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Autore Topic: In bus con Sami lo "zingaro" e Tina la badante  (Letto 2941 volte)
aemme
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« il: 24 Luglio 2008 - 04:13:27 »

Liberazione 24-07-08
Novembre 2007, dopo l'omicidio Reggiani molti rumeni fuggono.
Da Roma a Suceava un reportage di Ivan Bonfanti

In bus con Sami lo "zingaro" e Tina la badante Perché «questa Italia non è più Italia»

Ivan Bonfanti Bucarest (nostro inviato) «Italiano?». Sami lo zingaro si leva le scarpe, poi sfila i calzini. Richiama le gambe a sé e si accovaccia sul sedile. Ti guarda dritto negli occhi, un taglio obliquo attraversa le labbra a metà tra il sorriso e il ghigno. Gli occhi, nerissimi, hanno l'espressione di chi la sa lunga e non ha bisogno di risposte. Scoppia in una risata fragorosa. «Che cazzo fai qui italiano? Non hai i soldi per l'aereo?». Taranto-Suceava, ovvero dall'Italia alla Romania in bus, 80 euro per 2500 chilometri di pullman e gambe anchilosate. Di Europa che ti passa accanto dai finestrini, di umanità schiacciata su sedili stretti e scomodi come panche di scuola. Undici pause per un panino, il cesso, le sigarette succhiate una dietro l'altra come mammelle e via di nuovo, tutti a bordo che l'autista non aspetta.

Prima al caldo del sole, poi al freddo, pioggia e neve. Prima lungo le arterie delle autostrade della ricca e luccicante Europa Occidentale. Poi attraverso i viali stretti dell'Est, dove le luci si fanno rade, l'asfalto si alterna di improvviso al pavé, dove un sorpasso è una scommessa e Dimitri si fa il segno della croce. Tre volte, sussurrando il nome del Signore, come fanno i cristiani ortodossi. Dai Dimitri, che pure questa è andata. E Bucarest è sempre più vicina. Si fa per dire. Ci mette due giorni e passa, il bus che porta in Romania i migranti che non hanno i soldi per l'aereo o il treno. Sono tutti (o quasi) rumeni, oltre la metà rom, la maggioranza sale alla stazione Tiburtina, snodo di treni e autobus nella periferia orientale di Roma.

E' mattino presto, la città si sta svegliando. Sul bus quaranta posti. Una coppia è salita a Taranto, una ragazza ad Avellino, cinque o sei si uniranno al gruppo ad Arezzo, per il resto i passeggeri arrivano tutti dalla capitale. Si accalcano allo stop numero nove, fianco a fianco con i moldavi, poco più in là si va in Polonia e Ucraina. In mezzo valigie gonfie e buste con ricordi o regali, una famiglia rom si presenta con due pacchi grandi come carri attrezzi avvolti da rotoli di scotch e giornali. Partono da qui quasi tutti i migranti europei, ma oggi è il turno dei rumeni. Sono loro l'emergenza d'Italia, sono loro il «problema criminale», secondo il refrain di politici che accarezzano i sentimenti più pelosi di un popolo che ha scordato quando le valigie di cartone ce le avevamo noi. Noi che - dicevano e scrivevano gli "altri" - toglievamo il posto ai tedeschi, agli americani e agli australiani lavorando a costo zero. «Ah giornalista», riattacca Sami lo zingaro, che la sa lunga davvero. «Sei venuto a vedere gli zingari cattivi, sei venuto a viaggiare con lo zoo». Già. Ma non ci sono animali nel bus della vita che porta a casa i regali, che torna dagli affetti lasciati indietro, che riconsegna i sogni al pinnacolo della miseria. C'è un gruppo di uomini, donne e bambini.

Qualcuno torna a casa per trovare la famiglia, la stragrande maggioranza lascia l'Italia per via della situazione politica. «Dicono che siamo tutti criminali, ma non è vero», spiega per prima Tania.
E' una donna di mezza età, una bellezza sbiadita ma ancora viva quando punta gli occhi azzurro chiaro, i denti bianchissimi. E' venuta a Roma cinque anni fa. «Ho fatto la badante a piazza Euclide, da una contessa, ma poi i figli sono cresciuti e sono andati a studiare a Londra e ho fatto le pulizie in giro». Per Tania la contessa «era signora tanto brava», ma col fischio che l'ha messa in regola. Per lei, comunque, non importa. «Mi sono trovata bene in Italia, ma adesso non più. Non ho più voglia di camminare per le strade, la gente mi guarda male. Non so se tornerò, senza lavoro ho paura della polizia, non siamo tutti criminali e non voglio andare in prigione».

