il sangue e la storia 
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Roberto Tessari
 
INOPPORTUNAMENTE UNICO E DEFINITIVO
 
Anche se credi alle fate
e tuttavia intagli mostri
sempre più piccoli nel legno...
...resta vero che un dio
non lo puoi inventare:
perché non esiste.
Ma non esistere è il solo privilegio,
e ciò che non sai trovare
ti costringe all'unica ricerca.
(Voltaire non era più obliquo di Colombo,
che scoprì la solita terra sconosciuta
ma preferiva chiamarla col suo nome
di favola stanca). Non possiamo amare
se non riconoscendo al primo sguardo.
Intendo con pupille senza iride:
di quando eravamo ciechi,
prima di un diluvio di sogni.
Prima delle promesse, e dei ragni.
In certe mattine d'inverno
attraversavo il Rodano a Lione
camminando all'indietro sul ponte.
E mi sembrava di averlo già fatto
tanto tempo prima,
con un cuore tutto d'argento squillante.
Ma ritorniamo al dio
che potrebbe essere anche l'incidente
per cui non siamo né un gatto né un rubino.
(Cosa di poca saggezza, ma sicura).
E importante: perché irrimediabile
o più pesante del nostro cervello.
lo, nella natura, sono solo un sospetto:
la disagevole sensazione di rispondere
alla domanda che nessuno ha posto.
Inopportunamente unico e definitivo
come una scelta per noia
(Vero è che mi aggiro sul pianeta
dicendo ALBERO dicendo PIETRA
dicendo COCCODRILLO dicendo MONSONE,
vedendo da tutti i rami da tutte le nuvole
cadere petali di fiori interrogativi).
Eppure il mondo era silenzio lancinante
e frattura di musiche senza spartito.
Poi scoprimmo di essere nudi,
ma questo avvenne tanto tempo fa
che la nebbia mi impedisce di guardarmi i piedi.
Oggi l'inverno salpa verso Occidente,
nondimeno le Grazie danzano ancora
presso il villaggio di Aghighiol
tra il Danubio e il mare.
E indossano i veli di Maia,
trasparenti tanto da bucarti gli occhi.
Così ognuno reca sul volto
minuscoli abissi per cui le dee nude
cadono direttamente sull'anima.
E nuotano per le vene
fin che il sangue non sia una palude
sotto l'astro rovente della morte.
E portano al cuore anelli di sole
o anelli di luna, smeraldi mattutini
o agate crepuscolari (bagliori
che danno impronte incancellabili
nell'iride di ognuno, e l'illusione
di leggere le tue parole stampate
sul volto dell'ascoltatrice distratta).
Non sarebbe comunque compito nostro
criticare le astuzie d'una dea.
Anche perché i ciechi vedono
attraverso le mani. E non è bello
danzare fantasticate tra dita brancolanti.
Né la contemplazione è possibile
senza la luce. E così via
nei labirinti disegnati per il cervello
e per il ventre dell'uomo. (Dentro
siamo mollicci e sierosi: sede
poco adatta a paradisi o inferni).
Pure viviamo nell'esteriorità,
dove è necessario ritornare alle Grazie
affissandoci senza palpebre ai loro veli.
Qui ritroviamo la nostra sconfitta,
perché una veste di fili di vetro
ricorda l'acqua in cui siamo nati.
Tenera armatura: ma abbastanza terribile
da urlare stridula per divieti infantili
quando entri nel bagno e la bambina è nuda.
La trasparenza è il delirio delle lagune.
E non è vero che i suoni non sappiano
vibrare oltre le onde, colmandoci
di sale liquido e bruciante nei pensieri
e nelle orecchie. Strinando
la pelle morbida degli incubi divini.
Così ti viene voglia di sciacquarti le dita
tra le cosce di una vergine.
E ricami parole come IO SONO TRISTE
come SAREBBE BELLO UCCIDERCI INSIEME
come LA TUA BELLEZZA... come IL TEMPO
È UN FRUTTO SBAGLIATO come AMORE,
ANCHE SE È PAROLA DI MUTI.
Intanto stringi tra le labbra un rasoio
che scivola ubriaco sul tessuto di vetro,
danzando sicuro un esercizio obbligato
lungo le ellissi dell'infinito
e del nulla. Certo: sarebbe un inganno...
Certo: sarebbe una violenza. e non potresti
scollare dagli specchi dei bar il tuo
profilo schiacciato tra altri cinque
profili appiccicosi nel ghigno.
...se anche LEI, anche LEI, anche LEI
non ricamasse di stiletto antico
sul velo del silenzio. L'alibi
dell'assassino è l'ineluttabilità della morte,
che gli occhi sbarrati della vittima
rilevano solo con più arte
di quanta sia concessa ai letti d'agonia.
La commedia non esclude il lieto fine
ben che sia tempo di vacanza per il fato.
...anche LEI, anche LEI, anche LEI.
Se non ricamasse di stiletto
sul velo del silenzio... Tu ti sogni
incolpevole come un neonato parricida,
chiuso ridente nei suoi occhi di latte.
Ma quella danza che tentava
la corda troppo tesa del suicida
era implorazione a generare musica.
E quel canto senza voce era lo sguardo
che posava sulla tua desolazione
anche se voltavi la schiena.
