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  registrazione n.94 del 28.2.1972 presso il tribunale di frosinone
direttore responsabile alfonso cardamone
 



 
le botteghe d'oriente 
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Alfonso Cardamone
[ a.cardamone@email.it ]
 
DOVE SORGE IL SOLE E DOVE TRAMONTA
schede per la zarina
 
Elena la Bella vive confinata in un iperbolico ultimissimo dei reami, oltre lo stesso "ultimo dei reami" ai "confini della terra". Il palazzo che la rinchiude è circondato da un giardino "incantato". Elena è una bella rapita, che attende il suo salvatore mentre si trova in un mondo che non è il nostro mondo: è un altro mondo, anzi, tout court l'altro mondo.
Vassilissa viene conquistata e liberata dal suo eroe mentre si trova anche lei relegata "nell'ultimo dei reami", in un luogo lontanissimo, "ai confini della terra", là -si aggiunge-dove nasce il "rosso solicello". E quest'ultima è una marca incontrovertibile del mondo dei morti.
La galleria che Gilgamesh attraversa, nel suo viaggio alla ricerca di Utnapishtim e del segreto della vita eterna, è "il sentiero del Sole", e le radici della montagna, sul cui fianco si apre l' "oscura galleria", arrivano "fino agli Inferi".
Anche i testi ittiti -ci informa T .H. Gaster -"parlano spesso della strada sotterranea del Sole, e una leggenda estone ci narra come un principe giungesse a una porta segreta che s'apriva sulla strada per l'Inferno". Non diversamente Kessi il Cacciatore, eroe dell'antichissima storia ittita, varca "la porta del tramonto" al di là della quale "si stende il regno dei morti". Oriente e occidente, in questa prospettiva, sono intercambiabili, sono la medesima cosa:
"Il mondi dei morti -scrive Anita Seppilli- è identificabile: è una data caverna, è il grembo della terra: ma questa caverna è contemporaneamente tutte le caverne, che poi saranno considerati ingressi a quel mondo; oppure è un'isola, ma quest'isola è ora qua ora là, dove sorge il sole e dove tramonta...".
Maria Marina, bellicosa principessa detentrice della dignità regale che trasmette per evidente via matrilineare, è anch'essa una bella rapita, e rapita nel regno dei morti da un personaggio che nello stesso nome porta le stigmate dell'inferno a cui appartiene: Scheletro senza Morte.
In un'altra fiaba, Elena la Saggia è addirittura identificabile con la regina degli inferi. Ella, infatti, che risiede nei bianchi ed incantati palazzi del maligno, ancora una volta "ai confini della terra, nell'ultimo degli stati", siede sopra un "trono d'oro", è chiamata dalle figlie del maligno "la nostra potente sovrana", presiede all' Assemblea delle anime-colombe (gli uccelli sono tradizionalmente rappresentazioni delle anime dei defunti) ed insegna loro "diverse magie".
E la figlia di uno zar, "rapita da Scheletro senza Morte", non solo è tenuta prigioniera in un luogo inaccessibile sopra una montagna dagli inconfondibili tratti edenici, ma nel ricevere Ivan, e prima di interrogarlo, gli dà "da bere e da mangiare", comportandosi esattamente come la babajaga analizzata dal Propp, cioè come la guardiana del mondo dei morti, che offre al viandante il cibo dei defunti per constatare se sia o no un impostore.
Ancora: l'Elena la Bella del "Principe Vasilij ed Elena la Bella" si trova pur sempre in un palazzo situato in un "reame" dalla lontananza indefinita, chiara allusione all' "ultimo dei reami", ipostasi del mondo dei morti. Ed infine, la "bella ragazza a cui scorreva acqua dalle mani e dai piedi", acqua miracolosa e risanatrice che faceva diventare più giovane di trent'anni chi ne avesse bevuto, può essere raggiunta da Ivan (naturalmente nell' "ultimo dei reami" "ai confini della terra") solo dopo che l'eroe abbia traghettato le acque di tre vasti fiumi, e cioè le acque della morte.
Elena la Bella, o Vassilissa, o Maria Marina, o chi altra mai di questo gruppo delle fiabe russe raccolte da Afanasjev, sono la stessa persona, rispondono alle medesime funzioni, denunciano la stessa ascendenza archetipica. E si tratta dell'archetipo di un mito, precisamente di un mito mediterraneo: il mito di Helene micenea e premicenea, studiato accuratamente dalla Seppilli e dalla studiosa messo in rapporto diretto, da una parte con i riti di iniziazione e propriamente con il rito di pubertà, dall'altra con le rielaborazioni dell'epos.
Uno studioso inglese, il Buttersworth -riferisce la Seppilli- "sceverò nei cicli mitici localizzati nei centri di civiltà micenea una preminenza (che sarà seguita poi da un conflitto) della discendenza regale matrilineare in base a cui la regalità apparteneva alla donna e veniva gestita da colui -per lo più uno straniero- che la conquistasse dopo aver dato prova delle proprie benemerenze: Pelope e Deidamia contro Enomao; Ippomene ed Atlanta; ciclo Calidonio, ordinamento dei Feaci, ecc.".
Tenendo presenti queste recenti acquisizioni della critica, la Seppilli analizza a sua volta il mito di Elena e la sua trasposizione nell'epos greco, pervenendo alla conclusione che l'Elena omerica sarebbe una diretta discendente da una Elena mitica, figura del culto (e precisamente di un culto pre-miceneo, connesso ad una forma di civiltà matrilineare), una di quelle figure destinate a discendere agli inferi ma anche a risorgerne, dopo essere state liberate da qualcuno in seguito ad una lotta tra due persone o tra due gruppi. L'analisi della studiosa e le sue conclusioni a me appaiono molto convincenti, oltre che estremamente affascinanti. Quello che stupisce è che la Seppilli, preoccupata, in linea generale, di rintracciare nelle leggende certificate dall'epos i motivi del rito iniziatico, mentre giunge a rilevare la presenza nei miti classici di motivi fiabistici che sarebbero appunto derivati da alcuni antichissimi riti e, in modo particolare, dal rito per eccellenza e cioè dal rito iniziatico, non si accorga, o comunque trascuri di darne notizia, del singolare parallelismo esistente tra le funzioni del mito e del rito di Elena, che ella documenta, e quelle riscontrabili nelle figure delle citate eroine delle fiabe di Afanasjev.
Abbiamo già visto che Elena la Bella (e le sue omologhe di differente nome ma di identiche funzioni) corrisponde pienamente al canone della bella rapita, e precisamente della bella rapita agli inferi da un eroe che viene da lontano.
Riscontriamo adesso nelle fiabe le altre funzioni connesse al mito.

