strategie e accerchiamenti della paura 
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Zelinda Carloni
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VALE LA PENA
 
E mi chiedo: vale la pena? Che cos'è che "vale la pena"? Certo non c'è quasi niente che valga la pena, se "pena" deve essere. Se è vero, ed è vero, che va colto l'attimo che unico può essere fonte di gioia e di piacere, se è vero che la giovinezza è breve (perché è un esercizio che stanca l'anima prima ancora del corpo) e va catturata e intrapresa con dedizione; se il "carpe diem" ha il valore che ha (e i napoletani lo sanno e dicono: "campa nu' jorno e campalo buono"); allora perché "darsi pena" per altro da sé: il mondo, la società, gli umani, e via dicendo?
Mi chiedo seriamente perché la mia natura m'induce prepotentemente a "darmi pena": dev'essere un vizio di nobiltà. Sì, perché è tipico della mitologia del nobile, dell'eletto, del paladino, ergersi ad eroe combattente per tutto quanto vi è di buono e di giusto. Ma dev'essere qualcos'altro ancora, perché se è vero che "nobile" è "generoso" che suona stucchevole e parrocchiale, è vero pure che il suo contrario è meschino e volgare. Insomma, il "darsi pena" è un tratto dell'anima ineliminabile.
Ma per togliergli il connotato parrocchiale dirò subito che, nel mio caso, lo slancio che mi coglie nei confronti del mondo è accompagnato dal più profondo scetticismo nei confronti del mondo stesso: non lo saprei dire meglio di Cecov che recita più o meno così: "Mi farei crocifiggere per l'umanità ma non riuscirei a sopportare un'altra persona che dorma nella mia stanza".
È in me perfettamente chiaro che il mondo e l'umanità tutta è un perfetto caos nel quale solo un pazzo potrebbe pensare di mettere ordine, e questo non è un giudizio morale ma una semplice constatazione, non c'è nulla sotto il sole che sia meno ponderabile, prevedibile, conoscibile di un uomo, figuriamoci poi la combinazione degli umani a quale assurda rete di follia può dare origine. E gli sforzi sovrumani e le "pene" che si sono date generazioni di nobili pensatori hanno ben poco schiarito il quadro oscuro che ci si presenta: avrebbero fatto meglio, quei nobili pensatori, a cercare altrove il loro piacere piuttosto che a consumare le "sudate carte"? È ovvio (e parlo molto per citazioni, come è evidente) che "dove c'è gusto non c'è perdenza", che se l'hanno fatto un qualche piacere ne avran cavato, e questo già di per sé assolve l'operazione. Ma... quel che ci sta a cuore, a me ed a me stesso, è sapere se poi questo serva, se sia insomma in qualche modo efficace. Perché è evidente che la speculazione è un'attitudine dell'anima e che perciò chi la possiede la esercita come una funzione primaria; ma quando ci si occupa degli altri, e delle loro sorti, bisognerebbe come minimo avere il consenso degli altri ad occuparsi degli affari loro o, quantomeno, la serena consapevolezza di fare "cosa buona e giusta" nell'esercitarsi a speculare sulle sorti altrui.
E però necessario dire subito che nel mondo esiste sempre la circostanza per cui c'è in ogni caso qualcuno che si occuperà dei fatti nostri con molti meno scrupoli di quanto non facciano i nobili pensatori. Ed è forse questo uno dei nodi fondamentali per cui io credo che scatti la molla del "darsi la pena". Perché se è vero, come lo è, che l'egoismo è il principio che regge degnamente il mondo, e dio ci salvi dagli altruisti, in tutto questo può giocare la molla dell'orgoglio pensante, una specie di "fargliela vedere" su un piano elevato, una tenzone combattuta sul terreno al pensatore più consono: si sceglie l'arma e anche il terreno di contesa; e questo può far bene al suo spirito offeso, e se fa bene va bene. Ma... è anche efficace? Carlo Marx ha scritto il Capitale e varie altre cosucce con le quali si è degnamente lustrato il cervello: ma, a parte il disvelamento del feticcio/merce, cosa ha mai detto di nuovo sotto il sole che gli altri uomini non dovessero già sapere? Forse che ha inventato la solidarietà? Forse che ha scoperto che è una cosa brutta sfruttare ed opprimere il prossimo? Forse che ci ha abbagliato con l'affermazione che non è giusto che ci sia chi abbia troppo e chi nulla?
Per parte mia trovo lacerante che periodicamente ci debba essere qualcuno che, per motivi suoi, debba impegnare un'esistenza a ricordare, e sottolineo ricordare, agli uomini ciò che è meglio per loro, e se esiste un'ingiustizia divina io credo che sia in questa condizione, vale a dire che c'è chi capisce e chi no, per cui chi capisce ed è nobile si sente investito del compito di far capire agli altri ciò che va inteso; un vero comunismo, questo sì, in cui viene redistribuito un bene che alla fonte è stato elargito ad alcuni e lesinato ad altri.
Ma la speculazione è un'attitudine dell'anima, s'è detto, e come tale ineliminabile. E allora ci si trova a tormentarci la coscienza con la ricerca ossessiva di chiavi, formule e illuminazioni che, come una sorta di alchimia, ci diano il possesso del mondo: sono convinta che non serva, ma la mia natura eroica mi costringe al cimento e la mia natura generosa alla redistribuzione.