizione.

Come gli zingari italiani, gli zingari dell’ex-Iugoslavia sono divisi in una quantità di gruppi diversi per sistemi religiosi, dialetti, tradizioni, costumi, aree elettive di presenza. Le denominazioni relative alla religione di appartenenza - che nell’ex-Iugoslavia distinguono i due insiemi dei cristiano-ortodossi e dei musulmani - denunciano in maniera particolarmente evidente la contiguità di due distinti insiemi di zingari a una cultura diversa dalla propria ma - ad un tempo - il loro distinguersi dalle altre popolazioni che vivono nella medesima zona e afferiscono al medesimo orizzonte culturale. “Dassikhané” (che è il nome dei cristiano-ortodossi) significa infatti, nel romani dei musulmani del Kosovo e del Montenegro, “al modo dei Serbi”, mentre “Khorakhané” (che è il nome dei musulmani) “al modo del Corano”, cioè dell’Islam. I costumi e i riferimenti culturali dei Dassikhané sono, pur con una loro specificità, riferibili a quelli delle popolazioni serbe; quelli dei musulmani sono fortemente segnati dall’influenza islamica e in specie dalla cultura turca).

Svolgono, gli uni e gli altri, attività musicale professionale: nei Balcani le orchestre che offrono i loro servigi per occasioni di festa pubbliche e private sono per lo più formate da zingari.


Una tradizione continuamente rinnovata

Gli zingari tutti insomma sono, all’interno di comunità più vaste, delle quali hanno acquisito gli orizzonti culturali, un gruppo con una forte identità sociale, che si distingue dal resto delle comunità per l’uso della lingua (che affianca ma non sostituisce del tutto quella locale) e, in parte, per le attività professionali e per quello che potremmo definire le modalità di interpretazione delle tradizioni locali o, forse meglio, per il particolare ruolo da essi assolto nella società variegata e stratificata di cui sono parte. Sono di regola (o sono stati fino a tempi recenti), dappertutto, allevatori e mercanti di equini, fabbri (poi ferrivecchi e sfasciacarrozze), mendicanti, musicisti, danzatori, giocolieri, ammaestratori di cavalli, giostrai, gente di circo.
Definiscono se stessi, in prima istanza, per differenziazione da altri gruppi sociali: sono, forse soprattutto, non contadini: dunque non legati alla terra, al padrone, al ciclo delle stagioni, alla sedentarietà. Il ruolo giocato nella definizione dell’identità dalla diversa matrice etnica è senza dubbio storicamente rilevante ai fini della determinazione della collocazione attuale degli zingari all’interno della società più ampia in cui vivono e agiscono, e con cui variamente interagiscono; questa non sembra tuttavia al presente che una delle componenti, e non tra le più evidenti, della loro identità, quale viene percepita da loro stessi e da chi li circonda.

I Rom slavi, sebbene in larga parte non nomadi, hanno tradizionalmente esercitato, come altri gruppi zingari, attività non legate alla terra, a volte a carattere ambulante: il che spiega peraltro perché l’esodo verso Occidente di popolazioni serbe, bosniache, albanesi a seguito della guerra nell’ex-Iugoslavia abbia a grande maggioranza interessato gente Rom, con un’intensità tale da ricordare quel che dovette avvenire quando la guerra e la fame, intorno al Mille, spinsero i gruppi “zingari” del nord dell’India, anche allora, a disperdersi verso Occidente.
Questi non-contadini, e in parte, forse in passato più che oggi, ambulanti, mercanti di cavalli, commercianti, calderai, e musicisti, saltimbanchi si sono specializzati come interpreti professionali o semi-professionali delle tradizioni locali. Tradizioni locali, ovviamente, dei paesi in cui hanno soggiornato più a lungo: i Rom bosniaci e kosovari, occorre sottolinearlo, in Italia oggi sono, nella loro percezione del mondo che li circonda come nella percezione che questo mondo ha di loro, doppiamente stranieri: perché slavi e perché zingari. Il processo di appropriazione di elementi di cultura locale e di ibridazione dei propri costumi con quelli del nuovo paese di residenza è appena iniziato; di questo si proverà, nelle pagine che seguono, a dar conto.
I Rom più che un’etnia, suddivisibile in sub-etnie, sono - sia pure in parte in ragione di una differenza etnica - una casta di artigiani e di marginali, e di interpreti specializzati delle tradizioni - siano esse turche, albanesi, serbe, macedoni o altro ancora - e di diffusori di cultura: il che, peraltro, può evocare una continuità tra quelle famiglie di fabbri e saltimbanchi di casta bassa fuggite dall’India nel medioevo e gli attuali gruppi di zingari europei e medio-orientali.

I Rom, peraltro, hanno contribuito in maniera rilevante alla formazione dell’attuale patrimonio culturale delle regioni in cui vivono, o quantomeno della sua componente di derivazione islamica, in specie per quanto riguarda la musica: per la loro provenienza da Oriente e per aver esercitato l’attività musicale professionale in tutte le zone soggette alla dominazione turca.
Questi interpreti specializzati di tradizioni - e soprattutto di tradizioni musicali – sono stati responsabili, in misura rilevante, dell’importazione in Europa occidentale di strumenti e forme musicali di provenienza islamica che hanno contribuito in modo determinante alla formazione dei linguaggi musicali dell’Europa occidentale moderna.

È evidente indizio dell’attuale vitalità del ruolo culturale dei Rom il continuo rinnovarsi degli strumenti della loro tradizione, e la pronta diffusione che hanno, in seno alla comunità, certi prodotti della più moderna tecnologia: telefoni cellulari, videoregistratori, antenne satellitari sono i nuovi strumenti di un’antica oralità; del pari, saxofono, batteria, tastiere elettroniche hanno sostituito pressocché totalmente le surle e i daouli, gli oboi e i tamburi bipelli della cui diffusione nei Balcani pure i Rom erano stati artefici.