La discendenza regale matrilineare
L'arciere protagonista della fiaba "L'uccello di fuoco e la principessa Vassilissa" può ereditare il regno solo in seguito ad un atto che decide del suo matrimonio con Vassilissa. L'Ivan di "Maria Marina" è chiamato a governare insieme con l'eroina ricevendo la dignità regale per evidente via matrilineare. L'eroina della fiaba "Il Principe Vasilij ed Elena la Bella", divenuta alla fine della vicenda zarina, affida il suo reame al principe Vasilij, confermando quella prerogativa fondamentale della Potnia preellenica (figura alla quale la Seppilli riconnette sia l'Elena del mito che quella dell'epos), per cui la regalità "apparteneva alla donna e veniva gestita da colui -per lo più straniero- che la conquistasse dopo aver dato prova delle proprie benemerenze".
Così, ancora, la "bella ragazza" co-protagonista di "La favola del giovane coraggioso e dell'acqua della vita", raffigurata come una vera e propria regina dei morti (non diversamente dalla Persefone di cui l'Elena del mito è una personificazione), appare detentrice della dignità regale: Ivan può ereditare il regno solo dopo aver sposato la fanciulla risanatrice.

Apportatrice di guerra e di morte
La medesima fanciulla, di cui sopra, prima uccide e poi risana: non solo è 'regina', ma è regina di guerra. Così, nel rito, Elena era una divinità guerresca, che presiedeva a Sparta agli scontri rituali fra due manipoli di efebi, e nella tradizione mitica era presentata come colei che portava la guerra e la morte nel mondo, colei alla quale erano legati, ancora nel rito, i giochi agonali considerati come parte delle cerimonie funebri. Anche l'Elena la Bella della fiaba d'apertura della raccolta di Afanasjev è una figura apportatrice di guerra, o almeno di conflitti violenti e di duelli mortali: ella diviene oggetto di contesa cruenta, ed è anche per lei che i fratelli uccidono Ivan, anzi lo fanno "a pezzettini", espressione estremamente significativa, che ricorda da presso una pratica tipica della "uccisione rituale" legata alla "morte apparente" dell'iniziando sottoposto ai riti di iniziazione.
E Maria Marina non è forse una specie di Barbablù in gonnella che, partendo per la guerra, lascia allo sposo, tra le altre incombenze, anche quella di osservare il divieto di aprire la fatale porta? (ed anche lei appare in relazione con le pratiche del rito di iniziazione, dal momento che l'eroe Ivan, che cerca di riprenderla per la terza volta a Scheletro senza Morte, viene anche lui, come l'omonimo protagonista della "Favola del lupo grigio ecc.", "tagliato a pezzettini" e poi messo "in un bariletto incatramato", per essere infine gettato in mare).

