identità e imperfezione 
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Mario Amato
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FIABA DANUBIANA
 
C'era una volta un cavaliere senza cavallo. Dovremmo in verità appellare il nostro personaggio, per il fatto che era appiedato, semplicemente, un viandante, ma preferiamo quell'appellativo un po' desueto, poiché i suoi pensieri erano nobili ed aveva il cuore puro, e viceversa. Così si narra dei cavalieri nelle antiche storie.
Egli camminava lungo la riva di un azzurro fiume in direzione della corrente.
Cercava una terra incantata vista un giorno, da bambino, su un libro d'avventure o su un francobollo, o forse soltanto sognata.
Forse i nomadi, i vagabondi, i giramondo - epiteti che ben si adatterebbero all'uomo che stiamo accompagnando nel suo viaggio - seguono i fiumi perché, pur non conoscendo la loro meta, sanno che in qualche luogo giungeranno, un giorno o l'altro.
Il suo passo era allentato per le molte vestre già percorse e allora sedette sulla soffice erba. Il suo sguardo tuttavia non riposava, ma si posava ora sui sassi levigati dal lavorio secolare dell'acqua, ora contava i fiori sull'argine e li nominava uno ad uno, ora numerava le piccole onde spumeggianti e per ogni sasso si chiedeva da dove venisse, per ogni fiore di domandava per quanto tempo ancora avrebbe sparso il suo profumo in quel luogo e per ogni onda come si fosse formata…Ed immaginava tutti i piccoli avvenimenti che modellano il mondo.. E nelle notti stellate e silenti gli pareva di ascoltare il respiro lieve del mondo dormiente ed immaginava i sogni dell'umanità… e immaginando s'addormentava.
Lettrice o lettore, tu invece non t'addormentare ora, nel momento in cui questa storia ha inizio, nell'ora in cui il giorno volgeva alla fine ed il sole colorava il mondo fluviale di brune sfumature e donava all'acqua azzurro-argentea giocosi riflessi tinti di carminio.
Pur se la speranza dona forze smisurate, al cavaliere le gambe dolevano e lo stomaco era vuoto da molte parasanghe, sì che egli estrasse dalla borsa di cuoio le poche vivande conservate come bene prezioso ed iniziò a rifocillare lo spirito ed ancor più il corpo.
Il fiume scorreva lento -come s'addice ad una fiaba-, il viandante guardava le lievi increspature acquee, si voltava di tanto in tanto e si sentiva orgoglioso della strada già calcata, pensava al suo viaggio ed a quello parallelo del fiume, alle sponde che insieme avrebbero lambito, alle lingue diverse che avrebbero udito, ai paesi e città che avrebbero attraversato e a tutte le storie che avrebbero ascoltato e che egli in futuro avrebbe raccontato. Spesso aveva deviato dal corso del fiume, così come a volte l'acqua devia dal suo letto principale per diventare ruscello ed irrigare benevolmente qualche campo d'intorno o per formare una pozza ove i fanciulli giocano allegramente.
Anch'egli, attratto da qualche paese in lontananza o dalla musica di qualche festa o da un nuovo sentiero, aveva abbandonato la sua via maestra ed aveva irrigato il suo cuore con nuovi paesaggi e quella freschezza aveva donato nuovo vigore alle gambe. In verità, qualche volta, fermatosi ad una festa, invitato ad una danza, o invitato di fortuna ad un banchetto dove vino sincero veniva offerto senza parsimonia, aveva sì provato a riprendere la via subito dopo, ma la sosta era durata più del tempo previsto. Le visioni di questi nuovi mondi erano rimaste nel suo animo ed egli aveva annotato pochi versi nel suo taccuino, immancabile patrimonio d'ogni giramondo. Erano i paesaggi dell'anima, ma a volte lo assaliva la nostalgia della casa lontana, della stella che era uso contemplare dalla sua finestra prima di coricarsi, ma bastava che guardasse la prossima sinuosità del fiume e tornava il desiderio del cammino. Il luogo natio ha sempre un monte, un ponte e al di là vi sono mondi infiniti.