Più volte, quando mi è capitato di vedere, presso qualche famiglia residente in Italia, la videoregistrazione di una festa fatta a casa di qualche parente rimasto in Iugoslavia, in cui le danze fossero accompagnate, appunto, da surle e daouli, mi è stato detto con sprezzante ironia che si trattava di una festa di contadini, seppure sapessimo bene, loro e io, che si trattava invece di Rom, e loro parenti: ché è roba vecchia, da gente restia al cambiamento e ignorante delle cose del mondo quali sono, appunto, i contadini.

Gli strumenti musicali di recente introduzione, poi, rispetto alla fisarmonica entrata in voga presumibilmente, come in tutto il mondo popolare, all’inizio del Novecento, rappresentano una restaurazione della tradizione, e una coerente evoluzione dei suoi linguaggi, non uno stravolgimento di essa: la possibilità di costruire sulle tastiere elettroniche scale diverse dai modi maggiore e minore (e spesso i musicisti Khorakhané che vivono in Italia vanno in Tunisia a comprare strumenti, già impostati sul sistema dei maqam, costruiti dalle grandi industrie giapponesi per il mercato arabo) consente di suonare sui modi tradizionali; il glissato che si può ottenere col variatore manuale delle altezze permette di imitare le oscillazioni d’intonazione regolate sulla surla dalle labbra del suonatore, peraltro su un’estensione assai più ampia di quella consentita dal vecchio strumento (del quale il nuovo conserva talvolta il nome: mi è capitato più volte di sentir definire surla un sintetizzatore Casio o Yamaha), esasperandone anzi le peculiarità di linguaggio. Le membrane tesissime di due piccoli timpani della batteria imitano alla perfezione il suono del darabouk, il tamburo a clessidra che ancor oggi, in alcuni casi, viene utilizzato come sostituto portatile della batteria.

Il comodo manuale della tastiera, le bacchette e le elastiche e robuste membrane sintetiche della batteria, il sistema di chiavi del saxofono, i mixer, i microfoni, gli amplificatori consentono una velocità di fraseggio e una nitidezza di esecuzione, un volume e un equilibrio tra le diverse voci dell’orchestra prima irraggiungibili, che arricchiscono e rinnovano il linguaggio di tradizione in maniera anche assai evidente.

Del linguaggio di tradizione però si mantengono i caratteri fondamentali (modi, strutture ritmiche, fraseggio, formularità del repertorio, materiali melodici, relazione tra strutture fisse e improvvisazione); si mantiene, soprattutto, la tradizionale disponibilità all’innovazione, all’ibridazione di forme e materiali che è sempre stata caratteristica distintiva dei Rom, soprattutto in un mondo sostanzialmente agro-pastorale, tendenzialmente conservativo.
I Rom, oggi, continuano ad assolvere il ruolo di mediatori e diffusori di cultura in ragione del quale, secoli addietro, avevano importato da sud e da oriente surle, daouli, darabouk, tamburelli, liuti a manico lungo nei Balcani, o avevano contribuito alla diffusione tra i contadini dell’Europa orientale dell’uso del violino. Oggi l’uso di questi strumenti, pur ricordato e ancora praticato, è “da contadini”: le tastiere prendono il posto degli oboi, proprio perché i Rom continuano ad essere uguali a se stessi e fedeli al proprio ruolo.

In questo dunque, cioè nelle modalità di interpretazione e nel ruolo di divulgatori e conservatori delle tradizioni va individuata la specificità dei Rom, assai più che nell’esistenza di tradizioni appartenenti in maniera esclusiva ad essi: e l’unica, rilevante eccezione della lingua sembra ribadire, più che negare, questo particolare ruolo di casta di marginali e, al tempo stesso, di portatori di cultura all’interno di una società più vasta.


Canti e cerimonie domestiche

Un discorso a parte merita la musica domestica, suonata da musicisti non professionisti, in occasione di feste ed eventi rituali o parti di essi che non richiedono l’intervento di un’orchestra professionale. Pare verosimile, anche se una ricerca in questa direzione è ancora tutta da svolgere, che questi repertori siano quantomeno in parte meno legati alla cultura musicale locale, e abbiano invece una più marcata identità zingara.
Questo sembra vero, ad esempio, per l’abitudine, diffusa presso i Rom kosovari, di intercalare il testo di canti composti da formule stereotipe e da versi improvvisati sul momento e intonati su modelli melodici di vasta diffusione con sillabe non-sense, che svolgono la funzione di interludio, per così dire, strumentale al canto: per la quale, piuttosto che nelle tradizioni musicali del Kosovo, si possono forse cercare elementi di confronto nella mouth-music dei Rom Vlach ungheresi, in cui questo elemento informa di sé l’intera struttura dei brani cantati.
Il tamburello è assai diffuso soprattutto presso i Rom musulmani di Kosovo, Montenegro, Macedonia come strumento di accompagnamento di canti e cerimonie domestici, in particolare di un genere di canzoni a ballo detto talavà, praticato soprattutto, in ambito domestico, dalle donne, o, professionalmente, da cantori e suonatori omosessuali; non è mai utilizzato nelle orchestre professionali maschili. In queste zone l’uso del tamburello è condiviso da zingari e gagé; altrove (in Serbia, in Bosnia, in certe zone della Grecia) sembra invece essere prerogativa esclusiva dei Rom. Il tamburello, in Medio Oriente e in tutta l’area del Mediterraneo, è legato alle divinità femminili, ai riti estatici femminili, alle inversioni sessuali praticate in occasioni rituali, nelle quali gli uomini si trasformano simbolicamente in donna suonando lo strumento, che è rappresentazione del ventre e dell’imene femminili (rispettivamente la parte interna, che è una cavità, e la superficie percossa). Presso i Rom musulmani di Kosovo e Montenegro la connotazione sessuale del tamburello è avvertita con particolare forza.
Una donna, alla quale chiesi una volta se il tamburello lo suonano solo le donne o anche gli uomini, mi rispose: “lo suonano solo le donne; sì, lo suonano anche gli uomini, [ride] se suonano il tamburello vuol dire che sono buliasci (omosessuali).