Così una tela di ragno palpita stracciata al vento:
mentre i sussurri del demente corrono le vene
che battono alle tempie di due moribondi.
Poi galleggiate nudi sull'onda
di seta dell'eternità che mente
senza volerlo ad ogni nota
della sua ninna-nanna. E l'ascoltate.
Tu scosti ragnatele dal corpo dell'amata:
sulle ciglia vibrate per sospiri di serpenti,
sul petto che si finge armatura più dolce,
sulle gambe che nuotano lungo il vuoto
dei tuoi pensieri, sulla schiena
che si inarca in tesi pendii
(dove non è facile scivolare
verso il lungo segno
d'un torrente di velluto lunare
asciutto: per cui le dita si sciolgono
in rigagnoli d'acqua, e scendono
con immemore lentezza
a precipizi di vertigine inventata).
Tu scosti ragnatele dal corpo dell'amata.
E, intanto, parli con te stesso,
e ti convinci che questo sia necessario
per restituire bellezza alla bellezza.
Eppure basta l'incidente inevitabile
d'un indugio più lungo
dove la conca del ventre spasima per non finire
(o dove un sangue lattiginoso
si alza in colma dolcezza
per guardare con brividi alle stelle)...
Oppure basta seguire con le dita
il contorno delle labbra dischiuse...
Perché i palpiti del vuoto abbiano echi
e pulsazioni inarrestabili dietro le pupille
e il fuoco divampi nella testa
bruciando una statua di Venere
che rovina dal suo piedistallo,
come tu ti lasci cadere ubriaco
sui cuscini dei suoi desideri.
Il lungo epilogo, anche se una luce
rimane accesa, è frenesia di marionette
dietro sipari di velluto rosso.
Più tardi, solo, non aprire il pugno
per staccare nove maschere dal volto:
un'altra ancora è necessaria
(come rifare l'intrico del foulard azzurro
o controllare i bordi della vestaglia),
onde accogliere l'ospite importuno.
"Camminare sull'acqua"
-dice Amleto- "se lo pensi da terra
equivale a presagi di morte"
(e borbotta qualcosa come "Ofelia",
masticando per tabacco biondo
la sigaretta scollata della parodia)
"…ma si tratta d'un viaggio
controvoglia. Che corre verso l'ombra
come ogni avventura.
Solamente che l'ombra -in questo caso-
soffocherà tra pulviscoli d'oro
che sembra difficile ritenere prezioso.
L'atto è (mi sfuggono le parole...).
Oserei definirlo 'razionale'.
Quando la perfezione dell'amore
sarebbe comunque nello scontro
di due chiuse armature (lo pensava
un Poeta d'Autunno) -e le chiome
di Clorinda non all'aura
sparse; anzi chiuse -senza vento-
in un elmo di ferro ben tornito. Ma
non stuzzichiamo l'ascetismo.
Riterrei sufficiente che il signore
sgranchisse sulla sabbia le sue dita
per avere il bilancio della notte
(né oserei augurargli che scoprisse,
addirittura, nel palmo, una moneta).
La sociologia mi annoia. Perciò
restiamo al vuoto. Che sarebbe
unica saggezza ai crampi della mano.
Ed è l'eguale del reggiseno
color di tortora dimenticato
-nuvola e straccio- in un cassetto.
Non sarà uno strascico di tulle;
ma tanto più tenero rimane
quanto più sono ingialliti i denti
della vostra illusione.
(Non dimenticate il teschio, signore!
...per la mia collezione di posacenere
banali)... eppure è meno singolare
che alcune ossa sbadiglino
nell'ospitare fibrille effimere.
Ineffabile saggezza
di ogni apertura...
Ma non della bocca
che protende parole erette nel vento.
Aspirare non è vivere:
agonia vuol dire lotta. Come dire: avere.
Che è ultima sciocchezza nell'alba.
E tanto costa quanto la violenza
di uscire dalla pelle per rubare
il cardellino impazzito di gioia
che canterella al topo la nostra morte.
Finalmente!
...dicevo di aperture spalancate
nascoste da veli trasparenti,
di ali di libellule su schiene di fate
che inventano madrigali senza dediche.
Per cui voi passeggiate davanti alla grotta
come l'ospite atteso mai chiamato.
Ed è questa la sola occasione
per esplorare il giardino. Per salire
i gradini che avreste perduto.
Per scoprire l'òntano e il declivio.
Per sfuggire lontano. Per vedere
-unica volta- la dimora
da oltre il muro che avete varcato
(anche se -adesso- il cancello è aperto,
anche se -voci alte due dita-
invitano il vostro nome
senza sbagliare a pronunziarlo.
anche se)... credete alle fate,
e tuttavia intagliate mostri
sempre più piccoli nel legno.
Eppure resta vero che un dio
non lo potete inventare
perché non esiste.
Ma non esistere è il solo privilegio..."

...e tedio mortale... E cogliere, di sorpresa,
quell'ombra nera nello specchio
con malinconie di ferro avvelenato
ti lascia a far asciugare
-per quanto sia lunga la notte-
una macchia di sangue sullo stomaco.
Mormorando che l'impossibile
non può essere una vela
tanto bianca,
una vela tanto bianca,
tanto bianca,
tanto bianca...