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Autore Topic: Il lungo esodo  (Letto 2058 volte)
aemme
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« il: 01 Luglio 2008 - 08:51:03 »

Il lungo esodo

di Geraldina Colotti

su Il Manifesto del 29/06/2008

Secondo i dati dell’Unione europea, i rom sono il popolo che più subisce discriminazioni nel Vecchio continente. Non trovano casa, né lavoro, hanno grandi difficoltà a portare i loro figli a scuola soprattutto se si spostano. E la loro aspettativa di vita è dieci volte inferiore alla media europea. Quello rom è il popolo più transnazionale che esista - secondo dati del Consiglio d’Europa sarebbero circa 10 milioni sparsi in tutto il mondo - ma è anche quello che catalizza lo stesso tipo di discriminazioni, sotto ogni bandiera: in ogni contesto, quando la situazione politica o economica si fa difficile per le classi popolari, per loro si ripete un destino di persecuzioni secolari.

L’unica parentesi - nei soli 70 anni in cui le classi dominanti hanno avuto vita dura in certe parti del mondo - è stata per loro quella dell’ex-Unione sovietica, nei primi tempi della rivoluzione bolscevica e nella ex-Jugoslavia di Tito. Tempi in cui in nome di un’uguaglianza non formale, ai rom sono stati garantiti quei diritti basilari che oggi si vedono negati dappertutto.

Nei paesi dell’ex-area socialista, però i rom furono le prime vittime del processo di balcanizzazione: quel modello che a Bush piace esportare nel pianeta. Nel ’99, dopo la guerra della Nato contro la Serbia, l’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) ha espulso circa 100.000 rom, col pretesto che fossero colonne dell’esercito serbo. Dopo quella pulizia etnica, oggi, dei 120.000 che vivevano in Kosovo prima del ’99, ne restano solo 30.000 circa.

Ma siccome anche quello di spaccare il vaso per poi aggiustare i cocci con un «imperialismo caritatevole» è un business che funziona, nel 2005 il Programma delle nazioni unite per lo sviluppo (Pnud) e la Ue con il sostegno della Banca mondiale, hanno lanciato un piano di assistenza per quelle aree in preda alla barbarie del «tutti contro tutti»: il decennio per l’integrazione dei rom che intendeva favorire l’accesso all’educazione, al lavoro, alla salute e alla casa - quel «misero» corredo di diritti che quelle aree senza rispetto per le «libertà e le differenze» comunque garantivano - in nove paesi dell’Europa dell’est e dei Balcani.

Più di tre anni dopo, però, gli esperti sono costretti a registrare il fallimento di quei piani, soprattutto perché gli stati non perseguono politiche di «vera integrazione». Una tendenza che si riscontra in quasi tutti i paesi d’Europa, a dispetto dei fiumi di parole spesi sul rispetto delle «differenze» e di un multiculturalismo incapace, però, di coniugare il dibattito sul riconoscimento pubblico della diversità culturale e identitaria in quello, più ampio, della rappresentanza e della giustizia sociale.

La lingua romani dei rom italiani - scrive Santino Spinelli - contiene imprestiti persiani, armeni, greci, serbo-croati», e vocaboli dei dialetti italiani: testimonianza del lungo esodo e della loro ibridazione. Per ricordare a chi torna lombrosianamente a «misurare» le identità, che misurando il patrimonio genetico di chi risiede da lungo tempo in qualche luogo si riscontrano le differenze genetiche ma non quelle che corrispondono ai confini degli stati.




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