E gli uomini, quando suonano il tamburello, sono più bravi delle donne, molto bravi. E mio fratello anche suona il tamburello, ed è un uomo, non è in quel modo. Ha imparato da piccolo, gli piaceva sempre, gli piaceva, sempre lo prendeva e suonava, e tanti sanno suonare, e non sono a metà”. In questo discorso, l’apparente contraddizione di frasi di opposto significato e l’uso evidente della paratassi tendono manifestamente a concentrare su un unico piano di comunicazione elementi che appartengono ai contesti rituali di uso dello strumento e al suo ruolo simbolico ed elementi che appartengono all’esperienza concreta: il tamburello è strumento femminile, che deve essere suonato dalle donne, e il fatto che venga utilizzato anche dagli uomini va sottolineato, marcando l’inversione sessuale implicita in quest’azione.
Inoltre, vi si è accennato, esiste un particolare genere musicale di canti accompagnati da questo strumento, detto talavà, i cui interpreti specializzati sono omosessuali, il quale ruolo sociale presso i Khorakhané è in genere quello di cantori e suonatori professionisti di tamburello. Nei riti nuziali il suono del tamburello marca tutte le parti della cerimonia di cui è protagonista la sposa: scandisce il ritmo del pianto rituale all’abbandono dell’abitazione paterna, e diviene suo attributo per tutta la durata della cerimonia. Ancora, nel corso della prima danza all’aperto, iniziata dalle donne di famiglia, la sposa brandisce un tamburello cerimoniale, dipinto di rosso e ornato di fiori e fronde, che non viene suonato, ma verrà utilizzato dopo la consumazione del matrimonio per contenere le lenzuola macchiate di sangue, che, avvolte in un drappo rosso, in esso verranno portate in corteo danzante nel villaggio dalle donne della famiglia dello sposo.
Dopo verrà riposto col suo contenuto in fondo al baule del corredo, e non potrà più essere mostrato in pubblico: ché sarebbe come esibire le parti intime della sposa, poiché lo strumento “è”, ormai, il ventre fecondato della ragazza.

Alla fecondità alludono peraltro numerosi altri elementi simbolici presenti nelle nozze. Agli occhi dei Khorakhané, appare evidente il nesso tra la fecondità della terra e quella della sposa novella, ciascuna delle quali rimanda all’altra in modo diretto e immediato: il pane, si dice, durante la festa di nozze viene spezzato e mangiato danzando perché il grano cresca alto e, come il grano cresce dalla terra, così la sposa abbia molti figli. Il nesso, vitale e consapevole, tra rito nuziale e festa stagionale, tra il matrimonio che unisce due persone e, per il loro tramite, due famiglie e lo hieros gamos pubblicamente celebrato nel corso di cerimonie sacre che garantiscono la fecondazione della terra e il raccolto, dunque il rapporto tra rito e mito, è assai presente alla consapevolezza della comunità (e in special modo, naturalmente, di alcuni interpreti specializzati); i complessi apparati simbolici presenti nelle cerimonie nuziali non sono residui opachi di un passato ormai osservabile solo attraverso brandelli e relitti di un mondo una volta più organico, trascinati passivamente attraverso la storia, ma elementi coerenti di una vicenda ben radicata nel presente.

I Rom, per preservare se stessi dall’annullamento attraverso l’omologazione, hanno mantenuto il ruolo, che era loro proprio fin dalle più lontane vicende indiane, di artefici, custodi e interpreti specializzati della cultura delle società in cui vivono, nelle quali la trasmissione del sapere oltre i confini, geografici e sociali, del proprio orizzonte e la sua elaborazione avviene di norma per il tramite, appunto, degli zingari o di altre caste specializzate di ambulanti e marginali: soldati, mercanti, imbonitori, carrettieri, suonatori di piazza. Lo studio delle tradizioni dei Rom, non ultime quelle musicali, in vasta parte ancora da compiere, appare uno dei nodi ineludibili delle vicende culturali dell’Europa moderna e dell’area del Mediterraneo.

L’alta consapevolezza che i Rom di Kosovo e Montenegro oggi largamente presenti in Italia e in altri paesi dell’Europa occidentale hanno della funzione dei simboli presenti nel rito mi sembra fatto assai rilevante: che gente che definisce la propria identità a partire dalle somiglianze e dalle differenze con gli altri - e che individua in prima istanza la propria specificità rispetto ai gagi nel non essere di cultura contadina - si preoccupi della crescita del grano, e che proprio questa gente metta in relazione la coltivazione dei cereali con la fecondità della sposa è cosa singolare: e non trova spiegazione coerente e attendibile se non proprio nel ruolo di interpreti specializzati di cultura svolto dai Rom all’interno di più ampie comunità. Il controllo del ciclo di coltivazione dei cereali è suddiviso per competenze: ai contadini spetta di attendere alle operazioni di semina e mietitura, ai Rom di garantire il successo di queste operazioni mantenendo viva la consapevolezza della relazione tra le nozze di due esseri umani e le nozze dell’uomo con la terra, eseguendo la danza del pane e tramandandone il senso rituale.