Per carità, non tutti hanno la raffinatezza di Tania, anche qui sul pullman Taranto-Suceava. Nemmeno è partito da Roma e un gruppo di rom seduto nelle file posteriori inizia a stappare Peroni. Ne parte una, due, dieci e ancora. Si svuotano le bottiglie e si alza il volume delle voci, il pullman non è ancora arrivato a Fiano e da dietro un paio di ragazzotti reclamano uno stop. «Pausa, Zigarra», grida il più vispo, che poi conosceremo come Nicolae. Dietro ridono, ma gli altri passeggeri non apprezzano. Nemmeno l'autista, che si ferma in un'area di sosta, prende il microfono e sbotta in un cazziatone micidiale. In rumeno, ovviamente, l'italiano non è previsto né per gli autisti né sul biglietto stampato dalla Atlassib, che in Italia è solo una compagnia di autobus per la Romania, ma a Bucarest e dintorni è una specie di istituzione che collega tutto il Paese e fa anche da posta celere. «State buoni o vi butto fuori» traduce più tardi Dimitri, un padre di 57 anni orgoglioso della sua Ramona che studia legge a Roma, imbarcato sul bus per arrivare a Ploiesti e poi prendere la coincidenza per Galati, un giorno in più di pullman. Dimitri che per tutto il viaggio ci farà da meraviglioso anfitrione, compagno, amico e traduttore pur non parlando italiano.

In ogni modo la reprimenda funziona. Da dietro si leva uno «scusaste» e si riparte. C'è un luogo dell'anima dove le persone ritrovano la semplicità di un momento comune, un sentiero dove i caratteri possono modellarsi a una circostanza e sentirsi vicini pur senza conoscersi. Come in un viaggio lungo e scomodo, dove non c'è prima e seconda classe. Quando tutti condividono l'attesa, la scomodità, il caldo e l'odore di uomini e donne pigiati per due giorni uno sull'altra. E' così che un piccolo gruppo di viaggiatori può diventare per poche ore o per qualche giorno una comunità umana. Prima estranea, quindi più curiosa, poi prossima, infine assolutamente unita. Passa la diffidenza, passano le ore.

Ci si stanca insieme e uno dietro l'altro si fa la fila alla latrina. E finisce a pacche sulle spalle e sguardi di intesa, venti euro allungati a Marcello e Olga che non hanno neanche gli occhi per piangere e confezioni di biscotti che fanno la spola da un sedile all'altro. I tedeschi discriminano gli italiani che discriminano i rumeni che discriminano i rom.

Eppure a metà viaggio non frega più un accidenti a nessuno se quello è slavo, zingaro, italiano o chissà. E' il mondo per qualche ora, poi volerà via insieme ai volti che avevamo imparato a scrutare e conoscere. Dimenticheremo il viso ispido e segnato di Sami lo zingaro, che viaggia con la compagna e i due figli piccoli perché «non ho lavoro e non voglio che prendono mio nome. Così posso tornare». Lo sguardo antico e premuroso di Dimirti il padre, che oggi torna a casa ma presto sarà di nuovo in Italia; un rumeno come si deve che ha conosciuto italiani come si deve che l'hanno aiutato. Presto comprerà casa a Roma, Dimitri.

Da Galati a Numidio Quadraro, palazzoni a schiera nella periferia Sud della capitale italiana. «Tre stanze, cucina e due balconi. E' un sogno. I miei figli lavorano e studiano in Italia, anche io lavorerò. Italia Paese buono per me e ogni persona di questo mondo dovrebbe vedere Roma, stupenda».