Il bagno rigeneratore
L'Elena figura del culto greco, alla quale -ricorda la Seppilli - erano dedicati due templi a Sparta ed uno a Rodi, era collegata non soltanto con le vegetazione (Elena, abbiamo detto, corrisponde alla grande Potnia preellenica e poi ellenica, titolo attribuito nell'antichità a divinità come Demetra, Core-Persefone, le Eumenidi, tutte legate al mondo dei morti ed al ciclo di morte e rinascita), ma anche con l'acqua e, specificatamente, con l'acqua infera. In modo particolare, a Corinto, lo xoanon, il "simulacro" della dea, veniva "immerso ritualmente nell'acqua" di una sorgente termale a lei consacrata. Non un semplice rito di purificazione, ma propriamente di rinascita (come per gli iniziandi che ad Eleusi facevano il bagno nel mare): il bagno nelle acque infere (per la mitologia greca, e non solo greca, ogni acqua che sorga dal buio della terra è un'acqua infera), ridando alla dea la verginità, la faceva appunto rinascere.
Così anche l'Elena la Bella di "Il principe Vasilij ecc." fa un "bagno" che è un bagno rigeneratore, se è vero come è vero che, solo dopo essersi immerso inssieme con Elena, Alesa Popovic può essere creduto. Il principe che porterà via dal regno ultramondano la Vassilissa di "Il re del mare e Vassilissa la Saggia" (altra incarnazione del tipo della "bella rapita"), ad un certo punto della storia viene mandato dalla babajaga al mare, dove vedrà "volare dodici gabbiani, che si tramuteranno in belle fanciulle e faranno il bagno" (il bagno come condizione della trasmutazione, cioè della rigenerazione). E Vassilissa, figlia del re delle acque, è appunto la maggiore delle dodici fanciulle-gabbiani (dove notiamo addirittura un duplice riferimento al mondo infero determinato dalla contemporanea rappresentazione delle acque e degli uccelli).
Non diversamente, nei riti di pubertà, il bagno era "una delle forme con cui si rappresentava la morte degli iniziandi" (Jensen).
Ancora una volta i legami tra mito-rito-epos-fiaba tralucono in controluce.

L' eroina dalle molte ricchezze
E questa comune filigrana traspare anche se consideriamo un ultimo aspetto relativo al complesso Elena-Potnia dell'antico mito mediterraneo: quello di essere Potnia Theron, cioe "signora delle fiere", che è l'epiteto omerico di Artemide, in quanto dea della caccia e degli animali, nonché caratteristica fondamentale di quella divinità femminile minoico-micenea che -ricorda ancora la Seppilli- veniva rappresentata come una figura di donna stante che tiene afferrati due leoni o altri animali, secondo il tipo iconografico di origine mesopotamica della dea Ishtar.
Come Ishtar (che, scendendo agli Inferi, viene via via spogliata dei preziosi ornamenti che riottiene poi nel corso della risalita) e come la Potnia-Elena o l'Elena dell'epos, anche l'eroina delle fiabe russe è un'eroina dalle "molte ricchezze", divinità del morire e del rinascere, "legata alla fecondità della terra di cui porta le ricchezze, e a tutto ciò che attraverso la morte rinasce, sole, luna, vegetazione" (A. Seppilli).
Come Elena, che dona la morte e la vita, anche la nostra zarina dai numerosi nomi, "rapita nel mondo infero, deve essere riconquistata, con le sue molte ricchezze" (c.s.).
Come le molteplici incarnazioni di Elena, che "tutte ci permettono di ricostruire una figura mitica divina, rapita, cioè destinata a 'passare le acque"' (c.s.), anche l'eroina delle fiabe russe, che è stata rapita e si trova nell'ultimo dei reami al di là delle acque, riconquistata sarà la sposa del vincitore, al quale, insieme con lei, andranno tutte le sue ricchezze.

