il principe e il convivio 
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Francesco Mati
 
IL VERO GIORNO DEL GIUDIZIO
 
Era un pigro pomeriggio di Settembre quando tutto ebbe inizio con un suono che pareva provenire da tutte le parti. Una sola unica nota che sembrava prodotta da milioni di trombe. Il suono all’inizio fu avvertito da persone dotate di un particolare udito, poi pian piano crebbe d’intensità fino a diventare limpido come il canto dell’acqua che ruscella. La gente stupita si guardava attorno per cercare di capirne la fonte e non fece in tempo a chiedersi se fosse una nuova trovata pubblicitaria quando apparvero nel cielo terso milioni di cherubini che impugnavano trombe dorate. Al centro di quella incredibile schiera stava l’Arcangelo Gabriele che in poco tempo discese, ben visibile da chiunque nel raggio di chilometri, in un campo di granturco, nella pianura Padana, vicino a Parma. L’Arcangelo Gabriele era alto almeno trenta metri ed abbagliava con uno splendore divino. Indossava una calzamaglia blu cobalto che lo fasciava mostrandone il corpo possente, sulle spalle un mantello rosso rubino, perennemente mosso dal vento tanto che sembrava fatto di stoffa più leggera dell’aria. Nell’enorme mano destra brandiva una spada fiammeggiante al calor bianco, talmente brillante da accecare.
Rimase lì immobile in una posa statuaria d’inimmaginabile bellezza e drammaticità. Migliaia di persone deliranti si recarono in prossimità del campo per pregare in quelle che temevano essere le loro ultime preghiere.
Dopo solo un’ora di caos totale l’area brulicava di persone impugnanti rosari, crocifissi, icone, santini, tutte inginocchiate a pregare, a distanza di sicurezza. Una massa di persone con un grande foro, al centro del quale troneggiava l’angelo con le ali aperte.
La voce che ad un tratto si levò nelle loro teste fece esplodere in loro emozioni come fuochi d’artificio, estasiati ed intimoriti al tempo stesso aspettavano un segno di compiacimento per la loro fede.
“Fra sette giorni esatti il Divino sarà qui”.
Non aggiunse altro, tornando ad assumere una magnifica posa statuaria per la gioia di migliaia di fotografi e cameramen accorsi nel frattempo. Dopo diverse ore calò la notte, o almeno avrebbe dovuto calare se la spada non avesse emesso così tanta luce da illuminare a giorno un’ampia porzione della pianura.
Tutto rimase immobile fino all’alba, la gente guardava estasiata i cherubini schierati in cielo e godeva per la bellezza dell’Arcangelo. Nel mezzo ad una folla crescente di devoti c’erano persone che prendevano foto di particolari delle ali, del vestiario. C’era chi disegnava bozzetti da stilista, chi modellava creta in vista di un calco per produrre in serie l’Arcangelo Gabriele o un cherubino, in scala 1:100.
All’alba i cherubini si mossero, rompendo le righe dello schieramento divino calarono accanto all’Arcangelo dando vita ad un ammasso di forma cilindrica di dimensioni inimmaginabili. Come rapaci iniziarono a volare in cerchio, brulicando nella forma per poi, all’improvviso, puntare in alto e tornare a schierarsi. Un boato d’emozione esplose fra i campi, dove prima volteggiavano i cherubini adesso torreggiava un’incredibile cilindro di candido marmo, alto almeno trecento metri e largo cento. Dapprima sembra privo di qualunque apertura o finestra, una perfetta forma tridimensionale, liscia e lucida come la pelle di un bambino. Poi videro la porta. Una piccola apertura alta non più di un metro e sessanta per un metro di larghezza, piccola e sproporzionata, una strana nota in tutta quella perfezione divina. Poi qualcuno capì, ci si doveva inchinare per entrare al cospetto del Creatore, ma chi sarebbe entrato? Nei giorni seguenti le televisioni di tutto il mondo si posero questo interrogativo interpellando teologi, monsignori, monaci buddisti, rabbini e sciamani. Unanime fu la decisione di far entrare il Papa per primo, nonostante qualcuno protestasse per essere stato eletto popolo divino. Il fatto che però l’Arcangelo Gabriele non avesse fornito precise istruzioni in merito loro, li fece passare in secondo piano. Dopo l’episodio della torre tutto rimase perfettamente immobile per i giorni successivi, l’Arcangelo in posa, i cherubini allineati, con i loro strumenti dai riflessi dorati. La tensione crebbe come il numero di venditori ambulanti piovuti come rapaci nella zona. Avevano già di tutto: magliette con la foto dell’Arcangelo in posa, bandane con cherubini, cd musicali dove erano incise musiche New Age basate su quell’unica nota prodotta, il giorno in cui tutto era iniziato. E poi panini con la porchetta, piadine, salcicce e cipolle, l’aria era pervasa di mistico e cibo grasso.