Fra simili pensieri scendeva nel corpo l'ultimo tepore solare e con esso il sonno.
Il sole scendeva ed apparivano le prime stelle della sera, i riflessi delle quali delle quali tremolavano nel fiume, e fra quelle il vagabondo vide una luce, anch'essa assai mossa. E per quanto fosse visibile che essa si trovasse sulla terra, gli parve che fosse in mezzo agli astri.
La notte era silente.
I pellegrini ben conoscono l'arte di noverare i corpi celesti ed anch'egli sovente, seduto su un sasso o sull'erba, si dedicava a questo trastullo e assegnava alle stelle nomi di persone care e discorreva con quelle gemme incastonate nel cielo.
Quel chiarore tuttavia era così prossimo da poter essere toccato. Così sembrava.
Il cavaliere non avrebbe potuto dire se lo scintillio fosse apparso con il sopravvenire della notte, né v'era alcuno che potesse assicurargli di non trovarsi dinanzi ad un'illusione. Come sono soli i viandanti! Egli confondeva l'immagine superiore con il riflesso nell'acqua e ciò non era dovuto soltanto all'ingannevole chiarore della sera, accresciuto dall'entrata della bianca luna nella scena del firmamento. La ragione del turbamento risiedeva principalmente nell'animo suo: egli ben vedeva che la movenza nel fiume non era altro che una sembianza, ma verso quale delle due visioni si sentisse attratto, non avrebbe potuto dirlo.
La risoluzione di attraversare il corso d'acqua era altresì ben salda nel suo cuore di cavaliere coraggioso e di straniero curioso, perché a chi è tale s'impone di intraprendere avventure, forse solo per poterle raccontare e aprire una falla nel cuore di una fanciulla. Si parte per essere ricordati, si ritorna per raccontare.
La memoria andò a giovani donne delle quali aveva letto o immaginato e che assumevano le fattezza di giovani incontrate durante il viaggio, una cameriera in un'osteria o una passante alla quale aveva chiesta indicazioni o una donna vestita a festa nell'ora della passeggiata nella strada di qualche cittadina.
In lontananza un campanile batté l'ora e l'eco si disperse nell'aria.
Non v'era ponte su quel tratto di fiume, ma nel silenzio della notte, rotto soltanto dal gorgogliare dell'acqua, s'udì uno scalpitare di zoccoli: il muso di un bianco destriero sfiorò la spalla del viandante ed egli lo carezzò.
Ma se tu, mia lettrice, preferisci che il cavaliere traversi il fiume in altro modo, allora avvenne che nella quiete notturna uno zatterone s'accostò alla riva. Inutilmente lo sguardo del passeggero cercò il timoniere.
È verità che nelle fiabe occorra il personaggio del traghettatore, eppure il viaggiatore era solo e la sua unica guida erano sogni e pensieri.
Sul fedele bianco cavallo misteriosamente apparso oppure a bordo dell'altrettanto arcano barcone, il cuore del cavaliere restava confuso: una inquietudine ignota e una gioia del tutto nuova si mescolavano e nessuno dei due sentimenti prevaleva; gli pareva di rivolgere l'ultimo saluto al mondo e ad un tempo l'entusiasmo dell'avventura lo spingeva, e l'anima stava in equilibrio fra le due sensazioni. Ed ambedue gli intendimenti erano complessi: addio alla terra sotto i piedi, ad un oste con cui si era intrattenuto per qualche ora bevendo buon vino, al sorriso d'una fanciulla, addio a tutte le piccole cose che riempiono la vita. L'oste, i visi di molti uomini conosciuti, il sorriso di fanciulle, le albe, i giorni azzurri e quelli piovosi, tutti i quadri visti erano chiusi in lui, ma egli era forse uno straniero dimenticato come altri mille stranieri che passano e vanno. A chi avrebbe rivolto l'ultimo saluto prima di congedarsi per sempre dalla strada? A quale terra? A quale patria? Come sono soli i viandanti!