I campi di Palermo

Le feste nuziali, al pari di altri riti pubblici e privati, oggi vengono messi in scena dai Rom provenienti dalla ex-Iugoslavia nelle nostre città, all’interno dei campi nomadi o in sale affittate. Nella maggior parte dei casi la loro visibilità all’esterno della comunità è quasi nulla e, del pari, l’influenza di elementi “italiani” sulla messa in scena del rito è sostanzialmente irrilevante: questi gruppi di Rom sono regolarmente e massicciamente presenti in Italia da troppo poco tempo perché la loro capacità di farsi mediatori di cultura possa aver maturato dei frutti rilevanti.
Una particolare forma di sincretismo religioso, tuttavia, sembra preludere a più ampie interazioni tra i Rom e le culture locali in Italia: si tratta delle relazioni che, in Italia, una festa che già in Iugoslavia apparteneva alla tradizione sia dei Rom cristiano-ortodossi che di quelli musulmani trova con alcuni culti religiosi locali: soprattutto, ma non solo, a Palermo, con quello tributato dalla città a santa Rosalia. A Palermo vi sono attualmente due grossi insediamenti di Rom: il campo della Favorita, situato al margine del parco della Favorita, alle falde del monte Pellegrino, che domina il paesaggio, e il campo di via Messina Marine, collocato tra la strada e la spiaggia, in quella periferia indistinta che collega i villaggi costieri ad est di Palermo ormai inghiottiti dalla città, ad una estremità del golfo chiuso, dall’altro lato, dal monte Pellegrino.
Recentemente alcune famiglie hanno abbandonato i campi in favore di alloggi presi in affitto nella parte più degradata del centro storico, nei quartieri della Vucciria e della Kalsa, ove condividono i cortili su cui si affacciano le abitazioni con i vecchi abitanti del luogo, e con immigrati senegalesi e nordafricani. Altre sono andate ad abitare in alloggi popolari messi a disposizione dall’Amministrazione comunale a Bagheria. Il campo della Favorita è popolato da famiglie di Rom musulmani provenienti pressoché esclusivamente da Kosovska Mitrovica, in Kosovo. Le abitazioni sono delle baracche rettangolari, ad un piano solo, in mattoni di tufo, coperte da lamiera ondulata.

Davanti alle case sono state costruite delle verande coperte e recintate da steccati di legno. A queste abitazioni si affiancano in molti casi delle roulotte, a volte incorporate nella costruzione in muratura. Nel complesso si tratta della realizzazione in forma compiuta delle strutture abitative che i Rom appartenenti a questo gruppo tentano di edificare, in genere con scarso successo, in ogni campo loro assegnato. Di solito la costruzione delle baracche viene osteggiata dalle amministrazioni locali, che ne decretano la demolizione perché contravvengono ai regolamenti edilizi, in quanto edificate senza i necessari permessi, o perché i materiali e le tecniche impiegati non rispondono alle normative di sicurezza vigenti. Questa opposizione, spesso condotta con estremo rigore, sembra avere lo scopo reale di impedire la sedentarizzazione di gruppi che, già sedentari nei territori di provenienza, tendono ad insediarsi più o meno stabilmente negli spazi loro concessi.

L’Amministrazione comunale di Palermo, al contrario di quanto suole avvenire altrove, per far fronte all’emergenza delle necessità abitative di questa comunità ha messo a disposizione dei Rom dei mattoni di tufo, del cemento, della lamiera ondulata, lasciando loro il compito di costruire le abitazioni. Il risultato è che sul terreno loro concesso i Rom hanno costruito un piccolo villaggio su modello di quelli del Kosovo, disponendo e occupando le casette secondo criteri che riflettono e consentono di meglio articolare le relazioni tra le diverse famiglie. In un angolo del campo una grande baracca è stata adibita a moschea.

La preghiera e l’osservanza dei riti religiosi, in altre città d’Italia spesso praticate assai blandamente o per nulla, qui rivestono grande importanza nella vita individuale e sociale. La maggior parte degli uomini frequenta regolarmente la moschea e osserva i digiuni prescritti; molti sono dervisci e prendono parte ai riti propri del sufismo che seguono i due digiuni del Ramadan e del Matem, nel corso dei quali attraverso la musica, la danza e l’iperventilazione alcuni di loro raggiungono uno stato di coscienza alterata, in cui si realizza l’abbandono mistico che è segnale del cammino verso la santità: ne è prova l’ostentata insensibilità corporea, dimostrata in modo clamoroso dall’indifferenza al dolore raggiunta al culmine della cerimonia; essi pertanto si attraversano le guance, i lobi delle orecchie, il grasso sottocutaneo dell’addome, i muscoli pettorali con dei lunghi spilloni di metallo, manifestando la vittoria dello spirito nel cimento con il corpo, con i sensi e con la ragione.

Al rito, nella forma cui ho assistito nella primavera del ’97, alla fine del digiuno del Matem, segue un lungo canto epico a voce sola, in cui si narra, in un romani infarcito di parole arabe e spesso non comprensibile dagli stessi Rom estranei alla tariqqa, dell’origine mitica del sufismo, che nasce con l’adozione di Alì da parte di Muhammad. Il campo di via Messina Marine è popolato da Rom di un gruppo diverso da quello che popola la Favorita: Cergari, sia musulmani che cristiano-ortodossi, provenienti dalla Bosnia, dal Kosovo, dal Montenegro.

Dal campo sono quasi del tutto assenti le roulotte. Le abitazioni sono le tipiche casette dei Cergari, su palafitte, con tetto spiovente a una o due acque, costruite con legno e materiali di risulta. L’esito, anche in questo caso, è la piena realizzazione di quello che di solito in altri campi di Cergari distribuiti sul territorio italiano si trova in abbozzo: un denso e grande villaggio, fittamente popolato, diviso in una zona principale, che affaccia su un grande spiazzo oblungo, e una dépendance, separata dal nucleo centrale da un muro preesistente la collocazione in sito del campo e riutilizzato dai Rom per dividere nuclei familiari separati da diverse relazioni parentali.

La particolare struttura dei campi, una relazione col territorio - e con le istituzioni locali - meno antagonistica che in altri luoghi sembra abbiano prodotto in queste comunità due tendenze opposte e concomitanti.