Finalmente arrivò l’alba del settimo giorno, anche se qualcuno aveva il timore che stesse per accadere la profezia dell’Armageddon. Per fortuna non erano stati segnalati casi di resurrezione e questo fu usato da molti come giustificazione a stare tranquilli. Alle sette in punto la folla si aprì davanti al passaggio dell’Audi papale, un enorme mezzo bianco alimentato ad idrogeno con cui il Papa si spostava. La folla esplose al passaggio di Giovanni XXIV, il primo Papa filippino della storia. Lui fiero, dall’alto del suo trono impartiva benedizioni.
Discese dall’auto scortato da quattro persone che però liquidò subito con un gesto solenne. Poi, solo, intraprese il cammino nei trecento metri che lo separavano dalla porta d’ingresso della torre divina. L’arcangelo Gabriele immobile illuminava il suo cammino mentre nubi grigie oscuravano il cielo annunciando un possibile temporale settembrino.
Nessuno seppe mai cosa pensasse Giovanni XXIV durante quel tragitto, non potevano certo immaginare il terrore che lui provava senza osare manifestarlo. Le gambe molli, il cuore che pulsava nelle tempie ma non si arrestava, passo dopo passo giunse alla sacra soglia. S’inchinò solennemente mentre la folla reprimeva un boato d’incoraggiamento da stadio. Fu tutto. Una grande delusione perché la piccola porta restò chiusa ed il Papa all’improvviso apparve solo come un piccolo uomo vestito in modo buffo. Le telecamere di tutto il mondo ripresero quell’evento triste, la trasformazione di una divinità in terra in un misero essere umano, nudo di fronte a se stesso. A New York ed in gran parte del mondo occidentale, il popolo eletto esultò. Partirono milioni di telefonate e dopo solo venti minuti una grossa Mercedes nera, con i vetri neri, traversò la folla sbigottita. Il Rabbino di Parma, Abramo Ferrara, scese dall’auto e fiero si diresse verso la torre, le mani rivolte in avanti, le braccia allargate verso l’esterno, a testa alta. Un forte brusio scosse la folla, molti di loro iniziarono ad andarsene mentre nuove auto giungevano nei campi, da ognuna delle quali scendevano cinque persone con la Kippà, la papalina ebraica. Con loro anche bancarelle con dolciumi, carne, pane azimo, rigorosamente kasher. Il Rabbino, giunto a cinquanta metri dalla torre si fermò ad osservare l’imponente Arcangelo Gabriele che troneggiava, seppur piccolo se paragonato alla torre divina. Aprì ancor di più le braccia, come ad incoraggiare un dialogo che non ci fu. Incurante di questo fatto proseguì fino alla porta davanti alla quale s’inchinò profondamente ottenendo lo stesso risultato del suo predecessore. Provò e riprovò, si mise ad urlare, a bussare incessantemente. Infine, dopo penosi tentativi che non facevano altro che mettere in ridicolo la natura umana davanti all’inevitabile, si accasciò a terra stremato. Poco dopo si rialzò, si girò verso la colonna ed a bassa voce pronunciò una terribile bestemmia. Forse fu per le dimensioni sproporzionate della torre, forse per il materiale che la componeva o forse ancora per una semplice vendetta divina che la sua voce fu amplificata all’inverosimile e tutti sentirono. Il Rabbino ebbe un malore e fu portato via in tutta fretta da quattro persone. Aveva capito che era stata trasmessa in mondovisione e che in quel momento almeno tre miliardi di persone, se non di più, sapevano che lui l’aveva pronunciata. Un brutto modo per passare alla storia, non lo stesso sognato fino a soli pochi minuti prima.