RINVII BIBLIOGRAFICI
- A. N. Afanasjev: "Antiche fiabe russe", Torino, 1981.
- M. Eliade: "Miti, sogni e mister", Milano, 1976.
- T. H. Gaster: "Le più antiche storie del mondo", Milano, 1971.
- A. E. Je
 


 
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Franco Silvestro
 
L'ORIENTE DEI MIRACOLI
 
Pianti. E poi grida, quella notte, svegliarono i Miracoli.
Ossessa. Scapigliata. Quasi una strega, come nelle storie del sacrestano. In vestaglia al balcone centrale del palazzo. La luce del salone penetra il cotone e illumina due coscioni carnosi e abbondanti. Grandi mutande scure. Le zizze ballano. Sono più grandi del mio pallone .
... si sono fottuti tutto.- La ringhiera trema.
Le finestre si aprono - ch'è stato?... che succede? Gente in pigiama, in canottiera, a petto nudo - hanno rubato a casa della marchesa Sante Tittillera -.
La piccola piazza d'un tratto gremita. Prima gli uomini, poi le donne cariche di figli. Il bar di don Giosué l'ebreo riapre e l'odore di caffè si diffonde. Sembra quasi mattino. Forse lo è. Chi mi accarezza a destra chi a sinistra - complimenti signò com'è cresciuto questa creatura. - Mani sul viso. Puzza di pesce. Che schifo! I seni di mia madre sanno di quiete, di pace. Oggi di farina. La gente parla e fuma. Boh! Donna Filomena, la segatera, tiene banco. Come racconta lei non lo fa nessuno. Don Arturo il barbiere, lo chiamano la capéra, cerca pubblico. Ma tutti dalla segatera. E lei aspetta. Guarda guarda, c'è anche don Armando Caputo, l'ingegnere.
- Buona sera ingegnè… - saluta la segatera - come mai questo onore?
- Cosa volete, le grida ...il baccano...
Baccano. E che è? Ba..ba baccalà. Piace a mio nonno. Se lo mangia con le gengive. Fritto e con tanto sale. A Natale. L'ingegnere s'atteggia. Che schiattacove, come parla lento - "ma perché questo furto è così speciale,... ne succedono tanti in questo quartiere .... non si può più vivere". - Immediato il rimprovero - "ingegnè si vede proprio che voi non fate vita di quartiere, quando si vive ai piani alti le voci della strada arrivano stanche e quando si chiudono le finestre non arrivano affatto, si perdono nell'aria, come le fesserie". Terribile la segatera.
-e fatemi capire... Si giustifica don Armando.
- voi sapete che la marchesa Sante Tittillera non è una vera marchesa. Pochi, però, sanno che si chiama Assunta Martucci detta Malboro per via della bancarella di sigarette che teneva molti anni fa a Piazzetta Augusteo, proprio vicino alla Funicolare. Dal giorno che entrò nel palazzo, Assunta ha sempre avuto l'accortezza di non farsi notare, mai ricevimenti, mai estranei. Ci ha saputo fare. E bene. Guardatela adesso. Sguaiata e volgare come una vasciaiola, se si comportava così come si sta comportando la cosa si sapeva. Io e solo io sapevo, poi vi dirò come, ma non ho mai parlato, perché aspettavo una prova. E ora eccola! -Tutti zitti. La lingua della segatera taglia come il coltello nel burro. Dice mia madre.
- I Sante Tittillera erano un'antica e nobile famiglia siciliana, terre e proprietà a non finire, dalla montagna al mare, a Napoli e in Sicilia. Insomma ricchi assai. Dopo la guerra si sistemarono qui, in questo palazzo e qui morirono qualche anno dopo lasciando tutto soldi e proprietà al giovane e unico figlio: don Alfonso Maria Sante Tittillera. Bello come il sole ingenuo come questo bambino.- Tutti mi guardano. Mi sento ancora più bambino. Mia madre mi stringe e mi sento figlio. La storia continua.
- Il giovane marchese studiava per diventare avvocato ma i troppi soldi gli fecero perdere la testa. Molto denaro molti amici e quando se ne ha tanto di danaro, tutti gli amici sono buoni anche quelli cattivi. E fu così che cominciò a spendere e a spandere: macchine americane, caffè sciantà, ballerine e feste pure il venerdì santo!-
- Don Alfonso si innamorò di una artista francese; a Parigi, "quelle così" "si chiamano ARRtiste, e quella finì per metterlo in ginocchio. Pure lei doveva essere una mezza pazza, si fece comprare un cane nero e grosso come un asino, Berzebù, e don Pasquale il macellaio, mi diceva che mangiava la meglio carne, chili di carne! Qualcuno diceva di averlo visto bere sciampagna!-
Carne. Sciampagna. Belzebù. Il marchese come Re Giovanni contro Robin Hood. Il cane nero è il diavolo. Appare all'improvviso in fondo ai corridori. Ringhia. Ho freddo. Il seno caldo di mia madre mi avvolge. Un bacio in fronte. Tutto svanisce. Ecco i carabinieri. In coppia. Senza pennacchio. Cercano la segatera. Va a conferire. Ritorna. Drammatica. "Non posso parlare..." avverte. Perennemente vestita di nero, la vedova giovane. Al collo un medaglione con la foto del marito che morto in guerra riposava tra due palle rotonde e abbondanti. Zizze mai succhiate. Così dicevano al circolo ENAL i vecchi. Eccola qua, grossa e grassa si siede. Ma come fa una sedia così piccola a reggere un mazzo così grosso? La sedia scricchiola, si assesta, resiste.
È seduta. La gente aspetta.
- Allora dove eravamo rimasti? Ah!... allora il marchese spandendo e spendendo rimase senza una lira. Cominciò a vendere case e terreni e più tardi a impegnare anche i gioielli di famiglia. L'artista francese lo lasciò e se ne andò con un magliaro di Piazza Mercato. Il marchese licenziò tutta la servitù e qualcuno per dispetto gli avvelenò il cane. Feste non se ne vedevano più e solo qualche donna di malaffare varcava ogni tanto il portoncino del palazzo.
