il principe e il convivio 
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Alfonso Cardamone
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IL CONVIVIO E LA MORTE
 
Agli inizi dunque era un Convivio di Sogni. Non c'è possibilità di dubbio. Anche se a nessuno mai fu dato di conoscere l'inizio degli inizi, sappiamo che fu così, che non poté essere che così.
"L'uomo, indifeso nell'ambiente di natura, povero di mezzi per agire nell'ambiente, si sente circondato da forze inesplicabili, e perciò potenzialmente ostili, visibili o non visibili che esse siano. Tali forze, destano continua angosciante preoccupazione, devono esser conosciute, rese favorevoli, o soggiogate. Dai documenti che etnologia e storia offrono a profusione, risulta che i sogni o le visioni... vengono appunto valutati come mezzi per conoscere queste forze, e rappresentano perciò una fra le più importanti vie per mettersi a contatto con esse ed agire su di esse". (1)
E fra tutte queste forze atroci dell'Inesplicabile, una -sopra tutte- angoscia l'uomo, questo animale infelice e presuntuoso, segnato dalla condanna e dal privilegio (solo fra tutti gli altri animali) di essere dotato di s/ragione (2): la coppia terribile di Potenza che è la Morte ed il Tempo.
Distesa tra essere e non-essere; martoriata dal tripalium inarrestabile del divenire, tormentata senza sosta dall'angoscia che muove dalla (pre o sub) coscienza del non-essere, da sempre l'avventura umana occhieggia con tremore l'invisibile muraglia che ad occhi aperti non scorge, ma che comunque sa collocata in quel prima e in quel dopo, inconcepibile ed infinito anello che circoscrive la miserabile durata. Minaccia ineludibile anche quando (soprattutto quando) è sublimata dall'illusione religiosa della Vita oltre la vita, dalla proiezione verso un paradossale risarcimento oltremondano. E fu uno gnostico, seguace di Valentino, a scoprire (forse involontariamente) le carte truccate del tremendo Gioco, in cui l'uomo può solamente barare con se stesso: "poiché gli esseri umani hanno creato tutto il linguaggio dell'espressione religiosa, l'umanità ha effettivamente creato il mondo divino". (3)
La chiave -miserabile e sublime- è dunque nel Linguaggio. Ma non solo e non tanto nel linguaggio verbale argomentativo, bensì soprattutto in quello (anche verbale) delle immagini e dei simboli e, particolarmente, nel rapporto antico che, sotto la specie del simbolo, agli inizi si era venuto a stabilire tra Linguaggio e Sogno, l'uno metro e paradigma dell'altro. Il Linguaggio anticamente si plasma sul Sogno non meno di come questo su quello. E d'altronde non ha chiarito con sufficiente attendibilità Fromm che il Sogno stesso è la prima chiave del linguaggio simbolico? di quell' "unico linguaggio universale che la specie umana abbia mai creato", linguaggio dimenticato dall'uomo moderno, ma che detta la sua grammatica e la sua sintassi, le medesime, sia ai miti che alle fiabe ed ai sogni, e cioè a quel complesso di creazioni che costituiscono "una delle più importanti fonti di saggezza, cioè il mito", e insieme al pozzo degli "strati più profondi della nostra personalità". (4)
Il Sogno, l'inquietante fantasma del confini, è il dubitoso "ponte gettato sull'infinito" (5) dalla coscienza umana che, contorcendosi ed agitandosi, avvolgendosi e svolgendosi, nella paradossale dimensione notturna si prilla e si traslata, in cieca furia a ricercare -almeno-, come l'antica trottola del dio, un precario punto d'equilibrio.
E non è senza ragione se -agli inizi- mentre si definisce e si circoscrive appunto il Sogno il sistema del Sogno, come sistema fondamentalmente di veggenza, o pre-veggenza della Morte, contemporaneamente nasce e si definisce il sistema della Letteratura. L'ombra che abita l'uomo, e abitandolo lo predetermina fantasma, alle origini della Letteratura si estroflette e si codifica, a futura memoria di tutti i successivi navigatori dell'oceano delle lettere, come metaforica tavola dei segni, registrazione allusiva, per molteplici piste e fantasmatica, di quell'Altra 0mbra che assedia e stringe il tempo umano nelle tenaglie tremende dell'inconcepibile Durata.