La folla era confusa e s’interrogava su questi incredibili eventi. Dalla folla spuntò un uomo vestito con una tunica ed un boato esplose nelle campagne “Inshallah!”. L’uomo si gettò a terra, sottomesso, e si mise a strisciare gridando versi del corano. Era Ruhollah Khomeini III, l’āyatollāh di Parma. Impiegò quasi un’ora per arrivare davanti alla soglia, ignorando l’immobile Arcangelo e la sua luminosa spada. Dopo essersi inginocchiato ed aver recitato il corano, con mani sanguinanti cercò di aprire la porta, invano. Un grido di orrore pervase la folla, molte persone si erano uccise alla vista di quell’ orrendo diniego.
Durante tutta la giornata ci fu un susseguirsi di personaggi che tentarono l’ingresso, testimoni di Geova, Mormoni, Avventisti, Battisti, persino i cultori di Rà, i Massoni di ogni ordine, addirittura Templari e Indù. Niente e nessuno smuovevano l’Arcangelo o la porta. La giornata trascorse con delusione e sgomento crescenti fra la folla, cosa sarebbe accaduto? Chi sarebbe entrato? Perché una torre così grande? Perché l’Arcangelo Gabriele sembrava trasformato in un’enorme scultura da quanto era immobile?
Il sole stava per tramontare arrossando grosse nubi sparse nel cielo e la schiera dei cherubini immobili. Nel mondo ormai non si contavano più le trasmissioni dove scienziati e teologi si affannavano per trovare una spiegazione logica a questi sconcertanti avvenimenti. Qualcuno parlò di differenza temporale, se sei immortale una settimana può essere paragonata ad un miliardesimo di miliardesimo di secondo, come spiegazione a tutta questa immobilità. Altri cercarono invano un riferimento nelle antiche scritture di ogni grande civiltà. Il mondo intero si era fermato in attesa che accadesse qualcosa e qualcosa finalmente accadde quando il sole iniziò a tramontare. Senza alcun preavviso l’Arcangelo Gabriele si mosse provocando un sussulto nella folla che circondava la Torre Divina. Si inginocchiò a terra e chinò il capo, tenendo alta la spada che mai aveva smesso di fiammeggiare. Dalla folla, molto lentamente, un vecchio, zoppicante e vestito di stracci, si mosse verso la torre. Ci fu chi urlò qualcosa ma fu subito zittito dalle persone vicine intimorite dalla reazione dell’Arcangelo Gabriele. A testa bassa il vecchio continuò il suo lento cammino fermandosi solo una volta, giunto in prossimità del gigante alato. Questo inchinò ancor di più il capo quando il vecchio, con non poca fatica alzò il braccio destro in quello che sembra un saluto. Qualcuno giurò di averlo visto parlare ma la distanza era troppa perché si potesse sentire qualcosa. Il vecchio zoppicante proseguì il suo cammino e quando fu giunto a pochi metri dall’immenso edificio tutti udirono il suono di una porta antica che si spalancava. Subito dopo fu luce ovunque. Quando dopo alcuni minuti tornarono a vedere l’Arcangelo era nella sua originale posizione e la porta era nuovamente chiusa. Ma qualcosa stava accadendo, due bambini, piccolissimi, stavano camminando, per mano, in direzione dell’Arcangelo Gabriele. La folla dapprima rimase sbigottita, poi qualcuno gridò: “Fermateli!”. L’Arcangelo fece roteare quasi minaccioso la spada fiammeggiante producendo il suono di mille roghi davanti al quale tutti si azzittirono. Con passo traballante ma con andatura decisa i due piccini raggiunsero la porta che nuovamente si spalancò abbagliando tutto e tutti. Un istante dopo i cherubini planarono sulla torre ripetendo la danza volteggiante della settimana precedente. L’Arcangelo Gabriele, dopo essersi accertato che anche l’ultimo dei cherubini fosse rientrato nei celestiali ranghi, spiccò il volo e scomparve, con loro, in cielo, al suono di milioni di trombe che emettevano la stessa nota. Tutto si era concluso con rapidità, lasciando sbigottita la folla che si aspettava qualcosa di clamorosamente divino e che invece aveva assistito a qualcosa d’incomprensibile. Lentamente ed in silenzio la gente iniziò a tornare verso le proprie case.