Pausa. Sento mia madre respirare. Aria calda. Aria di maggio.
- È qui, a questo punto, che Assunta Martucci entra in scena. Il marchese aveva un debito di sigarette. Un debito mai saldato e fu così che Assunta un giorno si presentò al portone del palazzo e bussò per ore fino a che non entrò. Dal quel giorno lì è rimasta e non ne è più uscita.
Atmosfera del mistero. Assunta Martucci prepara filtri magici immersa nel vapore, il marchese scamiciato buttato su una poltrona beve. Preda della contrabbandiera. Forse si innamorarono, qualcuno disse.
- ma quale amore e amore... don Alfonso non capiva più niente e Assunta se lo pazziò...accussì. Pollice e medio schioccano.
- Si fece accettare, gli pagò qualche debito e pare che sdebitò anche qualche gioiello di famiglia. E accussì il marchese si fece sposare. Niente cerimonia, una cosa veloce nella cappella del palazzo. Dopo qualche mese Assunta lo mise a pane e mortadella mentre lei s'abbuffava di quattro stagioni e di frittura di pesce. Ma tutto questo lo seppe fare bene, molto bene. Nessuno sapeva niente: chi era lei, che faceva, da dove veniva, a chi apparteneva. E nessuno avrebbe saputo mai niente se un giorno qualcosa non fosse successo.
Pausa. Cosa successe? chiedevano gli occhi.
- Una volta Assunta fece venire un tassì sotto casa per farsi accompagnare a Pozzuoli dove teneva padre e madre. Quando il tassista la vide uscire dal palazzo schiattò dalle risate, la pancia in mano, non si poteva più reggere, appoggiato alla macchina alluccava "all'anima della marchesa... la marchesa dei miracoli.. la marchesa dei miracoli.." e rideva rideva.
Assunta fece per rientrare ma andò verso il tassista e gli sputò in faccia. Due volte. E quello continuava a ridere. Altri sputi e maleparole. E che maleparole... roba di prima qualità, cose che non posso ripetere davanti a queste anime innocenti! - E mi guarda. Di nuovo mani calde sul viso. Innocente. Sto mettendo i peli. Come Giggino. È più piccolo di me ma ha già i peli e arriva pure.
Inarrestabile la segatera: - Quando Assunta rientrò io avvicinai il tassista e lui spon-ta-nea-men-te mi raccontò cosa era successo. E mi disse tante cose. Mi disse della bancarella a Piazzetta Augusteo, di tutte le volte che l'aveva accompagnata in piena notte nei locali degli americani giù al porto. Era famosa come "Malboro".
- ..e il marito, il marchese che fine ha fatto? - chiedono. Pausa.
La segatera si fa lentamente il segno della croce. Scomoda il ritratto di suo marito dal placido senone. Lo bacia. I bambini tremano. Io tremo. Diavoli. Fatture.
La gente porge l'orecchio, spinge, s'affolla. È scomparsa la segatera, non riesco più a vederla. Troppa gente davanti. All'improvviso. Segmentando prima sottovoce. - Si-fi-li-de. La sifilide se lo magnò. Poco per volta.
Mi stringo a mia madre. La fisilide, deve essere grosso, più grosso di un leone per mangiarsi un marchese - non è stata Assunta Martucci a mischiargliela - sentenziò la segatera - l'aveva già prima di conoscerla…-
Forse la francese, qualcuno azzardò. L'artista sciantà forse gliela aveva mischiata. Con autorità la segatera:
- Non inventate. Non vi buttate a indovinare. I fatti vanno rispettati. A me la gente crede e mi confida perché sa che io non sono né una malalingua né una bugiarda. Riferisco, come giornale. Vedo, penso, metto insieme ed esce lo stono. A me Assunta Martucci mi sta qua, sullo stomaco, avrei potuto dire che fu lei a mischiargliela la malattia, chi potrebbe dire il contrario? Ma io non lo dico, non sono una mala lingua. Altro Passalacqua. Celestiale tostatura. Profumo infinito. Mia madre lo gusta. Mi bacia sulla bocca e sento il caffè. Mi piace. Ho sonno.
La marchesa distrutta era rientrata. Il palazzo al buio. Don Arturo era rimasto solo. Sconfitto. Come al solito. Niente da fare con la segatera. Vedovi. Mammà dice che un giorno o l'altro si sposeranno. Donna Filomena lo fece chiamare.
- un caffè per don Arturo...
- Grazie donna Filomena... a proposito avete saputo che hanno ritrovato la moglie di Totore o'ferraro?
- l'ho sentito dire, voi che sapete? - la segatera alla carica con una punta di invidia per la notizia fresca fresa.
- della faccenda si è occupato don Armando... e voi sapete che quando don Armando si mette a disposizione di qualcuno la cosa la risolve.
- Certo la moglie di Totore è proprio un bella femmina. Troppo bella. Chi lavora dalla mattina alla sera non dovrebbe mai sposare una donna troppo bella. Gli sfaticati questo lo sanno.. lo sanno fin troppo bene. A proposito dove l'hanno trovata?
Don Arturo è lento, mi fa venire sonno. Mammà mi dondola. La segatera mi copre con uno scialle nero. Sento la carne calda di mia madre sulla guancia. Fa freddo.
... stavano a Melito, in campagna, sì lui è Melito...
Altre storie si raccontano. Altro caffè scorreva. Il palazzo scompare nel buio. Altri luoghi e altre persone. I bambini sognarono di mostri che mangiavano marchesi, di cani sanguinari avvelenati, e di sigarette americane vestite da sposa.
 