All'alba della "civiltà", e forse prima, Kessi il Cacciatore sogna e sognando segna e protende, attraverso i sogni, a futura memoria dell'umanità, i paradigmi degli sviluppi successivi della Letteratura e della Poesia, le labirintiche metafore oniriche della Morte, le fondamentali metafore degli Inizi, che sostanzieranno per sempre la Metafora delle Metafore: la Letteratura che mima l'Universo. (6)
E poca importanza avrebbe (e titanica ed improbabile impresa sarebbe) tentare di sciogliere il nodo se, trattandosi di sogni culturalmente tipici, i sette di Kessi abbiano a monte dei miti che ne costituiscano gli schemi di modellamento o se, viceversa, non appartengano a quella categoria di sogni che "Si proiettano in una serie di narrazioni mitiche". (7) Ciò che conta è rilevare che, come nelle civiltà antiche il sognatore al suo risveglio era condizionato a ricordare un sogno "seguendo modelli narrativi abbastanza convenzionali" (8), così, reversibilmente, poteva accadere che sogni particolari potessero influenzare schemi e modelli narrativi e/o poetici. Decisivo è per noi il fatto che, comunque, sogni del tipo di quelli di Kessi sono strettamente connessi al mito, e che "fu detto con ragione che il mito è il pensiero sognante di un popolo, come il sogno è il mito dell'individuo". (9)
"I sette sogni di Kessi debbono probabilmente venir considerati come tratti da una "lista modello" a cui gli antichi narratori attingevano ogni qualvolta il racconto lo richiedeva". (10)
L'inizio degli inizi, appunto, resta oscuro, confinato nella spessa nebbia della narrazione orale. Ma ciò che ci interessa qui è il limite post quem, non potendoci curare di quello ante.
Ma, prioritariamente, chi era Kessi il Cacciatore e quali i suoi sogni?
Kessi è il protagonista di una antichissima storia ittita (composta oltre quaranta secoli fa), di cui ci sono pervenuti "soltanto la parte iniziale dell'originale ittita e un breve frammento di versione accadica". (11)
Nella parte che è giunta fino a noi è detto che Kessi era un cacciatore così abile nell'arte della caccia che "persino gli dei giunsero a fare affidamento su di lui per il loro cibo quotidiano" (12), ma un bel giorno tutto cambiò. Kessi si innamorò di una fanciulla dagli occhi splendenti e dalla voce melodiosa, Shintalimeni, la più giovane di sette sorelle. E allora, addio caccia! Occhi negli occhi, le giornate trascorrevano negli smemoranti ozi d'amore... Quando infine, spinto dalla madre severa, fece ritorno sulle colline, a caccia, la ruota del destino ormai volgeva in tutt'altro senso per Kessi: "quando un uomo dimentica gli dèi, gli dèi dimenticano lui; e quando Kessi raggiunse le colline, trovò che tutta Ia selvaggina si era nascosta nelle tane e, per quanto egli girasse e si affannasse, le sue fatiche furono vane". (13) Sfuggito a stento alla furia ed ai sollazzi crudeli degli gnomi delle montagne che, mentre egli era addormentato, molto avrebbero gradito farlo a pezzi, ma poi si erano accontentati di rubargli il mantello lasciandolo esposto al gelo notturno, qualche notte dopo "ebbe strani sogni". Sono sette i sogni di Kessi ed ognuno di essi, come commenta Gaster, "ha un significato che la tradizione popolare associa generalmente alla morte, o al regno dei morti". (14) Leggiamoli nella versione di Gaster:
" Dapprima, gli parve di trovarsi dinanzi a un'enorme porta, che tentava disperatamente di aprire; ma, nonostante tutti i suoi sforzi, la porta rimaneva chiusa; poi, gli sembrò di trovarsi nel cortile di una casa, dove le donne stavano accudendo alle faccende domestiche quando, a un tratto, un uccello gigantesco piombava dal cielo e si portava via una delle donne. E ancora, gli parve di star guardando un vasto campo; in distanza, un piccolo gruppo di uomini stava attraversando questo campo, quando un lampo abbagliante, seguito da un bolide infuocato, veniva giù dal cielo e andava a colpire in pieno quel gruppo di uomini. E infine, la scena mutava ancora una volta, e appariva una folta schiera degli antenati di Kessi i quali erano intorno a un fuoco e si affaccendavano per alimentarlo e mantenere alta la fiamma.