Poi c'è Flory, 23 anni e i pantaloni attillati all'ultima moda. C'è Luciano e la moglie Eva, c'è Silvano, anche lui rom che racconta (ridendo) di essere stato sette volte in galera. «Sì, in Italia, a Rebibbia. Mi avete fatto sette volte Santo». Sami, da dietro, con un gesto inequivocabile delle due palanche che si ritrova al posto delle mani precisa: «Lui lavora di notte». Nel senso che ruba. Silvano asseconda con la testa. E ride e tracanna Tavernello. Roma, Firenze, Bologna, Treviso, Udine e poi via verso il confine austriaco, direzione Graz. Passano le ore, ululano le gambe, si sfiora una rivolta contro l'autista che rifiuta una reiterata richiesta di «pausa zigarra». Alla fine si ferma e torna la calma, i due televisori appollaiati a metà del bus mandano un paio di film. Funziona, si sente solo qualche ostinato che stappa Peroni. In serie c'è «The longest Yard», una poderosa americanata sul football, e un film con Bruce Willis che mentre compie un'autentica carneficina e rimette in sesto il pianeta Terra, fuori inizia a nevicare. Dentro si dorme, la pausa successiva, al confine con l'Ungheria, vedrà scendere solo pochi aficionados della nicotina.

I rom ci sono tutti, la cassiera dell'autogrill ungherese chiama gli uomini, l'aria infastidita di chi non risponderà neppure ai grazie degli astant.

L'entrata in Romania è un'alba uggiosa, prati fradici di rugiada e un freddo pungente che attanaglia il viso. Al confine ci saranno cinque o sei pullman, tutti tornano a casa e ben quattro arrivano dall'Italia, il miraggio diventato d'un tratto razzista e xenofobo. Una donna poliziotto, attempata, chiede i documenti e si informa che qualcuno ha in tasca un foglio di via. Nel nostro bus nessuno, in quello che segue un paio fanno cenno di sì con la testa; li accompagneranno in una casupola per verifiche. «Avete avuto problemi con le autorità italiane?» chiede la donna. «No». Prego, proseguite. Sembra la fine, ma il viaggio è appena iniziato. Perché per attraversare le strade della Romania ci si impiega quasi quanto per attraversare mezza Europa.

Le strade sono una striscia d'asfalto appena accennata che in confronto l'Aurelia sembra la highway dei Chips, intorno sfilano immense distese pianeggianti, la terra scura, ricca. «Prima era coltivata, chiamavano questa zona il granaio d'Europa - racconta Dimitri, che comunque non rimpiange il passato - adesso, dopo la privatizzazione, i mafiosi si sono comprati le terre e le lasciano lì, a marcire». Sfilano anche i resti arrugginiti del socialismo reale, enormi costruzioni industriali in completa rovina, trasudano folli piani di sviluppo quinquennali e poco rispetto per l'uomo e l'ambiente in cui vive. Arad, poi Timinsoara, quindi si va verso le montagne verso Sibius. E' qui, mentre il popolo del pullman si fa più allegro, poi triste, poi silenzioso mentre ascolta la radio che trasmette le ultime notizie sull'Italia e sui suoi rumeni, che la Romania diventa meravigliosa. Il colore verde dei prati rigogliosi, l'affanno perenne dell'acqua che scorre a fiumi.

Il pullman si arrampica su per i boschi di pini e betulle, un paesaggio intervallato solo dai torrenti e dalle casette con i tetti spioventi e le travi di legno sistemate a coprire buchi e vecchiaia. E una povertà semplice, a vista, che aumenta come ci si avvicina alle città, circondante dai palazzoni osceni. E' qui, in queste casette sperdute nei boschi o in queste infinite case popolari senza più un popolo che si fermano, uno a uno, i nostri compagni di viaggio. I rumeni sono circa 22 milioni, più dieci che vivono all'estero.

Molti torneranno in Italia, passata la tempesta. Altri mai più. E' il viaggio di addio col sogno che ne aveva alimentato le speranze, con una Italia che qui in Romania è un mito, un mondo favoloso di macchine e bei vestiti, di scarpe, lavoro e persone ospitali. Fino a ieri. Oggi, per Sami lo zingaro, per Tina la badante e per Olga e Marcello che non hanno un soldo, l'Italia non è più Italia. Ma ne arriveranno tanti altri, finché c'è miseria. Come gli attori di uno spettacolo che tutti i giorni si ripete, uguale, la giostra dell'esistenza li porterà a muoversi di nuovo. Chissà dove, chissà come. Ammassati in un bus, oppure nella pancia di un treno che fischia verso un mondo dove poter lavorare, crescere, educare.

Da qualche parte, dove poter vivere.
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