 
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Mariella Bettarini
 
EX ORIENTE LUX
 
"Ex Oriente lux " (o dall'Oriente buio, niente. E: che cos'è, qual è l'Oriente? Da dove inizia l'Oriente per chi abita ad Oriente? E: ad Oriente di chi, di che? Per chi abita l'Oriente, l'Oriente è, poi, l'Occidente. Per loro, l'Oriente siamo noi.
Per noi l'Oriente, però, è l'Oriente. L'Oriente e basta. Oriente di mercati e di traffici. Oriente bottegaio (un po' come questa Firenze).
Ma anche: Oriente di puri spazi, puro vuoto, puro Tutto e Nulla. Oriente di povertà, di potenza e di polvere. Di polverosi sogni. Sogno polveroso d'Oriente dall'odore di spezie e incensi, miele e pecore e cuoi, sterco e gelsomini. Dove hanno il nido le cicogne. Che difatti vidi in un mio remoto (unico) adolescente marocchino viaggio nell'Oriente (e nel Sud). Dove le mura delle città sono (per antonomasia) rosse e prendibili. Luogo d'avventure e luoghi comuni. Ove si mescolano le canzoni (esotiche, africane) di Paolo Conte e le facce variegate/svariate di tutti i possibili Bogey, Tyrone, Errol e delle finte odalische e solimane di tutti i finti, straordinari e polverosi film di Hollywood che ci hanno regalato a piene mani. Oriente e sogni, Oriente e favole, Oriente e luoghi comuni, Oriente e finzioni, tra Salgari e le sfingi, palazzi di cartapesta e sudici suk infidi, scimitarre e mercanti, dromedari e cavalli, tigri, cobra, cicogne. La paccottiglia di chi si è solo figurato l'Oriente e i suoi traffici. Cianfrusaglie e ciarpame di cui mi dolgo nella mia (solo) libresca conoscenza del globo e del suo Oriente: un'ignoranza che -certo- non potrò colmare prima d'andarmene o prima che il globo stesso -e il suo Oriente- traligni, si consumi, si guasti, sia da noi devastato.
 