Ma non soltanto queste visioni vennero a disturbare Kessi. In un altro sogno, egli si vedeva con le mani legate e i piedi avvinti da catene simili ai monili dei quali si adornano le donne. Quindi si vedeva pronto a partire per la caccia; uscendo di casa, trovava un drago accovacciato a destra della porta e, a sinistra, alcune sozze e orride Arpie
". (15)
Trascurando di trascrivere la conclusione della storia nella ricostruzione (per altro intelligente ed attendibile, ed a cui rimandiamo il lettore eventualmente incuriosito) fattane da Gaster, riteniamo però indispensabile, ai fini del nostro discorso, richiamare che
"chiunque abbia un minimo di familiarità con i meccanismi del racconto popolare, sa che se a un certo punto interviene un sogno, il resto della storia descrive immancabilmente il modo nel quale il sogno si realizza, e che c'è sempre una stretta corrispondenza tra lo svolgimento degli avvenimenti e ciò che era stato sognato; di conseguenza poiché tutto ciò che Kessi aveva veduto in sogno avrebbe dovuto riprodursi nel mondo dell'aldilà, sembra ovvio che il resto della storia altro non sia che una descrizione del suo viaggio in tale regione. Ciò significa che Kessi deve essere partito nuovamente per la montagna, perché soltanto là avrebbe potuto trovare la porta che conduce all'Averno ". (16)
La porta che conduce all'Averno. Tutti i sogni di Kessi, tutta la storia di Kessi ruotano intorno a questa porta che non si può aprire. Essa compare -e, per altro, con caratteristiche molto simili a quella sognata da Kessi- anche nel parimenti antico "Poema di Gilgamesh": si tratta sempre della porta che immette nella galleria sotterranea che il dio del Sole di notte attraversa e che induce al mondo dei morti (il frammento accadico, infatti, riferisce in questo senso, aggiungendo che non può essere varcata da nessun mortale) ed è guardata da esseri mostruosi (nel poema sumerico gli uomini-scorpione, nella storia ittita il drago e le sozze Arpie, che Kessi nel sogno traspone dal mondo dei morti alla porta della propria casa). Ma Kessi sembra avere più titoli dello stesso Gilgamesh per fornire un paradigma al tempo stesso mitico e letterario del mondo dei morti. Se per de Santillana e von Dechend, Gilgamesh è il "misuratore" del mondo, il sovrano del mondo che deve procurare le misure normative valide per la sua età, tuffandosi nel topos dove i tempi hanno principio e fine, prendendovi un nuovo "primo giorno" (17), Kessi a noi sembra essere colui che per sua stessa natura è destinato a dare alla Letteratura le "misure" relative al mondo dei morti. Utnapistim, l'Antico dei Giorni, il viaggiatore dell'Arca che vive immortale nella terra dove il tempo si è fermato, pretende di insegnare a Gilgamesh che l'immortalità è come un sogno ad occhi aperti: "Ma quanto a te, chi per te riunirà gli dèi in assemblea, perché tu possa trovare la vita che cerchi? Orsù, non dormire per sei giorni e sette notti". (18) Inversamente e parallelamente, poiché la coppia mortalità/immortalità non può essere accostata dall'uomo che attraverso le sue facoltà ir/razionali, Kessi insegna a tutti i protagonisti dei poemi a venire, smaniosi di forzare le soglie dell'umano destino, che il regno della Morte non può essere concepito che attraverso il sogno. Così, Kessi dorme e sogna e sognando dà le sue "misure". Il fatto è che Kessi non è altri che una ipostasi di Orione.
"In primo luogo, Kessi è un cacciatore. In secondo luogo, in uno dei suoi sogni, egli si era visto legato e incatenato, e anche questo doveva essere un presagio di ciò che lo attendeva. In terzo luogo, il nome della moglie di Kessi è Shintalimeni e nella lingua degli Hurriti (Horei), alla quale questo nome appartiene, la parola shint significa "sette". Combinando queste indicazioni, ne deriva la seducente possibilità che Kessi altri non fosse che Orione e ciò per le seguenti ragioni: a) Orione era un cacciatore; b) fu incatenato al cielo; c) fu rappresentato nell'atto di inseguire le sette sorelle, e specialmente la più giovane, che divennero poi le Pleiadi.
