il sangue e la storia 
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Mario Amato
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LA CAPITALE CHE NON C’È
 
Il mondo ha avuto molte capitali nel corso della storia o forse nessuna. Fu Roma, prima imperiale e poi cristiana, ma prima era stata Atene e prima ancora l’Egitto, più tardi Parigi e successivamente Londra, poi Vienna, ma questo è un punto di vista soltanto europeo, perché il centro del mondo, in senso ideologico, non esiste. Del resto basta una minima conoscenza dell’etnologia per sapere che molti popoli chiamano se stessi “gli uomini” e ritengono che il luogo dove abitano sia il centro del mondo.
Oggi, nell’era della globalizzazione, tutto il mondo è diventato periferia, ma in fondo qualsiasi vita si vive in periferia. Parafrasando Italo Svevo, che diceva che la vita è una malattia perché è sempre mortale, si può dire che la vita è non è mai nel centro, perché c’è sempre un altro centro. La letteratura, più della filosofia, più della scienza, insegna che la vita è di per sé relativa. Più della filosofia, perché i sistemi filosofici, come le religioni – ma anch’esse sono filosofie -, pretendono di spiegare il mondo o di cambiarlo; più della scienza, perché questa pretende spesso di dominare il mondo e la vita. Relatività tuttavia non significa diffidenza, ma sprone alla ricerca, ed anche la grande letteratura è ricerca o narra la ricerca.
Il primo vero romanzo europeo è l’ Odissea, ricerca di una patria e di una moglie, ma anche ricerca da parte di Ulisse di sé stesso. Qualcuno ha scritto che tutta la letteratura altro non è che una piccola nota in margine all’Odissea. È certo un’esagerazione, ma è pur vero che molti scrittori hanno un debito con questo libro, che libro non era, ma narrazione orale. Non a caso Ulisse è il personaggio letterario che ha subito più trasformazioni letterarie di qualunque altra figura. Dante, Alfred Tennyson, Giovanni Pascoli, Franz Kafka, James Joyce, Umberto Saba – e l’elenco potrebbe continuare – fanno i conti con Odisseo e creano altri Ulisse. Anche quando il nome dell’eroe greco non appare, esso è presente come eredità culturale.
È il caso dell’avvocato Galip, protagonista del magnifico romanzo di Orhan PamukIl libro nero(1)”, che ad Istanbul, cerca la moglie ed il cognato, Celal, scomparsi. Nel libro c’è una molteplicità di voci: quella dell’io narrante, quella di Galip, quella di Celal attraverso gli articoli che aveva scritto per il giornale presso cui lavorava, ma c’è soprattutto la voce di Istanbul, delle sue molteplici anime, perché tutti i nomi che la città ha avuto hanno lasciato qualcosa di importante: c’è l’anima araba, che appare al lettore soprattutto nella bottega di Alaadin, bazar in cui si può trovare di tutto a poco prezzo, ed appare ancora nelle statue di legno in cui un falegname aveva cercato di eternare le espressioni del popolo turco; c’è l’anima europea occidentale con cui si convive non sempre in pace; c’è l’anima bizantina nel complicato labirinto di vie in cui s’inoltra Galip; c’è l’odore del mare con la nostalgia per l’oriente lontano. Il lettore viene condotto quasi per mano da tutte queste voci ed odori, fra centro e periferie. Forse il romanzo è un omaggio al genere giallo, ma è anche molto di più: nel capitolo “L’occhio” Galip s’inoltra in una squallida periferia e si avvede che qualcuno lo osserva, ma solo alla fine comprende che quell’occhio che lo guarda e lo scruta nei recessi profondi dell’anima è il suo stesso occhio..
Questo capitolo è una geniale metafora della scrittura, del romanziere che guarda la vita e la rappresenta ed a volte è costretto a rinunciare a comprendere i segni dell’esistenza e forse gli stessi segni che egli incide sulla carta, lasciando ai lettori la loro decifrazione, o semplicemente il godimento della lettura. “Il libro nero”, come tutti i grandi romanzi, parla del senso della vita, ma non dà alcuna risposta. Istanbul è la città ideale per il romanzo attuale; oggi, nell’era della globalizzazione in cui tutte le città si assomigliano, Istanbul conserva l’antico ed il moderno, perché se come diceva Musil l’austriaco non esiste, anche il turco non esiste, perché erede di una molteplicità di culture che si sono intrecciate e radicate nel cuore di Istanbul. Vienna, Praga e Trieste furono capitali di un grande Impero, dell’ultimo sogno di uno stato sovrannazionale, Berlino fu capitale delle sperimentazioni politiche e culturale della Repubblica di Weimar, luoghi che sono ormai storia; la loro vita fremente di allora la possiamo assaporare ormai dalle pagine che i grandi scrittori ci hanno lasciato in eredità. Dal libro di Pamuk invece comprendiamo che Istanbul è ancora una di queste grandi capitali, è ancora un centro, in cui si può parlare dell’essenza della vita.
E dell’essenza della vita ci parla un altro grande libro di Orhan Pamuk, “Neve”(2), in cui un poeta turco, Ka, che vive in Germania, torna nel paese di Kars, isolato dalla neve, per occuparsi di ragazze che si sono suicidate perché costrette a togliersi il velo. Per un occidentale la questione del velo può sembrare solo esteriore, in realtà essa è fondamentale, perché rimanda alle domande che Immanuel Kant definiva inalienabili. Il protagonista si troverà di fronte a sé stesso, diviso tra la sua parte occidentale che tende verso l’ateismo e la sua parte orientale che ama Allah. Il senso del romanzo va ben al di là dei problemi politici che in esso vengono rappresentati.
“Gnoti se auton” (conosci te stesso) era scritto all’entrata della sede dell’oracolo di Delfo, e la lettura di un buon libro è un ottimo mezzo per tale scopo…


1) Pamuk, Orhan, Il libro nero, Torino, Einaudi 2007
2) Pamuk, Orhan, Neve, Torino, Einaudi, 2004