 
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Mario Amato
[ marius2550@yahoo.it ]
 
AI GIARDINI DI SCHÖNBRUNN
 
Mario Amato



Un’ultima poesia

Sognai

Di scrivere

Non incisa poi

Un poi che non so

Sui testi di scuola

Banale

Intagliata di nascosto

Sotto il banco

Da fremito adolescenziale

Che forse intendeva

Il severo insegnante

Con gli occhiali

Sul naso

In quella primavera

Ancestrale

Fra mandorli e seni

Di fanciulle

Fioriti













































































Sognai di sognarti

Seduto su una panchina

Al giardino di Schöbrunn

Nei colori imbruniti

D’Autunno

Svanirono i distratti

Viaggiatori

Fascio d’idiomi

Intorpidito

Rumori di passi

Sul fogliame

Imbrunito d’Autunno

Sparso mormorio

Di venti

Delle porte d’Oriente

Giallo autunnale

Dei tuoi capelli d’oro

Ondeggiare delle chiome

Frondose



Apparve

La figura confusa

In un quadro

D’altri tempi

Di noi due danzanti

In abito d’altro tempo



Ti sognai

Nei colori imbruniti d’Autunno

Sulla tua forma

Pioggia di foglie

Vesti fruscianti

Il sussurro della fonte

Quasi suono lontano

Di flauti
 


 
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Massimo Silvestri
[ mose@email.it ]
 
IL MONACO ROSSO
dall'oriente la luce
 
di tempo in tempo
scenderà
il sovrano universale
sotto le spoglie
di un monaco rosso.
a mendicanti solitari
donerà rosari
di perle di legno
presso il recinto
di re di dei
di ombre di oblii.
la luce pellegrina
vestita di rosso
avvolgerà il sovrano
sorregerà il diamante
e la folgore
entrando dalla porta orientale
inonderà le mura
e le torri
e le porte e i fossati
saranno come capanne
di paglia di fango.
dalla porta orientale
l'essere assolto
varcherà le colonne
aprirà il recinto
e tingerà di rosso i mattoni
e indovini e chiromanti
e i profeti
saranno come argilla
soffiata dal vento.
il monaco rosso
accennerà un sorriso
e quieto tranquillo
gli occhi giallocobalto
in tutte le direzioni
creerà spazi
fisserà le radici sacre
universale sovrano
segnando il cammino del sole.

 


 
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Mario Amato
[ marius2550@yahoo.it ]
 
HO SOGNATO
 
Ho sognato di varcare la linea
Dell’aurora rosata e perdermi
Felice nell’Oriente lontano
Percorrere bisaccia in spalla
Vetusto viandante
Calcare passo per passo
Pietra su pietra l’infinita
Vana muraglia cinese
Fermare gli stanchi passi
Ascoltare storie da altri pellegrini
In lingue ormai sepolte dall’oblio

Ho sognato di inerpicarmi
Per sinuosi rampicanti tratturi
Prestare vigile orecchio
Devoto pellegrino
Al silenzio santo delle vette
Del Tibet e ai cenciosi saggi abitanti
Che allo straniero apprestano il cibo
Della festa

Ho sognato
Le cupole dorate delle città
Delle mille e una notte
E la milleduesima
Traversare deserti insieme a carovane
Di cammelli pazienti e lasciare orme
Effimere che il vento bruciato
Sconfigge