Se questa identificazione è giusta, è facile trovare la fine della nostra storia. Incapace di ritornare nel mondo dei vivi, il cacciatore fu trasportato tra le stelle e, poiché egli desiderava ardentemente di essere riunito alla propria sposa, anch'essa fu trasportata in cielo assieme alle proprie sorelle: come chiunque può constatare con i propri occhi, in una notte limpida e serena...
" (19)
Fin qui Gaster. Ma l'identificazione Kessi/Orione, che per lo studioso anglosassone è significativa solo al fine di facilitare la ricostruzione della parte mancante della storia, per noi lo è ancor di più per chiarire la natura e la portata dei suoi Sogni, nonché di quei "titoli" cui abbiamo accennato più sopra.
Kessi che come Cacciatore sogna il regno dei morti, in quanto ipostasi di Orione è egli stesso ingresso a quel mondo.
Kessi/Orione... le Pleiadi/"reti da caccia celesti"... tutti segni di morte.
In cielo (insegnano de Santillana e von Dechend), al "piede" di Orione (che è Rigel, cioè beta Orionis, e rigl in arabo significa "piede") si apre il "gorgo", il mitico gorgo che "rappresenta, ovvero è, il collegamento fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti", (20) la porta a cui conduce la via celeste dell'Ade, l'Eridano, "l'umida tomba di Fetonte (che) veniva visto come un fiume stellato che conduceva all'altro mondo". (21) Nel mondo antico, l'osservazione dell'avvenuto spostamento del coluro equinoziale dovuto alla Precessione degli Equinozi avrebbe introdotto sulla scena Eridano, la babilonese "confluenza" dei fiumi dell'oltretomba (e cioè Eridu, la mitica città di Ea, proiezione terrestre della Canopo celeste) a sostituzione della Via Lattea nel ruolo, che questa aveva avuto fin "dai primordi delle civiltà superiori", di "strada che conduceva i morti all'aldilà". (21) Il mito è lo specchio di un rispecchiamento inquietante ed ambiguo: dal cielo, alla terra, all'oceano è un dislocare continuo, che è un continuo ricercare per eludere ed eludere per ricercare, giacché "la carta schematica terrestre venne tratta da quella celeste". (22) Così, il gorgo celeste è anche il Maelstrom oceanico o ancora la galleria solare, il pozzo di Ade che si apre sul fianco della montagna. E la porta è situata ora ad ovest, ora a sud, ora all'estremo settentriore. Ma l'archetipo resta sempre l'enorme porta che non si può aprire sognata da Kessi/Orione. Nel Cacciatore della storia ittita si realizza la duplice natura del sonno, che è al tempo stesso oblio e (pre)veggenza. Oblio della vita che è incubo, e sogno della Morte che è (ci si illude sia) la vera Vita.
Se è vero ciò che scrivono de Santillana e von Dechend, che lo sciamanismo, pur avendo il suo epicentro nell'Asia uralo-altaica, è un complesso fenomeno culturale che può essere ricondotto all'India ed all'Iran, fino a risalire "a molto prima della civiltà indiana o iranica, e cioè al Vicino Oriente più antico" (23), Kessi allora (così come la coppia Gilgamesh/Enkidu) si pone alle radici di questi svolgimenti.
"E una teoria, che fu già propria dell'antico Medio Oriente, del sogno quale viaggio dell'anima o di una sua parte, fuori dal corpo, per recarsi a visitare in qualche modo misterioso i luoghi e le persone o gli dèi che il soggetto vede nel sogno... si trova oggi in Australia oppure fra i Papua Kiwai, nelle Isole Figi, nelle culture sciamanistiche in genere... " (24)
Ma ciò che più sorprende non è tanto il cordone ombelicale che passa tra Kessi, le sue visioni (che certo il testo scritto eredita da precedenti narrazioni orali) e le culture sciamanistiche (fino a quelle ancor oggi operanti), quanto quello che si viene a stringere tra i sogni di Kessi e la successiva Letteratura, sia orientale che occidentale (25), a conferma di due indagate verità: la trasmissione culturale delle immagini oniriche di cui parla E. R. Dodds (26), e la gestazione della poesia già in grembo al mito...