Da una parte, ciò ha determinato una strutturazione delle comunità più salda e articolata di quanto non avvenga altrove: costumi e abitudini delle regioni di provenienza qui vengono reistituiti con maggior forza di quanto non sia avvenuto altrove, e la particolare attenzione dedicata ai riti religiosi ne è un segno evidente. D’altra parte, una possibilità di comunicazione con la popolazione locale maggiore che in altre parti d’Italia - i Rom condividono con i siciliani certe modalità espressive, che si potrebbero definire genericamente “mediterranee” soprattutto nella gestualità, che non appartengono di certo alle grandi città dell’Italia settentrionale - e certe generiche affinità ambientali, fanno sì che a Palermo questa gente si senta “a casa propria” più che altrove.

Ne deriva una tendenza a costruire relazioni più intense e meno conflittuali con l’ambiente esterno al campo e una maggiore penetrazione nella comunità di elementi di cultura locale. Rom e gagé, certo, sono visibilmente diversi tra loro, non soltanto in Italia, ma anche in Kosovo, in Montenegro, in Bosnia. In Italia però i Rom sono anche stranieri; la distanza tra loro e gli altri e la diffidenza reciproca ne risultano sensibilmente accresciute.

A Palermo - come pure, ad esempio, a Napoli, e in Italia meridionale in genere - distanza e diffidenza sembrano più temperate. Il segno più evidente di questa migliore collocazione nell’ambiente, per chi abbia consuetudine con le abitudini dei Rom in Italia, è la maggior libertà di movimento concessa alle ragazze nubili. Queste, di regola, non escono dal campo se non per attività necessarie: la scuola, l’elemosina, l’acquisto di generi alimentari, e in genere vengono accompagnate e riprese da un parente di sesso maschile.

Lamentano di frequente questa limitazione della loro libertà di movimento, che, dicono, è assai più forte di quanto non lo fosse nelle regioni di provenienza, ove la loro frequentazione delle città e dei borghi non era soggetta a tante interdizioni. A Palermo pure queste interdizioni sono palesemente molto meno forti che altrove: è frequentissimo vedere sciami di ragazzine tra i dodici e i diciotto o vent’anni dirigersi dal campo, vestite a festa, verso il centro della città, ove vanno a far passeggiate, piccoli acquisti, o si recano al luna-park.

Questo diverso, più disteso rapporto con l’ambiente ha probabilmente contribuito pure ad accentuare la tendenza sincretica che è già propria, ab origine, degli zingari: fatta propria una zona, stabilite delle relazioni dinamiche con la cultura locale, tendono ad impadronirsi delle tradizioni del posto, e a diventarne degli interpreti qualificati.

Ciò a Palermo ha potuto favorire la genesi dei fenomeni di sincretismo religioso con culti locali, dei quali la devozione dei Rom - sia musulmani che cristiano-ortodossi - a santa Rosalia è quello di maggiore evidenza e rilevanza. Le comunità di Khorakhané Shiptari e di Cergari Khorakhané e Dassikhané presenti a Palermo sono state verosimilmente uno dei motori primi dei più vasti fenomeni di sincretismo religioso che coinvolgono, in maniera sempre più estesa, gli altri Rom Shiptari e Cergari presenti in Italia.

I Cergari di via Messina Marine vendono per le strade di Palermo delle immagini di padre Pio da Pietralcina, come, dappertutto, capita che offrano alla gente all’uscita della chiesa immaginette della Madonna o di vari santi cattolici, senza tributare loro alcun culto, ma solo per incentivare nei fedeli il morso della pietà cristiana.

I Cergari di Palermo, invece, affiggono ai muri delle loro abitazioni o tengono nel portafogli le stesse immagini di padre Pio che vendono ai gagé. Il 6 maggio i Rom slavi celebrano la festa chiamata, in serbo-croato, di Dzurdzedan (letteralmente: “giorno di Giorgio”, che è il giorno in cui la chiesa cristiano-ortodossa festeggia S. Giorgio), o, in romani, di Herdelesi, dalla parola turca Hidirellez, che deriva dall’arabo e significa “verde”. Herdelesi è, dicono i Rom, “la festa in cui si ammazzano i bambini”: in cui, cioè, si sgozzano delle pecore, col cui sangue il padre tinge la fronte ai propri figli, giacché le pecore vengono uccise in luogo dei bambini: la qual cosa, in una forma di pensiero di tipo magico, corrisponde ad una reale uccisione dei bambini, benché attuata solo in forma simbolica. Il rito drammatizza - e i Rom ne sono consapevoli - il sacrificio del figlio Isacco da parte di Abramo. I bambini prima dell’alba del giorno successivo il sacrificio vengono riportati a nuova vita mediante l’immersione in una tinozza d’acqua in cui siano stati gettati dei petali di fiori e, eventualmente, dei lumini galleggianti. Il giorno di Herdelesi le case vengono ornate da fronde d’albero prese, di regola, da un monte consacrato ad una divinità.
Questa struttura di base del rito, con diverse varianti, aggiunte e interpolazioni, viene messa in scena dai Rom di Serbia, Bosnia, Herzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia. In Italia la festa di Herdelesi, celebrata nei campi nomadi e negli accampamenti di Rom slavi, si limita in genere alla scarna cerimonia dell’uccisione della pecora e dell’abluzione descritta sopra. A Palermo la festa di Herdelesi assume una rilevanza molto maggiore; il giorno della festa giungono in città parecchie famiglie di Rom provenienti dalle altre città della Sicilia e da altri campi anche assai distanti (per lo più da Napoli, Firenze, Bologna, ma anche dalla Francia, dal Belgio, dalla Germania). La festa dura tre giorni e il rito si articola in una serie di fasi distinte tra loro, non sempre e non tutte presenti nelle celebrazioni che hanno luogo in altre città d’Italia.