I mercati chiassosi dell’Arabia
Ove venditori urlano cantilene
E il volto e i profumi di Sherazade
Danzante

L’occaso oscuro
Varcare le colonne d’Ercole
Insieme all’inesausto Odisseo
E smarrire lietamente la rotta

Ho sognato
Dinanzi al cielo della mia finestra

“ Sancho Panza pensava che bisognerebbe ringraziare chi ha inventato il sogno, ma non il sogno che tutti facciamo quando ci addormentiamo, bensì il sogno che facciamo ad occhi aperti e che solo ci permette di sopportare la banalità della vita”. E.T.A. H
 


 
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Roberto Miele
[ r.miele@tin.it ]
 
DISSEGRETI
Introduzione all'opera pittorica di Claudio Tuccillo

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A pochi passi da via Theîon, dove il crepuscolo disvela il desiderio di aggrapparsi al presente, una donna, il cui nome appartiene all’oblio, osservava distratta i passanti, dalla soglia della propria casa. Chiunque ne avesse rapito gli sguardi, sperando, in tal modo, di eternarne l’attenzione, come una mano soffoca il silenzio, non avrebbe potuto fraintendersi meglio.
Ebbi occasione di parlarle una sera d’autunno; piangeva, e mi proposi di lenirne lo sconforto.
- Perché credi ch’io soffra? Le lacrime non solo ci tradiscono, più spesso pretendono di esistere inevase.
- Probabile sia solo una pretesa.
- Non è inutile, tutt’altro. Lo sarebbe se appagasse l’intenzione di stare meglio, o più semplicemente se svangasse un’abitudine. Vedi? Mi hai visto piangere e hai creduto che fossi triste; fossi davvero triste, piangerei?
- Capisco, eppure…
- Non sorprenderti, se non per arginare ulteriori eventuali dubbi.
- E non dovrei dubitarne? Insomma, se mi bastasse una certezza -quella per la quale il suo pianto è solo un pretesto- avrei potuto non fermarmi, dunque negare l’apparenza.
- Fermandoti, hai ottenuto quanto non cercavi, ma diversamente. Entra…
Nelle stanze la penombra consacrava l’odore delle castagne. Alcune tele, mal disposte sui cavalletti, rappresentavano degli interni: camere da letto, soggiorni, e un atelier piuttosto singolare.
La seguii lungo un corridoio che sfociava nella stanza per certi aspetti simile a quella vista poc’anzi sulla tela. Per quanta esitazione mi bruciasse dentro, da ardere persino lo stupore, riuscii comunque a constatare una lieve coltre di polvere posatasi ovunque, fuorché sullo specchio.
- Ti sembra bello? Intendo… ciò che vedi.
- Potrei risponderle di si nella misura in cui penso significhi qualcosa.
- Potresti, ma prima bisogna non solo vedere. Da bambina cercavo un perché grazie al quale per vedere qualcosa occorreva disvederne il vuoto che vi era intorno. Adesso, guardandomi allo specchio, tremo all’idea di riconoscermi. Avvicinati ancora, ancora un poco, e prova a dirmi quello che non vedi.
Che dirle? Che ho provato a smarrire l’indolenza, che pochi ancora osano osservarsi, e che ogni gesto, ogni provocazione è meno effimera di quanto la circonda? Che dirti, lettore, non ne hai abbastanza?
Avvicinati un poco, un poco ancora…

Recensione creativa, scritta in occasione della mostra personale del pittore.
 


 
le botteghe d'oriente 
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Massimo Silvestri
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LO SGUARDO NOTTURNO DEI SUMERI
 
le processioni i cortei
le liturgie pure degli dei
pallidi a loro agio nei giochi eterni
oltre le porte verso Dilmun
sotto i cieli di rame
e la ferocia dei miti
e i nembi il profumo degli incensi
i veli sottili i lembi
vigili immobili dubbiosi
piccoli crudeli demoni
nelle congiunzioni di onde e luci
riti nefasti misteri gelosi
corpi sommersi per l'acqua.
un turbinante intreccio
di suppliche e oblii rovine e formule
frammenti di un nucleo primordiale
di sigilli e rotoli.
oltre le porte verso Dilmun
calchi e maschere di universi proibiti
ombre dei popoli dispersi
sguardi notturni, Sumeri
alla luce tremante dei ceri sospesi
voli d'uccelli neri
oltre le nuvole in cammino.