I cavalieri, quelli dei poemi antichi, usavano al principio d'ogni impresa invocare il nome dell'amata, ma egli non aveva un nome da pronunciare, bensì soltanto il ricordo vago d'un sorriso o di mille sorrisi.
Sull'altra sponda, quella opposta alla memoria, c'era la sua meta o almeno così credeva il vagabondo. Il lume, a lui sembrava, lo chiamava al compimento del suo destino ed egli credeva di sentire voci che lo chiamavano.
Egli tremava come la fiammella.
Egli non era dunque una goccia d'acqua trasportata dalla corrente, insieme con le altre verso il mare? Innumerevoli volte aveva guardato la sorgente del fiume vicino la casa natia, e si era figurato il delta finale, e s'era stupito che un piccolo rivolo potesse scavare un lungo corso per giungere al mare.
Sull'altra riva la luce continuava a tremolare. Era quella la sua destinazione? Non avrebbe raggiunto mai più il mare, come fanno tutte le gocce d'acqua? Non avrebbe visto la città sul mare che mille volte aveva immaginato? Respirò l'odore salmastro nei vicoli, udì il chiasso delle taverne sui cui usci stanno i grassi unti osti olezzanti di pesce fritto, ascoltò lo stridio dei gabbiani, mandò ancora un saluto non corrisposto. Voci lo chiamavano.
Vedi, mia lettrice, quanto confuso era il viandante, e tu già credi d'essere la sorridente fanciulla incontrata chissà dove e in quale giorno. Vorresti forse che egli tornasse indietro, che non lasciasse la via vecchia per la sconosciuta, vorresti regalargli ancora un sorriso gravido di mille promesse. Al contrario, abbandonati al racconto, lasciati trasportare dal fiume, dalla corrente delle parole. E rifletti che anche la via vecchia era ignota.
La barca non aveva comando, il destriero era privo di testiera, il viandante, gran camminatore, non aveva idea di come si navigasse e non era più uso alla cavalcatura.
La sua attenzione era rivolta alla traversata.
Allorché era stato seduto a rifocillarsi, l'acqua gli era sembrata scorrere chetamene, ora però il mondo gli vorticava intorno e non sapeva quale delle due sponde fosse la destra e quale la manca ed il cielo era sotto e il fiume sopra.
Si era smarrito? Era una di quelle ore durante le quali gli esseri umani pregano per il loro destino.
Il guado continuava ed egli, pur nel turbamento, continuava a vedere fremere il luccichio, e presumeva di incontrare chissà quali personaggi, chissà quali avventure.
Il cavallo poggiò infine gli zoccoli sul terreno o il natante toccò la sponda.
Il viaggiatore scese finalmente; la luce splendeva in lontananza e una voce lo chiamava per nome.
Indugiò, ma i cavalieri sono coraggiosi e s'avviò, e più s'avvicinava, più la voce si faceva nota. Il cuore palpitava fra timore e curiosità e un po' egli rallentava il passo, un po' l'affrettava.
Si voltò: le luci dell'ultimo paese lasciato splendevano simili alle stelle e laggiù il chiarore di una dimora isolata, forse dell'ancella dell'osteria… Era infine giunto presso la luce e là stava a scaldarsi, presso un misero fuoco, un vagabondo del tutto simile a lui. Quegli veniva dalla città del mare e percorreva l'itinerario inverso e la sua meta era la sorgente del fiume. Si scambiarono le vivande, chiacchierarono dell'ultima taverna e di paesi e di città e di fanciulle dal bel sorriso e ancora e ancora fino all'ora di riprendere il cammino. Si salutarono abbracciandosi.
Il cavaliere senza cavallo tornò indietro e inviò ancora un saluto muto all'occasionale amico e fu ricambiato.
Riprese il cammino come una goccia d'acqua fra mille e mille stille d'acqua…