Una parte rilevante delle cerimonie ha luogo sul monte Pellegrino, all’interno del santuario di santa Rosalia e nei boschi che lo circondano. Il 6 maggio ogni capofamiglia accompagna in automobile i bambini della propria famiglia al santuario al cui interno si trova la grotta che ospita il simulacro di santa Rosalia. Le gocce d’acqua che stillano dalle pareti della grotta sono canalizzate da un complesso sistema di canalette di zinco, che confluiscono in una vasca di pietra. A questa, o a una fontana antistante il santuario, i bambini attingono l’acqua sacra, di cui riempiono bottiglie e taniche. Quindi si recano nei boschi circostanti, ove, aiutati dagli adulti, tagliano fronde d’albero (per lo più di eucalipto, ma anche arbusti di ginestra o di ferula), con i quali si coprono le automobili. Delle foglie vengono anche inserite nell’imboccatura delle bottiglie e delle taniche.

Le vetture, così agghindate, iniziano alla spicciolata la discesa verso il campo, suonando il clacson a distesa. All’arrivo al campo uomini, donne e bambini staccano le fronde dalle automobili, e ne decorano l’esterno delle abitazioni. La sera alcune famiglie iniziano a scannare le pecore, acquistate da pastori nei giorni precedenti. Ogni famiglia, se ne ha i mezzi economici, scanna almeno una pecora per ogni bambino.

Il padre intinge un dito nel sangue che scorre per terra e ne tinge la fronte dei propri figli. L’uccisione dell’animale avviene ad opera di alcuni uomini specializzati, che prestano i propri servigi a più famiglie. Prima dell’alba del giorno seguente vengono accesi dei grandi fuochi, si scannano altri animali, e vengono svegliati i bambini, che le donne di casa lavano in tinozze riempite dell’acqua prelevata al santuario, cosparsa di petali di fiori (di solito di rosa).
Dopo, i bambini vengono vestiti a festa e ogni famiglia davanti a casa propria danza al suono di musica diffusa in genere dall’impianto stereofonico delle automobili, e gli adulti bevono birra. Tutti fanno il giro delle case dei vicini, scambiandosi gli auguri. Il giorno successivo tutte le famiglie si recano a monte Pellegrino, ove si accampano nei boschi a ridosso del santuario. Qui arrivano anche i Rom provenienti da fuori Palermo.

La partecipazione delle famiglie residenti in Sicilia (Messina, Paternò, Siracusa, Mazara) e nel sud della Calabria è pressoché totale; da più distante, molto meno. Sebbene il culto a santa Rosalia sia noto a tutti i Cergashi e Khorakhané Shiptari presenti in Italia con cui abbia avuto modo di parlarne (e persino ai Rom macedoni residenti a Varna, vicino Bressanone, in provincia di Bolzano) la loro partecipazione alla festa palermitana è sporadica e irregolare: dipende soprattutto dalle relazioni che ciascuna famiglia anno per anno nel periodo della festa intrattiene con famiglie che vivono in Sicilia. Sono presenti in maniera più regolare Rom provenienti da Lecce, che hanno rapporti di parentela e di comparatico con i campi di Messina e Reggio Calabria, da Firenze e da Bologna, che sono invece legati da analoghe relazioni coi campi di Paternò, Siracusa e Palermo.

Ciascuna famiglia stende nel bosco dei tappeti, su cui dispone cuscini e imbandisce un banchetto con cibo portato da casa e con carne di pecora macellata e arrostita sul posto. Tra gli alberi si tendono delle corde su cui si allestiscono con coperte delle culle ad amaca per i bambini più piccoli; ciascuna famiglia accende un fuoco su cui si cuociono allo spiedo le ultime pecore, scannate sul posto. Ogni nucleo ha la propria musica, fornita di solito dai mangianastri delle vetture parcheggiate sotto gli alberi, vicino agli accampamenti. Qua e là, però, vengono allestite delle postazioni musicali ad uso collettivo, con musica eseguita direttamente da musicisti, i cui strumenti vengono elettrificati e amplificati con l’ausilio di generatori elettrici, o con degli impianti di amplificazione di grandi dimensioni che diffondono musica registrata su cassette audio.

Nel corso della giornata le diverse famiglie si recano al santuario, entrano nella grotta, si bagnano con l’acqua sacra e si accovacciano in preghiera davanti al simulacro della Santa, alla quale offrono anche soldi e oro. Alcuni portano in chiesa pecore, per bagnarle con l’acqua benedetta prima del sacrificio. Indi escono dal santuario camminando all’indietro, baciano gli stipiti del cancello posto all’ingresso della grotta e tornano ai fuochi nei boschi. Prima del tramonto la festa finisce, e ciascuna famiglia fa ritorno alla propria abitazione. Il giorno successivo i Cergari preparano, ciascuno a casa propria, dei banchetti, con la carne avanzata dalla festa e altri cibi cucinati per l’occasione. Gruppi di famiglie legate da rapporti di parentela o di comparatico fanno il giro delle abitazioni, fermandosi a mangiare e a bere in ciascuna di esse. In ogni casa viene preparato un pane, che contiene, occultata al suo interno, una banconota da 10.000 lire. Gli uomini la strappano, e uno di essi troverà, nel suo pezzo di pane, l’auspicio di abbondanza.


Santa Rosalia e le sette sorelle

Le ragioni del culto di Rosalia da parte dei Rom musulmani e cristiano-ortodossi vanno cercate, da una parte, nelle qualità della figura della Santa, che le consentono di assumere, agli occhi degli zingari slavi come a quelli di altre comunità straniere di altra religione, il ruolo di grande divinità sincretica, e dall’altra nella capacità dei Rom di inglobare in un sistema mitico aperto e flessibile il culto di Rosalia. Il 15 luglio del 1624, durante un’epidemia di peste, venivano ritrovati in una grotta del romitaggio di monte Pellegrino dei resti organici, in cui si vollero riconoscere le reliquie della santa vergine ed eremita Rosalia.

