il sangue e la grotta 
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Mario Amato
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ECO DI FINE MILLENNIO
 
Nell'anno del Signore (...1...)999 un monaco, come mille altri monaci, procedeva per una fitta boscaglia.
Strascinava i sandali e tremava ad ogni fruscio. In quelle notti dell'anno del Signore (...1...)999 anche il più lieve nascosto rumore echeggiava nei cuori umani quale presagio di sventure prossime e si trasformava nelle menti use a mille fantasie in immagini di distruzione.
Il monaco camminava in compagnia delle proprie orazioni e del rosario sgranato senza sosta da mani inquiete e sudate.
La notte, come un nero sudario, lo avvolgeva.
Dimentico dell'antico ammonimento -di fronte a DIO un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno (Pietro, epistola seconda)- si figurava i quattro cavalieri della pandemìa, li paragonava alle miniature osservate sui volumi della grande biblioteca del monastero, confondeva i propri passi con lo scalpitio dei destrieri dell'apocalisse, si segnava, recitava il mea culpa, e pure accelerava l'andatura.
E fra una prece e l'altra, fra una ripetizione e l'altra del monito solenne, la mente tornava ad un tempo lontano, alla culla infantile, alle favole ascoltate già nelle viscere materne.
Cercava l'incanto, l'oblio.
Aspettava un lampo che illuminasse la via, e la sperava libera. Più ansiose si facevano sulla bocca le preghiere, più presto il passo; voci si infiltravano nella foresta, mille voci, mormorii, si insinuavano tra i rami, nelle fronde, indistinti, densi di angoscia, si confondevano con il vento, con la nenia del piccolo frate.
Gli arbusti proiettavano scure sagome sul terreno, mille giochi d'ombre, che apparivano e sparivano.
Un fulmine, atteso, temuto, rischiarò il bosco, altre ombre si aggiunsero a quelle dei rami, si protesero nel nero labirinto di linee, inestricabile arabesco nella fievole luce notturna.
Erano paure di un tempo sepolto, ancestrali. Più vicino il mormorio, più confuso con il vento, con le orazioni, più intricate si allungavano quattro ombre e quasi sfioravano i piedi del monaco.
Bruschi gli arti inferiori si arrestarono, le mani smisero l'abituale movimento, e non il sudore, tacquero le preghiere. Un'ansia interna invisibile palpitava nel frate, statua ove batte un cuore, scorre il sangue, fiera in vista della preda dinanzi a bestie cupide di carne.
Sulla terra si proiettavano minacciose le oscure immagini delle miniature dell'antico testo.
Animale in attesa del momento, il monaco tese l'udito. Cercava di distinguere tra i fruscii lontani, gli echi spezzati, il mormorio infranto, i lacerti di parole.
Ascoltò i progetti dei quattro cavalieri... fame... guerra... peste... carestia...
Comprese di essere, piccolo monaco come mille altri in quella notte dell'anno del Signore (...1...)999, lo strumento prescelto dell'eterna battaglia, comprese un soffio di vento tra mille, un alito simile a quello infuso al primo uomo.
E fu uno strisciare di sandali tra il fogliame... e un'ombra con saio e cappuccio si confuse con quelle dei rami e dei cavalieri... e sedette a complotto.
Il monaco, uso al cammino, si propose guida. Ed il male assoluto non seppe riconoscere l'inganno.
In quella notte dell'anno del Signore (...1...)999 una trista processione andò per la boscaglia.
Alla testa di essa un fraticello, come mille altri, ascoltava tutte le voci, udite già nel grembo del mondo, nelle viscere della terra, prima della concezione, ascoltava e ripeteva tutti gli eventi di tutti gli uomini vissuti, di tutti gli uomini a venire, raccontava tutte le storie di tutti gli animali, di tutti gli alberi, di tutti i fili d'erba, di tutte le pietre, di tutte le gocce d'acqua, raccontava tutte le storie del creato. E tesseva con il cantico stretti legamenti intorno ai quattro che lo seguivano, incantati.
E li condusse nel grembo del mondo, ventre di tutte le storie. La notte come un nero sudario avvolse il monaco e i suoi prigionieri.
Dalla caverna ancestrale, dal fondo oscuro della narrazione senza fine echeggiano le storie, sono forse gemiti interrotti, parole frante, sussurri accennati, bisbigli flebili, vagano per i quattro canti che racchiudono gli elementi... e fanno ritorno alla spelonca. Fanno ritorno al monaco. Ed egli, il volto esausto, segnato da rughe di secoli e secoli di continuo richiamati e perduti, ripete con parole nuove, con modi diversi tutte le storie, tutta la storia che i quattro cavalieri hanno il compito di conchiudere, e tuttavia mille e mille volte ascoltano... attoniti.
Essi aspettano una pausa nell'illimitato fluire delle parole, aspettano che il roco brusìre del monaco s'arresti e la storia ponga fine a tutte le storie. E tuttavia esse nascono, crescono, riverberano nel lucore della caverna, si moltiplicano tra gli echi infiniti dell'antro... e l'ultima parola dell'ultima storia è la prima della successiva.
Stanno in attesa della pausa che mai giunge... tutti stanno in attesa.
Il monaco narra e narra, memore che egli è parte del ciclo che la parola tiene in vita, memore della condanna a non poter dimenticarsi, ad incantare, ad incantarsi, narra... mille volte ancora e ancora... sgrana il nero rosario... e come grani di rosario trascorrono istanti, giorni, anni... mille anni ancora e ancora...
Forse recita preghiere, forse ripete l'antico ammonimento -di fronte a DIO un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno-, forse narra in secula seculorum questa storia... in secula seculorum...