"l'idioma del mito porta con sé l'emergere della poesia... da questa zecca sono usciti tipi ben delineati (sopravvissuti fino ad oggi, per esempio, nei giochi dei bambini, nelle figure degli scacchi e delle carte da gioco) unitamente alle avventure loro destinate; e queste immagini orali sono sopravvissute al sorgere e al cadere di imperi, si sono accordate a nuove civiltà e a nuovi ambienti... " (27)
Esattamente come è accaduto ai tipi ed alle avventure codificate e normalizzate nella tavola dei Sogni di Kessi e che troviamo in tanta parte della Poesia Epica sia coeva che posteriore.
L'enorme porta che non si può aprire e che è guardata da draghi e da altre mostruose creature, nel Poema di Gilgamesh è "un massiccio cancello e il cancello era difeso da creature spaventose e terribili, mezze uomini e mezze scorpioni". (28)
Nell'Iliade sono le "larghe porte dell'Ade" e le Chere odiose e divoratrici. (29)
Nell'Odissea sono le "case putrescenti dell'Ade", che si situano nell'estremo Nord, la nebbiosa terra dei Cimmèrii, ai confini dell' "Oceano corrente profonda", anzi dell' "Oceano gorghi profondi" (30) (ed ecco, questa volta come Maelstrom, riapparire situato in mare, il fatale gorgo celeste di Orione).
Nell'Eneide ritorna la porta dell'Averno, per cui "facilis descensus Averno... sed revocare gradum superasque evadere ad auras, hoc opus, hic labor est", la porta che introduce ai "regna invia vivis", sorvegliati da Gorgoni, Arpie ed altre orride creature:
" Multaque praeterea variarum monstra ferarum, / Centauri in foribus stabulant Scyllaeque biformes / et centumgeminus Briareus ac belus Lernae / horrendum stridens flammisque armata Chimaera, / Gorgones Harpyiaeque et forma tricorporis umbrae ". (31)
Gorgoni o Chere, Uominiscorpione o Centauri, alludano o no questi esseri mostruosi e gli stessi luoghi da loro abitati a Costellazioni di Morte come vorrebbe de Santillana (32), tutti sono riconducibili all'archetipo della porta e delle dee Damnassara (le Arpie) del sogno di Kessi. Né è da dimenticare (e non lo dimentica Gaster) che il Cacciatore è guidato, nel suo terribile viaggio, da Udipsharri (il suocero introdotto nel racconto dal frammento accadico), così come lo saranno in senso lato Ulisse dalla madre Antìclea ed Enea dal padre Anchise, ed in senso più stretto Enea dalla Sibilla Cumana e Dante da Virgilio.
L'analisi del primo e dell'ultimo dei sette sogni di Kessi ci ha portato lontano, ma non è da ritenere che anche i rimanenti non siano della medesima lievitante pasta. Basti ricordare -con Gaster- che il sogno dell'uccello che piomba improvvisamente dal cielo e rapisce un'ancella intenta al lavoro è una visione di morte legata alla credenza, diffusissima non solo nella mitologia mesopotamica (si rinvia ancora al Poema di Gilgamesh), ma anche in quelle iranica e ugro-finnica, che "gli uccelli trasportassero i defunti nel mondo dell'aldilà". (33) Che i divini padri visti nell'atto di attizzare un fuoco non possono non richiamare alla mente il fuoco dell'inferno, la fucina dei fulmini e il mito dei Ciclopi. Che, infine, il sogno della folgore che investe un gruppo di persone è anche esso un sogno di morte, anzi di premonizione di morte, come chiarisce e conferma il sogno analogo con cui Enkidu riceve un primo presagio dell'approssimarsi della morte:
"... ho sognato che il cielo rumoreggiava, e la terra era scossa da un sussulto, e il giorno diventava buio, e cadevano le tenebre, e la folgore fiammeggiava e il fuoco saliva divampando, e scendeva la morte. E poi, d'un tratto, la luce impallidì, il fuoco si spense e le scintille che erano cadute divennero cenere.
Gilgamesh comprese benissimo che il sogno presagiva sventura per il suo amico
"(34).

NOTE
1) A. Seppilli: Poesia e magia, Torino, 1972.
2) cfr. E. Morin: Il paradigma perduto, Milano, 1974.
3) E. Pagels: I vangeli gnostici, Verona, 1981.
4) E. Fromm: Il linguaggio dimenticato, Milan