la superficie e il gorgo 
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Romolo Runcini
 
LO SPECCHIO DELLA NATURA E LO SPECCHIO DELL'ARTE
dal "Taccuino di viaggio 1991"
 
Davanti a me, dal finestrino, si estende una verde campagna che scende e sale dolcemente nelle basse colline, alberate con fusti sottili, e scheletrici, ancora privi di foglie. Ma nel verde della pianura sfolgorano altri colori forti e allegri dal rosso al rosa al bianco. Sono piccoli alberi in fiore? ciliegi, aranci, mandorli? che raggruppano in fasce distinte secondo la specie il tipo di colore congeniale alla pianta. È uno spettacolo affascinante che ogni primavera, da ormai vent'anni, mi colpisce sempre con lo stupore di una scoperta. La Campania felice offre ancora oggi, per nostra buona sorte, quadretti del genere dove la primavera trionfa come ai tempi della pittura rinascimentale in armonia col creato. È proprio l'analogia fra gli splendori della Natura e quelli della pittura più primaverile ad affacciarsi ogni volta nella gioiosa scoperta dello spettacolo agreste.
Ma c'è una differenza. L'armonia che cogliamo nella prospettiva pittorica risulta calibrata sulla prefigurazione del punto di fuga del dipinto su cui convergono tracce e campiture cromatiche in accordo ritmico con modulazioni plastiche intese tutte a costituire, nel segno specifico del linguaggio iconico, la struttura unitaria, totalizzante di un insieme di masse e energie naturali dominate e ridotte alla enucleazione di un momento, di un aspetto, singolari impressi dall'artista. La singolarità della scelta spazio-temporale definisce sempre la sfera creativa degli uomini e dello stile di un pittore.
D'altra parte l'armonia che promana dalla prospettiva naturale, multipla, deriva dalla suggestione di campi cromatici omogenei, compatti la cui disposizione è affidata al rigoglio di fertilità del terreno o all'ordine delle colture agresti, dalla spontaneità evolutiva o dall'utilizzo tecnico delle risorse rurali. Entrambi questi aspetti si configurano in un linguaggio onnicomprensivo, continuo, disponibile a qualsivoglia funzione. Non vi è compiutezza né fine nello spettacolo naturale appena emerso, anche perché le condizioni metereologiche e ambientali mutando nel tempo il grado e l'intensità del campo visivo finiscono per annullare ogni elemento ad esso intrinseco.
La differenza fra la prospettiva pittorica e quella naturalistica del paesaggio consiste dunque nella diversa dislocazione d'uso dell'atto di comunicazione linguistico. Per la prima si parla di visione, lettura di un insieme nei suoi particolari, per la seconda di sguardo, ricezione dei particolari nel loro insieme.
Nel primo caso il rapporto fra le parti e il tutto appare calibrato su precise scansioni spaziali, cromatiche, materiche. Nel secondo caso tale rapporto è puramente casuale. All'interpretazione fa riscontro così l'impressione, alla lettura attiva la ricezione passiva.
Il paesaggio dipinto di ciliegi in fiore ci induce a frugare tra i diversi dettagli figurativi per cogliere la linea, il tono del discorso che li unisce, senza appiattirli; il paesaggio naturale di ciliegi in fiore ci offre, ci impone subito, nella sua compattezza strutturale e cromatica, la linea unificante di un discorso generale, sempre identico. II fatto è che il primo discorso appartiene al gusto, è individuale, mentre il secondo deriva dalle leggi evolutive, è proprio della specie.
Per un verso il tutto è giocato sulle convenzioni, per l'altro sulle probabilità.
Quando la coincidenza di fattori ambientali e metereologici ci offre lo spettacolo affascinante di un campo di ciliegi in fiore guardiamo con allegrezza la Natura, apprezziamo il suo meraviglioso dispendio di energie nell'allestire quello scenario, e non possiamo fare a meno di pensare alle sue vaste capacità produttrici che le consentono di riuscire a imitare spontaneamente la destrezza dell'uomo.