Il culto della Santa era attestato già dal Trecento, ma è verosimile che “prima del 1624 fosse ancora marginale in città e legato pressocché esclusivamente alla sacralità del luogo (Monte Pellegrino)”. La devozione popolare, dopo il ritrovamento delle spoglie, associò il progressivo scemare dell’epidemia all’intervento soprannaturale di Rosalia. Il riconoscimento da parte delle istituzioni ecclesiastiche seguì di poco il favore popolare: il 22 febbraio del 1625 venne pubblicamente riconosciuta l’autenticità delle reliquie. Dal 1625, e, con alterne vicende, fino ai nostri giorni, la città di Palermo in occasione dell’anniversario del rinvenimento delle reliquie dedica ogni anno un festino alla sua Santa patrona. Il luogo del ritrovamento delle spoglie di santa Rosalia era legato, già prima del 1624, a pratiche rituali e culti religiosi.

Monte Pellegrino è stato sede di un culto punico, verosimilmente dedicato ad una divinità della fertilità, Tanit, e vi sono tracce riconoscibili di culti cristiani almeno fin dal VII secolo.
I culti di diversa epoca e origine legati al monte e alla grotta furono assorbiti dalla religione cristiana e trovarono organizzazione in ambito eremitico. Sono state messe in luce analogie tra questa vicenda e altri culti di divinità femminili che hanno sede su un monte sacro.
Queste analogie, in qualche caso, vanno oltre i generici nessi tipologici che interessano ogni culto di una “montagna cosmica”, come luogo che ha il suo modello nella volta celeste, e della divinità che risiede su questa montagna, come antropomorfizzazione di un corpo astrale. In particolare, le vicende relative al culto della Madonna di Montevergine, nell’avellinese, presentano notevoli analogie con la tradizione relativa a santa Rosalia, fino a coinvolgere, si vedrà, elementi del sistema religioso dei Rom: cosicché, sorprendentemente, la capacità degli zingari slavi di farsi elaboratori di tradizioni e mediatori di cultura arriva a rinsaldare i legami tra segmenti della storia religiosa di luoghi diversi e distanti dell’Italia meridionale.

Il santuario alla Madonna di Montevergine fu costruito, nel XII sec., da san Guglielmo, in un luogo in cui verosimilmente già esistevano antichi culti della “montagna sacra” e in cui nell’VIII sec. san Vitaliano aveva già fondato un tempio dedicato alla Vergine.



a cura di a cura di Gaetano Amici
 
Tratto dal giornale www.picusonline.it e stampato il 14-06-2008
Riproduzione autorizzata con citazione della fonte
http://www.picusonline.it/scheda.php?id=7752
58  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Famiglia Cristiana critica governo, e' polemica il: 11 Agosto 2008 - 09:07:17
Famiglia Cristiana critica governo, e' polemica

ROMA - Le misure sulla sicurezza varate dal governo Berlusconi creano nuove polemiche. Oggi le critiche arrivano da Famiglia cristiana, il settimanale dei Paolini,che in un editoriale anticipato alle agenzie, attacca l'esecutivo e avverte sul rischio di una "guerra tra poveri" nel "paese marciapiede" con il "presidente spazzino". Osservazioni sulla sicurezza vengono anche dal Vaticano: "E' la povertà che bisogna eliminare e non chi è costretto dalla povertà a sopravvivere" ha detto il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio Giustizia e pace, commentando a Radio Vaticana le misure anti-accattonaggio adottate da diverse amministrazioni comunali. Intanto dai sindaci arrivano le prime sanzioni.

Il comune di Firenze, fra i primi a adottare ordinanze in difesa del decoro urbano, oggi ha multato cinque cittadini - tre strilloni, un commerciante e una comune persona - mettendo in cassa 800 euro. Lotta alla prostituzione sulle strade e tutela del patrimonio contro i writer sono, invece gli obiettivi di due ordinanze firmate dal sindaco di Trezzano sul Naviglio, Liana Scundi, con sanzioni tra i 200 e i 600 euro. Famiglia Cristiana parla dei militari in strada ("neanche fossimo in Angola"), dei sindaci sceriffi (luci e ombre, ma bene decoro e lotta prostituzione), delle norme anti elemosina sposando in pieno le dichiarazioni del cardinale Martino che ha sollevato un "dubbio atroce": la proibizione dell'accattonaggio serve a nascondere la povertà del Paese e l'incapacità dei governanti a trovare risposte efficaci, abituati come sono alla 'politica del rattoppo', o a quella dei lustrini? La verità - scrive Famiglia Cristiana - è che 'il Paese da marciapiede' i segni del disagio li offre (e in abbondanza) da tempo, ma la politica li toglie dai titoli di testa, sviando l'attenzione con le immagini del 'Presidente spazzino', l'inutile 'gioco dei soldatini' nelle città, i finti problemi di sicurezza, la lotta al fannullone (che, però, è meritoria, e Brunetta va incoraggiato)". Un richiamo va anche al sindaco di Roma Alemanno per la vicenda "cassonetti". Famiglia Cristiana perciò sollecita a riportare "questa battaglia nei giusti termini, con serietà e senza le 'buffonate', che servono solo a riempire pagine di giornali". Non è mancata una nota di carattere economico: "é troppo chiedere al Governo di fugare il sospetto che quando governa la destra la forbice si allarga, così che i ricchi si impinguano e le famiglie si impoveriscono?".

Pronta la replica del sindaco di Roma, Gianni Alemanno che rassicura il direttore e la redazione di Famiglia Cristiana: "le ordinanze antidegrado - spiega - che ci apprestiamo a emanare sono tutte finalizzate alla lotta contro il racket e lo sfruttamento e non hanno nulla a che fare con la guerra 'ai poveri' costretti per fame a rovistare nei cassonetti". Lo dimostra il fatto che "che sin dall'inizio ci siamo impegnati a confrontare questi testi con le organizzazioni di volontariato, cattoliche e non, che sono impegnate in prima linea nella lotta contro la povertà urbana". Per Giorgio Merlo (pd), al contrario, l'ultimo editoriale di Famiglia Cristiana inchioda il Governo di fronte alle sue gravi responsabilità. "E' bene che anche nell'area cattolica, seppure timidamente, si cominci a prendere atto che una cosa è governare, altra cosa è dispensare annunci e promuovere straordinari spot". "Famiglia Cristiana? Vittima di un colpo di calore".