Erano passate poche ore ed in tutte le televisioni della terra era andato in onda uno spettacolo a cui nessuno riusciva a dare una spiegazione logica.
In una piccola televisione privata quattro persone discutevano animatamente su quanto accaduto. Dopo ore di discussione si aggiunse un vecchio al dibattito. Era un professore di filosofia in pensione, si sedette su di una poltroncina ed attese paziente che gli altri ospiti finissero con le loro congetture.
“Come ha detto il Papa nell’Omelia di questo pomeriggio la spiegazione è semplice, non era il nostro Dio ma semplicemente qualcos’altro. Dio è misericordioso e non avrebbe mai permesso che il suo rappresentante in terra, che sempre ha vissuto nel Dogma, venisse così umiliato, davanti a miliardi di persone.”
“Come Ebreo posso assicurarvi che quello che abbiamo visto non può essere conducibile a Colui che ci ha scelti come popolo eletto. Forse si è trattato di una divinità minore o semplicemente di un fenomeno d’isteria collettiva.”
“Allah è grande! Nessuno dei profeti aveva previsto questo episodio quindi non può essere dovuto all’Essere Supremo, al Misericordioso. No! Non è possibile! Con molta probabilità si è trattato di Satana in persona che ci ha ingannati perché peccatori.”
“Se fosse stato Geova ci avrebbe condotti in paradiso, lasciandovi qui a soffrire le pene dell’inferno scatenato dall’Armageddon. No, anche secondo me era Satana che si è preso gioco di noi e della nostra semplicità di peccatori.”
Finalmente la parola andò al vecchio filosofo, prima di parlare scosse la testa, poi disse: “Sono un povero vecchio, i sensi forse m’ingannano ma la mente è ancora sveglia ed in grado di capire ciò che vedo. Sicuramente mi sbaglio ed hanno ragione gli altri ospiti ma io ho visto, ho visto molto davvero.” Fece una pausa che lasciò tutti col fiato sospeso in attesa di sapere che cosa volesse dire.
“Ho visto quanto siamo piccoli, noi umani, davanti al divino. Quanto siamo accecati dalla nostra stessa immagine. Ho visto la fine di molte menzogne costruite dall’uomo per l’uomo. Una cosa però più delle altre, quel vecchio. Quel povero vecchio straccione è uscito dalla folla e si è diretto verso la torre. Che cos’ha detto l’Arcangelo Gabriele all’inizio? Fra sette giorni il Divino sarà qui. Qui! Ma non capite? È sempre stato fra noi!”.
Tutti si aggiustarono imbarazzati sulle proprie poltroncine protestando a bassa voce finché qualcuno non disse: “E i bambini allora?”.
Il vecchio sorrise: “E’ tutto così chiaro, così semplice che non riuscite a capirlo. Due bambini, un maschio ed una femmina. Qualcuno con cui iniziare quello che con noi ha finito.”.
Quella sera, mentre in tutto il mondo si continuava a discutere sulla falsariga di quanto avevano dichiarato i presenti, solo nel piccolo studio televisivo, ricavato in un vecchio magazzino alimentare, era calato un pesante silenzio.

settembre 2006