Luisa
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« il: 04 Luglio 2008 - 08:25:24 » |
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Il Corriere della sera 03-07-08 «I campi? Sembrano lager» L'uomo dei no a sindaci e capi
ROMA — «Roma è una città che appare sicura. Il problema è che bisogna farla sentire sicura anche ai cittadini». Era il settembre dell'anno scorso. Al neoprefetto Carlo Mosca, appena sceso dalle scale del Vittoriano dove aveva ricordato il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, bastarono due battute con i giornalisti per far capire che i rapporti fra l'inquilino di Palazzo Valentini e l'allora sindaco Walter Veltroni, per anni idilliaci, sarebbero cambiati all'istante.
La conferma arrivò qualche giorno più tardi: Mosca frenò sulla creazione dei «villaggi della solidarietà», megacampi rom da mille persone al posto di tutti quelli esistenti, un progetto sponsorizzato dalla giunta Veltroni e poi, dopo le esternazioni del prefetto, accantonato. «Sembrano lager », commentò con i suoi collaboratori. Da quel momento i «no» e i «riflettiamoci bene» del prefetto milanese trapiantato nella capitale sono stati frequenti: no al Campidoglio che chiedeva di sgomberare i tassisti in sciopero che occupavano piazza Venezia («Li ho ascoltati, parlano con sincerità»), no alla cessazione del blocco degli sfratti, fra gli applausi dei movimenti per la casa.
All'indomani dell'omicidio di Giovanna Reggiani a Tor di Quinto, in un clima pesante da resa dei conti, fra sgomberi quotidiani delle bidonville ed espulsioni di romeni, Mosca chiese aiuto al cardinale Ruini «per trovare una sistemazione alle persone che meritano assistenza, primi fra tutti donne e bambini, nelle strutture del Vaticano che non sono occupate».
Atteggiamento fuori dal coro, come quelli contro gli autovelox nascosti per sorprendere gli automobilisti e le cartelle esattoriali «pazze» spedite ai contribuenti. Poco incline alla ribalta mediatica, grand commis, già vice direttore del Sisde e capo di gabinetto del Viminale, Mosca sui giornali ci è finito ugualmente. E anche spesso. Ma da Palazzo Valentini è difficile restare nell'ombra.
La vicenda delle impronte da prendere ai bimbi nomadi l'ha visto, già all'inizio, in contrapposizione con il ministro Maroni. «Come non si prendono per il passaporto ai minori italiani, così non si vede il motivo per cui bisogna farlo con i bambini rom», aveva detto alla fine di giugno.
L'hanno chiamato «ribelle», qualcuno ha anche ipotizzato che potesse essere messo da parte. Oggi la sua proposta, «niente impronte ai bimbi se non necessario », potrebbe essere quella vincente. R. Fr.
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