Isabella Bertolini, deputata del Pdl, è perentoria,"l'astio di Famiglia Cristiana per il governo - insiste - è così grande da fare andare fuori bersaglio tutte le accuse". Per il segretario della DcA-PdL, Gianfranco Rotondi, "Famiglia Cristiana sceglie un linguaggio da 'Borghese' di Gianna Preda dentro una linea politica da 'Espresso', ma sarebbe meglio un linguaggio cristiano se non democristiano". Mentre Pino Sgobio del Pdci, ex capogruppo del partito alla Camera, afferma: "Bene Famiglia Cristiana: chi ha coscienza democratica si faccia sentire. Il governo e la sua maggioranza, invece di reagire in maniera scomposta alle critiche del settimanale, lo capiscano una volta per tutte". Infine coda polemica anche sulle olimpiadi di Pechino, con le critiche del settimanale alle posizioni di Gasparri e Meloni sulle proteste alla cerimonia di inaugurazione. Pronta la replica del presidente dei senatori del Pdl: "Con buona pace di certo criptocomunismo continuerò a battermi per i diritti umani e religiosi in Cina".

http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_734788500.html
 

59  Lingua e cultura ROM / Rassegna stampa / Manfredonia - Bimba rom portata via da casa famiglia dove era in affidamento il: 11 Agosto 2008 - 03:20:29
Rapita bimba di etnia rom
La bimba è stata portata via dalla casa famiglia Speranza dove era in affidamento temporaneo

Pubblicato l'11 agosto 2008 alle 14:00
di Anna Castigliego

Sei cittadini di etnia rom sono stati tratti in arresto dalla polizia di Manfredonia, nella mattinata di ieri, 10 agosto 2008, per i reati di sottrazione di minore e resistenza e violenza a pubblico ufficiale. Si tratta di Vitrina Padureanca Sandu, 29 anni, Ion Barbu, 52 anni, Cristian Gheorghe, 30 anni, Argintel Barbu, 29 anni, Atena Barbu, 50 anni e Oliver Barbu, 27 anni.

Un gruppo familiare di circa dieci persone, tra cui gli arrestati, ha prelevato con la forza dalla casa famiglia Speranza di Manfredonia, una bambina di 8 anni, loro connazionale, dopo aver immobilizzato il personale di servizio.

La minore, con provvedimento dell’A.G., era  stata affidata alla casa famiglia, già alcuni mesi fa, nell’ambito del procedimento penale, istituito presso la Procura di Foggia, nei confronti di alcuni cittadini rom, tra cui la stessa Atena Barbu, nonna della bambina, arrestati per riduzione e mantenimento in schiavitù di minori.

Il gruppo, chiaramente preorganizzato, dopo aver percorso alcune centinaia di metri per raggiungere le auto parcheggiate poco distanti, è stato intercettato da una pattuglia del locale commissariato di polizia ma la compatta e violenta reazione del nucleo nei confronti dei due agenti ha impedito ai poliziotti di raggiungere la minore che è stata portata via. Solo, dopo una violenta colluttazione, i due agenti sono riusciti a bloccare e ad arrestare due persone mentre il resto del gruppo riusciva a dileguarsi lungo le vie adiacenti.

Subito è scattata un'intensa attività di controlli per rintracciare gli altri componenti del gruppo e soprattutto ritrovare la minore. Dopo qualche ora, grazie anche alla collaborazione di alcuni cittadini sipontini, sono stati intercettati altri quattro componenti del gruppo, immediatamente bloccati ed arrestati.

Sono in corso indagini, anche a livello nazionale, per rintracciare i restanti componenti del gruppo e la minore.

http://www.manfredonia.net/2/1/0/9626
60  Lingua e cultura ROM / La musica / Alexian Santino Spinelli il: 11 Agosto 2008 - 07:58:13
Alexian Santino Spinelli

Ambasciatore dell'arte e della Cultura Romaní nel mondo

Santino Spinelli in arte Alexian é un Rom italiano residente a Lanciano in Abruzzo. E' nato a Pietrasanta(LU) il 21.07.1964, da Gennaro e Giulia Spinelli, ultimo di sei figli (cinque sorelle).
È musicista compositore, cantautore, insegnante, poeta, saggista.
Ha due lauree una in Lingue e Letterature Straniere Moderne e l'altra in Musicologia, entrambe conseguite all'Università degli Studi di Bologna. Insegna lingua e Cultura Romaní all'Università di Trieste.

Con il suo gruppo: l'Alexian group" tiene numerosi concerti di musica romani in italia e all'estero.

http://www.alexian.it/


Alexian Santino Spinelli ospite di Rai NEWS 24
in occasione della Giornata della memoria 2007
intervista
http://it.youtube.com/watch?v=pp9-wlb1sJY

Alexian group in concerto
http://it.youtube.com/watch?v=OLhhtPEHmPM

Festival Alexian and International Friends
http://it.youtube.com/watch?v=Q2lz-XtNRMA

Teatro Romanó di Alexian Santino Spinelli
http://it.youtube.com/watch?v=8dLIhJN0g_I

Alexian Santino Spinelli Baro RomanoDrom - 2003
http://it.youtube.com/watch?v=PAirdXArmvk

Alexian Santino Spinelli a Bella Italia
http://it.youtube.com/watch?v=1xM30m6e0aY

8 giugno '08 Alexian Santino Spinelli
http://it.youtube.com/watch?v=R667GlX8HcE

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